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Nattino, un secolo di storia dell’alta finanza capitolina

30.03.2022

La capitale finanziaria è Milano? Qualche decennio fa era così. Ma la tecnologia, che ha cancellato il tradizionale ruolo degli agenti di cambio, ha reso la finanza che più globale non si può. La finanza c’è dove ci sono i patrimoni da gestire e da investire. La finanza c’è dove c’è ricchezza da produrre, dove i talenti non si seppelliscono nell’orto, ma si fanno fruttare. La finanza c’è dove ci sono i professionisti che trasformano il risparmio in crescita economica. Sicché, grazie anche alla famiglia Nattino attiva da poco più di un secolo, pure Roma oggi può definirsi una capitale della finanza.

IL PRESENTE
«Il Pnrr? Per avere successo dovrebbe contare sullo spirito di ricostruzione che ho visto dopo la guerra. Vorrei rivedere quella volontà, quell’umiltà, quella grande dedizione al lavoro che c’era dopo la guerra. La gente era povera, il lavoro non c’era, però c’era una cosa importante: la speranza, la fiducia nel futuro, la ricostruzione». Parola di Giampietro Nattino, 86 anni vissuti con energia, oggi presidente onorario di Banca Finnat Euramerica spa, dopo aver guidato per una quarantina d’anni le sorti del gruppo familiare, favorendo l’ingresso in azienda della quarta (e ormai anche della quinta) generazione. Parole che emergono sfogliando il volume `Borsa e Valori” (editore Franco Angeli, con la cura di Maura Liberatori e Paolo Pagliaro, prefazione di Osvaldo De Paolini). Il sottotitolo spiega che si tratta di una sorta di autobiografia storica (“Storia della Finnat dall’Ottocento ai giorni nostri”), che si allunga alle origini dell’avventura professionale prima e imprenditoriale poi, del nonno Pietro e del papà Arturo. Oggi il gruppo ha raggiunto una raccolta globale superiore a 18 miliardi di euro, di cui 7 nel private banking. «La nostra peculiarità – spiega Nattino – è riuscire ad affiancare all’attività principale, che rimane la gestione del patrimonio del cliente, i servizi sulla governance della famiglia», con un supporto concreto che va dalla corporate finance al real estate. Una lunga intervista, mai reticente, nella quale Nattino ripercorre la storia della sua famiglia, che diventa la storia di un Paese, storia economica e finanziaria, ma anche sociale e politica in senso lato. Una storia radicata a Roma, ma che vanta origini piemontesi. Non sabaude, della provincia di Alessandria (Gavi), quindi del Piemonte del Sud – come tiene a sottolineare il banchiere – quello che non insegue la Francia, ma che guarda al mare, prima che Ivano Fossati cantasse «da Alessandria si sente il mare, dietro una curva improvvisamente il mare». Una storia che ha radici militari. Il nonno Pietro indossa la divisa giovanissimo. Combatte in Africa, ottiene ferite e medaglie. Arrivato a Roma lavora in banca e poi, a 30 anni, diventa uno dei primi agenti di cambio in Italia, fondando quella dina stia professionale che a Roma si accompagnò a distanza con quella degli Albertini a Milano e dei Giubergia a Torino. Veniva chiamato il “leone della Borsa”. Il racconto di Nattino somiglia alla biografia di un Paese che ancora si riconosceva nella disciplina, nella serietà, nell’attenzione e nel rispetto: «Valori della vita militare anche in divi- sa civile». Con Arturo Nattino la famiglia di agenti di cambio si lancia nell’avventura imprenditoriale. Fu il padre di Giampietro a fondare nel 1946 la Finnat, esattamente la “Finanziaria Fratelli G.A. Nattino”. Le iniziali sono quelle dei figli di Arturo, Giampietro appunto e Angelo, prematuramente scomparso otto anni fa.

LE TAPPE
C’è un marchio di fabbrica che diventa subito indelebile: la stima e la credibilità assoluta della nuova impresa finanziaria nell’accompagnare la vita economica di famiglie e imprese (ma anche dello Stato italiano e del Vaticano) verso le migliori opportunità di investimento e di crescita economica. Una credibilità che ad un certo punto divenne slogan: “Il buon giorno si vede dal Nattino”. «Io appartengo alla generazione abituata ad apprezzare i fatti, più che gli annunci. D’altra parte, facendo il banchiere non potrebbe essere diversamente» spiega Nattino. E aggiunge: «Ho sempre pensato che la finanza debba essere molto integrata con l’azienda. Se la finanzi devi anche seguirla». Ma la solidità di un’impresa ha bisogno di un terreno buono su cui crescere. Cioè un Paese, ci ricorda il banchiere, nel quale la burocrazia sia meno invasiva, le infrastrutture più efficienti e dove profitti e rendite siano tassati, non colpiti. Tra Roma, Milano e Londra la storia della famiglia Nattino si sviluppa nel libro come una docu-fiction appassionante, un riassunto di oltre un secolo di vita dell’Italia, tra vicende finanziarie, politiche, imprenditoriali, tra il Vaticano e l’Iri, tra l’evoluzione tecnologica al servizio della finanza e l’importanza delle informazioni e il loro confine con l’insider trading. Concludendo la sua cavalcata sulle ali della storia, Nattino va garbatamente contro corrente: «Si sta molto demonizzando il cosiddetto capitalismo di relazione, che c’è in tutto il mondo e con tutti i regimi economici. Le relazioni aiutano a conoscersi, ma non servono se c’è incapacità. Non sostituiscono l’ingegno, la tenacia, l’istruzione. Le relazioni umane hanno un ruolo nell’economia, ma ovviamente devono rimanere nell’ambito dell’onestà, trasparenza e correttezza». Si potrebbe sentire l’eco della lezione di un grande storico olandese, Johan Huizinga, che nelle sue opere non manca di sottolineare come nella storia degli uomini, dei popoli e delle Nazioni si tenda spesso a sottostimare un fattore decisivo: l’amicizia.

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Articolo pubblicato il 30 Marzo 2022 da Il Messaggero

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