Civiltà del Lavoro, n. 1/2016 - page 13

INTERVENTO
CIVILTÀ DEL LAVORO
I - 2016
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noma delle sue istituzioni, un elevato orgoglio della Co-
rona e una forte consapevolezza della monarchia – che
il referendum venga male inteso e colto dalla popolazio-
ne inglese come una opportunità per uscire dall’Europa.
Il rischio è serio. La business community è fortemente al-
lertata e allarmata e noi tutti stiamo cercando di contribuire
alla massima diffusione di informazione perché il “Brexit”
non si realizzi e la Gran Bretagna resti all’interno dell’U-
nione europea. La sua presenza è, infatti, indispensabile
alla formazione dell’Europa unita per due ordini di ragioni:
la prima perché l’integrazione economica e finanziaria tra
Gran Bretagna e Europa è talmente stretta che ne derive-
rebbe un enorme danno per entrambe; la seconda per-
ché la Gran Bretagna ha
mantenuto nel corso de-
gli ultimi venticinque anni
la frusta dell’efficienza e
della competitività come
un elemento fondamen-
tale per cercare di riequi-
librare la iperburocrazia e
la iperregolamentazione
dell’Europa continentale,
dando così un contributo
al quale noi non possiamo
rinunciare per cercare di
portare l’Europa su un ter-
reno di maggiore cresci-
ta e di maggiore sviluppo
sostenibile tale da poter-
si coniugare con il rigore.
Le contraddizioni di un’Eu-
ropa di questo tipo noi le
conosciamo, le abbiamo
viste. Ne cito una per rap-
presentare il caso nel modo più emblematico. In materia
ambientale, e chi vi parla è un ambientalista convinto, in
Europa abbiamo iperregolamentato al punto tale da co-
stringere, o da consentire, a grossi impianti della chimi-
ca mondiale di spostarsi a poca distanza dal confine eu-
ropeo, liberi di produrre in pieno inquinamento dell’aria,
delle acque e del terreno e liberi di esportare in Europa
a costi bassissimi. Così facendo, iperregolamentando la
produzione locale e iperliberalizzando le importazioni,
nel corso degli ultimi vent’anni abbiamo distrutto la chi-
mica europea.
Questo perché vivono all’interno della stessa struttura
dell’Europa di oggi anime assolutamente in contraddizio-
ne tra di loro: anime manifatturiere, come l’Italia e la Ger-
mania che sono i due grandi Paesi manifatturieri dell’Eu-
ropa, e anime di carattere più mercantile, come la Gran
Bretagna e il grande mercato d’Europa che, incapaci di
coordinare un’unica politica commerciale europea, han-
no di fatto impedito che ci fosse un raccordo tra la logica
di iperregolamentazione per chi produce e la logica di li-
bertà per chi importa.
Questo è uno dei tanti esempi di un’Europa superregola-
mentata che è, al tempo stesso, del tutto deregolamen-
tata nell’interscambio internazionale. Ce ne sono tanti al-
tri di esempi.
Oggi siamo esposti a una profonda concorrenza dal punto
di vista dei costi da pae-
si emergenti, che hanno
nel “dumping sociale” la
loro strada verso lo svilup-
po e la crescita economi-
ca. Tutti hanno fatto dum-
ping sociale, lo abbiamo
fatto noi, lo hanno fatto
gli inglesi ancora prima,
lo hanno fatto i giappo-
nesi, lo stanno facendo i
cinesi e questi ultimi stan-
no per essere superati dai
paesi emergenti dell’Asia.
Il dumping sociale è una
procedura complessa, lun-
ga, che ha il suo limite eti-
co e morale nell’evitare lo
sfruttamento del lavoro
minorile. Ma come si fa
a impedire che ci sia ma-
nodopera a basso costo in
questi paesi? Il dumping sociale, come detto poc’anzi, è
la loro strada per la crescita e la ricchezza.
Ma il “dumping ambientale” è un’altra cosa. Noi abbia-
mo tollerato, e ancora oggi tolleriamo, che anche i paesi
più sviluppati – Stati Uniti e Giappone in testa – siano i più
grandi inquinatori del mondo. E quindi, da questo punto
di vista, ci siamo trovati da un lato in una situazione di
debolezza competitiva e dall’altro abbiamo continuato a
immaginare e coltivare l’ideale che l’Europa, ormai ricca e
opulenta, potesse essere il grande laboratorio di idee da
far produrre in paesi a basso costo. L’idea e il modo stes-
so con il quale abbiamo governato e organizzato la no-
stra visione competitiva nel corso degli ultimi vent’anni
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