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Mario Biasutti: Pelli made in Friuli Il lusso francese ha scelto Mabi

04.10.2023

Mario Biasutti ha creato il proprio regno della pelletteria laddove, di pelle, non ce n’era. E anche per questo, a 73 anni, è stato nominato Cavaliere del lavoro dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Biasutti è fondatore, presidente e amministratore delegato di Mabi International — una delle aziende Champions di ItalyPost e L’Economia —, nata nel 198o a San Daniele del Friuli, luogo di un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo, l’omonimo prosciutto, e fino a pochi decenni fa uno dei poli italiani della calzatura, specialmente nella produzione delle cosiddette «stafét», o «friulane», tipiche pantofole in velluto. Una nicchia in cui hanno lavorato il nonno e il padre, come produttori, e in cui lo stesso Mario Biasutti ha mosso i primi passi, come agente di commercio, dopo il diploma in ragioneria. Quando negli anni Settanta le calzature friulane iniziano a strizzare l’occhio alle pelli, Biasutti lascia quel business e si rivolge alle borse. Le progetta, le fa produrre, crea un proprio marchio — Andrea Mabiani, nome di fantasia —, e partecipa alle fiere, attirando l’attenzione di rivenditori italiani e internazionali. «Questo interesse mi ha convinto a puntare sull’alta gamma, con pellame di qualità e rifiniture particolari, aspetti che all’estero hanno apprezzato molto — racconta Biasutti —. L’azienda è cresciuta in fretta, ho aperto il mio primo stabilimento, a San Daniele, e abbiamo iniziato a offrire un servizio completo: dall’ideazione alla produzione, fino alla logistica».

La svolta

Le idee, i prodotti e i servizi di Mabi piacciono, e così negli anni Novanta arriva una vera e propria svolta: collaborare e produrre per le firme più prestigiose del mondo. In poco tempo sulla società puntano gli occhi i grandi marchi francesi, come Givenchy, Chloé e soprattutto Chanel, che circa dieci anni fa è entrato proprio in Mabi con una quota di minoranza. «Questa scelta ha dato un ulteriore sviluppo all’azienda e ci ha permesso di espanderci a livello produttivo: abbiamo costruito un nuovo stabilimento vicino a Padova e acquisito un’azienda a Scandicci, polo della pelletteria mondiale, in cul fabbrichiamo piccoli articoli, come i portafogli — spiega Biasutti —. La nostra una storia di crescita importante, siamo partiti 4o anni fa con quattro persone e ora contiamo oltre 3oo dipendenti e più di 200 collaboratori esterni». Al momento Mabi ha accantonato il marchio proprietario, per fornire un servizio completo a Chanel. Un veicolo di crescita per l’azienda, che nel 2022 ha chiuso con un fatturato di oltre 17o milioni di euro — più di ‘5o mila borse e 3oo mila articoli di piccola pelletteria prodotti —e per il 2023 prevede un incremento del 7-8% dei ricavi.

II futuro

La forza di questi numeri, secondo Biasutti, risiede nell’artigianalità italiana che il fondatore di Mabi ha sempre ricercato. «Se si esclude un breve periodo di collaborazione con un’azienda ungherese per la produzione di semilavorati, abbiamo prodotto sempre e solo in Italia: la qualità e la precisione italiana siano il nostro valore aggiunto», dice il presidente. In Mabi, infatti, buona parte del processo produttivo è affidato al giusto mi.( tra la migliore tecnologia e le sapienti mani degli artigiani. «Nelle fasi di visualizzazione del progetto e di taglio delle pelli i macchinari sono fondamentali per abbattere tempi, costi e sprechi, ma la cucitura e il montaggio da noi sono fatte rigorosamente a mano», spiega Biasutti. A fronte di questa tipicità del made in Italy, resta ll nodo della carenza di manodopera specializzata. Biasutti, insieme all’Associazione Pellettieri Italiani (di cui è membro) sta affrontando il tema per garantire un futuro a queste produzioni. «II nostro obiettivo è valorizzare questo mestiere, che finora ha avuto una dimensione troppo artigianale, con poche prospettive di carriera — dice —. Dal momento che, a parte a Scandicci, fatichiamo a trovare personale già preparato, in azienda puntiamo molto sulla formazione: abbiamo visto che funziona, perché i giovani imparano facilmente e in fretta».

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Articolo pubblicato il 26 giugno 2023 da “L’Economia”

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