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Tronchetti Provera: O l’Italia cresce o si schianterà

18.05.2020

“È  un’impresa da far tremare le vene e i polsi”, ripete Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli, circa 5 miliardi di fatturato in tutto il mondo, uno dei (pochi) grandi gruppi industriali con base italiana (il controllo si è trasferito in Cina cinque anni orsono, ma sede e tecnologia restano in Italia per statuto). Parla del grande progetto per ricostruire il Paese dopo il terremoto della pandemia: un’operazione «di straordinaria complessità», ma anche «un’occasione irripetibile per cambiare l’Italia, un vero e proprio appuntamento con la storia». Lo scenario di partenza è quello disegnato dalle previsioni delle istituzioni europee e italiane: una enorme massa di denaro a disposizione, con il risvolto inevitabile di un debito pubblico destinato a impennarsi dal 130 al 160% del Pil, anche perché il Pil è stimato in caduta libera, tra il 9 e i110% in meno rispetto al 2019. Si ritrova in queste previsioni, dottor Tronchetti? «Mi sembrano stime ragionevoli, anche se la percentuale di erosione del Pil anno su anno dipenderà dalla velocità della ripartenza, che ancora non possiamo valutare con precisione. Un rapporto del 160% tra debito pubblico e Pil è un dato terribile, ma più che ai numeri di quest’anno dobbiamo guardare al passaggio delicatissimo che la storia ci ha messo di fronte».

Come lo sta affrontando, il governo italiano? «Ha fronteggiato l’emergenza sanitaria meglio di altri, commettendo meno errori di quelli che abbiamo visto fare in Paesi che pure sono arrivati al picco dei contagi settimane dopo l’Italia. Ha difeso bene, in Europa, gli interessi del Paese, portando a casa risultati apprezzabili. Ma adesso è arrivato il momento di fare i conti con il mondo reale, i provvedimenti scritti devono diventare fatti». Ecco, appunto: sul piano del fatti la macchina pubblica si è vistosamente inceppata, gli aiuti più urgenti faticano ad arrivare a destinazione. «Non c’è un solo responsabile, la ragione di questa inefficienza è la complessità del sistema. La burocrazia fatica perché deve inerpicarsi su una montagna di riferimenti normativi, atti, leggi e regolamenti. Le banche rallentano il flusso dei prestiti, è vero, ma se il prestito è garantito al 90% su quel 10% residuo il funzionario deve espletare tutte le verifiche di conformità, o rischia di passare guai. Siamo in ritardo nel coprire il buco, quindi l’urgenza è fare in modo che gli aiuti arrivino a chi ne ha bisogno, monitorando la situazione per rimuovere gli ostacoli».

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