Civiltà del Lavoro, n. 1/2023

Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro anno LXVIII - bimestrale Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro numero 1 - gennaio • febbraio 2023 SCUOLA, MOTORE INCEPPATO DELLO SVILUPPO LE SFIDE DELLA FORMAZIONE Interviste a Gianfelice Rocca, Giuseppe Valditara, Giovanni Brugnoli e Antonello Giannelli Veneto e Campania, parlano gli assessori MUSEO KARTELL Forme diventate immaginario L’ACQUA di SEMPREl’oro CONVEGNO NAZIONALE CAVALIERI DEL LAVORO #lacqualorodisempre GENOVA 8 LUGLIO 2023 Verso il Convegno Nazionale Intervista a Ugo Salerno Genova 2023

PER LA PRIMA VOLTA IN UN MUSEO ITALIANO 9/02/2023 16/07/2023 G llerie d’It li - Torino Pi zz S n C rlo, 156 GALLERIEDITALIA.COM IN COLLABORAZIONE CON CON IL PATROCINIO DI

7 EDITORIALE Ora dedichiamoci ai fondamentali PRIMO PIANO | Scuola, motore inceppato dello sviluppo 10 I numeri da cambiare Intervista a Gianfelice ROCCA di Cristian FUSCHETTO 14 Ponte con le imprese Valditara: Potenzieremo gli Its A colloquio con Giuseppe VALDITARA di Paolo MAZZANTI 16 Contro i rischi di un regionalismo iniquo Intervista a Marco ROSSI DORIA di Brunella GIUGLIANO 18 Più autonomia per gli istituti. La richiesta del Veneto A colloquio con Elena DONAZZAN 20 L’azione della Campania contro la dispersione Intervista ad Armida FILIPPELLI 22 Scuola e concorrenza, binomio necessario A colloquio con Giovanni BRUGNOLI di Silvia TARTAMELLA 26 Più iniziativa ai presidi, più formazione per i docenti Intervista ad Antonello GIANNELLI di Silvia TARTAMELLA Anno LXVIII - n. 1 Civiltà del Lavoro Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro Direttore Cavaliere del Lavoro Maurizio Sella Comitato Editoriale Presidente: Cavaliere del Lavoro Francesco Rosario Averna Cavalieri del Lavoro: Alessandro Bastagli, Daniela Gennaro Guadalupi, Paolo Gentilini, Maria Luigia Lacatena, Clara Maddalena, Sebastiano Messina, Guido Ottolenghi, Debora Paglieri, Emmanuele Romanengo, Olga Urbani Hanno collaborato a questo numero i Cavalieri del Lavoro: Giuseppe Costa, Augusto Cosulich, Margherita Fuchs von Mannstein, Carmelo Giuffrè, Claudio Luti, Silvano Pedrollo, Gianfelice Rocca, Ugo Salerno Direttore responsabile ai fini della legge della stampa Paolo Mazzanti Direttore editoriale Franco Caramazza Coordinamento per le attività istituzionali Carlo Quintino Sella Coordinamento editoriale Cristian Fuschetto Coordinamento redazionale Paola Centi Redazione Flaminia Berrettini, Clara Danieli, Cristian Fuschetto, Brunella Giugliano, Giovanni Papa, Silvia Tartamella Progetto grafico e impaginazione Marco Neugebauer e Roberto Randi (thesymbol.it) Concessionaria Pubblicità Confindustria Servizi SpA Viale Pasteur, 6 – 00144 Roma Tel. 06 5903263 [email protected] Stampa Arti Grafiche Boccia SpA Via Tiberio Claudio Felice, 7 – 84131 Salerno Foto 123RF, AGF, Stefano Guidoni, Shutterstock Foto di copertina: Adobe Stock Gli inserzionisti di questo numero Banca Passadore, Birra Forst, Enel, Gruppo Save, Ing. Ferrari, Intesa Sanpaolo, Pastificio De Cecco Autorizzazione Tribunale di Roma n. 4845 del 28-9-1955 Autorizzazione per il web Tribunale di Roma n. 294/2013 Finito di stampare il 10 marzo 2023 [email protected] CIVILTÀ DEL LAVORO 1 - 2023 Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro anno LXVIII - bimestrale Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro numero 1 - gennaio • febbraio 2023 SCUOLA, MOTORE INCEPPATO DELLO SVILUPPO LE SFIDE DELLA FORMAZIONE Interviste a Gianfelice Rocca, Giuseppe Valditara, Giovanni Brugnoli e Antonello Giannelli Veneto e Campania, parlano gli assessori MUSEO KARTELL Forme diventate immaginario L’ACQUA di SEMPREl’oro CONVEGNO NAZIONALE CAVALIERI DEL LAVORO #lacqualorodisempre GENOVA 8 LUGLIO 2023 Verso il Convegno Nazionale Intervista a Ugo Salerno Genova 2023 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023

FOCUS | Verso il Convegno Nazionale 31 Perché l’acqua è il nostro destino A colloquio con Ugo SALERNO di Cristian FUSCHETTO 36 Il potere ricreativo dell’oro blu di Giuseppe COSTA 38 Guardiani del mare. Verso una logistica green di Augusto COSULICH 40 Il segreto dei maestri birrai di Margherita FUCHS VON MANNSTEIN 42 Il volto digitale dell’agricoltura sostenibile di Carmelo GIUFFRÈ 44 Etica e tecnologia. Così dissetiamo chi ha bisogno di Silvano PEDROLLO MUSEI 46 Museo Kartell. Luti:“È l’anima dell’azienda” di Flaminia BERRETTINI LIBRI 52 Profeti, oligarchi e spie 55 Rimorchiatori Riuniti. Cent’anni di servizio nel porto di Genova Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 L’ACQUA di SEMPREl’oro CONVEGNO NAZIONALE CAVALIERI DEL LAVORO #lacqualorodisempre GENOVA 8 LUGLIO 2023 2023

Ora dedichiamoci ai fondamentali 7 e crisi pandemica ed energetica si sono attenuate. Il piano di pace cinese e i primi colloqui ad alto livello tra Usa e Russia (i ministri degli esteri Blinken e Lavrov si sono parlati per la prima volta dall’invasione al G20 di Nuova Delhi) aprono uno spiraglio, se non di pace, almeno di “cessate il fuoco” in Ucraina. In Italia avremo 15 mesi di “tregua elettorale” fino alle europee del maggio-giugno 2024. Ci sono dunque tutte le condizioni per concentrarci sui “fondamentali”, cioè sulle riforme e sugli investimenti necessari per assicurare al nostro Paese una nuova fase di crescita e sviluppo economico e sociale. Il primo impegno è l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che in questi mesi deve entrare nella fase realizzativa dei cantieri, dopo quella preparatoria dei piani, dei progetti e degli appalti, se vogliamo rispettare la scadenza del 2026. Il governo sta ridiscutendo con la Ue alcuni obiettivi, che riguardano una maggior quota di investimenti energetici, in sintonia con il RePowerEU, e una maggiore sinergia tra Pnrr e Fondi strutturali europei. Vanno accelerate le azioni contro il cambiamento climatico: i climatologi prevedono per questa estate molti giorni con temperature sopra i 40 gradi, mentre al Nord si aggrava il problema della siccità e la burocrazia ancora ostacola in molti casi la diffusione delle energie rinnovabili. La semplificazione amministrativa resta dunque una priorità. Il governo ha promesso entro marzo il nuovo codice degli appalti e ha calendarizzato un’ampia serie di procedure da snellire: 50 sono state già deliberate, altre 200 lo saranno entro il 2024, per arrivare a un totale di 600 entro il 2026. C’è poi il capitolo delle riforme strutturali. Entro marzo dovrebbe vedere la luce la proposta di delega fiscale, mentre il ministero del Lavoro sta elaborando la riforma delle politiche attive del lavoro, della previdenza e dei nuovi sussidi per la povertà, per sostituire il reddito di cittadinanza. Il ministro Nordio sta lavorando alla riforma della giustizia e restano da sciogliere gli ultimi nodi (sui balneari) per quella della concorrenza. A queste riforme, che fanno parte integrante del Pnrr e dalla cui attuazione dipende l’erogazione per tranche dei 191 miliardi di fondi europei (di cui 67 già arrivati, mentre altri 19 dipendono dalla soluzione della querelle sui balneari), bisognerà aggiungere i due grandi pilastri della sanità e della scuola. La sanità ha affrontato positivamente, nel complesso, la pandemia e le campagne vaccinali, ma ora va migliorata con il rafforzamento della medicina territoriale e della prevenzione. La scuola va rilanciata perché, come scriviamo in questo numero di Civiltà del Lavoro, negli ultimi anni ha fatto molti passi indietro in termini di qualità e adeguatezza alle necessità del nuovo mondo del lavoro, come testimoniano da una parte l’elevato numero di disoccupati giovani e dall’altra la difficoltà delle imprese a trovare molte figure professionali adeguatamente formate. Questa fase di sviluppo strutturale richiede una politica che sappia conciliare la dialettica maggioranza-opposizione con la collaborazione “bipartisan” sui provvedimenti decisivi per la crescita del Paese. Le imprese, a partire da quelle dei Cavalieri del Lavoro, continueranno a fare la loro parte, come hanno dimostrato negli ultimi due anni più che recuperando il 9% di Pil perso con la pandemia, continuando ad affermarsi sui mercati mondiali e continuando ad assumere, visto che il tasso di occupazione ha raggiunto in gennaio il record del 60,8% (oltre 23 milioni di occupati), anche se restiamo ancora indietro rispetto agli altri grandi Paesi europei. La nostra Federazione continuerà ad elaborare proposte e progetti: l’8 luglio a Genova il nostro Convegno nazionale affronterà il tema dell’acqua, intesa anche come grande risorsa economica. Abbiamo davanti un anno di lavoro impegnativo. Non sprechiamolo. (P.M.) L Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 EDITORIALE

PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 SCUOLA, MOTORE INCEPPATO DELLO SVILUPPO PRIMO PIANO 8 Foto z1b © 123RF.com

9 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 Il 75 per cento degli Italiani non comprende una frase complessa nella propria lingua e quasi il 27 per cento è analfabeta funzionale. Uno scenario che diventa ancora più preoccupante se si considera il crescente divario educativo tra Nord e Sud. Cosa fare per restituire alla scuola il ruolo che merita? Ne abbiamo parlato con il Cavaliere del Lavoro Gianfelice Rocca, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, gli assessori all’istruzione di Campania e Veneto, il “maestro di strada” Marco Rossi Doria, Giovanni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale Umano, Antonello Giannelli, numero uno dell’Associazione nazionale Presidi

10 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 I NUMERI DA CAMBIARE È la più grande istituzione del Paese. Con un milione di insegnanti e otto milioni di studenti, la scuola potrebbe e dovrebbe essere il motore della crescita sociale, civile ed economica ma non è così. Non lo è più da almeno 20 anni. Lo certifica, con statistiche, tabelle e comparazioni con altre realtà internazionali, il rapporto “Scuola, i numeri da cambiare” presentato dalla Fondazione Rocca lo scorso novembre. “L’elemento che ci sembra possa scardinare una scuola bloccata e in lento ma continuo peggioramento nei risultati, è la realizzazione dell’autonomia scolastica” mette in evidenza il Cavaliere del Lavoro Gianfelice Rocca, presidente del Gruppo Techint e di Humanitas e numero uno della Fondazione Rocca. Joseph Stiglitz, Nobel per l’Economia, sostiene che la società si evolve in base all’aumento della capacità di apprendimento. La fotografia della situazione italiana cosa ci dice? I dati dicono che, in Italia, più del 60% delle aziende ha bisogno di assumere esperti in cybersecurity ma in un caso su tre mancano le competenze o i candidati. Nei prossimi cinque anni, con le rivoluzioni green e 4.0 sostenute dal Pnrr, si prevedono circa 3 milioni di assunzioni, ma gli imprenditori lamentano un forte mismatch. Dati che riflettono quelli contenuti nel libro “Scuola, i numeri da cambiare” che mostrano come la situazione della scuola italiana non sia cambiata negli ultimi venti anni e le criticità messe in luce dieci anni fa nel precedente rapporto, si siano addirittura aggravate. Gli studenti italiani dopo la scuola primaria hanno risultati ben al di sotto delle medie internazionali e addirittura il 50% di coloro che arrivano alla maturità non ha competenze adeguate né in italiano né in matematica. Tutto questo porta a quella che si definisce “dispersione implicita”. Di cosa si tratta? La dispersione implicita indica il fatto che molti studenti, pur raggiungendo il diploma, non riescono ad entrare nel mondo del lavoro e neppure a proseguire gli studi con successo. In Italia uno studente su quattro vive in una sorta di “limbo”: si tratta dei Neet che non lavorano e non studiano. Una situazione che riguarda più del 20 per cento (23,2%) degli studenti dopo l’obbligo scolastico: una percentuale tripla rispetto alla Germania (7,7%) e doppia rispetto alla Intervista a Gianfelice ROCCA di Cristian FUSCHETTO Gianfelice Rocca

media europea. Al problema della mancanza di competenze adeguate si aggiunge in Italia anche il peso di una cultura familistica che tende a procrastinare i tempi di entrata nel modo del lavoro e a mantenere più a lungo gli studenti in famiglia. Abbiamo anche la più bassa percentuale di diplomati, la più alta di dispersione scolastica e una altissima percentuale di analfabetismo di ritorno nella popolazione adulta: insomma i numeri della scuola sono davvero da cambiare. Quali sono gli altri dati più significativi emersi dal rapporto “I numeri da cambiare”? La scuola è la più grande Istituzione del Paese con un milione di insegnanti e otto milioni di studenti. Non si può quindi capire la scuola senza i dati e questi ci consentono di comprendere i suoi fenomeni a fondo, andando oltre i luoghi comuni. Ad esempio, si sente spesso dire che il problema degli insegnanti italiani siano gli stipendi bassi. Se prendiamo il dato in sé, fuori contesto, questo è vero ma se lo rapportiamo alle condizioni lavorative allora diventa meno evidente. Soprattutto nel confronto europeo emerge come non esista una carriera dei docenti. La progressione salariale porta l’insegnante italiano a raggiungere, per anzianità e senza mai alcuna valutazione del proprio lavoro, la massima retribuzione dopo 35 anni a fronte dei 12 in Danimarca o dei 20 in Finlandia. I dati dicono inoltre che gli insegnanti italiani, nonostante i bassi salari, sono contenti del loro lavoro per effetto di un “salario invisibile” che invece è molto alto. 11 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 A dieci anni dalla prima edizione, la Fondazione Rocca, in collaborazione con l’Associazione TreELLLE, ha realizzato il libro “Scuola, i numeri da cambiare”, una fotografia del sistema scolastico in riferimento al quadro europeo ed extraeuropeo. Oggi come ieri sono i numeri a parlare, mostrando, alla luce della comparazione internazionale, uno scenario che riconferma le stesse preoccupazioni. Il libro è a disposizione su numeridacambiare.it dove è anche possibile rivedere l’evento di presentazione del rapporto, tenuto a Roma lo scorso 17 novembre COMPARAZIONE DEL PUNTEGGIO MEDIO NELLE PROVE DI MATEMATICA (SCUOLA PRIMARIA, GRADO 5) Fonte: Rapporto "Scuola, i numeri da cambiare", 2022 185 190 195 200 205 210 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 Nord Ovest Nord Est Centro Sud Sud e Isole PRIMO PIANO Secondo molti osservatori, l’autonomia potrebbe ampliare le differenze tra Nord e Sud. Quello che è certo, dati alla mano, è che oggi il sistema centralizzato e uniforme che avrebbe dovuto garantire equità, crea enormi differenze tra le aree del Paese. I dati evidenziano anche che l’ascensore sociale - che la scuola dovrebbe garantire - è invece bloccato. Un altro luogo comune è che l’Italia spenda meno degli altri Paesi per la scuola. Si pensa semplicisticamente che aumentando le risorse possano migliorare i risultati. I dati mostrano che la spesa per studente in Italia è sopra la media europea. Quindi gli scarsi risultati non dipendono dalle risorse economiche. Inoltre nelle scuole del Sud sono stati distribuiti importanti fondi Pon (Programma Operativo Nazionale) e Por (Programmi Operativi Regionali) senza che i numeri siano cambiati. Infine, si sente spesso parlare di classi sovraffollate e sembra che in Italia abbiamo

12 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 COMPARAZIONE PER MACROAREE DELLE PERCENTUALI 2019-22 DI STUDENTI DI GRADO 13 CHE NON SUPERANO IL LIVELLO MINIMO DI COMPETENZE IN ITALIANO Fonte: Rapporto "Scuola, i numeri da cambiare", 2022 un numero eccessivo di studenti per insegnante. In realtà i dati dicono il contrario, il numero di studenti per insegnante è il più basso d’Europa: 11,5 nella primaria rispetto 18,8 in Francia e 19,9 nel Regno Unito; 10,5 nella secondaria rispetto a 13 in Francia e 17,3 nel Regno Unito. Esistono degli indirizzi di lavoro, delle proposte per modificare la rotta della scuola? L’elemento che ci sembra possa “scardinare” una scuola “bloccata” e in lento ma continuo peggioramento nei risultati, è la realizzazione dell’autonomia scolastica. Probabilmente la più grande azienda del Paese non è riformabile anche per le dimensioni che ha. Trovare spazi di intervento su base regionale, quindi su dimensioni ridotte, può apparire una soluzione possibile e praticabile. Le incognite però sono molte. Certamente la scuola ha bisogno di autonomia reale per provare a trasformare il modello scolastico che ci tramandiamo da anni. La regionalizzazione potrà darle questa autonomia o si tradurrà solo in un cambio in cabina di comando? Potrà essere questa un’occasione per affrontare temi come la valutazione, la carriera dei docenti, la governance (gli organi di governo della scuola sono stati realizzati alla fine degli anni ‘70) e l’accountability, la riorganizzazione dei curricula della scuola secondaria, la trasformazione degli ambienti? L’obiettivo di fare in modo che la scuola sostenga la trasformazione economica e sociale, che le diverse aree del nostro Paese abbiano pari opportunità, non si garantisce mantenendo un’uguaglianza di facciata e neppure con un sistema piramidale. Come si potrebbe attuare l’autonomia? Nell’attuale situazione non è realistico che possa essere attuata immediatamente, considerando i numeri e le grandi differenze tra scuola e scuola anche nella stessa area territoriale. Quindi una proposta è quella di realizzare l’autonomia a geometria variabile, differenziata e su reti di scuole, ipotesi peraltro già prevista nella legge di venti anni fa. Passare quindi, in ipotesi, dalle oltre 7.000 istituzioni scolastiche a 500 reti consentirebbe una migliore gestione del cambiamento che l’autonomia provocherà. Quali sono altri aspetti che potrebbero essere affidati all’autonomia scolastica? L’autonomia si porta dietro i temi della riforma degli organi collegiali, del reclutamento e soprattutto della valutazione della scuola e degli insegnanti, il rapporto della scuola con il territorio (accountability), dell’ampliamento dell’orario nella scuola secondaria. Anche temi come la formazione in servizio, la valorizzazione delle professionalità, il middle management andrebbero assegnati alle reti di scuole e collocati dentro il sistema delle autonomie. I dati dimostrano infatti che l’uniformità delle regole non garantisce affatto l’equità del sistema. Anche la gestione dei fondi deve innescarsi in un processo di responsabilità dei risultati e non in un semplice rispetto amministrativo dei processi: il fenomeno diffuso dei “progettifici”, risultato della distribuzione a pioggia dei fondi europei, lo dimostra. Quale dovrebbe essere il ruolo dello Stato? Naturalmente all’autonomia si accompagna la valutazione, e il ruolo dello Stato e delle Regioni diventa quello di “regolatore” e non più di gestore diretto. In questo processo consideriamo fondamentale il tema dell’accompagnamento sia sul piano del management e della gestione delle risorse che su quello della riorganizzazione delle dimensioni che determinano la qualità dei risultati: la gestione del tempo scuola, degli spazi educativi e della didattica che abbraccia anche il tema dei contenuti. I cattivi risultati che emergono a partire dalla scuola media evidenziano come il ciclo ripetitivo “lezione, studio personale (libro di testo), verifiche (interrogazioni, compiti…)” che nella scuola secondaria viene enfatizzato, non funziona più. È necessario, inoltre, per rafforzare la governance, puntare sulla centralità dei dati. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 24 Nord Ovest Nord Est Centro Sud Sud e Isole 37 24 37 35 49 47 60 50 62 Italia 36 48

13 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 RAPPORTO FRA NUMERO DI POSTI TOTALI DISPONIBILI NEGLI ASILI NIDO PUBBLICI E PRIVATI E POPOLAZIONE INFANTILE DA 0 A 3 ANNI PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (2013-2018) 2013 2014 2015 2016 2017 2018 • Nord-Ovest 17,9 17,6 17,6 18,1 19,0 19,3 • Nord-Est 18,7 19,6 20,0 20,7 21,3 21,9 • Centro 20,1 20,3 20,1 21,1 21,7 22,4 • Sud 6,9 6,9 7,1 7,8 8,3 8,9 • Isole 10,0 9,4 9,0 9,3 9,3 9,4 • Italia 15,1 15,1 15,2 15,8 16,4 16,8 5% 7% 9% 11% 13% 15% 17% 19% 21% 23% 2013 2014 2015 2016 2017 2018 Fonte: Rapporto "Scuola, i numeri da cambiare", 2022 PRIMO PIANO In che senso bisognerebbe puntare sulla centralità dei dati? Proponiamo di istituire un Rapporto annuale sulla scuola che metta insieme tutti i dati disponibili e permetta quindi di prendere decisioni su queste basi. È necessario che questo rapporto coinvolga INVALSI, DG sistemi informativi del Ministero, Istat e Ocse ma sia gestito e pubblicato annualmente da istituzioni esterne al Ministero in modo che abbia la terzietà scientifica necessaria. Le tre Fondazioni (Agnelli, Rocca e San Paolo) con il necessario supporto del Ministero potrebbero in questo rapporto di autonomia delle reti richiede anche una trasformazione profonda delle strutture centrali e periferiche del Ministero e il potenziamento di Invalsi (allargamento delle indagini sugli apprendimenti, valutazione esterna delle scuole) e di Indire (supporto all’autonomia scolastica). Questi processi di trasformazione non possono infatti essere gestiti dal centro, dal Ministero, che ha competenze amministrative e che dovrebbe assumere il ruolo di “regolatore” del sistema. Gianfelice Rocca è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2007. È presidente del Gruppo Techint composto dalle società Tenaris, Ternium, Tenova, Techint E&c, Tecpetrol e con l’Istituto Clinico Humanitas. Riconosciuto tra i leader mondiali nei settori della siderurgia, energia e infrastrutture. I dipendenti sono oltre 55.800

14 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 Intervista a Giuseppe VALDITARA di Paolo MAZZANTI U n’azione a tutto campo, che passa da una didattica personalizzata al rinnovamento del patrimonio edilizio scolastico e include una diversa organizzazione del lavoro all’interno degli istituti. È quella avviata da Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito, utilizzando pure le risorse messe a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Fra gli obiettivi anche quello di fornire a famiglie e studenti una panoramica più attuale degli sbocchi lavorativi. Ministro Valditara, recenti indagini internazionali indicano un calo della qualità della scuola italiana. Come farvi fronte? Per indicare la volontà di migliorare la qualità dell’istruzione abbiamo inserito nella denominazione del ministero la parola “merito”. Qualcuno ci ha accusato di essere elitari. Ma questa indicazione è proprio il contrario di un’impostazione elitaria. La parola merito va infatti riferita non solo all’art. 34 della Costituzione, dove si parla di “capaci e meritevoli”, ma anche all’art. 3, che obbliga la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno svolgimento della personalità dei cittadini, e io aggiungerei soprattutto dei più giovani. Oggi la scuola è classista perché non riesce più a svolgere il proprio ruolo di ascensore sociale. Lei ha annunciato anche l’istituzione della figura del tutor per seguire meglio gli studenti. Come funzionerà? Dobbiamo puntare a valorizzare i talenti di ognuno e per farlo dobbiamo personalizzare di più l’istruzione. Da qui l’istituzione dei “tutor” nei singoli istituti che, adeguatamente formati anche alle discipline psicopedagogiche e adeguatamente retribuiti, coordineranno l’attività degli insegnanti della classe per personalizzare il percorso formativo dei singoli studenti, avviando attività di recupero per chi ne avrà bisogno, anche con attività extracurricolari. Lei ha messo mano al tema dell’edilizia scolastica, che in tutto il Paese ha un grande bisogno di essere rinnovata. Come state intervenendo? Qui ci soccorre il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha stanziato 3,9 miliardi di euro per l’edilizia scolastica, ai quali abbiamo aggiunto un altro miliardo e 200 milioni di fondi nazionali. In tutto oltre 5 miliardi, che ci consentiranno di varare un grande piano di ristrutturazione dell’edilizia scolastica, con procedure amministrative accelerate sul modello del Ponte di Genova. Tra qualche anno avremo molti nuovi istituti, aule, laboratori e palestre più moderni e anche spazi più adeguati per i professori. Giuseppe Valditara PONTE CON LE IMPRESE Valditara: Potenzieremo gli Its

15 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO La scuola deve fornire un’educazione generale, ma deve anche avviare al mondo del lavoro. Da tempo le imprese lamentano di non riuscire a trovare giovani adeguatamente formati. Come gettare un ponte più efficiente tra scuola e mondo del lavoro? Recentemente il presidente della Confindustria di Brescia mi diceva che le imprese bresciane non trovano ogni anno almeno 100mila addetti, mentre Unioncamere stima in 1,2 milioni le figure professionali che non si trovano. Occorre riorganizzare la filiera della formazione tecnico-professionale nazionale e regionale, con un forte potenziamento degli Its; rilanciare l’alternanza scuola-lavoro, non solo per gli allievi degli istituti tecnico-professionali, ma anche per gli allievi dei licei, che debbono formarsi alle “soft skill”, come il lavoro di gruppo o l’organizzazione del proprio tempo. Per realizzare questo ponte tra scuola e mondo del lavoro saranno fondamentali gli uffici scolastici attraverso tavoli territoriali con gli enti locali, le organizzazioni imprenditoriali, l’associazionismo, il terzo settore, per avvicinare le scuole alle necessità anche occupazionali dei diversi territori. Infine, potenzieremo l’orientamento per aiutare gli studenti delle medie a scegliere come proseguire la propria carriera scolastica, sulla base dei loro talenti, ma anche delle opportunità offerte dal territorio. Stiamo realizzando una piattaforma per l’orientamento, inseriremo degli “orientatori” nelle scuole e alle famiglie degli studenti di terza media abbiamo inviato una “lettera sull’orientamento” per aiutarle a scegliere il miglior corso di studi per i loro figli. Foto goodluz © 123RF.com

16 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 Contro i rischi di UN REGIONALISMO INIQUO Intervista a Marco ROSSI DORIA di Brunella GIUGLIANO “Non serve una ‘grande riforma’ calata dall’alto per cambiare la sostanza della vita a scuola, piuttosto indirizzi di buon senso e buon governo” – ne è convinto Marco Rossi Doria, presidente dell’impresa sociale “Con i Bambini” che da anni realizza progetti per contrastare la povertà educativa. Rossi Doria, una lunga storia di insegnamento elementare nelle periferie, già “maestro di strada” nei Quartieri Spagnoli di Napoli, è stato sottosegretario all’Istruzione e ha fatto parte degli esperti chiamati dal ministero dell’Istruzione per l’utilizzo delle risorse del Pnrr per la dispersione scolastica. “Bisogna mettere gli istituti, innanzitutto nelle aree fragili, in condizioni di realizzare una autonomia vera e creare un clima comunitario territoriale, con ogni alleato possibile, che ponga al centro il raggiungere gli alunni che hanno abbandonato o appreso poco, grazie a nuove sfide cognitive nei percorsi di apprendimento che superino un modello d’istruzione vecchio stampo. Senza le agenzie del terzo settore coinvolte su base paritaria questi ragazzi resteranno irraggiungibili” - spiega. A cosa si riferisce? Penso ad una misura generale, compensativa, con la creazione di zone di “educazione prioritaria”, come sono chiamate in Francia, nei luoghi dove c’è maggiore povertà multidimensionale. Va previsto un meccanismo di premialità per chi attua sperimentazioni e attività di innovazione, soprattutto quando queste riescono ad intaccare i divari, a far diminuire le diseguaglianze, a rendere attrattive le scuole in territori difficili. Le potenzialità ci sono. Da non sottovalutare la necessità di un aumento degli stipendi degli insegnanti, che sono tra i più bassi dei paesi Ocse. Che momento vive oggi il mondo della scuola? È complicato, soprattutto per la presenza di due elementi: da una parte la coda delle ricadute che la pandemia da Covid 19 ha avuto sui ragazzi, dall’altra l’aumento delle povertà. In Italia abbiamo 1,3 milioni di bambini e ragazzi in povertà assoluta, un numero che secondo l’Istat si è triplicato negli ultimi dieci anni, a cui se ne aggiungono altri circa 2,3 milioni che vivono in povertà relativa. Vuol dire che un terzo del nostro futuro parte in condizioni di svantaggio. Una voragine che ogni giorno entra nella scuola, che da sola non può farsene carico. Quali saranno gli effetti dell’autonomia differenziata sulla scuola? Se si applica quello che io chiamo “regionalismo iniquo”, gli effetti interesseranno soprattutto il personale e il dimensionamento degli istituti, cioè l’accorpamento di plessi scolastici, generando una difficoltà maggioMarco Rossi Doria

17 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO re nella gestione della vita ordinaria di docenti e alunni. Ad essere penalizzati saranno i territori già deboli, perché si andrà a premiare la spesa storica e quindi situazioni più consolidate e protette. Per un’autonomia vera, invece, la scuola dovrebbe poter rispondere direttamente alla necessità di diritti e bisogni emergenti dei ragazzi e delle loro famiglie, con patti educativi di territorio e la creazione di reti di scuole a cui partecipano anche comuni e terzo settore. Apprendimento e nuove competenze del mondo del lavoro sembrano ancora oggi scollegati. Cosa fare per far dialogare questi due mondi? Lo scollamento esiste ma non dappertutto e non dovunque allo stesso modo. Sono sottovalutati i “nuovi mestieri”, legati all’utilizzo delle nuove tecnologie che spesso i ragazzi imparano da soli. A testimonianza che la vita è più grande della scuola che spesso non registra tutto ciò che serve per un inserimento nel mondo lavorativo. Io però mi chiederei: cosa serve al mondo del lavoro? Cioè? Serve il sapere scolastico tradizionalmente inteso, fondato su concetti libreschi non vagliati nella pratica, oppure il combinato teoria-pratica tipica dell’apprendere in situazione e, con in più, quelle che l’Oms chiama “Life skills” e cioè qualità come la capacità di cooperare, di portare a termine il lavoro iniziato in tempi certi, l’affidabilità operativa, il sapere innovare, l’empatia? Su questo le aziende cominciano a considerare aspetti che superano le necessità operative iperstandardizzate. È però importante anche capire che c’è un’età della vita, soprattutto tra i 16 e i 22/24 anni, in cui bisogna assaggiare un po’ di tutto per comprendere quali siamo le proprie inclinazioni. Ci sono competenze trasversali che vanno allenate, curate, consolidate. Anche per rispondere a quella domanda di flessibilità e adattabilità proveniente da imprese e mercato in un tempo nel quale nessuno sa quali saranno i lavori tra dieci anni. E le risorse del Pnrr per la dispersione scolastica? Qual è la situazione attuale? È prevalsa, in chi l’anno scorso nel ministero all’Istruzione ha dato indirizzo alla misura Pnrr, una linea vecchia e rigida: si è, infatti, deciso di dare 500 milioni di euro alle scuole in aree di forte dispersione senza metterle nelle condizioni di creare alleanze fattive con i territori, in particolare con le agenzie del terzo settore e con i comuni, che avrebbero generato migliori risultati. Si è attuato il solito meccanismo dell’erogazione di finanziamenti a pioggia senza partire da patti territoriali con chi può raggiungere davvero i ragazzi, come si fa negli oltre 400 partenariati pubblico-privato attivati grazie al Fondo contro la povertà educativa. In più con un’eccessiva semplificazione dei criteri per la definizione degli istituti che ha reso gli standard utilizzati per la selezione non sempre rappresentativi delle realtà. Un pressapochismo che rischia di far fallire un impianto e di sprecare parte di queste ingentissime risorse. Foto nialowwa © 123RF.com

18 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 Intervista a Elena DONAZZAN I l Veneto vanta uno dei tassi di dispersione scolastica più bassi d’Italia ed è fra le aree che possono contare su una solida collaborazione con il territorio al fine di garantire una maggiore continuità tra formazione e mondo del lavoro. Per capire in che modo l’autonomia scolastica differenziata si possa inserire in tale contesto abbiamo parlato con Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione, formazione, lavoro e pari opportunità. Le più recenti indagini internazionali indicano che la scuola italiana sta perdendo qualità e che c’è un crescente distacco tra formazione e mondo del lavoro. Quali strategia sta mettendo in campo la Regione Veneto per fronteggiare queste criticità? È indiscutibile che la distanza tra formazione e mondo del lavoro costituisca una delle cause più profonde delle difficoltà che incontrano giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e di quelle che incontrano le imprese alla disperata ricerca di profili che non esistono. In questo senso la Regione del Veneto, negli ultimi decenni, ha progettato e sostenuto tutti i modelli formativi basati sull’esperienza duale, dai percorsi triennali e quadriennali Iefp (istruzione e formazione professionale, ndr), al biennio Its di formazione terziaria professionalizzante, passando dai percorsi di specializzazione tecnica IFTS, che vanno esattamente nella direzione di costruzione di reciproca conoscenza e consapevolezza tra sistema formativo e mondo del lavoro. Uno dei problemi che affliggono la scuola è la dispersione e l’abbandono degli studi da parte dei ragazzi. Come ovviare al fenomeno? Con l’inverno demografico alle porte, la dispersione rappresenta un problema di enorme gravità per la nostra società. Non possiamo permetterci di perdere nessun ragazzo per strada. Bisogna che le istituzioni facciano la loro parte per proporre soluzioni educative flessibili, a misura delle diverse intelligenze che caratterizzano le persone, senza omologazioni. Da parte nostra il sostegno ininterrotto al sistema Iefp, che vede ogni giorno 20mila ragazzi veneti impegnati nei loro percorsi di apprendimento nelle classi, nei laboratori e nelle aziende sede di tirocinio, ha consentito di raggiungere uno dei tassi di dispersione più bassi d’Italia, il 9,3%, rispetto a una media nazionale del 12,7%. Il target europeo al 2030 è fissato al 9%. Ma questo non basta! Dovremo sviluppare politiche e misure che tendano al tasso zero. PIÙ AUTONOMIA PER GLI ISTITUTI La richiesta del Veneto Elena Donazzan

19 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO Quali forme di collaborazione sono in atto tra il ministero dell’Istruzione, l’Ufficio scolastico regionale e la sua Regione? Tra la Regione Veneto e l’Ufficio scolastico regionale per il Veneto, che è di fatto l’articolazione territoriale del ministero, ci sono una profonda e consolidata collaborazione e sinergia su tutti i temi che riguardano il sistema educativo, che non si manifestano solo nelle scelte sulla programmazione dell’offerta formativa del secondo ciclo e sul dimensionamento della rete scolastica, ma si estendono anche a numerosi progetti di ampliamento dell’offerta formativa rivolti alle scuole di ogni ordine e grado, condivisi e coprogettati con l’Ufficio scolastico regionale. Queste iniziative coinvolgono enti pubblici, fondazioni e associazioni senza scopo di lucro, sono finalizzati a promuovere, a titolo di esempi, la cittadinanza attiva, l’educazione digitale, il contrasto al bullismo e cyberbullismo, la conoscenza del territorio e la sostenibilità ambientale e il benessere psicofisico di bambini e ragazzi, anche grazie a numerose attività di sostegno e sviluppo dell’educazione motoria e sportiva nelle scuole. Alcuni esperti propongono di aumentare l’autonomia dei singoli istituti, che potrebbero migliorare così le proprie relazioni con i territori e le imprese. Può essere una strada? Gli strumenti per migliorare le relazioni tra scuola, territorio e imprese esistono già, il problema, casomai, è sostenere e rafforzare i contesti nei quali queste due realtà sono chiamate a incontrarsi e dialogare. La Regione Veneto è stata una delle prime a sperimentare l’alternanza scuola lavoro (ora PCTO, percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, ndr), ben prima che diventasse obbligo di legge, grazie ad accordi bilaterali con le associazioni di categoria e può testimoniare i buoni risultati raggiunti non solo nell’inserimento nel mondo del lavoro, ma anche nell’abbattimento della dispersione scolastica. C’è anche il tema dell’autonomia regionale differenziata: la Regione Veneto intende chiedere anche le competenze relative alla scuola. Come vi state attrezzando per migliorare l’organizzazione della scuola veneta in vista dell’autonomia? La richiesta del Veneto di autonomia differenziata in materia di istruzione mira a istituire un sistema educativo regionale che, operando nel quadro della normativa nazionale e comunitaria e in collaborazione con i soggetti del sistema nazionale, sia in grado di assicurare una maggiore aderenza ai bisogni e alle aspettative del tessuto economico e sociale che caratterizzano il territorio, sulla base dei principi di sussidiarietà e prossimità. Nel pieno rispetto dell’autonomia scolastica e delle norme generali in materia di istruzione, la proposta veneta è volta a perseguire il raggiungimento di un alto grado di efficienza ed efficacia del servizio educativo attraverso l’attivazione di modelli organizzativi flessibili, la diversificazione dei servizi erogati, l’introduzione di tecnologie innovative e il coordinamento dei soggetti presenti nel contesto territoriale. Il sistema educativo veneto si caratterizza per la forte presenza di istituzioni scolastiche e formative paritarie (particolarmente per quanto riguarda le scuole dell’infanzia, che rappresentano circa il 65% dell’offerta) che, in quanto dotate di specifici requisiti funzionali, organizzativi e didattici, concorrono all’erogazione del servizio educativo regionale. A tali realtà la richiesta regionale di autonomia dedica il dovuto interesse attraverso il riconoscimento di un proprio ruolo di programmazione, riconoscimento e controllo. Il modello di autonomia proposto è orientato a realizzare una differente distribuzione delle competenze che, senza forzare gli elementi di unitarietà del sistema scolastico/formativo, sia in grado di attuare in massimo grado i principi di autonomia delle istituzioni scolastiche. Per realizzare questo progetto la Regione è ora impegnata, in collaborazione con il governo, alla prima definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni”, che sono essenziali e preliminari a qualsiasi declinazione di autonomia si voglia realizzare, così come previsto dal disegno di legge che contiene le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. (P.M.) Foto milkos © 123RF.com

20 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 A colloquio con Armida FILIPPELLI L a formazione professionale può essere uno degli strumenti per rilanciare il legame tra istruzione e lavoro. In Campania stanno percorrendo questa strada con oltre 50 corsi attivati, che spaziano dalla meccatronica al turismo, dalla tecnica del suono al benessere della persona. Ne abbiamo parlato con Armida Filippelli, preside e assessore alla Formazione della Regione Campania. Quale strategia sta mettendo in campo la Regione per fronteggiare le criticità della formazione? Da donna che ha speso una vita nella scuola vorrei anche parlare delle migliaia di persone che si impegnano ogni giorno per stare accanto ai ragazzi, per guidarli nella crescita culturale ma anche personale, e che lo fanno nella completa solitudine in un sistema, questo sì, sempre più disgregato e in affanno. Parlare di una formazione scolastica più aderente al lavoro significherebbe anche avere scuola più adeguata all’attuale mondo del lavoro ma, come sappiamo bene, invece di contare i laboratori e le aule tecnologiche, ecocompatibili, interdisciplinari, contiamo le scuole inagibili, le palestre che mancano, i pc rubati e così via. Per non parlare degli stipendi più bassi d’Europa e la ormai mascotte “risma di carta da casa” (per evitare di parlare di carta igienica!). Fatta questa premessa, credo fortemente nella formazione legata al lavoro e, oggi più che mai, il mio ruolo mi chiama a battermi specificatamente su questo. Come assessore alla formazione professionale ho voluto, dunque, riannodare i due mondi, dando rilancio e forte spinta alla formazione professionale dedicata ai ragazzi in età scolare che hanno abbandonato la scuola o non ci vanno affatto. Si tratta di percorsi legati al fabbisogno del mercato del lavoro e che uniscono un programma didattico di base a una formazione professionale specialistica chiamati IeFp. Formiamo meccatronici, operatori del benessere, tecnici informatici, tecnici del suono, operatori turistici e tanto altro. Grande importanza è data ai laboratori e alle attività di tirocinio in azienda. Questo è il tipo di politiche che la L’AZIONE DELLA CAMPANIA contro la dispersione Armida Filippelli

21 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO Regione sta mettendo in campo: concrete, legate al mondo reale e mirate ai diversi segmenti di società. Uno dei problemi che affliggono la scuola, soprattutto al Sud, è la dispersione e l’abbandono degli studi da parte dei ragazzi. Come ovviare al fenomeno? La misura di cui ho appena parlato è una misura diretta e costruita proprio per combattere la dispersione scolastica e nel mio mandato siamo passati da un centinaio di ragazzi a più di 2mila coinvolti in oltre 50 corsi. Con l’aggiunta che da quest’anno, per la prima volta nella storia della Campania, siamo in “scuola in chiaro” consentendo alle famiglie di fare la scelta già dalla preiscrizione. Abbiamo molti disoccupati, ma anche molte imprese che non trovano lavoratori adeguatamente formati. Come gettare un ponte più efficace tra questi due mondi? Il processo di digitalizzazione comporta profondi cambiamenti nella formazione e nel mondo del lavoro, per evitare l’allargarsi del digital divide. Dobbiamo anche prestare massima attenzione allo human divide. Se si è molto dipendenti dalle tecnologie, senza governarle, si rischia isolamento e impoverimento emotivo, col pericolo di una disumanizzazione delle relazioni sociali, come dice l’economista Cohen. Quindi innovazione digitale ma anche crescita delle competenze, con adeguati percorsi formativi. Come suggerisce il Wold Economic Forum, bisogna investire su dieci competenze: analytical thinking and innovation; active learning; complex problem solving, critical thinking; creativity; leadership and social influence; technology use and monitoring; technology design; resilience; reasoning. Così come è fondamentale mettere sempre la persona al centro, sostenendola con una formazione adeguata e la condivisione della conoscenza. In questo modo possiamo concorrere a creare un modello Italia 5.0, che comprenda anche una society 5.0, con la cooperazione di istituzioni, imprese, governo e associazioni. (P.M.) Foto bialasiewicz © 123RF.com

22 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 l Rapporto della Fondazione Rocca “Scuola, i numeri da cambiare” offre un’approfondita panoramica su una delle istituzioni più importanti del Paese. Di base, sostiene che la scuola stia perdendo la funzione di ascensore sociale e faccia sempre più fatica a garantire un livello di preparazione adeguato all’ingresso nel mondo del lavoro. Ne abbiamo parlato con Giovanni Brugnoli, vice presidente Confindustria per il Capitale umano. Presidente, è d’accordo con questa visione? È impossibile non essere d’accordo sul fatto che, in generale, la scuola stia perdendo il suo ruolo di ascensore sociale e che lo abbia fatto ormai da molti anni. Abbiamo sotto i nostri occhi non una visione ma un incubo, con numeri che mostrano gli effetti di questo “blocco” ormai consolidato nel tempo: oltre due milioni di Neet, una disoccupazione giovanile stabile al 25%, un analfabetismo di ritorno molto forte con forti deficit cognitivi che superano il 47% in territori del Meridione come la Calabria e Campania ma anche al Nord, in Liguria e Provincia di Bolzano. È chiaro che con questi numeri, con queste basi, l’ingresso nel mondo del lavoro è e diventerà sempre più difficile, ma è solo una delle conseguenze economiche, sociali e culturali di una scuola italiana che – pur con molti ambiti di eccellenza che restano però isolati – deve ritrovare il suo ruolo chiave nel nostro Paese. Ed è responsabilità di tutti, non soltanto di chi a scuola ci lavora. In particolare, uno dei parametri presi in esame riguarda l’uso delle competenze acquisite con il diploma sul lavoro, che resta modesto anche nel caso di istituti tecnici e professionali. Fino a che punto la scuola secondaria può adeguarsi alle richieste delle imprese, che giocoforza saranno sempre più aggiornate, specie sui temi che riguardano l’innovazione? Intervista a Giovanni BRUGNOLI di Silvia TARTAMELLA SCUOLA E CONCORRENZA binomio necessario I Foto lightwise © 123RF.com

23 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO Che cosa dovrebbe cambiare nel tipo di preparazione offerta? La scuola non deve adeguarsi alle richieste delle imprese. Lo dico chiaramente. È una dialettica del tutto sbagliata, che spesso ha generato malintesi da una parte e dall’altra. Non è giusto immaginare le imprese come organizzazioni esigenti che “chiedono”, con le scuole che devono “rispondere” e adeguarsi. Guardando come si muovono le italiane oggi invece, almeno nel complesso, si scopre che le imprese sono sempre più disponibili a collaborare con le scuole in percorsi strutturati di collaborazione che è anche didattica. Nessuno chiede, nessuno risponde, si lavora assieme: l’impresa non più come semplice termine finale degli anni di studio, ma come fattore integrato di orientamento e formazione dei nostri giovani, con una precisa responsabilità educativa che – ovviamente – non può ne deve sostituirsi a quella della scuola ma ad essa aggiungersi, per aiutare insegnanti e presidi a fare meglio il loro lavoro. Dove queste partnership ci sono, e sono tantissimi gli esempi di scuole che collaborano con le imprese di Confindustria, anche i dati sull’occupazione e l’occupabilità dei giovani sono del tutto positivi. Non va dunque cambiata la preparazione ma va integrata con il know how delle imprese. E abbiamo tanti modelli da cui partire, in primis gli Its. Negli ultimi dieci anni si è progressivamente affermato il modello degli Its, che riguardano la formazione post diploma. Che cosa li rende efficaci e come potrebbero ulteriormente migliorare? A renderli efficaci è proprio il riconoscimento di un ruolo educativo alle imprese. Le imprese che partecipano alla didattica – anzi negli Its migliori i docenti che provengono dalle imprese sono il 70% dell’intero corpo docenti; imprese che partecipano alla governance – il 43% di tutte le 128 Fondazioni Its in Italia è rappresentato da imprese; imprese che fanno da ponte, attraverso le associazioni datoriali, tra il territorio e le sue istituzioni formative, con le scuole in primo luogo. Per renderli più efficaci bisogna intanto usare bene le risorse del Pnrr che sono già arrivate e che arriveranno (in tutto 1,5 miliardi per laboratori e altri investimenti). C’è bisogno poi di avere sempre più corsi Its, senza che proliferino le Fondazioni, con il chiaro obiettivo di ottimizzare i costi e aumentare il numero di iscritti. A proposito di questo: dobbiamo lavorare, tutti insieme, per un grande piano di orientamento degli Its. In Confindustria sempre più spesso chiediamo a giovani diplomati Its di raccontar le loro storie: un metodo che sta portando ottimi risultati. Nel Rapporto emerge inoltre come nei livelli di apprendimento della popolazione studentesca resti costante il divario di preparazione fra Nord e Sud del Paese e quello relativo alla dispersione scolastica. Che contributo possono dare le imprese per accorciare le distanze? Le imprese, specie quelle in Confindustria, sono inserite in una rete nazionale – e possiamo dire anche europea – in cui la distinzione Nord-Sud si affievolisce e diventa meno ostativa rispetto a quanto lo è, generalmente, nel Paese. Abbiamo al Sud delle imprese eccellenti che hanno fatto e stanno facendo moltissimo, in contesti difficili. Dobbiamo fare in modo che non restino da sole nella loro azione che è anche educativa e, ad esempio, in molti Its questa cosa succede, con una mobilità sempre più alta di giovani che dal Nord vengono a studiare al Sud, specie in Its che puntano sull’innovazione e sulle nuove tecnologie. Negli ultimi tempi si è tornati a parlare di autonomia scolastica, introdotta nel ‘97 dalla Legge Bassanini. Quali sono gli aspetti che funzionano nel sistema attuale e quali quelli che andrebbero cambiati? È un bene che si torni a parlare di autonomia scolastica. Da sempre come Confindustria siamo fautori della necessità di introdurre vera autonomia, valutazione del merito e premialità di carriera nel sistema scolastico. Lungi da dare un giudizio definitivo sulla Legge Bassanini, l’impressione, vedendo i risultati dopo 25 anni, è che l’autonomia prevista dalla Legge Bassanini sia rimasta su carta: se davvero riconosciuta alle scuole, invece, potrebGiovanni Brugnoli

24 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO be combattere le degenerazioni centraliste, l’egualitarismo irresponsabile, i vari corporativismi, la disattenzione al tema costi-benefici, lo spreco di risorse pubbliche, la frustrazione del personale più motivato. Dobbiamo dare fiducia ai nostri dirigenti scolastici e a tutti coloro che a scuola ci lavorano. Gli organi scolastici hanno spesso troppi vincoli e poche, pochissime vere responsabilità sostanziali. La scuola deve cambiare nella sostanza: da ente burocratico con forti caratteri di impiegatizzazione a istituto culturale a forte qualità professionale. A tal fine la scuola non può fare a meno della concorrenza. Per migliorare la qualità è essenziale il confronto competitivo tra scuole simili per la diffusione delle migliori pratiche. Abbiamo bisogno che tutti riconoscano il valore di chi lavora nelle scuole, al di là dei tecnicismi che spesso caratterizzano il nostro ordinamento scolastico. Per questo ripeto: bene che si torni a parlare di autonomia scolastica, ma non diventi un dibattito tra soli addetti ai lavori. Infine, uno dei dati più preoccupanti del Rapporto è quello relativo al livello di competenze della popolazione adulta, dove solo il 30% delle persone raggiunge il livello 3, considerato la soglia minima per affrontare le situazioni di vita quotidiana. In questo caso, le imprese possono aiutare ad elevare questa percentuale? Le imprese possono fare tanto e già oggi lavorano molto con i fondi interprofessionali sul fronte della formazione dei loro dipendenti, soprattutto adulti. Sempre più i fondi interprofessionali devono e dovranno occuparsi di politiche attive e avere un ampio raggio d’azione proprio per aiutare chi sta indietro, anche in età avanzata, a recuperare competenze e incrementare la qualità della loro formazione. Abbiamo poi tante imprese che hanno oggi una loro academy aziendale, oltre 160, che sempre più diventa luogo formativo a disposizione non solo dei dipendenti, ma, dei territori. Diciamo che più le imprese sono messe in condizione di contribuire alla formazione delle persone, più riusciremo a migliorare il livello complessivo del nostro capitale umano. Foto auremar © 123RF.com Più le imprese sono messe in condizione di contribuire alla formazione delle persone, più riusciremo a migliorare il livello complessivo del nostro capitale umano

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