Civiltà del Lavoro, n. 1/2016 - page 16

INTERVENTO
CIVILTÀ DEL LAVORO
I - 2016
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un’Europa più unita dal punto di vista politico e istituzio-
nale è lontano. Non è mai stato vicino, ma oggi è ben
più lontano di quanto non lo fosse venti anni fa. Ma non
c’è dubbio che noi dobbiamo andare in quella direzione,
non si può tornare indietro.
Una retromarcia con il percorso già fatto sarebbe asso-
lutamente devastante dal punto di vista sociale, politico,
della pace e insostenibile dal punto di vista economico.
Non possiamo che andare avanti e alcuni di questi passi
avanti possono essere compiuti anche senza aver realiz-
zato l’integrazione istituzionale più forte perché fare una
strategia dell’energia, fare una politica commerciale co-
mune estera è possibile già oggi in un processo di iden-
tificazione e di rafforzamento di una visione dell’Europa
diversa da quella di cui noi oggi disponiamo. Perché poi
per fare l’altro passo, ugualmente e forse più importante,
cioè quello di contribuire a ridefinire gli equilibri di pace e
di stabilità nel mondo e di affrontare questo nuovo scon-
tro di civiltà, abbiamo bisogno di capire come fare una
vera politica estera comune, che è cosa ben diversa dalla
politica estera commerciale, e al tempo stesso (abbiamo
bisogno di capire, ndr) come poter affrontare anche il te-
ma della Difesa comune.
Noi sappiamo che gli Stati Uniti non possono rivestire sem-
pre il ruolo di “esercito del mondo” e che per governare
le tensioni che sono ai nostri confini abbiamo bisogno di
investimenti crescenti sul piano della Difesa e di un coor-
dinamento più stretto, poiché l’assenza di coordinamen-
to tra i paesi europei – anche in tempi molto recenti – ha
determinato disastri che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Non possiamo lasciare agli Stati Uniti il compito di svol-
gere questo ruolo non solo per questioni economiche, ma
anche per questioni di equilibrio, per questioni di cono-
scenza di dinamiche internazionali sulle quali molto spes-
so interessi locali e egoismi particolari hanno determina-
to errori e contraddizioni il cui costo si manifesta poi nei
nostri confini. Quindi, come affrontare in maniera più re-
sponsabile un ruolo che il mondo chiede all’Europa e che
noi abbiamo il dovere di assumere per contribuire a sta-
bilizzare la pace e gli equilibri mondiali senza darci una
dimensione più comune e più unita anche sul fronte del-
la politica estera e della Difesa?
A mio modo di vedere non c’è alternativa nell’andare
avanti nel processo di unificazione e di rafforzamento di
un’Europa politica, che è l’unica via di uscita da questo
confronto stretto che diventa dilaniante e sul quale cor-
riamo il rischio, referendum dopo referendum, di sman-
tellare anche l’Europa che c’è oggi, (il confronto stretto,
ndr) tra le politiche del rigore e dell’austerità e le politi-
che della crescita e dello sviluppo. Ce lo chiede l’esigen-
za dell’economia e della competizione, ce lo impone l’e-
sigenza nuova della pace e della stabilità.
Dobbiamo andare avanti su questo piano però, sempre
a mio modo di vedere, dobbiamo renderci conto che per
ridefinire un ruolo diverso dell’Europa dobbiamo partire
dalla definizione di quella che è l’identità europea.
A me è sembrato sempre molto miope e di corto respi-
ro il processo che è stato fatto all’inizio della definizione
della Carta costituzionale perché non aver il coraggio, noi
come paesi europei, di riconoscere innanzitutto quali so-
no gli ideali e i valori fondamentali, di riconoscere qual è
la nostra identità, le nostre radici vuol dire non avere la
forza di confrontarci anche con ideali e valori altri.
Noi non abbiamo nessuna possibilità di affrontare in ma-
niera serena e costruttiva anche il cosiddetto scontro po-
litico e di civiltà con altre realtà che sono ai nostri confini
se non abbiamo la forza e la capacità di riconoscere i no-
stri valori e i nostri ideali: nascondendoli e negandoli non
facciamo altro che rendere ancora più forte e acuta una
tensione che diventa anche insostenibile dal punto di vi-
sta politico e sociale.
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