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Pmi, ricerca Isvi: bellezza e “umanesimo”, ecco il segreto italiano

06.09.2023

Nei primi anni ’70, nel suo “Small is beautiful”, l’economista tedesco Friedrich Schumacher indicava nella flessibilità delle piccole imprese la ragione del loro successo anche in contesti che “in teoria” avrebbero dovuto vederle penalizzate. Per esprimere l’apparente assurdità della forza competitiva delle piccole realtà produttive, Schumacher adottò una metafora destinata a diventare un classico: “Il volo del calabrone”. Il calabrone è tozzo, ha ali piccole e “in teoria” non dovrebbe nemmeno sollevarsi da terra. Eppure, il calabrone vola. Con grande rumore riesce ad andare persino veloce e molto in alto. Ecco, l’economia italiana è come il calabrone: senza materie prime e con poche industrie avanzate, con una elevata conflittualità sociale, l’Italia è diventata nella seconda metà del ‘900 una delle sette maggiori potenze industriali del mondo. Com’è stato possibile?

Lo vediamo anche oggi. L’Italia cresce più dei grandi Paesi europei (quest’anno: +1,2 per cento, Francia più 0,7, Germania più 0,2), il tessuto produttivo appare solido, con un export che ha superato quota 600 miliardi nonostante le oggettive difficoltà in termini di infrastrutture, connettività, scuola, burocrazia, formazione. C’è un’Italia economica, fatta di numeri, occupati, crescita, che continua a offrire ragioni per essere ottimisti sul futuro. E c’è un’Italia che pare incagliarsi di continuo.  Com’è possibile?

Verrebbe da chiedersi se non siamo assistendo, soprattutto in questi ultimi due decenni, dopo le crisi finanziarie e quella pandemica, a un nuovo miracolo economico. A illustrare alcune delle ragioni di questo miracolo è il volume “Il segreto italiano. Tutta la bellezza che c’è” (Treccani), curato da Vittorio Coda, docente emerito di Strategia e Politica Aziendale alla Bocconi di Milano e Presidente del Comitato Scientifico ISVI, e ispirato dal Cavaliere del Lavoro Ali Reza Arabnia, Presidente ISVI. Grazie alla collaborazione di un gruppo multidisciplinare di ricercatori, la ricerca è stata svolta dall’Istituto per i Valori d’Impresa (ISVI) e patrocinata dalla Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro e dal Gruppo Lombardo, con un obiettivo molto chiaro: indagare e provare a definire i caratteri dell’imprenditoria italiana d’eccellenza. Ne vien fuori un volume articolato, in cui economisti, storici, ma anche sociologi e antropologi, definiscono e per certi versi restituiscono una genealogia del concetto stesso di “Made in Italy”.

Gli autori, ciascuno da una prospettiva diversa, mostrano come le piccole e medie imprese italiane siano capaci di essere leader (spesso mondiali) nei rispettivi mercati grazie a modelli gestionali partecipativi e a funzioni obiettivo ben diverse da quelle “welchiste”, ispirate unicamente al profitto e alla massimizzazione del valore azionario, come insegnava Jack Welch, leggendario Presidente di General Electric negli anni ’80, ma più orientate anche a obiettivi di medio e lungo periodo proiettati a generare valore per sé, per il territorio e le comunità di riferimento.

Il segreto italiano è quello di una imprenditorialità contraddistinta da legami virtuosi e profondi tra famiglia e impresa, impresa e lavoratori, imprenditore e manager, impresa e territorio, impresa e tutti gli stakeholder. Questo tessuto di legami si fonda su un sostrato di valori che pone l’impresa e le persone al centro dell’attenzione.

Gi autori sottolineano anche un’altra particolarità del “Made in Italy”: l’approccio umanistico alla gestione dell’impresa e l’attenzione alla qualità e all’estetica dei prodotti. Coda considera, da questo punto di vista, la Olivetti come l’antesignana del fenomeno tutto italiano del quarto capitalismo. Era infatti un’impresa progettata per coniugare la redditività aziendale con il benessere dei lavoratori della comunità locale e con la bellezza dei prodotti messi sul mercato. La ricerca dimostra che la sua eredità vive ancora in tante aziende del quarto capitalismo.

Nella prefazione, il Cavaliere del Lavoro Arabnia lega l’aspetto umanistico delle “imprese del segreto” italiano a quello estetico. All’interrogativo di fondo, com’è possibile che l’Italia sia dove sta nonostante tutto e da dove traggono la loro energia gli imprenditori del Belpaese, Arabnia risponde. “Per me le sue tante bellezze – la bellezza dei suoi monumenti, la bellezza delle sue opere d’arte, la bellezza dei suoi mari, di montagne, boschi, laghi, colline, cibo, lo stile elegante e gentile e altro e altro e ancora altro – sono in grado di generare flussi di energia che riempiono la sorgente principale: la bellezza della sua anima umana, una bellezza con tante capacità: intuito, concretezza, determinazione, il tutto abbinato alla voglia di vivere senza risultare invadente con gli altri”.

Lo dice il sottotitolo: c’è una grande bellezza intorno a noi. Essa ispira chi crea e pone le condizioni per generare benessere duraturo fondato su valori. La stessa bellezza è tuttavia ignorata, se non vituperata, dall’ignavia e dalla sciatteria di tanti. Il volume dovrebbe essere letto soprattutto da costoro.

(C.F.)

 

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