Civiltà del Lavoro, n. 1/2016 - page 14

INTERVENTO
CIVILTÀ DEL LAVORO
I - 2016
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è stato quello di trattenere presso di noi la creazione di
innovazione e di valore aggiunto, spostando le produzio-
ni verso i paesi poveri e immaginando che i cinesi po-
tessero essere i poveri produttori del mondo per sempre.
Naturalmente era una visione assolutamente arrogante
e assolutamente miope. Noi, infatti, sappiamo benissimo
che la reale innovazione viene prodotta soprattutto lad-
dove vi è una grande capacità di investimento pubblico.
Gli Stati Uniti sono stati leader dell’innovazione negli ul-
timi decenni grazie soprattutto alla grande accelerazione
che la spesa per la Difesa ha prodotto e per il follow out
che questo ha determinato a valle in tutti i campi dell’in-
novazione tecnologica.
Noi siamo sempre stati molto bravi in Europa, e soprat-
tutto in Italia, nell’innovazione applicativa, nella capacità
di tradurre invenzioni fondamentali in prodotti che aves-
sero mercato e che avessero qualità tali da poter essere
collocati sui mercati, ma questa innovazione applicativa
va di pari passo con la capacità di manifatturare e di pro-
durre e dando in outsourcing la manifattura non abbiamo
fatto altro che spostare altrove anche la capacità di fare
innovazione applicativa. Di fatto, noi ci siamo impoveriti
prima di braccia e poi anche di cervelli. Ci troviamo così
oggi in una situazione di totale spiazzamento competitivo.
Siamo iperregolamentati, al tempo stesso consentiamo
dumping ambientale e sociale e non siamo più competi-
tivi dal punto di vista dell’uso dei fattori della produzione,
oltre a non essere nemmeno più capaci di produrre intel-
ligenza e innovazione perché queste vanno di pari passo
con la manifattura.
I giapponesi erano leader nell’elettronica di consumo de-
gli anni Settanta, ma avendo dato in outsourcing prima
ai coreani e successivamente ai cinesi, oggi nessuno co-
nosce più la Sony; tutti però conoscono la Samsung e la
LG, cioè aziende che dieci anni fa non avevano mercato
e che oggi dominano il settore dell’elettronica di consu-
mo. I cinesi hanno comprato qualche anno fa le attività
della IBM e oggi sono i produttori non solo di hardware,
ma soprattutto di software e di intelligenza.
Gli indiani stanno conquistando quote crescenti nella pro-
duzione di innovazione soprattutto sul piano matematico e
applicativo e noi europei crediamo ancora che si possano
ridurre ulteriormente le ore lavorative o che si possa ulte-
riormente rendere più complesso e più burocratico l’eser-
cizio delle attività imprenditoriali in un mondo che com-
pete e che corre in una maniera completamente diversa.
Lo spiazzamento progressivo dell’Europa, un’Europa che da
benefattrice ricca di grandi opportunità – l’Europa di De-
lors – si trasforma nell’Europa di oggi, di rigore e sacrifici,
in quanto non è più in condizione di crescere, non nasce
solo da un processo incompiuto dal punto di vista istitu-
zionale, ma nasce soprattutto da una debolezza fonda-
mentale sul piano politico e strategico, cioè nel non aver
capito quali potevano essere le strade possibili per riapri-
re un percorso di crescita e di sviluppo che potesse resti-
tuirci capacità di crescere e di competere.
Il riequilibrio tra un’Europa che cresce e un’Europa del ri-
gore si fa soprattutto riscoprendo una strategia che ri-
metta nuovamente le imprese in condizioni di investire
in Europa, competendo certamente sulla parte di più alto
valore aggiunto e di maggiore intelligenza, ma facendolo
anche con maggior possibilità di far leva sugli strumen-
ti competitivi di un sistema industriale di cui noi ancora
oggi disponiamo.
La partita non è affatto persa. Siamo comunque il più
grande e il più ricco mercato di consumo del mondo, ab-
biamo comunque una popolazione di più di duecentocin-
quanta milioni di consumatori molto affluenti e abbiamo
ai nostri immediati confini il continente africano con ele-
vate potenzialità di crescita, di sviluppo e soprattutto di
disponibilità di materie prime.
Noi ci troviamo ancora oggi al centro di una realtà che
ha grandissime opportunità e su queste opportunità noi
possiamo far leva, ma dobbiamo dotarci di strategie e di
strumenti competitivi adeguati.
Abbiamo bisogno di una politica estera comune, abbia-
mo bisogno di una politica estera commerciale comu-
ne perché, quando sediamo ai tavoli del Wto, se ognuno
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