Civiltà del Lavoro, n. 1/2023

23 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO Che cosa dovrebbe cambiare nel tipo di preparazione offerta? La scuola non deve adeguarsi alle richieste delle imprese. Lo dico chiaramente. È una dialettica del tutto sbagliata, che spesso ha generato malintesi da una parte e dall’altra. Non è giusto immaginare le imprese come organizzazioni esigenti che “chiedono”, con le scuole che devono “rispondere” e adeguarsi. Guardando come si muovono le italiane oggi invece, almeno nel complesso, si scopre che le imprese sono sempre più disponibili a collaborare con le scuole in percorsi strutturati di collaborazione che è anche didattica. Nessuno chiede, nessuno risponde, si lavora assieme: l’impresa non più come semplice termine finale degli anni di studio, ma come fattore integrato di orientamento e formazione dei nostri giovani, con una precisa responsabilità educativa che – ovviamente – non può ne deve sostituirsi a quella della scuola ma ad essa aggiungersi, per aiutare insegnanti e presidi a fare meglio il loro lavoro. Dove queste partnership ci sono, e sono tantissimi gli esempi di scuole che collaborano con le imprese di Confindustria, anche i dati sull’occupazione e l’occupabilità dei giovani sono del tutto positivi. Non va dunque cambiata la preparazione ma va integrata con il know how delle imprese. E abbiamo tanti modelli da cui partire, in primis gli Its. Negli ultimi dieci anni si è progressivamente affermato il modello degli Its, che riguardano la formazione post diploma. Che cosa li rende efficaci e come potrebbero ulteriormente migliorare? A renderli efficaci è proprio il riconoscimento di un ruolo educativo alle imprese. Le imprese che partecipano alla didattica – anzi negli Its migliori i docenti che provengono dalle imprese sono il 70% dell’intero corpo docenti; imprese che partecipano alla governance – il 43% di tutte le 128 Fondazioni Its in Italia è rappresentato da imprese; imprese che fanno da ponte, attraverso le associazioni datoriali, tra il territorio e le sue istituzioni formative, con le scuole in primo luogo. Per renderli più efficaci bisogna intanto usare bene le risorse del Pnrr che sono già arrivate e che arriveranno (in tutto 1,5 miliardi per laboratori e altri investimenti). C’è bisogno poi di avere sempre più corsi Its, senza che proliferino le Fondazioni, con il chiaro obiettivo di ottimizzare i costi e aumentare il numero di iscritti. A proposito di questo: dobbiamo lavorare, tutti insieme, per un grande piano di orientamento degli Its. In Confindustria sempre più spesso chiediamo a giovani diplomati Its di raccontar le loro storie: un metodo che sta portando ottimi risultati. Nel Rapporto emerge inoltre come nei livelli di apprendimento della popolazione studentesca resti costante il divario di preparazione fra Nord e Sud del Paese e quello relativo alla dispersione scolastica. Che contributo possono dare le imprese per accorciare le distanze? Le imprese, specie quelle in Confindustria, sono inserite in una rete nazionale – e possiamo dire anche europea – in cui la distinzione Nord-Sud si affievolisce e diventa meno ostativa rispetto a quanto lo è, generalmente, nel Paese. Abbiamo al Sud delle imprese eccellenti che hanno fatto e stanno facendo moltissimo, in contesti difficili. Dobbiamo fare in modo che non restino da sole nella loro azione che è anche educativa e, ad esempio, in molti Its questa cosa succede, con una mobilità sempre più alta di giovani che dal Nord vengono a studiare al Sud, specie in Its che puntano sull’innovazione e sulle nuove tecnologie. Negli ultimi tempi si è tornati a parlare di autonomia scolastica, introdotta nel ‘97 dalla Legge Bassanini. Quali sono gli aspetti che funzionano nel sistema attuale e quali quelli che andrebbero cambiati? È un bene che si torni a parlare di autonomia scolastica. Da sempre come Confindustria siamo fautori della necessità di introdurre vera autonomia, valutazione del merito e premialità di carriera nel sistema scolastico. Lungi da dare un giudizio definitivo sulla Legge Bassanini, l’impressione, vedendo i risultati dopo 25 anni, è che l’autonomia prevista dalla Legge Bassanini sia rimasta su carta: se davvero riconosciuta alle scuole, invece, potrebGiovanni Brugnoli

RkJQdWJsaXNoZXIy NDY5NjA=