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Robotica, il lavoro che verrà e la fortuna di essere italiani

21.06.2018

di Cristian Fuschetto

I robot schiavizzeranno i loro creatori? Falso. L’uomo è antiquato? Non ancora. Diventeremo più poveri? Dipende. Tra falsi miti e paure umane troppo umane, la civiltà dell’automazione di massa incombe con tutto il suo corredo di ansie, timori, entusiasmi e immancabili fake-news. “Immaginare l’umanità alla mercé di macchine intelligenti è pura fantascienza, utile a raccontare storie ma non a descrivere la realtà” precisa Paolo Dario, coordinatore del Dottorato in Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, centro di eccellenza mondiale negli studi sulla cognizione artificiale. “Molti hanno paura del futuro ma ci sono paure vere e paure fittizie. A me interessa la realtà e la realtà ci dice che il vero pericolo non sono fantomatici robot cattivi ma è il divario robotico, la distanza sociale ed economica che potrebbe venire a crearsi e che di fatto già c’è tra  chi i robot ce li ha e chi non ne ha, tra chi grazie a essi potrà migliorare processi produttivi, assistenza sanitaria, trasporti e sicurezza e chi invece stenterà a farlo”. Dario, tra gli artefici della “Robot Valley”, l’area tra la Valdera e Pisa che dagli inizi degli anni ’80 macina innovazione come pochissime altre al mondo, a conferma che in questi settori non c’è da aver paura del futuro ha lasciato da poco la direzione dell’Istituto di Biorobotica a un 38enne. E ribadisce: “In questa partita l’Italia ha un vantaggio enorme”.

Lo scienziato non si riferisce (solo) alla tecnologia, alla qualità della scuola ingegneristica e informatica, fa riferimento alla cultura umanistica, ai saperi classici spesso considerati meno che sopravvivenze archeologiche. E invece uno degli aspetti più importanti dello sviluppo della robotica, spiega nel corso del convegno promosso dal Gruppo Toscano dei Cavalieri del Lavoro “Robotica e intelligenza artificiale. Opportunità e rischi per il lavoro nel prossimo futuro” tenuto lunedì 21 marzo a Firenze presso l’Auditorium della Camera di Commercio, sta nella capacità di generare programmi e metodi che sappiano moltiplicare la potenza collaborativa delle macchine. Gestire quantità enormi di dati senza imparare a collaborare con un “partner cognitivo” serve a poco. L’intelligenza è un fenomeno soprattutto relazionale e in questo senso l’apporto di filosofi, psicologi, linguisti è altrettanto fondamentale di quello di ingegneri e sistemisti. “Oggi si parla tanto di Smart City, ma la prima e ineguagliata città intelligente era la Firenze del Rinascimento. Nel 1506 passeggiavano da queste parti Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Forse un po’ meglio di quelli che oggi passeggiano nella Silicon Valley. E non lo dico io ma l’Harvard Business Review. Ragazzi, sono cittadini smart a rendere tale la città e non solo il contrario” scandisce a una platea di studenti il prof.

Crescita a due cifre per la quarta rivoluzione industriale

Robotica e automazione hanno messo il turbo alla produzione industriale. Giusto per avere una panoramica: il più alto tasso di crescita nell’utilizzo dei robot nell’industria si registra, manco a dirlo, in Asia, con la Cina come il principale mercato mondiale. Secondo l’International Federation of Robotics, che rappresenta oltre 20 paesi con 50 membri provenienti dalle associazioni nazionali e internazionali dell’industria e della ricerca nel campo della robotica, entro il 2018 i robot installati aumenteranno del 21 per cento in Asia e in Australia, del 16 nelle Americhe e dell’ 8 per cento in Europa. A fare la differenza nello scenario 4.0 saranno in particolare le capacità dei robot di rispondere adeguatamente a cicli produttivi più veloci e la richiesta sempre maggiore di produrre con grande flessibilità a una domanda “personalizzata”.

Una nuova generazione di robot sta inaugurando un’automazione sempre più flessibile e l’Italia non sta a guardare. Dopo la Germania che è quinta nel mondo ed è il paese che più ha acquistato robot nel continente, arriva l’Italia, che nel 2016 ha assorbito una percentuale del 6,5 per cento  del totale dei robot industriali venduti globalmente. L’onda c’è ma serve saperla domare per non restarne travolti. “La quarta rivoluzione industriale – sottolinea Dario – porterà sicuramente una crescita significativa, ma solo per le economie che sapranno giocarvi ruoli da protagonista, non per chi la subirà”. Quali saranno i settori che dovranno fare più i conti con i nuovi robot? Di sicuro il manifatturiero e non solo per la qualità di processi e prodotti, ma anche per nuove applicazioni come quelle in cui operatori umani e robot lavorano insieme, e quelle nei quali i prodotti potranno non solo essere montati nella fase di produzione, ma anche smontati a fine vita. Su questo fronte si aprono strade nuove anche per l’artigianato.

Un impatto notevole potrà averlo anche sulla logistica, basti pensare alla rivoluzione in corso nell’ambito delle auto e anche dei camion a guida assistita e autonoma, e nella cosiddetta agricoltura di precisione, con macchine – così per fare un esempio – sensibili ai tassi di umidità del terreno e in grado di gestire in modo scientifico l’irrigazione di campi e orti.

 

Costruttori e non solo utilizzatori

Se nessuno discute i progressi in termini di qualità dei prodotti e dei processi di produzione, molti temono la quantità di lavoro che invece verrà sottratta dai robot agli umani. Nessuno può fare previsioni sicure, viviamo un cambio di paradigma, eppure la storia e i primi dati sull’industria 4.0 suggeriscono ottimismo. “L’effetto iniziale della prima Rivoluzione Industriale – ricorda Dario – fu quello di una riqualificazione su larga scala del lavoro operaio”. Il primo ampio studio sugli effetti dell’automazione sull’economia tedesca, la più avanzata in Europa anche su questo fronte, indica dal canto suo che le macchine non solo non hanno sottratto posti di lavoro, ma ne hanno creati di nuovi e meglio retribuiti. Secondo il Centre for European Economic Research di Mannheim, dal 2011 al 2016 l’ingresso dei robot nel mercato del lavoro tedesco ha portato a un aumento complessivo dell’occupazione compreso tra l’1,5 e l’1,8 per cento. Se all’inizio le macchine hanno assorbito e velocizzato una serie di mansioni, portando a un calo di posti di lavoro del 5 per cento, in seguito ne hanno generati di nuovi, e di meglio pagati. Come è possibile? Perché un’azienda può produrre la stessa merce, in maniera più economica, il prodotto costa meno e si vende di più; serve quindi assumere più persone per soddisfarla.

In tutti questi ambiti serviranno macchinari sempre più intelligenti, flessibili e interconnessi. Il ruolo dell’Italia sarà non tanto quello di produrli ma prima ancora quello di concepirli. La vera sfida, e allo stesso tempo la grande opportunità, è quindi quella di investire con decisione. “Possiamo diventare costruttori e non soltanto utilizzatori di robot. È una opportunità concreta per mantenere e persino aumentare i posti di lavoro. Noi i robot li sappiamo ideare, sviluppare e costruire, e di questo dobbiamo essere consapevoli. A Pisa poi abbiamo grandi centri di innovazione e di sviluppo di internet. Ecco, internet e robot sono il connubio che c’è solo in questa realtà”.

L’idea è quella di favorire la specializzazione nella ideazione e nella produzione di robot per applicazioni specifiche. Per esempio robot per chirurgia, robot per riabilitazione, robot per servizi di trasporto e mobilità, robot per lo smontaggio e per l’economia circolare, robot per agricoltura, robot per applicazioni marine, droni.

“Noi italiani – conclude – possiamo offrire la nostra competenza anche nel campo degli ambienti virtuali e della realtà aumentata, strumenti indispensabili nelle fabbriche del futuro”. Ecco, la con l’avvento dell’internet delle cose e il progresso degli automi “intelligenti”, la fabbrica diventa un altro luogo, per molti aspetti ignoto. La paura è comprensibile, ma non può essere un freno. E a sentire chi quel futuro contribuisce a disegnarlo, non lo sarà.


articolo pubblicato su Civiltà del Lavoro n.2/2018

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