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Serve un “PATTO PER LA SALUTE” | Civiltà del Lavoro 1/2025

20.05.2025

Nei prossimi decenni la nostra demografia è destinata a mutare profondamente: ci saranno meno italiani e saranno mediamente più vecchi. Secondo le più recenti proiezioni dell’Istat, la popolazione residente scenderà dai circa 59 milioni attuali a 55 milioni nel 2050; contestualmente, per ogni individuo in età lavorativa (15-64 anni) ce ne sarà uno che non lo è (bambini e anziani). Questa proporzione oggi è di tre a due. La demografia non è necessariamente un destino, ma certo disegna i contorni della società nella quale dovremo vivere e mostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la sanità – meglio: una buona sanità – sarà sempre più al centro delle nostre vite. Sarà anche un forte elemento di vantaggio o svantaggio competitivo per la nostra economia.
I sistemi sanitari oggi viaggiano lungo due binari divergenti. Da un lato, l’invecchiamento della popolazione determina un aumento della domanda di cure e di prestazioni. Dall’altro, l’innovazione tecnologica ci mette a disposizione sempre più opzioni, ma questo comporta un ulteriore aumento, non una riduzione, dei costi. Ne segue che, anziché compensarsi, queste due tendenze si amplificano a vicenda: i sistemi sanitari non potranno che divenire sempre più costosi. Per uscirne è dunque necessario trovare strumenti per promuovere un duplice afflusso di capitali nel settore della sanità: dal lato della domanda e dal lato dell’offerta. Dal lato della domanda, il problema sta principalmente nelle fonti di finanziamento della sanità. In Italia la spesa sanitaria complessiva è inferiore a quella dei paesi comparabili ma è dominata dalla componente pubblica. Poiché questa ha evidenti difficoltà a espandersi, l’unica possibilità per ottenere le risorse necessarie è attivare un pilastro privato, che può arrivare solo da meccanismi di tipo assicurativo.
Dal lato dell’offerta, i nostri sistemi sanitari faticano a tenere il passo di una richiesta che cresce e si diversifica: non sono pensati per avere quelle caratteristiche di flessibilità e dinamicità che oggi sono necessarie. Anche in questo caso, l’unico modo per rispondere a un fabbisogno crescente di quantità e qualità di cure è chiamare al tavolo anche soggetti privati. L’esperienza del Gruppo Humanitas è molto positiva sotto tale profilo: dimostra chiaramente che il privato non è alternativo, ma complementare e strumentale al pubblico, perché può portare pratiche innovative e investimenti in capitale fisico, tecnologico e umano. Penso che abbiamo anche una lezione positiva che merita di essere approfondita: una delle ragioni che spiegano gli ottimi risultati certificati da Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) sta nell’aver voluto costruire un canale di comunicazione tra pratica clinica, alta formazione e ricerca di frontiera. In un mondo che cambia, presidiare la catena di trasmissione tra l’innovazione e le sue applicazioni pratiche, per esempio attraverso la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, ci mette nella condizione di cogliere i cambiamenti e correggere gli errori. In questo contesto, è dunque necessario ragionare nell’ottica di un “patto per la salute” che, pur lasciando agli Stati il compito fondamentale di stabilire gli obiettivi e fissare i principi di fondo, riesca a sfruttare le potenzialità offerte sia dalla sussidiarietà verticale (l’autonomia, dunque, può essere un’opportunità), sia dalla sussidiarietà orizzontale.
Un simile cambiamento di prospettiva richiede, a sua volta, di individuare un criterio (la qualità clinica) e uno strumento (l’efficienza gestionale e organizzativa). La qualità clinica è l’unica grandezza oggettivamente definibile e misurabile che può orientare le decisioni e consentire di effettuare valutazioni sui risultati. L’Italia ha una certa esperienza in materia: il lavoro di Agenas di raccolta e messa a disposizione dei dati fornisce informazioni di valore inestimabile non solo per aiutare i decisori pubblici, ma anche per consentire ai pazienti di individuare le strutture meglio in grado di rispondere alle loro esigenze.
I dati sono anche essenziali per conseguire una maggiore efficienza gestionale e organizzativa: in uno scenario di scarsità delle risorse, farne un buon utilizzo dovrebbe essere un imperativo per tutti noi. Nel mondo della sanità, gli sprechi equivalgono all’impossibilità di erogare cure a chi ne avrebbe diritto.
La sanità è il campo su cui si consuma la principale scelta sul tipo di società che vogliamo costruire: ciascun paese ha un suo modello e ciascuno ha qualcosa da imparare dagli altri. Se vogliamo preservare l’impegno sociale e la natura universalistica dei sistemi sanitari europei – che sono indubbiamente elementi essenziali della nostra società – dobbiamo fare dell’efficienza e della misurazione della qualità clinica le due grandi priorità nazionali.

 

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