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PARITÀ UOMO-DONNA traguardi e obiettivi | Civiltà del Lavoro 2/2025

06.07.2025

Secondo il World Economic Forum l’Ita lia si colloca all’87°posto su 146 Paesi per uguaglianza di genere con un pun teggio di 70,3. Molto è stato fatto, ma molto resta da fare. Ne parliamo con la presidente della Fondazione Marisa Bellisario, Lella Golfo.

Presidente, quali sono a suo giudizio i traguardi più si gnificativi raggiunti sinora in termini di parità di genere?
Al primo posto metto un traguardo culturale più che fattuale, che rappresenta il presupposto per tutti i traguardi futuri. Mi riferisco alla consapevolezza non più solo femminile ma diffusa e condivisa del valore sociale ed economico della parità.
Oggi sappiamo tutti che la parità è l’unica via a uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle nostre società ed economie. Questa consapevolezza ha ispirato l’azione del nostro Parlamento, che ha varato tante e importanti misure, tra le quali certamente spicca la legge sulle quote di genere nei Cda delle società quotate e partecipate, che mi onoro di aver elaborato, presentato e portato all’approvazione.
Diventata legge nel 2012, in dieci anni quella norma ha letteralmente stravolto il sistema economico italiano: se nel 2011 le donne nei Cda erano il 5,9%, oggi hanno superato il 43%, facendo dell’Italia l’avamposto d’Europa, al terzo posto dopo Francia e Germania, al quarto nel mondo. Una “rivoluzione gentile” i cui effetti positivi hanno impresso una forte accelerazione alla leadership femminile in ogni ambito. Partendo dall’esperienza concreta delle aziende “costrette” a includere le donne e che oggi possono contare su board più giovani e istruiti, su risultati migliori, in termini di ritorno sul capitale e margine netto di profitto, e su un valore azionario crescente corre lato alla parità. Un modello di successo che ha convinto il legislatore a reiterare la norma, alzando l’asticella al 40%, e che recentemente è stato recepito dall’Europa con la direttiva “Women on boards”, approvata dopo dieci anni di accese discussioni.
Al di là dei numeri, la legge sulle quote ha avuto l’innegabile merito di risvegliare non solo il dibattito sulle pari opportunità e di introdurre il tema delle quote – e quindi di un meccanismo che forzi un sistema inceppato che non riconosce i talenti femminili – in tutti i settori: dalla politica alle professioni, le quote si sono affermate come uno strumento fondamentale per accelerare un cambiamento necessario.
Altre e importanti iniziative legislative sono seguite, sia a livello nazionale sia comunitario. Penso alle ultime in ordine di tempo, dalla direttiva sulla trasparenza retributiva che entrerà in vigore nel 2026, alla norma che rende il femminicidio reato penale autonomo in quanto “atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna”.
Accanto alle leggi, negli anni si sono moltiplicate le azioni positive, gli incentivi, i bonus diretti alle donne e alle aziende – si pensi al successo della certificazione per la parità di genere, quasi 7mila aziende certificate a fronte di un obiettivo iniziale di 800 aziende entro il 2026 – con lo scopo di sanare un disequilibrio che nei fatti resta marcato. Insomma, c’è ancora molto da fare, ma la strada intrapresa è quella giusta.

Quali nuovi obiettivi ritiene raggiungibili nel prossimo futuro?
L’obiettivo prioritario è ridurre il gap – attualmente di 18 punti – tra occupazione maschile e femminile, che oltretutto avrebbe il risultato di un aumento di 12 punti di Pil. E per far questo bisogna intervenire su welfare, infrastrutture sociali, orari e tempi scolastici, gap salariale.
Oggi, una donna su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio, e una su due dopo il secondo. Il 49% di quelle che restano al lavoro è costretta a ripiegare in un impiego part time, gli uomini sono il 26%. Aggiungiamo il divario retributivo che arriva al 20% e arriviamo a pensioni femminili più basse del 37% come segnala l’Inps.
Lavoro e maternità non devono più essere alternative, ma serenamente conciliabili. L’inverno demografico si sta trasformando in “inferno” e se non saremo capaci di invertire il trend sarà l’intero sistema Paese a collassare. E poi confido che si facciano passi avanti anche sul fronte della leadership femminile.

L’azione della Fondazione Bellisario e sua personale è stata molto importante per tenere alta la bandiera della parità. Quali obbiettivi avete raggiunto e su quali state attualmente lavorando?
La legge sulle quote è certamente il traguardo di cui sono più fiera, ma in questi 37 anni la Fondazione Marisa Bellisario ha avuto il merito di accendere i riflettori sulle pari opportunità in ogni ambito. Siamo un network che raccoglie le migliori energie femminili del Paese, un laboratorio di idee e proposte che abbiamo sempre messo a disposizione delle istituzioni. Per esempio, ben 24 anni fa abbiamo lanciato il format “Donna Economia & Potere”, il nostro evento annuale che raccoglie oltre 400 tra imprenditrici, manager, esperte: immagini che cosa significasse accostare i termini Donne e Potere, allora. Lo stesso abbiamo fatto dedicando un premio alle neolaureate in ingegneria già 37 anni fa, quando di Stem nessuno parlava e cinque anni fa abbiamo istituito un contest dedicato alle startup femminili.
I nostri traguardi sono quelli raggiunti dalle donne italiane negli ultimi decenni perché abbiamo contribuito a ognuno di essi, con impegno e determinazione. E la più grande soddisfazione è stata celebrare i nostri “primi” 35 anni di vita alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

È bassa anche la partecipazione femminile alle facoltà tecnico-scientifiche, in un mondo sempre più digitalizzato: questa non rischia di diventare una nuova forma di discriminazione? E come ovviarvi?
La bassa percentuale di ragazze laureate in materie Stem, appena il 16,8%, e di professioniste che lavorano nel digitale rischia non solo di perpetrare, ma di allargare la forbice e l’esclusione delle donne dal mercato del lavoro e dalle professioni a più alto valore aggiunto. Basti pensare che chi si laurea in discipline Stem raggiunge un tasso di occupazione che arriva quasi al 90% e la transizione ecologica e digitale daranno un’ulteriore spinta in questa direzione. Senza contare che la scienza è una forma di potere e oggi è saldamente in mano maschile. Pensando al mondo dell’Intelligenza artificiale, per esempio, i suoi algoritmi orientano le decisioni di un numero infinito di soggetti e istituzioni e hanno il potere di diffondere e rafforzare stereotipi e pregiudizi.
Come ovviarvi? Una delle leve fondamentali è la diffusione di modelli positivi. Per questo, sin dal 1989 ogni anno premiamo le migliori neolaureate nelle materie scientifiche e allo stesso tempo diamo visibilità ai tanti esempi di donne arrivate ai vertici in questi settori. Penso ad alcune delle nostre ultime Mele d’Oro: la direttrice del Cern Fabiola Gianotti, la virologa Ilaria Capua, l’astronauta Samantha Cristoforetti, l’astrofisica Marica Branchesi, la Direttrice dell’Istituto Max Planck per la fisica gravitazionale Alessandra Buonanno, la giovane Teresa Fornaro, unica italiana reclutata dalla Nato per la missione su Marte.
L’altra leva decisiva sono gli stereotipi da abbattere. Per secoli, infatti, ci hanno ripetuto che le donne sono meno portate per le materie scientifiche. Un messaggio senza alcun fondamento, che però ha contribuito a tenere lontane le ragazze dagli istituti tecnici, dalle facoltà Stem e dalle professioni scientifiche. Abbattere questo pregiudizio è un obiettivo che deve coinvolgere tutti: scuola, famiglia, aziende, istituzioni. Un impegno che deve iniziare sin dall’infanzia, dall’asilo, dai giochi!

La piaga dei femminicidi non accenna a ridursi e indica una mentalità maschile che stenta ad accettare, culturalmente e psicologicamente, la piena parità con le donne. Come intervenire?
Le do un dato, terrificante: oltre 1.800 le donne vittime di femminicidio negli ultimi dieci anni, una ogni due giorni e non possono non tornarci alla mente le due povere universitarie recentemente uccise per mano di due giovani colleghi. E i femminicidi sono solo il terribile epilogo di maltrattamenti reiterati, di violenza finanziaria e psicologica, armi subdole e sottili di dominio e prevaricazione.
Il Parlamento ha ben legiferato in questi ultimi anni, ma è chiaro che repressione e punizione non sono sufficienti. Bisogna lavorare per prevenire la violenza di genere e questo significa incidere su tutte le cause, materiali e culturali, che la originano. Abbattere gli stereotipi, combattere le discriminazioni, trasformare in profondità i rapporti di potere tra i generi, scardinare un sistema che delegittima le donne a livello politico, economico, sociale. La cultura si cambia con il linguaggio, con l’educazione ma anche e soprattutto con i fatti, con la realtà quotidiana, con il vissuto. Quello di una società in cui il lavoro di una donna è importante, dignitoso, remunerato quanto quello di un uomo e in cui libertà e indipendenza economica non hanno genere.
Non è un processo semplice né immediato, ma va iniziato subito.

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