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«La nave nucleare sarà pronta nel 2035. Motori più sostenibili di quelli a idrogeno»

20.12.2022

É stato raggiunto l’accordo provvisorio tra Commissione europea, Parlamento Ue e Consiglio per rafforzare il sistema di scambio di quote di emissione di gas serra dell’Unione europea (Ets) e per applicare lo scambio di quote di emissione a nuovi settori per un’efficace azione per il clima in tutta l’economia europea, a partire dal settore trasporti. Un tema, quello delle emissioni, che sta agitando gli armatori, i quali si trovano a dovere raggiungere determinati obiettivi senza disporre ancora delle tecnologie. «Paradossalmente – rivela Ugo Salerno, presidente e amministratore delegato del Rina – a dispetto di idrogeno o metanolo verdi, l’energia nucleare di quarta generazione sarebbe la più matura». Entro quando? «Nel 2035 avremo la tecnologia disponibile e installabile su una nave ma anche in prospettiva per alimentare l’industria. Si tratterà di strutture modulari, di piccole dimensioni, con una vita di decenni, che potranno anche essere trasferite da una nave che va in disarmo a una di nuova costruzione».

Perché si dice nucleare di quarta generazione? «Quello che cambia è la scala: oggi le centrali di terza generazione hanno grandi potenze, i futuri reattori avranno potenze inferiori, 10-20 megawatt, quello che è necessario a una nave ma in prospettiva anche più piccoli . Grazie alle ridotte dimensioni e potranno essere realizzati su scala industriale. Oggi gli impianti sono raffreddati ad acqua, i futuri impianti, sempre a fissione, saranno raffreddati a piombo fuso o sali fusi». Perché può interessare tanto le navi? «Perché lo shipping è il settore industriale in assoluto più hard to abate che esista. Qualunque altra tecnologia oggi allo studio richiederebbe una produzione e una infrastrutturazione della rete distributiva, problema che con il nucleare non si porrebbe».

E le scorie?

«Cambierà anche il materiale che viene bruciato: uranio 238 al posto dell’uranio isotopo 235 usato oggi. La fissione è più efficace, lascia un residuo estremamente inferiore. E potrà bruciare anche quella parte di combustibile che le attuali centrali non riescono a consumare: questo significa che oltre all’azzeramento delle emissioni, si taglierà radicalmente anche la dipendenza energetica da altri Paesi, perché le risorse sarebbero pressoché illimitate. Al netto di questo, oggi il 65% dell’uranio si trova in Kazakistan, Australia e Canada. E se la nave affonda? «Gli impianti sono completamente chiusi e protetti. Il nucleare di quarta generazione, tra l’altro, ha bisogno di una reazione continuamente alimentata, quindi se la nave affonda la reazione si ferma e il piombo e i sali fusi diventano solidi, chiudendo l’impianto in un sarcofago capace di schermare la radioattività residua contenuta nel reattore». Ma ci sono armatori già interessati? «Noi stiamo lavorando con un importante armatore italiano per una nave destinata al trasporto di auto alimentata a energia nucleare». Dall’identilcit sembrerebbe proprio Grimaldi. «Questo non glielo posso dire, ma è evidente che la compagnia che lei cita è tra le più impegnate nella sperimentazione di nuovi sistemi di alimentazione per le navi e tecnologie per l’abbattimento delle emissioni». Ci sono altre società italiane che stanno lavorando a questa tecnologia?

L’INCONTRO
«Certamente, perché ovviamente come si diceva l’utilizzo di questa tecnologia non è pensato esclusivamente per le navi. Le posso citare Core Power, società con cui stiamo sviluppando la car carrier a motore nucleare, la Newcleo, società nata da un’idea del fisico Carlo Rubbia, e la Ansaldo Nucleare, che sa portando avanti la sua ricerca in Romania. In conclusione, penso che alla fine sarà più difficile perfezionare la parte regolamentare rispetto a quella tecnologica. Non mi piace parlare di nucleare pulito, perché sembra che sino a oggi abbiamo fatto qualcosa di sporco. Non è così, e penso che l’Italia dovrebbe dotarsi delle infrastrutture, che oggi non ha, per effettuare i test più avanzati sul nucleare di quarta generazione». —

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Articolo pubblicato il 19 dicembre da Il Secolo XIX

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