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TRASFORMAZIONE DIGITALE? Non esiste un modello unico | Civiltà del Lavoro 1/2025

04.05.2025

Il Competence Industry Manufacturing 4.0 (CIM4.0) è uno degli otto centri di competenza nazionali voluti nel 2018 dall’allora Ministero dello Sviluppo economico con l’obiettivo di favorire il trasferimento tecnologico alle imprese. Ha sede a Torino e accompagna le aziende nella trasformazione digitale. La responsabile per la formazione Annalisa Sabatelli ci spiega come funziona.

La formazione è uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, con aggiornamenti periodici sulla cronica mancanza di profili professionali per le imprese. Dal vostro punto di osservazione, quale situazione ravvisa te nel vostro territorio?
La formazione è un pilastro essenziale per lo sviluppo dei profili professionali aziendali, indipendentemente dal livello di esperienza e riguarda direttamente tutto il tessuto manifatturiero italiano.
In un periodo economico complesso come quello attuale, le aziende italiane e in misura maggiore quelle del Piemonte si trovano a dover ridefinire non solo le proprie strategie di business, ma spesso anche la propria identità. Alla crisi del settore automotive, storicamente il motore della manifattura piemontese, si affianca una trasformazione radicale nei metodi e negli strumenti di lavoro, accelerata dalla diffusione delle applicazioni di Intelligenza artificiale.
In questo scenario, la formazione non è solo un’esigenza, ma una leva strategica per affrontare il cambiamento. Più che una carenza assoluta di profili professionali, il problema è la mancanza di competenze adeguate a gestire e integrare le nuove tecnologie. La sfida non è solo formare nuovi talenti, ma anche riqualificare i numerosi professionisti provenienti dall’automotive, che senza un adeguato reskilling rischiano di rimanere esclusi dal mercato del lavoro.
Intercettare queste esigenze e proporre percorsi formativi realmente efficaci non è semplice, ma è una priorità per garantire alle imprese le competenze necessarie a cogliere le opportunità dell’innovazione.

Che cosa significa, concretamente, accompagnare le imprese nel percorso di digitalizzazione?

Personalmente ritengo che un percorso di digitalizzazione di impresa si sviluppi lungo due direttrici principali. Da un lato, l’analisi dei processi aziendali e del livello di digitalizzazione attuale, utile a definire un’evoluzione sostenibile. Questa analisi deve essere perseguita in modo estremamente pragmatico: fare innovazione, o digitalizzare, non vuol dire “flaggare” una serie di caselline, vuol dire individuare i problemi o le inefficienze, e fornire possibili soluzioni.
In alcuni casi – non in tutti, attenzione – queste soluzioni sono ad alto contenuto tecnologico e non sempre i nostri interlocutori sono in grado di affrontare questi temi. Qui si innesca la seconda direttrice: l’azienda deve ricevere un accompagnamento strutturato, supportato da una formazione mirata, per garantire un cambiamento consapevole, stabile e duraturo. Awareness, cognizione, è la parola chiave, dunque, perché effettuare e poi governare una scelta tecnologica richiede la giusta comprensione del dominio che si sta esplorando, per evitare di fidarsi ciecamente di un fornitore specifico e rischiare di creare dei lock-in tecnologici o, più in generale, effettuare una scelta tecnica non idonea.
In questo ambito è importante saper valutare anche la dimensione e l’impatto degli investimenti, per poter stimare correttamente il ritorno degli stessi. Inoltre, è proprio coerente con la nostra missione come soggetto attuatore del Ministero delle Imprese e del Made in Italy: accompagnare le aziende nella trasformazione, ma mettendole nella condizione di poter continuare autonomamente.
Non esiste un modello unico di trasformazione digitale: ogni azienda ha un punto di partenza specifico, a volte è noto, a volte va individuato insieme o addirittura ridimensionato rispetto alle aspettative. Trasformazione digitale e formazione devono, però, procedere insieme in modo coerente e graduale, adattandosi alle esigenze reali dell’impresa. Per fare tutto ciò CIM4.0 mette a disposizione competenze, strumenti e risorse per guidare le aziende in ogni fase di questo percorso.

Quali servizi di formazione erogate e come sono strutturati?
Il CIM offre un learning hub articolato in oltre 100 corsi, organizzati in macro aree strategiche quali additive manufacturing, data science, cybersecurity, predictive maintenance, tool for digital transformation e metodologie di manufacturing.
Ogni trimestre, in risposta alle esigenze del mercato e alle richieste delle aziende, selezioniamo e programmiamo un set di corsi dal nostro ampio catalogo. In aggiunta, su richiesta, personalizziamo i percorsi formativi, adattando contenuti e strumenti didattici alle specifiche necessità dei nostri clienti. Per noi, la formazione è un valore fondamentale: investiamo costantemente impegno e risorse per assicurare un’acquisizione efficace e mirata di nuove conoscenze e competenze.
Ogni anno, inoltre, lanciamo la CIM 4.0 Accademy, un percorso di alta formazione dedicato all’Industria 4.0. Rivolta a responsabili di aree tecniche, manager di aziende manifatturiere, industriali e di servizi compatibili con le nuove tecnologie, a lavoratori in fase di ricollocamento e a liberi professionisti, l’Accademy mira a fornire gli strumenti indispensabili per affrontare le sfide dell’innovazione.
Promuoviamo inoltre la formazione di giovani talenti neolaureati in discipline tecnico-scientifiche, favorendo l’ingresso in azienda di figure capaci di guidare la digital transformation.
Il nostro obiettivo è formare leader in grado di gestire la transizione digitale e sostenibile delle imprese, preparandoli a guidare con successo il cambiamento nei settori industriali, manifatturieri e dei servizi. Per garantire la qualità della formazione, aggiorniamo costantemente i contenuti dei corsi e l’intera offerta formativa, selezionando docenti riconosciuti come esperti del loro campo, sia in ambito accademico sia industriale.

Il primo Piano Industria 4.0 risale al 2016. Da allora oggi come sono cambiati i fabbisogni formativi espressi dalle aziende, in particolare dalle Pmi?
Dal 2016, con il lancio del primo Piano Industria 4.0, i fabbisogni formativi delle aziende, soprattutto delle Pmi, sono cambiati profondamente, seguendo l’evoluzione delle tecnologie digitali e delle dinamiche di mercato.
Inizialmente, l’attenzione era focalizzata sull’adozione del le nuove tecnologie abilitanti, come l’Internet of Things (IoT), la robotica avanzata, l’Intelligenza artificiale e la manifattura additiva. Tuttavia, la rapida trasformazione digitale ha richiesto un cambiamento nei profili professionali e nelle competenze richieste.
Uno dei principali cambiamenti riguarda l’aumento della domanda di competenze digitali e trasversali. Se nel 2016 la formazione si concentrava su competenze tecniche legate all’uso di macchinari e software specifici, oggi le aziende cercano figure in grado di interpretare i dati, gestire sistemi interconnessi e adattarsi a un ambiente in continua evoluzione. Le Pmi, in particolare, hanno bisogno di lavoratori capaci di integrare competenze tradizionali con conoscenze in ambito di data analysis, cybersecurity, cloud computing e gestione della supply chain digitale. Un altro aspetto cruciale è l’evoluzione della formazione manageriale. La digitalizzazione non riguarda solo la produzione, ma anche i modelli organizzativi. I manager e gli imprenditori delle Pmi devono sviluppare nuove competenze per guidare il cambiamento, comprendere le opportunità offerte dall’Industria 4.0 e adottare strategie di trasformazione digitale.
La formazione su leadership digitale, gestione dell’innovazione e change management è quindi diventata prioritaria. Inoltre, l’attenzione si è spostata dalla formazione teorica a quella pratica e continua. La collaborazione con ITS, università e centri di ricerca è cresciuta, permettendo alle Pmi di accedere a competenze aggiornate e a percorsi di formazione su misura.
Infine, la sostenibilità e la transizione ecologica stanno influenzando sempre più i fabbisogni formativi. L’integrazione di pratiche sostenibili nei processi produttivi richiede nuove competenze in economia circolare, gestione energetica e tecnologie green.

Nel rapporto fra aziende e università, i Competence Center rappresentano una cinghia di trasmissione di successo. Quali aspetti, a suo avviso, potrebbero essere ulteriormente migliorati a beneficio di tutti?
Innanzitutto, sarebbe utile promuovere una maggiore integrazione e condivisione delle risorse e dei dati tra le istituzioni accademiche e il mondo industriale. Attualmente, spesso i dati di ricerca e le tecnologie sviluppate vengono trattenuti in compartimenti stagni, limitando il potenziale di innovazione. Un sistema aperto di condivisione, supportato da accordi chiari sulla proprietà intellettuale e sui diritti di utilizzo ma anche da una legislazione più snella in materia, potrebbe favorire la diffusione di idee e soluzioni innovative, consentendo una rapida applicazione dei risultati di ricerca alle problematiche concrete delle imprese.
I Competence Center possono giocare un ruolo chiave anche nel trasferimento tempestivo, efficace ed efficiente delle competenze emergenti, adattando i corsi accademici alle necessità didattiche e formative dell’industria in termini di tempi di erogazione e di contenuti, integrando in tempi rapidi le tematiche di frontiera come l’Intelligenza artificiale, la cybersecurity o la sostenibilità.
Questo approccio dinamico garantirebbe una forma zione più in linea con le richieste delle aziende riducendo il divario tra il mondo accademico e quello industriale.
È necessario anche rafforzare la collaborazione nello sviluppo di progetti di ricerca applicata, in cui università e aziende collaborano sinergicamente, garantendo risultati concreti e una distribuzione equa dei benefici derivanti dall’innovazione.

 

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