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Come diventare Nerio Alessandri

24.03.2022

«Ok, ti darò le risposte che probabilmente volevi sentire quando sei venuto qui. Parliamo di che cos’è la felicità…».

Nerio Alessandri è a capotavola, io sono alla sua destra, alla sinistra il fido Enrico Manaresi molleggia su una palla come quelle su cui siamo seduti anche noi. Qui non ci sono sedie, ma solo grandi ball nere che allenano i muscoli posturali. La segretaria ci ha servito un pranzo leggero su un piatto coperto da una specie di nido di legno chiaro («Se non fosse timida, dovresti intervistare lei, ti direbbe cose più interessanti di quelle che ti dirò io»). Siamo nell’ufficio di Alessandri, nel Technogym Village di Cesena, inaugurato il 29 settembre 2012 con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex presidente americano Bill Clinton che quel giorno, dopo aver parlato con la figlia Erica dei rispettivi cani (labrador ovviamente), sulla parete in fondo a questa stanza ha lasciato un autografo, sulla parete, col pennarello: “Thank you Nerio, grazie per quello che hai fatto”. Dieci anni dopo, sta ancora lì. Il Village è un parco enorme, dove si staglia, come un’arca, l’edificio progettato da Antonio Citterio, legno e vetrate infinite da cui passa trionfalmente la luce del sole della Romagna, forse perché la prima “cosa” che costruì, Nerio, a sei anni, era una casetta con i mattoncini Lego senza finestre. Formidabile la sua storia, se fossimo in America ci avrebbero fatto un film: figlio di un contadino di mezzadria e di un’operaia di una fabbrica che inscatolava frutta, «uno non sapeva leggere, l’altra non sapeva scrivere», ma gente tenace e onesta; quando arriva il fratellino di Nerio, il papà decide di costruire una casetta e lasciare quella dove vivevano con una ventina di parenti; la tira su personalmente, a Gambetta, come si faceva negli anni ’60, mattone dopo mattone, e diventa un manovale; il piccolo Nerio lavora da subito, il pomeriggio aiuta la mamma; anche quando lo iscrivono al Tecnico Industriale di Forlì, i compiti li fa dopo cena. Ha un grande senso estetico e un fiuto per gli affari; così riesce in qualche modo a barattare il primo stereo, il primo motorino, la prima macchinetta; i vestiti li vede in vetrina nei negozi chic e se li rifa uguali con una amica sarta; sogna di fare lo stilista, e un giorno scrive a Giorgio Armani per un colloquio ma non gli rispondono; lo assume invece una multinazionale con sede a Cesena, la Roda, che progetta e realizza macchine agricole, il suo primo vero lavoro a parte quando, nei mesi estivi, ha fatto il bagnino e il cameriere nei bagni in Riviera; allora anche se è mingherlino scopre il mondo delle palestre, ai tempi solo manubri e bilancieri, e intuisce che si possono fare delle macchine per fare sport meglio, e così nel garage della casetta di famiglia, progetta la prima “Hack Squat”; la ricomprerà anni dopo per esporla al Village. E 111983 e il resto è la storia di Technogym (nome da azienda globale, mentre doveva chiamarsi “Sanifort”, come un dentifricio per anziani). Qualche anno fa questa storia Alessandri l’ha scritta in un libro, Nati per muoverci, ma mi dice che il vero titolo era “L’imbestio”, espressione romagnola che vuol dire il sacro fuoco: «La prima versione l’avevo scritta pensando solo ai miei due figli, volevo che capissero che tutto quello che hanno oggi l’ha fatto un signore che è partito da niente ma aveva l’imbestio…». Trasmettere questo messaggio ai suoi figli e ai più giovani è una delle cose che lo preoccupa di più. Nerio ha compiuto 60 anni da poco ma ha ancora gli occhi spiritati in un viso segnato di rughe di chi non si è mai fermato. Gli dico: a venti anni uno ha la faccia che ha, a 60 quella che si merita, che storia racconta la tua faccia? Parte da lontano: «Più passano gli anni e più sento la responsabilità di lasciare qualcosa alle future generazioni, una legacy. Ogni settimana faccio colazione con un gruppo di giovani dipendenti e ogni volta dico loro: la sentite questa urgenza di creare qualcosa di importante che resti? I nostri genitori, nel dopoguerra, avevano questo senso civico; e anche la mia generazione. Ecco cosa racconta la mia faccia a 60 anni, questa ricerca continua di lasciare un segno. Mentre a 20 per fortuna sei uno sprovveduto, un incosciente, sennb forse non faresti l’imprenditore». Technogym fa da alcuni decenni macchine per fare sport che sono diventate delle icone, che segno pensi di aver lasciato? «Una cultura aziendale. Fatta di ascolto, umiltà, curiosità. Non dare nulla per scontato. Stare attento ai dettagli. Tendere al miglioramento continuo. E rispettare le critiche, i feedback, che non sono una seccatura, ma una opportunità per progredire. Io cerco questo approccio quando faccio i colloqui per le assunzioni, non mi interessa tanto il curriculum ma il carattere. Invece di intervistarli dico loro: fatemi una domanda. A volte quelli restano spiazzati. Non sanno che dire. Peccato, perché le domande sono importanti. Più delle risposte. Le domande indicano curiosità, la nostra disponibilità al cambiamento continuo che chiamiamo innovazione. Vedi, nella mia vita ho conosciuto tantissimi campioni, Schumacher, Nadal, Ronaldo… I campioni hanno tutti la stessa caratteristica, non si accontentano mai, sono super curiosi, vogliono costantemente migliorare. E se gli dai un feedback ti ringraziano; i presuntuosi invece, gli arroganti, quelli che hanno vanità da vendere, si offendono». Nerio Alessandri pero non si sente un campione. Ad un certo punto, rispondendo ad un’altra domanda mi dirà: «Ho anche smesso di dirlo purtroppo perché tutte le volte si mettono a ridere ma io mi sento ignorante cioè mi sento inadatto, mi sento costantemente inadatto, inadatto di fronte alle sfide. Ci sono persone che hanno preso 110 e lode all’università e hanno fatto dei master e io in confronto sono un poveraccio, un figlio di operai, a casa non avevamo neanche il telefono e andavamo alla cabina in piazza con i gettoni; anche per questo forse ancora oggi sento di dover ancora imparare tantissimo (in realtà ha preso due lauree honoris causa, ndr)». Gli chiedo: in che cosa sei ancora quello che a 21 anni fondò la Technogym, e in cosa sei cambiato? «In ogni momento penso ancora di avere davanti a me l’occasione della vita, l’incontro che mi pub cambiare tutto. Ma oggi ho meno pazienza, non voglio perdere tempo con le persone sbagliate. In passato mi adattavo a tutto pur di imparare. Adesso ho capito che il tempo che mi resta è ridotto e quindi devo selezionare le cose da fare. Il tempo è la risorsa più importante che abbiamo, la più democratica, ce l’abbiamo tutti, non va sprecato. Dobbiamo usarlo per crearci la nostra fortuna. Fortunati infatti si diventa. La fortuna è l’incontro fra il talento e l’occasione e se tu sei un talento eccezionale ma non crei mai l’occasione non ti succederà niente. Se invece sei un buon talento ma generi un sacco di occasioni qualcosa succederà. Vuoi sapere qual è il meccanismo per diventare fortunato? La prima cosa è l’allenamento costante, ma prima ancora c’è uno stato mentale, c’è la fame, che non vuol dire necessariamente esseri poveri, anche se a me ha insegnato tanto; vuol dire essere curiosi, affamati intellettualmente. Tutti i campioni sono curiosi e quindi vogliono approfondire e quindi studiano e questo genera passione che a sua volta crea una cosa importantissima, le competenze; le competenze generano gratificazione e a quel punto c’è un bivio: l’autocompiacimento, pericolosissimo, l’inizio della fine; oppure l’ossessione. L’ossessione è tutto, alcuni la considerano negativamente e invece è una parola straordinariamente positiva, pub trasformarti in un campione. È a quel punto che gli altri ti aiuteranno a crescere, perché da solo non vai da nessuna parte; come quando ero nel garage di casa e per caricare gli attrezzi che costruivo senza muletto mi facevo aiutare dai vicini…». Ci sono due cose che stupiscono nella vicenda di Technogym. La prima è stata la capacità di reinventarsi continuamente: di partire dalla meccanica e di arrivare, con gli ultimi attrezzi, nel metaverso, con gli allenamenti guidati da un’intelligenza artificiale. Per spiegare questo passaggio Alessandri prende un foglio e disegna quattro curve consecutive: «Qualsiasi cosa nell’universo, qualsiasi tecnologia, segue una curva sinusoidale: cresce, si consolida e declina. Il problema è cambiare prima del declino: se un prodotto ha successo vuol dire che è già obsoleto. Devi avere il coraggio di cambiare quando sei all’apice perché se lo fai troppo tardi il declino è inevitabile. Nella storia di Technogym, ci sono quattro curve: il momento della meccanica, negli anni ’90; poi l’elettronica, inizio Duemila; e ancora l’informatica e il cloud, negli anni Dieci; e adesso stiamo inserendo i contenuti, la produzione di allenamenti personalizzati, diventando una media company. Sono stati quattro cambiamenti radicali…». La seconda particolarità di Technogym è di non avere mai raccolto capitali per crescere come avviene a qualunque startup. Come è accaduto ad alcuni recenti concorrenti, come Peloton, che in Silicon Valley ha raccolto quasi due miliardi di dollari prima di entrare in crisi con la fine della pandemia. «Quando ho visto certe cifre mi sono preoccupato, non ci ho dormito la notte.

 

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Articolo pubblicato da Italian Tech il 24 Marzo 2022

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