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Colnago, tra la neve inizia una nuova era della bicicletta

25.11.2020

Articolo di Francesco Ceniti pubblicato
su La Gazzetta dello Sport il 25 novembre 2020


La storia siamo noi, canta Francesco De Gregori. E la storia il Cavaliere del Lavoro di Ernesto Colnago cammina parallela a quella di un’Italia devastata dalla Seconda guerra, ma pronta a una rimonta vincente. Pure Colnago ha inanellato trionfi. L’ultimo a settembre, quando un Piccolo Principe sloveno si è preso il Tour in sella alla bici lavorata a mano da un “ragazzo” di 88 anni, capace di rivoluzionare il ciclismo.
Come ogni storia, c’è un inizio: 25 novembre 1945, giusto 75 anni fa.  Nevicava quel giorno a Milano. Ernestino (nato il 9 febbraio 1932) era il primogenito di una famiglia di contadini che lavorava la terra a Cambiago. Nel 1944 si era fatto le ossa in officina. La paga? Due sacchi di farina gialla alla settimana. Non male in tempi difficili. Pochi mesi dopo, la guerra alle spalle, il futuro da mordere in fretta. Colnago ritoccò il documento per farsi assumere da apprendista alla “Gloria”, mitica fabbrica milanese.

Le due ruote erano ricercatissime, Vittorio De Sica immortalerà questa Italia speranzosa e disperata nel capolavoro del neorealismo “Ladri di biciclette”. Ernesto si presentò al lavoro col cappotto (tagliato) avuto dallo zio sopravvissuto alla spedizione in Russia. Alla Gloria trovò Gian Maria Volonté (futuro grande attore) ed Ernesto Formenti, poi oro della boxe (pesi piuma) alle Olimpiadi 1948. «Io sognavo di diventare Fausto Coppi», ricorda Colnago. Nel tempo libero lasciava i panni dell’operaio e indossava quelli del corridore, ma arrivò presto al capolinea. Gamba fratturata dopo una caduta nella Milano-Busseto 1951.

«Stavo a casa ingessato e cambiavo ruote». Nel 1954 apri la prima bottega: 5 metri per 5 metri in via Garibaldi a Cambiago. Ancora Colnago: «Nel 1955 incontrai Fiorenzo Magni, aveva dolore alle gambe. Osservai la bici: le pedivelle erano montate male. “Le metto a posto”, dico. Era scettico, lo convinsero: non mi molle) più. Andai come suo meccanico al Giro 1955. Vinse…». Nel 1956 Ernesto sposò Vincenzina Ronchi e un anno dopo sfornò, come un figlio, il primo telaio. Glielo aveva commissionato Gastone Nencini che trionfo nella corsa Gazzetta. Da quel giorno Colnago è in fuga: ha inventato la piegatura dei foderi delle forcelle a freddo, le congiunzioni in microfusione, i telai in carbonio, i freni a disco…

Ma la parte più bella restano i ricordi di Ernesto, ancora oggi tutto casa e bottega.
Ferrari, il Papa e… «Enzo Ferrari? Andai da lui con l’idea di bici al carbonio. Disse: “Una follia, ma proviamoci”. I primi prototipi pesavano 13 chili, improponibili. Li tennero Cesare Romiti e Luca Cordero di Montezemolo. Ferrari era un genio, mi diede lo spunto per le forcelle dritte. Usò le dita per farmi capire i vantaggi. Ci parlava in brianzolo: “Sono stato 15 anni all’Alfa”, sbottava. Il carbonio è stata una mia grande vittoria. Molti erano convinti che telai così si sarebbero spaccati se usati alla ParigiRoubaix.

Nel 1996, la sera prima della gara, mi chiamò Giorgio Squinzi. “Ernesto, sei sicuro? Guarda che rischiamo di rovinarci”. Lo convinsi a non cambiare, ma la notte non dormii per la tensione. Il pomeriggio ero davanti alla TV: dalla foresta sbucarono i tre Mapei in testa…». «Eddy Merckx? Il più grande. Nel 1971 si è fatto 300 km in bici per venire a Cambiago e provare i 3 telai che gli avevo preparato per il Mondiale. Poi mi chiamò nel ritiro belga: era nella sua stanza con i compagni. Vidi le bici infilate nei termosifoni. “Ernesto, secondo te quale deve usare?”, disse Eddy. Non sapevo come comportarmi, insistette. Indicai quella che sembrava più adatta. Esultb, aveva scelto la stessa. Il giorno dopo trionfo, battendo un immenso Gimondi. Con Eddy ci vogliamo bene: dopo la vittoria di Pogacar mi ha chiamato in lacrime. “Padrun, hai vinto il Tour: c’è il tuo nome sul telaio”. Mi sono commosso».

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