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VALUTARE LA QUALITÀ per eliminare le disuguaglianze | Civiltà del Lavoro 1/2025

19.05.2025

La sanità italiana si trova di fronte a sfide che ne determineranno il futuro. Se da un lato il settore privato gioca un ruolo essenziale nel supportare il Servizio sanitario nazionale (Ssn), dall’altro è necessario migliorare la governance per evitare squilibri e garantire un accesso uniforme ai servizi su tutto il territorio.
L’invecchiamento della popolazione, la carenza di personale sanitario e la gestione delle risorse economiche sono problemi sempre più pressanti, che richiedono riforme strutturali. In questo contesto, il rapporto tra pubblico e privato deve essere ottimizzato per rispondere efficacemente alla crescente domanda di assistenza sanitaria. Ad approfondire il tema è Massimo Bordignon, economista e docente presso l’Università Cattolica di Milano.

Professor Bordignon, qual è il livello di integrazione tra pubblico e privato nella sanità italiana?
Quando si parla di privato nella sanità, bisogna distinguere tra il ruolo di finanziatore e quello di produttore di servizi. In Italia, il privato è presente in entrambi i ruoli: da un lato, attraverso le assicurazioni sanitarie e la spesa diretta dei cittadini, e dall’altro come struttura sanitaria convenzionata o indipendente.
Nel 2022, su una spesa complessiva totale (includendo l’acquisto di farmaci) pari a 171 miliardi, il 71% è stata coperta dal settore pubblico, mentre il 25% è stato a carico dei cittadini e il 4% finanziato dalle assicurazioni private. Per quanto riguarda la produzione di servizi sanitari, il privato copre circa il 40% del totale, con una spesa di 57 miliardi su un totale di 148. È chiaro che il privato è una parte integrante dell’offerta sanitaria italiana. Tuttavia, per sfruttarne appieno i benefici, occorre migliorare il coordinamento con il pubblico, evitando duplicazioni e sovrapposizioni di servizi.

Cosa si dovrebbe fare per migliorare il sistema?
Occorrono regolamenti più chiari per il settore privato convenzionato. L’adesione obbligatoria al Centro unico di prenotazione (Cup) e il rispetto dei tempi di attesa prescritti per le visite specialistiche e gli esami diagnostici rappresentano misure fondamentali per affrontare il problema delle liste d’attesa. Inoltre, è essenziale rendere obbligatorio l’utilizzo del fascicolo sanitario elettronico in tutte le regioni. In più, ci sono evidenze di comportamenti opportunistici – l’attitudine dei privati a concentrarsi su patologie dove si fanno i profitti scaricando i casi più problematici sul pubblico – che andrebbero meglio contrastate.
Per contrastare questa tendenza, si potrebbe introdurre l’obbligo per tutti gli ospedali privati convenzionati di offrire anche il servizio di pronto soccorso, garantendo una distribuzione più equa dell’onere assistenziale.
La medicina territoriale merita, poi, una particolare attenzione. I medici di base non svolgono più il loro ruolo fondamentale di gate-keeper per l’accesso ai servizi del Ssn e questo, unito alla scarsa attrattività della professione, ha aggravato il sovraccarico di ospedali e pronto soccorso. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede la creazione di case e comunità di cura, con equipe di medici e infermieri in grado di fornire assistenza di base senza ricorrere all’ospedale. Tuttavia, la resistenza degli operatori ha finora ostacolato la piena attuazione di questa riforma. Qualche riflessione qui si impone, considerando anche la possibilità di trasformare i medici di base in dipendenti del Ssn, come del resto accade in numerosi altri paesi.

Come rendere più equo l’accesso ai servizi sanitari e ridurre le disuguaglianze territoriali?
Nonostante la spesa sanitaria pro-capite sia relativamente uniforme tra le regioni italiane, la qualità dei servizi offerti varia significativamente. Il sud soffre di una persistente carenza di strutture e personale, con conseguenti migrazioni sanitarie verso il nord. Questo fenomeno, oltre a penalizzare i pazienti meridionali, riduce ulteriormente le risorse disponibili nelle loro regioni. Il problema della divergenza dei servizi è ulteriormente aggravato dal fatto che il minor reddito privato al Sud non consente a molti cittadini di compensare le inefficienze del pubblico con la spesa privata, a differenza di quello che succede al Nord.
La disparità non dipende solo dalla gestione regionale, ma anche dall’approccio statale, che ha sempre garantito una distribuzione omogenea delle risorse senza preoccuparsi di uniformare la qualità delle prestazioni. Questo problema si riscontra anche nel sistema scolastico.

Qual è il futuro della sanità italiana?
L’aumento dell’aspettativa di vita e la crescita della popolazione anziana porteranno a una maggiore richiesta di cure sanitarie, mentre le risorse economiche disponibili rimarranno limitate. Inoltre, la riduzione della popolazione attiva potrebbe frenare la crescita economica, rendendo più difficile sostenere finanziariamente il sistema sanitario. C’è il rischio che la Ssn non sia in grado di rispondere alle richieste e che si accentuino le di vergenze nell’accesso ai servizi tra ricchi e poveri. Ma non è scritto nel destino. Un maggior efficientamento nei servizi e una migliore governance della sanità privata potrebbero controbilanciare questi effetti. Dipende dalla capacità di governare il sistema.

 

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