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Vacchi: Dalle nostre macchine milioni di mascherine

18.05.2020

Tra pochi giorni il gruppo Ima consegnerà alla Protezione civile la prima di 25 gigantesche macchine capaci di produrre ogni giorno milioni di mascherine chirurgiche già imbustate e di mettere fine alle polemiche sui prezzi e sulla difficoltà a trovare protezioni a 61 centesimi. Macchine ideate e progettate allo scoppio della pandemia in Cina. Alberto Vacchi, presidente e ad del colosso del packaging, ne parla per la prima volta e fa il punto sulla situazione dell’azienda e sulla grave crisi economica innescata dal coronavirus. «Il governo — dice — ha fatto scelte anche interessanti, i soldi però devono arrivare con urgenza, perché tante imprese non sono in grado di resistere a lungo».
Vacchi, quando vedremo al lavoro le macchine per le mascherine?
«Molto presto. Consegneremo la prima a inizio giugno e l’ultima entro i primi giorni di agosto».
Fare mascherine non è esattamente il vostro mestiere.
«È vero, ma nel nostro gruppo ci sono risorse e capacità incredibili e abbiamo tantissimi progetti e ricerche avviati. Così in gennaio Teknoweb, la nostra controllata di Cremona che si occupa di salviette umidificate, ha iniziato a studiare un nuovo modello per le mascherine. Con i nostri ricercatori è stato messo a punto in tempi record il primo prototipo, poi a Pasqua ad accelerare il tutto è arrivata la richiesta della Protezione civile».
Come si chiama e come è fatto questo mostro?
«Si chiama ImaFace400 perché sforna 400 mascherine al minuto. Ogni linea, un insieme di macchinari molto sofisticati, è lunga più di dieci metri e larga tre».
Vuole dire che quei giocattoli sono in grado di produrre milioni di mascherine al giorno?
«Sì, è così, con le protezioni già imbustate e pronte per l’uso».
Quanto costa una meraviglia del genere?
«Naturalmente alla Protezione civile abbiamo fatto un prezzo molto particolare per dare una mano ad affrontare l’emergenza: non è con questo ordine che vogliamo guadagnare. Però credo che troveremo altri acquirenti: dall’estero sono già arrivate diverse richieste.
Naturalmente verranno dopo, perché il nostro impegno è rispettare la priorità della Protezione civile. I nostri tecnici e operai stanno facendo i salti mortali per rispettare i tempi e fornire un buon prodotto».
È così complicato fare una macchina?
«Una sfida pazzesca, soprattutto in tempi così rapidi. Si tratta di linee di produzione con un alto contenuto di tecnologia e di elettronica. Il nostro vantaggio è l’esperienza in molti settori, dalle bustine del tè ai farmaci all’alimentare».
Come avete vissuto in azienda questi mesi di crisi?
«Non ci siamo mai fermati del tutto perché 500 persone hanno lavorato in smart working.
Anche durante il lockdown abbiamo operato, garantendo la massima sicurezza ai dipendenti, per rifornire le macchine all’industria farmaceutica e alimentare. Poi abbiamo dato grande impulso alle tecnologie di lavoro in remoto. Un’esperienza che sarà assai utile per il futuro».
Intanto avete chiuso il trimestre in rosso. È preoccupato per i conti?
«Sinceramente no. Il risultato dei primi tre mesi, pur risentendo del rallentamento generale, è molto buono e abbiamo segnali eccellenti per i prossimi mesi. I nostri clienti non ci hanno mai abbandonato, il portafoglio ordini è in linea con l’aprile del 2019 e se non ci saranno nuove fiammate del contagio confido in un buon bilancio di fine anno».
A Piazza Affari, però, le azioni Ima hanno perso valore.
«Siamo abituati alle oscillazioni dei mercati, ma i nostri titoli tengono molto meglio della media dei listini».
Identica fiducia per l’Italia?
«Gli effetti sull’economia saranno pesanti perché questa è la peggior crisi dal dopoguerra.
Ci vorrà un anno, forse un anno e mezzo, per superarla».
Il governo?
«In una situazione complicata ha fatto anche scelte interessanti, il problema principale è far arrivare subito i denari, perché più passa il tempo più imprese rischiano di non farcela».
L’Europa?
«Almeno in parte ha dimostrato di esserci e di aver capito che siamo una potenza manifatturiera decisiva per il vecchio continente».
Intanto in Emilia arrivano i cinesi. Come giudica l’investimento da un miliardo di Faw per fare auto elettriche di lusso?
«È la conferma che questa regione ha una marcia in più in tanti settori. Investire nell’auto elettrica è una delle chiavi della ripresa e del futuro. Anche per questo abbiamo acquisito Atop, guidata dall’ex ad di Ferrari Amedeo Felisa. Credo che ci darà grandi soddisfazioni».
di Luciano Nigro @Repubblica
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