Civiltà del Lavoro, n. 1/2016 - page 12

INTERVENTO
CIVILTÀ DEL LAVORO
I - 2016
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agli ideali e alle istituzioni; l’allargamento improvvido av-
venuto prima che vi fosse una governance ben definita:
nel 2000 fui tra i pochissimi che, quando ci fu l’allarga-
mento, levò la voce della Confindustria, che allora presie-
devo, contro quell’allargamento, incontrando così la critica
della stampa e dell’opinione pubblica italiana.
Ma l’errore più importante è stato commesso nel modo
in cui è stato affrontato ed è fallito il tentativo di scrivere
una Carta costituzionale che, anziché essere la sintesi dei
valori e degli ideali fondanti un nuovo progetto europeo,
si è invece tradotta in uno sterile tentativo di rendere più
formale l’apparato burocratico e tecnocratico di un’Euro-
pa che è sempre più stretta.
Per queste ragioni e per gli errori commessi nella fase di
costruzione dell’Europa, siamo passati da un’immagine e
da una percezione, da parte dei popoli europei, di un’Eu-
ropa benigna, prodiga di favori, di opportunità, di benes-
sere e di ricchezza – ricordiamo tutti la grande campagna
di Jacques Delors alla vigilia del 1992 – a un’Europa oggi
matrigna, che impone sacrifici e un rigore mal tollerato
e che fette crescenti delle popolazioni europee percepi-
scono come la vera radice delle loro sofferenze, della lo-
ro disoccupazione e del loro disagio.
Tutto questo è riconducibile da un lato alla debolezza del-
le varie leadership politiche che, anziché assumersi la re-
sponsabilità delle riforme interne, hanno preferito pun-
tare il dito contro l’Europa come unica responsabile di un
processo di sacrificio, di rigore e di sofferenza piuttosto
che di crescita e di benessere; dall’altro lato, a un modo
di essere e di operare dell’Europa che, per il suo percor-
so istituzionale interrotto, per la mancanza di una visione
di una unità politica necessaria e per il fallimento dell’e-
sercizio della Carta costituzionale, è incapace di andare
oltre il proprio modo di operare prevalentemente regio-
nalistico, burocratico e tecnocratico ed è quindi incapace
di affrontare i grandi temi dello sviluppo e della crescita.
Si sono così andati definendo nel tempo due profili di-
versi dell’Europa: uno è quello dell’Europa del rigore e
dei conti in ordine, necessario per mantenere quella par-
te di costruzione già intrapresa e realizzata, e uno invece
è quello dell’Europa dello sviluppo, necessario perché il
rapporto tra debito pubblico e Pil venga riequilibrato at-
traverso la crescita del Pil e non solo attraverso la com-
pressione del debito pubblico.
È come se questi due modelli di Europa fossero in contra-
sto l’uno con l’altro, quasi come se ci fosse una assoluta
contrapposizione tra la logica del rigore e la logica dello
sviluppo. E questa è – a mio modo di vedere – una im-
magine assolutamente sbagliata perché senza rigore non
può esserci sviluppo sostenibile ma, dall’altro lato, senza
politiche di sviluppo non ci sono quel consenso sociale e
quel consenso politico necessari perché si possa costrui-
re su basi ragionevoli e durature nel tempo una politica
del rigore, che pure è importante per mantenere le com-
patibilità necessarie. Il nodo sul quale oggi ci stiamo con-
frontando è un nodo che focalizza l’emergenza del mo-
mento, ma tiene poco conto delle ragioni per le quali ci
troviamo in questa situazione e quali sono le strade da
percorrere per uscire dall’emergenza stessa.
Nel mentre, in un mondo che compete in maniera sem-
pre più violenta e sempre più spinta con uno slittamen-
to del potere economico e della ricchezza strutturale da
Ovest verso Est, l’Europa è stata incapace di reagire e ne-
gli ultimi venti anni ha risposto con una politica di iper-
regolamentazione e di iperburocratizzazione – quella che
gli inglesi chiamano politica del “red tape”, cioè un’ele-
vata complicazione degli standard e delle procedure, lad-
dove altrove si assisteva a una maggiore flessibilità e si
conquistavano fette di mercato. Queste sono le due “Eu-
rope” che oggi si confrontano.
Su questo confronto c’è stato il grande dibattito del mo-
mento, il “Brexit”, la politica che la Gran Bretagna sta cer-
cando di negoziare con l’Europa e ovviamente il gradissimo
rischio – in questa fase così delicata e di basso consenso
per l’Europa e di forte disaffezione per le istituzioni eu-
ropee, in un Paese che ha una cultura fortemente auto-
IN UN MONDO CHE COMPETE IN MANIERA SEMPRE
PIÙ SPINTA CON UNO SLITTAMENTO DEL POTERE
ECONOMICO E DELLA RICCHEZZA STRUTTURALE DA OVEST
VERSO EST, L’EUROPA È STATA INCAPACE DI REAGIRE
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