I nostri lavori si sono aperti con il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che con la consueta autorevolezza ci ha offerto una guida morale e istituzionale preziosa, sottolineando come “l’appannamento delle convenzioni internazionali basate su principi di cooperazione, rendono più che mai prezioso il ruolo della Unione europea, fattore di stabilità, progresso e pace”.
Inizio col dire: per l’Italia non c’è futuro favorevole senza l’Europa! Specie di un’Europa protagonista e non spettatrice della storia, autorevole sul piano politico, efficace dal punto di vista istituzionale e capace di crescere e competere come area economica ampia, integrata e meno frammentata.
UNA NUOVA UNITÀ
Faccio un paragone. L’Italia prima dell’Unità, nel 1860-1870, con regole e prassi differenti, era una selva di diversità, con tanti piccoli Stati divisi, con diversi dialetti, spesso influenzati da potenze straniere. L’Unità ci ha consentito di avere evoluzioni civili, sociali e istituzionali e di avviare lo sviluppo che ci ha portato a essere tra i grandi Paesi del mondo. Oggi l’Europa si trova di fronte a una sfida analoga, ma su scala mondiale. In uno scenario complesso e in un contesto dominato da concentrazioni sempre più vaste di potere economico, militare e tecnologico; la dimensione è decisiva. L’Unione fa la forza è il caso di dire! E la forza dell’Europa è di essere un punto fermo e un modello democratico unico, che lega il successo economico allo Stato di diritto e al progresso sociale. Ma l’Europa non potrà mai contare davvero per quello che vale se ogni Nazione resta condizionata dalla persistenza dei suoi confini nazionali. Vorrei esprimere in modo ottimistico tre proposte, che potranno apparire a taluno molto ambiziose, perfino irrealizzabili, ma è solo pensando in grande che si potrà dare concretezza all’Europa che vogliamo.
SUPERARE L’UNANIMITÀ
La prima riguarda il processo decisionale europeo: va definitivamente superata la regola dell’unanimità nelle decisioni importanti del Consiglio, snodo nevralgico delle decisioni politiche europee, perché questa regola attribuisce un grande potere di veto ai singoli Paesi, anche molto piccoli, e rischia di provocare la paralisi politica nel momento in cui ci fossero da prendere decisioni importanti e urgenti. Questa riforma consentirebbe un cambio di passo nelle decisioni dell’Unione europea. Quindi, o si cambiano i trattati per ridurre i tanti ambiti sui quali occorre l’unanimità, ad es. su argomenti-chiave come la politica estera e la difesa, oppure si attivano le cosiddette “clausole passerella” che consentono appunto di ricorrere alla maggioranza rafforzata (55% dei Paesi, 65% della popolazione).
A mio parere se si volesse procedere a rivedere i trattati, si potrebbe anche considerare di sostituire l’unanimità in quasi tutti gli ambiti in cui è prevista con una maggioranza qualificata rafforzata (72% dei paesi, 20 su 27, e 65% della popolazione) che potrebbe preservare la fondamentale democraticità dell’area, migliorando la fluidità del processo permettendo decisioni più rapide.
AUMENTARE IL DEBITO COMUNE
Il secondo suggerimento è di aumentare il debito comune europeo. È una strada obbligata per l’Europa ed è necessario percorrerla perché dobbiamo affrontare investimenti enormi per avere più indipendenza strategica ed energetica, maggiore produttività e gestire il cambiamento climatico.
Debito comune significa superare la diffidenza reciproca tra gli Stati e se questo accade la fiducia interna attirerebbe anche la fiducia degli investitori esterni all’Europa. Se siamo noi europei i primi a non crederci, come possiamo pretendere che lo facciano gli altri?
Gli Usa hanno emissioni per quasi 29 Trn $ (1 trilione va le mille miliardi) e sta forse diventando un debito eccessivo. L’Europa non deve arrivare a tanto. Dopo l’esperi mento del NextGenEU il debito comune era salito a 300 mld, ora potremmo aggiungere altri 150 mld con il “Re Arm EU”, ma sarebbe stato più corretto chiamarle DefendEU, quindi resteremo intorno al mezzo Trn di euro.
Il peso dell’economia europea sul Pil mondiale è comparabile con quello Usa ma il debito comune sembra essere appena un sessantesimo!
In altre parole, il debito federale, statale e locale in Usa è il 124% del Pil, in Europa la somma dei debiti comparabili è solo l’82% del Pil, su cui il debito comune incide per appena il 2%.
Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta nelle sue considerazioni finali la settimana scorsa ha insistito su questo punto, ritenendo “cruciale introdurre un titolo pubblico europeo per eliminare alla radice la frammentazione del mercato dei capitali lungo linee nazionali”. Questa innovazione, come ha detto il governatore, ha un duplice obiettivo: finanziare la componente pubblica degli investimenti e fornire come Europa un riferimento comune, solido e credibile all’intero sistema finanziario.
Abbiamo avuto il coraggio di fare l’euro, che è stato un grande successo, ma non ancora quello di accompagnarlo con un’unione fiscale e finanziaria vera: è tempo di superare questa contraddizione.
SEMPLIFICARE PER CRESCERE
La terza proposta è la semplificazione, indispensabile per preservare l’essenziale vitalità dell’imprenditoria europea, garantendo biodiversità economica, capacità di innovazione e prospettive di crescita futura, che rischiano altrimenti di essere soffocate da un insostenibile ed eccessivo gravame di regole. La Commissione europea ha già proposto l’obiettivo di ridurre i costi amministrativi delle imprese del 25% (35% per le imprese al di sotto dei 250 dipendenti) attraverso la semplificazione normativa mediante decreti omnibus. È la strada giusta! È l’inizio! Queste tre proposte vanno lette alla luce di uno scenario globale che ci sta mettendo di fronte a forti discontinuità, complessità e tensioni. Ma anche grandi opportunità.
LA LEZIONE DI REAGAN SUI DAZI
La rielezione di Trump alla guida degli Usa ha aperto una fase nuova, caratterizzata da un approccio che mira a ottenere massima risonanza, anche ricorrendo all’iperbole, all’esagerazione, come abbiamo visto con i dazi. Nell’ondata di dazi decisa da Trump durante il suo primo mandato – molto più contenuta di quella oggi in discussione – si è visto che gli incrementi si sono scaricati tendenzialmente su imprese e consumatori americani.
Per me i dazi sono delle imposte sul consumo di alcuni beni, quelli importati. Vorrebbero ridurre deficit commerciale, deficit di bilancio e debito, ma danno benefici marginali nel breve e sicuri effetti negativi importanti nel lungo termine. Vi cito a tal proposito cosa diceva Ronald Regan nel 1987 per spiegare i dazi sulle importazioni dal Giappone. “Imponiamo dazi sulle importazioni estere, può sembrare un atto patriottico, per proteggere i prodotti e i posti di lavoro americani. E a volte, per un breve periodo, funziona, ma solo per poco. Quello che accade alla fine è che le industrie nazionali iniziano a contare sulla protezione del governo sotto forma di dazi elevati.
Smettono di competere, e smettono di innovare nella gestione e nella tecnologia, che sono invece essenziali per avere successo nei mercati globali. E mentre tutto questo accade, succede qualcosa di ancora peggiore: i dazi elevati portano inevitabilmente a ritorsioni da parte de gli altri Paesi e all’innesco di dure guerre commerciali. Il risultato è un’escalation di dazi, barriere sempre più alte, e concorrenza sempre più scarsa. Alla fine, a causa dei prezzi artificialmente elevati, che sovvenzionano l’inefficienza e la cattiva gestione, la gente smette di comprare. E allora succede il peggio: i mercati si restringono e crollano; le aziende e le industrie chiudono; e milioni di persone perdono il lavoro”.
Sembra passato un secolo!
MOMENTO RICCO DI OPPORTUNITÀ
Il dollaro si è indebolito e i tassi a lungo termine americani sono due punti percentuali al di sopra di quelli tedeschi. Nel frattempo, è arrivato il downgrade di Moody’s al debito sovrano degli Stati Uniti da tripla A a Aa1. Torniamo all’Europa. Siamo soliti dire che l’Ue dà il meglio di sé nei momenti peggiori. Del resto, uno dei padri fondatori, Jean Monnet, aveva detto che “l’Europa sarà forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per queste crisi”.
Quello che stiamo vivendo è un momento delicato ma anche ricco di opportunità, proprio per il vuoto lasciato dagli Usa. Ma bisogna agire adesso, altrimenti potrebbe essere tardi, e ne può andare del nostro benessere, della nostra indipendenza e di ciò che lasceremo alle generazioni future.
AFFRONTIAMO UNA “SFIDA ESISTENZIALE”
Lo ha detto con autorevolezza il Presidente Mattarella con il suo “nessun dorma” e l’invito a lavorare insieme per un’Europa più competitiva, tecnologicamente avanzata e più sicura. Lo ha detto Mario Draghi col suo acutissimo Rapporto sulla competitività futura dell’Europa, sostenendo che “aumentare la competitività dell’UE è necessario per rilanciare la produttività e sostenere la crescita in questo mondo in continua evoluzione”. E ha aggiunto: “Questa è una sfida esistenziale”.
È sotto gli occhi di tutti, del resto, il rammarico e il ripensamento degli inglesi per la Brexit. I paesi europei, del resto, citando ancora una volta il Presidente Mattarella, “si dividono in due categorie: quelli piccoli e quelli che non hanno ancora compreso di esserlo anch’essi”.
Tassi bassi, inflazione sotto controllo, una valuta forte: l’euro, una più ampia libertà di circolazione dei cittadini … sono già stati dei benefici enormi per tutti noi, vantaggi di cui godiamo nonostante il disegno europeo non sia ancora completato. Credo perciò che si possa dire senza ombra di dubbio che l’Europa ha rappresentato la più grande riforma istituzionale dei nostri tempi.
LEZIONI DALLA GENERAZIONE ERASMUS
Uno spunto interessante e una nota di ragionevole speranza sull’Europa che vogliamo ce lo offrono i nostri giovani. Penso agli allievi del Collegio Universitario di Merito Lamaro Pozzani, impegnati nella elaborazione di un “paper” a valle del ciclo di seminari sull’Europa. L’Ue – scrivono – prima ancora che struttura istituzionale o mercato, è un’esperienza vissuta, quotidiana, comunitaria. L’Erasmus – affermano – è stato un potente motore di integrazione, ma oggi non basta più.
È da questi giovani che ci giunge un messaggio di responsabilità: costruire l’Europa che vogliamo significa anche educare insieme, secondo sistemi coerenti e ispirati su valori condivisi, la generazione che dovrà guidarla. Per seguirne l’esempio occorre spingerci verso un imprescindibile e non più procrastinabile cambiamento culturale.
Chi di noi nel presentarsi, magari ad un americano, di ce I’m European? Questo dovrebbe diventare il nostro motto. Quanti di noi sanno che il 9 maggio si celebra la Giornata dell’Europa?
ADESSO UN SECONDO MIRACOLO
Ed è per questo che, facendo leva sulle meravigliose intelligenze imprenditoriali qui riunite, credo di poter dire che avete avuto e avete la responsabilità di una partecipazione attiva nel campo dell’economia ma anche la responsabilità di una partecipazione attiva per quel che compete alla nostra responsabilità e al nostro ruolo sociale: spingiamo perché l’Europa agisca ora e sosteniamo il completamento del progetto comune, senza paura dei cambiamenti che dovremo affrontare.
Il mondo dei Cavalieri del Lavoro riflette l’eccellenza del mondo produttivo. Grazie a una spiccata capacità di visione, molti di noi sono stati e sono protagonisti di cambiamento non solo nel mondo economico ma anche sociale e culturale. Con tutto ciò abbiamo sostenuto l’Italia nei momenti più difficili, credendo nel valore delle persone, nella responsabilità sociale. Oggi, siamo chiamati a una sfida altrettanto storica: completare la costruzione dell’Europa. Un’Europa delle imprese e dei talenti. L’Europa, anche se ancora incompiuta, è già un miracolo della storia: 27 nazioni sovrane che scelgono ogni giorno di condividere valori, regole e responsabilità, per fare il bene comune, dando vita a uno straordinario spazio di opportunità e di futuro.
L’anno prossimo gli Usa compiranno 250 anni dalla dichiarazione di indipendenza, firmata inizialmente nel 1776 da 13 Stati. Occorre ora fare un secondo miracolo: fare in modo che nel 2026 inizi il primo anno degli Sta ti Uniti d’Europa!
W l’Europa.