Per parlare di parità di genere nel mondo del lavoro bisogna partire dai numeri che fotografano questa realtà e la premessa è che purtroppo sono impietosi.
I numeri mondiali più interessanti sono quelli forniti dal “Global Gender Gap Report” che il World Economic Forum edita ogni anno dal 2006 fotografando la situazione in 146 Paesi nel mondo. Nel 2024 l’Italia, in questa importante classifica, si posiziona all’87° posto, raggiungendo una parità di genere del 70,3% e un importante peggioramento rispetto al 2022 quando era al 63° posto.
Gli indicatori che danno luogo all’indice globale sono quattro, ma i due che ci interessano oggi riguardano:
1. l ’opportunità femminile di partecipazione alla vita lavorativa con parità di stipendio e di carriera, dove l’Italia si colloca al 111° posto nel mondo;
2. la formazione e la possibilità di studio delle donne e qui l’Italia è al 56° posto, situandosi però al primo posto per quanto riguarda l’istruzione universitaria dove le donne avanzano di 23 punti sugli uomini.
Abbiamo, quindi, una popolazione femminile preparata per il mondo del lavoro che poi non accede allo stesso in ugual misura di quella maschile.
“BILANCIO DI GENERE”
La recente pubblicazione da parte del ministero dell’Economia e delle finanze del cosiddetto “Bilancio di Genere” consente di fare il punto sui progressi compiuti in Italia nella riduzione delle disparità di genere.
È quindi utile confrontare i dati per intervalli temporali significativi: tra il 2010 e il 2021 l’Italia è il Paese europeo che ha conseguito i maggiori progressi con un miglioramento dell’indice della disparità di genere di 14,9 punti, pur restando al di sotto della media europea (68,2 punti contro i 70,2 punti della media europea). In campo economico (cioè nel rapporto fra i due domini “lavoro” e “denaro”) il miglioramento è però limitato in termini assoluti e nullo rispetto a quello degli altri paesi europei.
Il dominio “lavoro” include vari indicatori: tasso d’occupazione femminile e relativo divario con quello maschile, durata della carriera lavorativa femminile, tasso d’occupazione in attività di istruzione, sanità e assistenza sociale e prospettiva di carriera delle donne.
Nel settore del lavoro nel 2010 L’Italia era al penultimo posto nell’Unione, mentre nel 2022 è caduta all’ultimo posto. Dietro questo deludente risultato, tra i principali fattori, troviamo il basso tasso d’occupazione femminile: infatti tra il 2010 e il 2022 il tasso di occupazione è aumentato dal 46% al 51%, restando ben lontano dalla media europea (65%); e anche nel 2024 l’occupazione femminile in Italia è arrivata soltanto al 53%.
Deve essere chiaro a tutti quello che nel 2021 al G20 femminile ha spiegato bene Mario Draghi, allora presidente del Consiglio: “La parità di genere nel mondo del lavoro non serve alle donne ma all’economia e serve a costruire un mondo più equo”. Se raggiugessimo i tassi di occupazione femminile europea avremmo oltre due milioni di occupate in più in Italia, con un conseguente aumento del Pil nazionale di alcuni punti percentuali: questo soprattutto se si lavorasse anche sul divario retributivo, dove gli uomini percepiscono ancora uno stipendio medio superiore del 28% a quello femminile, anche a causa dell’ampio uso del part time che si fa nell’occupazione femminile.
Tutti questi dati impattano pesantemente sulla demografia del Paese perché la disparità si accompagna al più basso tasso di natalità che per noi è fermo a 1,2 mentre nei Paesi del nord Europa, con alti tassi di occupazione, sale all’1,7.
PERCHÉ SERVONO LE NORME
Gli unici campi nei quali l’Italia primeggia sono quelli nei quali sono state date delle regole che hanno contribuito al superamento delle disparità, e precisamente: siamo sopra la media europea per donne nei Cda di aziende quotate, dove abbiamo una presenza femminile che si assesta al 42% contro una media europea del 39%: merito della legge Golfo-Mosca sulle quote rosa prima della quale, nel 2010, eravamo all’8% di presenze femminili nei Cda delle stesse società, contro un 18% delle società europee.
Anche in Parlamento abbiamo fatto significativi passi avanti: eravamo al 20% di presenze femminili e oggi siamo al 33% nel Parlamento Italiano e al 40% nel Parlamento europeo, ma anche qui grazie a leggi elettorali sulla rappresentanza di genere che hanno positivamente influito.
Bisogna, quindi, darsi delle regole che aiutino in modo “forzato” l’ingresso e la permanenza delle donne nei luoghi di lavoro. I cardini di questo progetto devono essere: tradurre il concetto di maternità in genitorialità rendendo, in qualche modo, obbligatori anche il congedo parentale maschile e tutti gli istituti collegati.
Investire in modo importante su asili nido e Rsa per permettere a chi fa figli di avere strutture di supporto alle proprie esigenze di genitori, così come deve avvenire per le necessità dei figli con genitori non autosufficienti.
IL MIO PERCORSO
Tutte queste idee sono supportate dalla mia storia: genovese, classe 1964, una laurea in economia e commercio sono oggi amministratrice delegata della Grendi Holding Società Benefit, capogruppo del Gruppo Grendi, azienda nata a Genova quasi 200 anni fa nel settore degli spedizionieri e oggi attiva nei trasporti terrestri e marittimi e nella logistica per conto terzi.
Sono entrata nell’azienda di famiglia quasi trent’anni fa insieme ai fratelli, in anni in cui l’azienda usciva da una di visione familiare che aveva visto la creazione di due realtà differenti e più piccole. Il risanamento e il successivo sviluppo aziendale sono stati possibili solo grazie ad un intenso lavoro di co-leadership maschile e femminile con mio fratello Antonio, che ci ha permesso di mettere a frutto le nostre differenti preparazioni (lui è ingegnere), ma anche le skill e le capacità umane complementari. Un rinnovamento che ha portato il Gruppo a raggiungere nel 2024 un fatturato consolidato di circa 120 milioni di euro, oltre 240 dipendenti e un indotto di 500 persone. Nel 2021 abbiamo deciso di trasformare il Gruppo in Società Benefit, inserendo nello statuto della società obiettivi trasparenti e misurabili rispetto alla sostenibilità ambientale, ai collaboratori e all’interdipendenza con i territori nei quali il Gruppo lavora. Il Gruppo è impegnato nel percorso di certificazione BCorp con l’obiettivo di diventare una delle 300 realtà italiane che hanno ottenuto questo importante riconoscimento e la prima nel settore della logistica intermodale.
La presenza femminile nel nostro Gruppo è ancora molto limitata perché i terminal marittimi, le navi e i magazzini sono tradizionalmente settori in cui necessitava la forza fisica e quindi maschili. Ma nonostante la presenza di solo il 13% di donne, abbiamo ottenuto un 40% di posizioni apicali ricoperte da personale femminile, utilizzando semplicemente il criterio del merito, del senso di responsabilità e di appartenenza.
È esattamente il contrario di quello che succede nel mercato del lavoro italiano, dove la base è composta da un 40% di donne ma ai ruoli apicali arriva meno del 20% delle stesse.
L’IMPORTANZA DI PREMIARE LE DONNE
Racconto sempre che, quando ci hanno offerto la possibilità di essere candidati come Cavalieri del Lavoro, mio fratello Antonio, con un gesto più unico che raro, ha lasciato a me la possibilità di provarci. Nelle famiglie imprenditoriali italiane non accade mai che siano gli uomini a fare un passo di lato ma tradizionalmente lo fanno le donne, lasciando ai fratelli di ottenere l’importante riconoscimento del lavoro comune.
Conosco molte sorelle di colleghi Cavalieri, donne che con il loro lavoro hanno partecipato alla crescita e allo sviluppo delle aziende, ma alle quali non è capitato di raccoglierne personalmente il risultato.
Per questo da anni mi sforzo di proporre imprenditrici come possibili candidate alla Federazione dei Cavalieri del Lavoro, perché so che va fatta un’azione di ricerca e di sponsorizzazione per permettere alle donne di crescere in una realtà dove, ricordo che, fino ad oggi, le donne rappresentano solo il 4% delle nominate e il 15% dei Cavalieri attivi. Tra i miei ruoli non aziendali ricopro, da ottobre del 2022, la carica di presidente di Wista Italy (Women’s International and Trade Association), che riunisce imprenditrici e li bere professioniste del settore marittimo: un’associazione che vuole valorizzare il talento femminile e incoraggiare e sostenere una significativa presenza delle donne negli organi decisionali del settore marittimo privato e pubblico.
Anche qui cerco di costruire role model per spingere le giovani donne a scegliere il settore marittimo e per incoraggiarle a crescerci. La strada è ancora lunga, ma la direzione non è più in discussione: il problema non è se ma quando arriveremo ad una parità che renderà più equo e sostenibile il nostro sistema economico.