Quando abbiamo iniziato a riflettere sul tema di questo Convegno, circa un anno e mezzo fa, eravamo certamente convinti della sua rilevanza. Tuttavia, credo che nessuno avrebbe potuto prevedere l’evoluzione politica ed economica che avrebbe investito l’Europa e il mondo intero nei mesi successivi, in particolare negli ultimi sei, segnati da continui e drammatici cambiamenti.
L’Europa è una straordinaria idea nata dai nostri padri fondatori negli anni Cinquanta. È un’istituzione che ha generato risultati importanti: politiche comuni in ambito economico, agricolo, commerciale e tariffario, ma anche conquiste storiche come il mercato unico, l’euro, la libertà di circolazione, le frontiere aperte. Iniziative che hanno inciso profondamente sulla nostra vita quotidiana, migliorandola in modo significativo.
Questa è l’Europa che vorremmo avere sempre davanti a noi. Eppure, soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo assistito a una crescente percezione della sua assenza. In un contesto internazionale sempre più turbolento – con un’America oscillante tra isolazionismo ed espansionismo, una Russia aggressiva, una Cina in espansione nelle nostre economie con pratiche di dumping e strategie mirate all’accesso alle materie prime africane, con i Brics sempre più forti e un’India in rapidissima crescita – l’Europa fatica a farsi sentire. Brilla, purtroppo, per il suo silenzio.
Mancano interventi chiari e autorevoli sia sul piano economico sia su quello politico. L’Unione appare divisa, segnata da un crescente individualismo dei singoli Stati o da iniziative frammentate di piccoli gruppi di Paesi “volenterosi”, che difficilmente riescono a produrre un’azione unitaria e coerente.
Sappiamo che l’Europa resta un attore incompleto. Nonostante i grandi passi compiuti, permangono ambiti decisivi ancora irrisolti. Pensiamo al Mercato Unico dei Capitali, o all’Unione del risparmio, strumenti fondamentali per raccogliere risorse da destinare a progetti strategici che, troppo spesso, oggi trovano realizzazione fuori dall’Europa, negli Stati Uniti o in Asia.
Persistono profonde disarmonie fiscali, non abbiamo un’Unione energetica, mancano vere politiche industriali. L’Unione si distingue invece per un’iper-regolamentazione che, pur ispirata al principio dell’eguaglianza, finisce per ostacolare la competitività. Eppure, siamo chiamati ad affrontare una triplice sfida – tecnologica, digita le ed ecologica – come sottolineato da figure autorevoli come Mario Draghi ed Enrico Letta, oltre che da numerosi osservatori internazionali.
Su queste sfide, l’Europa sembra spesso muoversi in modo ideologico e dogmatico, come nel caso della transizione nel settore automotive. Decisioni affrettate e rigide hanno finito per mettere a rischio il vantaggio competitivo dell’industria europea, a tutto vantaggio della concorrenza cinese o, al massimo, americana.
Dobbiamo adottare politiche forti, capaci di restituire all’Europa una posizione paritaria nel confronto globale. Oggi siamo un vaso di coccio, sotto pressione da tutte le direzioni.
L’Europa è ancora un progetto incompiuto. Manca – pur essendo prevista dai trattati – una politica comune di difesa. L’ultima proposta in tal senso, presentata con lo slogan infelice “Riarmiamo l’Europa”, ha finito per svilire un tema cruciale. Allo stesso modo, non esiste una vera politica estera comune: prevalgono ancora oggi posizioni divergenti, se non apertamente contrapposte, tra gli Stati membri.
Il nodo principale resta la governance. L’Unione è ancora imprigionata nel meccanismo dell’unanimità e del diritto di veto, due macigni che rallentano, se non bloccano, il processo decisionale e impediscono l’affermazione di una leadership politica comune.
Le soluzioni non sono semplici. Una delle poche percorribili potrebbe essere quella di un’integrazione differenziata, di un’Unione a più velocità, o per cerchi concentrici, come già avvenuto per l’euro e per l’area Schengen. Serve uno sforzo collettivo. Tutti devono fare la propria parte. L’Europa che vogliamo è un’Europa efficiente, trasparente e democratica. Un’Europa, per riprendere le parole di Alcide De Gasperi, “visibile, solida e viva”