“Questo è un workshop intitolato Nuove istituzioni per governare la competitività in Europa in preparazione del Convegno Nazionale del 7 giugno prossimo a Venezia intitolato ‘L’Europa che vogliamo’. È un titolo particolarmente importante in questo momento perché i cambiamenti geopolitici che indicano un mutamento di rapporti fra gli Stati Uniti e l’Europa, inducono a dire che l’Europa che noi vorremmo potrebbe essere assai diversa da quella che pensavamo prima”.
Con queste parole il presidente della Federazione dei Cavalieri del Lavoro Maurizio Sella ha aperto il workshop che si è tenuto il 7 marzo, al quale hanno partecipato oltre 50 Cavalieri del Lavoro ed esperti.
“È un discorso che riguarda la competitività – ha spiegato il presidente – ma che può anche essere esteso al riarmo, al fatto che potrebbe portare un grande cambiamento l’atteggiamento di Trump e degli Stati Uniti perché potrebbe spingere l’Europa a rafforzare la propria unione ed efficienza operativa, con un voto a maggioranza, almeno su un numero di argomenti molto maggiori rispetto a prima. Un cambiamento veramente incredibile. E anche se noi siamo una federazione di persone che hanno avuto la stessa onorificenza e non abbiamo mai fatto scelte di ordine politico, potremmo eventualmente uscire da Venezia con qualche suggerimento o considerazione ad alta voce, da parte nostra, agli europei e soprattutto ai politici europei”.
Sul rischio di un eccesso di burocrazia in Europa, il presidente Sella ha aggiunto: “La burocrazia è certamente una parte, ma spesso le norme nascono da una sollecitazione politica. Allora, quando c’è un orientamento politico, bisogna guardare l’ideologia. Nella scelta del 2035 per la fine delle auto a motore termico – ha spiegato –, c’è l’ideologia del global warming e del fatto che tutti i dati dimostrano che il 2024 è stato l’anno più caldo rispetto a tutti i precedenti e vi dico già che il 2025 sarà ancora più caldo e così via. Non riusciremo a rispettare il vincolo di un grado e mezzo nel 2050, siamo già fuori adesso”. Proseguendo l’analisi il presidente Sella ha aggiunto: “abbiamo quindi aspetti di intervento che sono particolarmente difficili perché hanno a che fare con l’ideologia politica che, attenzione, molto spesso rappresenta esattamente il pensiero della maggioranza degli elettori”. “Poi i politici possono sbagliarsi certamente, possono sbagliare le tecniche – ha concluso Sella – ma bisogna andare ad analizzare la ratio profonda delle scelte”.
A seguire ha preso la parola il presidente del Gruppo del Triveneto Enrico Zobele, organizzatore del Convegno di Venezia, il quale ha ricordato: “Abbiamo cambiato il titolo in corsa perché inizialmente si pensava di affrontare il tema dell’autunno demografico. Poi siamo andati sul discorso ‘Europa’ che, oggi più che mai, è all’ordine del giorno”. Zobele ha spiegato che il titolo del convegno inizialmente scelto dal Gruppo Triveneto era “L’Europa che non c’è”. “È proprio la fotografia esatta di quanto sta accadendo – ha spiegato il Cavalieri del Lavoro –. Stiamo vedendo come l’Europa venga ignorata da Trump, da Putin, da tutti.
E come si cerchi al suo interno di trovare soluzioni più o meno veloci, più o meno affrett te, più o meno giuste, con una grossa difficoltà nell’unire tutte le forze”.
“L’Europa dei 27 sta diventando veramente una grossa palla al piede di inefficienza – ha stigmatizzato il presidente – grazie a quella sciagurata regola dell’unanimità nelle decisioni. Certo, va assolutamente cambiata, ma una delle domande che mi pongo e che pongo in apertura alla discussione odierna è se tutte le decisioni richiedano l’unanimità. Una decisione per togliere l’unanimità la richiede a sua volta, vedo quindi molto difficile che ci si possa arrivare”. “Provocatoriamente direi che sarebbe più facile costituire un nuovo organismo, una nuova Europa dei nove, o quanto sia, che prenda le sue decisioni sulle cose principali. Vedremo se riusciremo a formulare qualche proposta utile che possa essere divulgata e possa raccogliere il consenso”.
NICOLETTA PIROZZI: “Avanti con collaborazioni ristrette”
“Ci troviamo in una situazione internazionale davvero inedita. L’Europa probabilmente non è mai stata così sola nel corso della sua storia perché al contesto multipolare che già conoscevamo, si è aggiunto un ulteriore e drammatico elemento di instabilità e cioè il nuovo corso dell’amministrazione americana, che di fatto sta rimettendo in discussione i pilastri della Alleanza Atlantica e, in generale, delle relazioni internazionali. Se abbiamo una certezza, da parte europea, è che dovremo occuparci della sicurezza e della difesa dei nostri cittadini e del nostro territorio”. A tenere l’intervento introduttivo è stata Nicoletta Pirozzi, responsabile del Programma Ue, politica e istituzioni e responsabile delle Relazioni istituzionali dell’Istituto Affari Internazionali.
“Le nuove istituzioni Ue uscite dalle elezioni europee di giugno – ha spiegato – sono impegnate nella realizzazione di questa agenda, sia sulla difesa sia sulla competitività, e allo stesso tempo devono affrontare il nuovo mondo, il nuovo sistema di relazioni transatlantiche e internazionali. La priorità numero uno è avere una Ue in grado di proteggersi e di offrire risposte al conflitto in Ucraina ancora in corso. Questo perché ne va della nostra stessa integrità territoriale, della resilienza delle nostre democrazie e anche della sopravvivenza del progetto europeo stesso. Da qui l’urgenza di discutere l’aumento delle spese sulla difesa”.
Ma non è l’unico aspetto critico che è stato sottolineato dalla specialista. “Dobbiamo poi fronteggiare anche l’annunciata guerra commerciale – ha aggiunto –. Anche per questo dobbiamo prepararci con una serie di misure che riguardano il completamento del mercato interno e il rilancio della politica industriale. Nei prossimi mesi cominceranno inoltre i negoziati per il prossimo Quadro finanziario pluriennale 2028-2034, che avrà grosse implicazioni sul bilancio europeo. Allo stesso tempo l’Ue dovrà chiarire la sua posizione anche nei confronti della Cina e capire se può permettersi di giocare un ruolo autonomo nel confronto diretto che ci sarà tra Washington e Pechino”. Nel disegnare un quadro complessivo della situazione Pirozzi ha affermato che “il nuovo assetto istituzionale uscito dalle elezioni europee presenta indubbiamente elementi di fragilità. Abbiamo avuto un consenso crescente alle forze radicali euroscettiche e questo influenza direttamente l’agenda del Parlamento europeo e della nuova Commissione che, sotto la guida di Ursula von der Leyen, tende a una serie di spinte in avanti non sempre seguite dai 27 Stati membri. Questo crea uno squilibrio tra quello che chiamiamo esecutivo europeo, anche se non perfetto, e il ruolo degli Stati membri, che però è ancora fondamentale su certe questioni, soprattutto quelle che hanno a che fare con la politica estera, la difesa, la finanza, l’economia”. L’esperta dell’Istituto Affari Internazionali ha poi aggiunto alcune considerazioni sulla frammentazione tematica presente all’interno delle stesse istituzioni europee. “Se prendiamo i grandi progetti di questa nuova legislatura, dal Clean Industrial Deal per aiutare le aziende a realizzare la transizione climatica in modo economicamente sostenibile al Libro bianco sulla Difesa, vediamo che in realtà questi temi sono divisi tra le competenze di diversi commissari, che hanno mandati poco chiari e che molto spesso si sovrappongono. Per esempio, sul Clean Industrial Deal abbiamo Teresa Ribera che si occupa della transizione ecologica, Stéphane Séjourné, che si occupa di prosperità e strategia industriale, e poi il Commissario olandese Hoekstra, che si occupa di clima. Lo stesso sulla difesa. Abbiamo la nuova Alta rappresentante Kaja Kallas, ma anche il Commissario per la Difesa Kubilius”. “C’è insomma il sospetto – ha sottolineato Pirozzi – che ci sia stata l’intenzione da parte della presidente von der Leyen di spacchettare per rendere il tutto meno chiaro e accentrare su di sé gran parte delle decisioni. Questo potrebbe anche funzionare, ma allo stesso tempo non assicura che la ‘macchina’ la segua. E per ‘macchina’ intendo il resto delle istituzioni e gli Stati membri che sono i primi attori in questo settore”.
Proseguendo l’analisi Nicoletta Pirozzi ha parlato anche di fughe in avanti e atteggiamenti solitari. “La Germania, per esempio, sicuramente ha una capacità fiscale e finanziaria molto maggiore rispetto agli altri Stati membri e sta già mettendo sul campo grossi investimenti dal punto di vista della difesa”, ha affermato, ricordando al contempo i tentativi da parte di altri Stati membri di “compiacere il nuovo presidente americano per ottenere un trattamento di favore, soprattutto dal punto di vista economico”. “Questo implica che ci sono una serie di spinte alla frammentazione che le nuove istituzioni dovranno essere in grado di gestire – ha evidenziato –. Questo significa, innanzitutto, trovare un nuovo equilibrio tra la Commissione e le istituzioni intergovernative, dal Consiglio Europeo al Consiglio dell’Ue e così via. Per governare l’incertezza, l’Ue deve attuare delle riforme necessarie”.
Quella dei meccanismi decisionali, per esempio, è sicuramente una di quelle prioritarie. “Dovremmo fare in modo che, su certe questioni, sia possibile andare avanti anche con gruppi ristretti di Stati membri come si sta delineando, in particolare nel settore della difesa – ha argomentato Pirozzi –. È importante che si formi questo ‘nucleo duro’ che porti avanti alcune iniziative europee. Bisogna anche stare attenti a non perdere gli altri, a non creare un’Europa di serie A e un’Europa di serie B perché questo provocherebbe une serie di spinte centrifughe. Ma se si lascerà la porta aperta a quegli Stati membri che a un certo punto avranno le capacità di impegnarsi di più, allora queste forme di cooperazioni rafforzate, geometria variabile, integrazione differenziata – chiamiamola come vogliamo – potrebbero risultare la soluzione che abbiamo in questo momento per l’Europa”.
Infine, l’esperta dell’Istituto Affari Internazionali ha concluso con alcune riflessioni sul tema dell’allargamento. “Dobbiamo pensare anche a come riformare le istituzioni stesse, soprattutto se ci poniamo nell’ottica del futuro allargamento dell’Ue perché ci siamo impegnati ad accogliere non soltanto i 6 paesi dei Balcani occidentali, ma anche 3 paesi sul fianco Est: Ucraina, Georgia e Moldova. Questo porterà l’UE a 30-35, forse addirittura 36 Stati membri”. A questo scopo “dobbiamo dare piena attuazione ai trattati: la Commissione deve avere meno membri, diventare un collegio più ristretto e, finalmente, pienamente sopra nazionale. Ci vuole un rafforzamento dei poteri del Parlamento perché più siamo, più il controllo democratico sulle decisioni risulta fondamentale e poi, secondo me, dovremmo sperimentare sempre più queste forme modulari di cooperazione, come abbiamo fatto con l’euro, e con l’area Schengen”. Un’ultima sottolineatura è arrivata sulla bontà del modello di democrazia che vige in Europa: “Ci si lamenta spesso che l’Ue sia eccessivamente burocratica, che i tempi siano eccessivamente lunghi. Ma siamo legati da regole democratiche e dobbiamo comporre gli interessi di 27 Stati membri, quindi sicuramente non avremo la rapidità e l’efficacia di altri attori internazionali. Si fa riferimento alla Cina, che da un giorno all’altro mobilita risorse ingentissime. Tutto questo ha un prezzo. Il livello di godimento dei diritti che abbiamo all’interno dell’Ue è dovuto anche a questa capacità regolamentare della Commissione, è dovuto anche a questo complesso di norme e istituzioni che, concordo, non sempre sono efficienti ma assicurano livelli di benessere, di godimenti di diritti che non hanno eguali al mondo”.
ALI REZA ARABNIA: “Il difficile dialogo sul futuro dell’auto”
“L’automotive è un esempio di difficoltà di rapporto con la Ue”. Da queste parole ha preso il via l’intervento di Ali Reza Arabnia, Chairman e Ad di Gecofin. “Ho l’onore e l’onere di rappresentare e coordinare i Cavalieri del Lavoro che operano nel settore dell’automotive. Abbiamo fatto partire quest’iniziativa nel 2020, assistendo a un cambiamento di paradigma dell’automotive già di per sé dovuto ad aspetti demografici, cambiamenti delle richieste di mercato e tanti altri, che con il Covid sono stati accentuati – ha raccontato –. Invece di avere un approccio pragmatico, aiutando le aziende ad affrontare questo cambio di paradigma, da Bruxelles arrivavano continuamente nuove regole che complicavano ulteriormente la situazione dell’industria. Allora ci siamo messi insieme e abbiamo cominciato a vederci una volta al mese. In questi incontri – ha spiegato – parliamo delle nostre aziende, invitiamo esperti globali a parlare e ci informiamo e formiamo perché nessuno è in grado di sapere tutto. E poi cerchiamo di fare arrivare a Bruxelles la nostra voce. Posso assicurarvi che, dopo 37 incontri in quattro anni, non c’è un Cavaliere del Lavoro che non sia a favore della decarbonizzazione, che non sia per l’ambiente. Ci sono quelli pro elettrico, ci sono molti che sono contro l’elettrico. Ma questo è un altro discorso, perché siamo sorpresi che un gruppo di politici abbia deciso, a suo tempo, di arrivare a emissioni zero di scarico per il 2035, una soluzione che teoricamente non chiede esplicitamente l’auto elettrica, ma se si vuole raggiungere quell’obiettivo c’è solo l’auto elettrica. Questo diventa un problema veramente sostanziale”.
“Se non sei competente – ha spiegato il Cavaliere del La voro –, non puoi decidere qual è la soluzione tecnico scientifica per arrivare al risultato; puoi fissare un obiettivo, ma devi lasciare che siano l’industria, gli scienziati, gli enti esperti, a trovare una soluzione”.
“Questa cosa ha creato molti problemi e molte discussioni perché a Bruxelles non ci ascoltavano neanche, sembrava che fossimo dei lobbisti a favore del motore endotermico e basta. Ma noi parlavamo delle nostre responsabilità sociali verso l’economia, verso l’Europa perché questa barzelletta potrebbe portarci a una perdita di lavoro netto di quasi un milione di posti di lavoro in Europa. Solo in Italia saremo a 100mila posti di lavoro persi”.
L’Ad di Gecofin ha poi parlato delle proposte avanzate: “Per esempio, abbiamo chiesto di varare un programma di rottamazione. Abbiamo più di 45 milioni di macchine di parco auto in Italia che sono al di sotto dell’Euro 5. Se promuovessimo un programma di rottamazione e incentivazione per l’acquisto di auto Euro 6 ed elettriche, potremmo avere una decina di milioni di macchine che cambiano verso l’Euro 6, che nei prossimi 3-4 anni potrebbero creare tantissimo lavoro. E intanto si lavora sull’auto elettrica. L’impatto ambientale di questo cambiamento sarebbe superiore al cambiamento che ci può essere attraverso le auto elettriche, che costano e sono una punta di diamante; sono pochissimi quelli che le comprano, non più del 4-5%”.
Il Cavaliere del Lavoro ha poi ricordato un’altra questione importante: “Bisogna poi trovare delle soluzioni sulle batterie alternative che non siano quelle che vengono dalla Cina o filocinesi, che sono condizionate dalle terre rare. Ma in sede Ue abbiamo sempre trovato un blocco filosofico, idealistico, mentre noi parliamo di cose estremamente pratiche. Sinora – ha aggiunto – abbiamo avuto solo lo spostamento della penale di tre anni o il fatto che si potrebbe forse prendere in considerazione il biocarburante. La penale vorrebbe dire 15 miliardi per le case automobilistiche europee che andranno in tasca a case automobilistiche cinesi e americane. Quei 15 miliardi di cui avremmo bisogno per investire e innovare andrebbero nelle tasche di altri: è un’assurdità. Non siamo anti-europei – ha concluso – chiediamo solo che non sia un burocrate a decidere qual è la soluzione tecnologica”.
MARCO NOCIVELLI: “Il cambiamento ha bisogno di investimenti”
Plauso al lavoro portato avanti dal Cavaliere del Lavoro Arabnia e fiducia nel fatto che la costanza da parte delle imprese nel portare avanti una trasparente azione di lobby possa produrre dei risultati. Da queste premesse ha preso il via l’intervento di Marco Nocivelli, presidente e Ad di Epta. È chiaro “che le cose ormai si fanno in Europa e credo che tutti l’abbiamo capito e forse, o sicuramente, l’abbiamo capito un po’ tardi. Normalmente eravamo sempre molto attenti alle legislazioni che toccano i singoli prodotti che ognuno di noi fa o alle singole attività che ognuno di noi fa – ha spiegato Nocivelli –. Ci siamo un po’ distratti sulle legislazioni trasversali, cioè sui concetti che non sono legati al singolo prodotto ma che sono trasversali”.
Il Cavaliere del Lavoro ha ricordato infatti che i legislatori, nel loro lavoro, fanno spesso ricorso a “organismi di normazione in cui si discute cosa voglia dire l’applicazione effettiva di quella legge”. Tra gli esempi citati da Nocivelli vi sono l’UNI, a livello nazionale, oppure il Comitato europeo di normazione elettrotecnica (Cenelec). Il loro scopo? “Servono ad avere mutui riconoscimenti fra le parti, in maniera che non ho bisogno di dimostrare a tutti tutto e non subisco centinaia di ispezioni da centinaia di persone. Questo meccanismo, che ha funzionato molto bene nella parte prodotti, non sta per niente funzionando nell’altra parte, in quella della sostenibilità – ha sottolineato il Cavaliere del Lavoro –. Ci sono certificazioni adesso che permettono di dire se le aziende sono brave nella parte della sostenibilità e tra l’altro in Italia siamo leader su questo perché, per esempio, la certificazione 14001, che è quella ambientale, in Italia ce l’hanno 14.000 imprese che sono, naturalmente, imprese medio piccole o grandi a seconda che si guardi l’Italia piuttosto che il mondo; però sono tantissime”. “Il legislatore europeo, invece, è entrato senza questa intermediazione perché voleva imporre qualche cosa. Quello, secondo me, è stato il più grande sbaglio – ha affermato Nocivelli –. Non riuscendo a spingere abbastanza o a trovare un’interlocuzione da parte delle aziende, ha deciso di imporre una visione che, tra l’altro, lo mette in una condizione di grande debolezza rispetto al cambiamento che succede intorno perché propone soluzioni non applicabili”.
Il presidente di Epta si è soffermato poi ad analizzare i meccanismi con i quali vengono scritte le leggi. “Gli estensori fisici di queste leggi non sono persone non intelligenti o non preparate nel loro campo – ha spiegato – ma nessuno di noi può essere tuttologo. Se una persona deve stendere duemila leggi o se poi queste passano sempre dalle stesse mani, è possibile che queste persone non conoscano bene l’argomento di cui parlano. Manca l’organismo di equilibrio fra le parti, fra la parte politica e la parte pratica, che poi sono le imprese, perché la politica è l’espressione della volontà democratica”. E ha aggiunto: “Le analisi vengono commissionate alle Ong, come se fossero super partes. In verità non lo sono, rappresentano una parte e invece ci vorrebbe qualcuno che sentisse le due campane e che fosse un po’ più indipendente. Non so trovare la soluzione – ha affermato Nocivelli – però credo che degli organi di intermediazione siano assolutamente necessari”.
Il Cavaliere del Lavoro ha poi spiegato che anche l’eccessiva velocità può portare a decisione sbagliate e cita come esempio il forte decisionismo in materia di politica commerciale adottato dalla nuova Amministrazione Trump negli Stati Uniti. Un decisionismo accompagnato anche da diversi passi indietro che stanno producendo grande confusione – “applica i dazi, si sveglia il giorno dopo e li toglie per un mese e poi il giorno dopo ancora nessuno sa come si sveglierà. Questo ovviamente è un pericolo” –. Nonostante tutto il presidente di Epta continua ad avere fiducia nelle istituzioni europee. Con una precisazione: “il punto principale è – ce lo ha ricordato anche il presidente Draghi – che bisogna mettere mano al portafoglio. Non si può fare il cambiamento pensando di non mettere mano al portafoglio perché altrimenti quello che succede è che altre regioni attirano gli imprenditori negli investimenti altrove. Solo per dare un’idea – ha spiegato Nocivelli –, gli investimenti diretti esteri in Europa sono passati da 365 miliardi nel 2018 a 103 miliardi del periodo 2021-2022. Negli Stati Uniti sono rimasti a 365 miliardi, anzi si sono incrementati. Questo vuol dire che i soldi degli imprenditori invece che andare verso l’Europa, sono andati verso gli Stati Uniti. E anche la Cina, nonostante tutto, ha avuto una crescita”. “Penso che la cosa importante delle decisioni europee sia la capacità di capire che quando sbagli devi poter tornare indietro – ha concluso –. È chiaro che se un processo legislativo è lungo cinque anni, la capacità di tornare in dietro diventa difficile”.
AQUILINO CARLO VILLANO: “L’orgoglio di lavorare in un territorio difficile”
“Vi racconto la storia, il coraggio, la sofferenza, le soluzioni di un imprenditore italiano, cittadino europeo”. Con queste parole ha esordito Aquilino Carlo Villano, amministratore unico di Officine Meccaniche Irpine. “Ventitré novembre 1980, il terremoto dell’Irpinia: 3.000 morti, un territorio distrutto. Una tragedia. Sento il desiderio di dare il mio contributo di rinascita al mio territorio. Do le dimissioni dalla Fiat e creo un’impresa imprenditoriale. Inizio con sette dipendenti, oggi sono più di 300, quattro stabilimenti. Lavoro nel settore aerospaziale con Leonardo, Boeing, Airbus e altri prestigiosi clienti, come Nuovo Pignone, Avio, il Cern, Centro di Ricerca Nucleare di Ginevra, selezionati tra i fornitori europei per fare del le lavorazioni molto complesse. Siamo un’azienda ben organizzata, una forte ingegneria e siamo in grado di dare un prodotto chiavi in mano a tutti i clienti”.
Il racconto dell’imprenditore si sofferma anche sugli aspetti più problematici dell’attività, come per esempio il fatto di lavorare in un’area geograficamente lontana, soggetta all’abbandono da parte delle generazioni più giovani. “Ringrazio innanzitutto Leonardo che mi ha dato la possibilità di portare sviluppo in un territorio difficile – ha affermato –, che mi ha consentito di contenere lo spopolamento delle nostre comunità ma, soprattutto il mantenimento di intelligenze importanti che non sono state costrette ad andare fuori per avere una sistemazione adeguata. Ringrazio soprattutto i miei collaboratori che hanno reso la mia realtà, competitiva, credibile e affidabile nel mondo”. Nel corso del suo intervento il Cavaliere del Lavoro Villano ha ricordato anche l’impegno dell’azienda per l’innovazione. “Facciamo anche molta ricerca, abbiamo dei prodotti proprietari – ha spiegato –. Ultimamente abbiamo sottoscritto un partenariato pubblico-privato con il 118 per la sperimentazione di un pronto soccorso sanitario rivoluzionario, che potrà dare speranza a tante persone ad avere salva la vita o alleviare le sofferenze di chi incorre in qualche incidente nelle zone più impervie. Come sapete in Italia ci sono più di 600mila infarti cardiaci immediati. Con i nostri droni siamo in grado, in tre minuti, con il defibrillatore di raggiungere il paziente e salvare l’80% delle persone. È sicuramente una missione sociale molto importante e anche occupazionale”.
In questo percorso, comunque, non sono mancate le difficoltà, come ha ricordato l’amministratore unico di Officine Meccaniche Irpine. “Quando mi sono insediato nell’area industriale – ha raccontato – ero privo di Internet. A livello di infrastrutture c’era una carenza impossibile: anche la rete elettrica, al di là del costo eccessivo, la rete telefonica. Mentre telefonavo a persone importanti, la linea andava via”. E proseguendo nell’analisi: “Credo che noi possiamo fare molto, al di là di quello che ho fatto fino a questo momento, ma le infrastrutture sono necessarie: porti, aeroporti, ferrovie e soprattutto una scuola all’altezza della situazione perché abbiamo difficoltà a trovare gente preparata, sia diplomata che laureata. Noi vogliamo fare formazione anche a spese nostre, però la scuola deve fare il suo mestiere fino in fondo”.
Il Cavaliere del Lavoro ha infine concluso il proprio intervento sottolineando il ruolo delle Pmi nel Paese: “La piccola e media impresa è un patrimonio importate che va assolutamente salvaguardato anche sotto l’aspetto finanziario – ha affermato – perché un qualsiasi finanziamento da parte di istituti bancari ha tassi di interesse elevatissimi. Noi vogliamo lavorare con tutti i popoli del mondo e crediamo di essere portatori di democrazia e benessere; per ciò chiediamo alle istituzioni pubbliche di darci una mano. Soprattutto l’aspetto burocratico per noi è fondamenta le. Le decisioni devono essere prese molto rapidamente”.
IL DIBATTITO
Numerosi gli interventi stimolati dalle relazioni.
Laura Calissoni ha espresso dubbi sulla consapevolezza della Commissione Europea riguardo alle difficoltà legate al Green Deal, sottolineando il rischio che decisioni cruciali siano nelle mani di tecnocrati poco informati sulle reali implicazioni industriali.
Ugo Salerno ha evidenziato l’inversione di priorità nella transizione all’auto elettrica, affermando che prima di imporre l’elettrificazione del settore automobilistico, l’Europa dovrebbe garantire un’infrastruttura adeguata. Attualmente, le colonnine di ricarica sono ben lontane dagli obiettivi fissati.
Marco Bonometti ha ribadito la necessità di abolire le multe sulle emissioni, definire regole di misurazione chiare e rivedere le strategie energetiche, per evitare che l’Europa venga schiacciata tra Cina e Stati Uniti.
Carlo Cottarelli ha sollevato una questione semantica e politica: spesso si tende a criticare l’Europa come entità astratta, dimenticando che le decisioni sono prese democraticamente da una maggioranza qualificata.
Cesare Valli ha messo in luce l’importanza della rappresentanza industriale a Bruxelles, evidenziando che molte aziende si lamentano delle normative europee senza però impegnarsi attivamente in attività di lobbying, lasciando così spazio a gruppi di pressione meglio organizzati.
Michl Ebner ha ribadito la necessità di una maggiore partecipazione dell’imprenditoria alla politica, sottolineando il ruolo cruciale di associazioni come BusinessEurope ed Eurochambres nel rappresentare gli interessi delle imprese.
Francesco Averna ha posto l’attenzione sulla necessità di un rafforzamento della difesa europea, data la crescente minaccia degli attacchi cibernetici e le tensioni geopolitiche. Il dibattito ha quindi evidenziato una convergenza sulla necessità di riformare l’assetto istituzionale europeo per garantire una governance più efficace e competitiva.