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Sella, il primo cavaliere | CorSera Torino (24 ottobre 2019)

24.10.2019

L’articolo di Giorgia Mecca pubblicato sul Corriere della Sera
Edizione Torino il 24 ottobre 2019


“Vi prego, datemi qualche lavoro». Maurizio Sella era soltanto un bambino ma aveva fretta, voleva darsi da fare. Figlio della guerra e della voglia di ricostruire il Paese, si portava dietro il cognome della famiglia, generazioni su generazioni di politici, imprenditori, banchieri, non come un fardello ma come un impulso per la sua ambizione.

Poche ferie Niente Costa Smeralda ma tenda in Grecia perché gli eccessi non gli appartengono dello, ma come un impulso per la sua ambizione. Tutti gli hanno insegnato qualcosa. Da Quintino, ministro delle Finanze del Regno d’Italia, a Gaudenzio, fondatore dell’istituto di credito, a Venanzio e Riccardo, che amavano dire ai loro dipendenti: «Ricordatevi che è l’amore per i clienti che ci dà il pane». Da lunedì sera Maurizio Sella è il nuovo presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro, assemblea di cui fa parte dal 1992.

A settantasette anni subentra ad Antonio D’Amato ed è il primo piemontese a ricoprire questo incarico per cui è stato eletto all’unanimità. E pensare che la montagna poteva distoglierlo dall’azienda di famiglia. A diciassette anni, il non ancora designato erede alla guida dell’istituto bancario, era un osservato speciale della Federazione italiana di Sci. Volevano portarlo alle Olimpiadi invernali di Squaw Valley, California, per farlo competere nello slalom gigante. Gli sci però non danno da mangiare, la banca sì, soprattutto se porta il tuo stesso cognome. Malgrado l’età delle grandi speranze, Maurizio non ha mai avuto dubbi né ripensamenti: tra una medaglia appesa al collo a tempo determinato e un posto fisso in banca ha preferito la seconda.

Saggio e disilluso: così è, se vi pare, il pragmatismo piemontese. A ventisei anni, doPo la laurea in Economia e Commercio (tesi guarda caso sulla genealogia dei suoi antenati) decide di chiedere un colloquio a suo zio Giorgio, che allora è amministratore delegato del gruppo. Tutto in famiglia, ma con rispetto e pudore. E ovviamente, tipico understatement sabaudo. Comincia a lavorare con la qualifica di impiegato normale, come tutti i comuni mortali che non si chiamano come lui. Nel 1966 prende uno stipendio di 117 mila lire al mese: senza infamia e senza lode. La sua prima mansione è quella di cassiere in una succursale, a Chiavazza, periferia della provincia, cinquemila abitanti malcontati che ogni volta che lo vedono gli fanno sempre la stessa domanda per esserne sicuri: «Ma lei è parente di quei Sella? E che cosa ci fa dietro a uno sportello?». Altro che rampollo o alta società, da queste parti il motto è testa bassa e lavorare: ha bisogno di tre anni e mezzo di apprendistato senza sconti né raccomandazioni per sentirsi finalmente grande. Nel 1974 diventa Amministratore Delegato e non cambia nulla: nessun vizio e nessun eccesso. Il lusso non esiste, e comunque non si ostenta. La privacy e sacra, il risparmio vale oro. Non soltanto quello dei suoi correntisti. Altro che yacht, ville, smeraldissima Sardegna o gli altri paradisi dei nuovi ricchi: molto meglio il campeggio, magari in Grecia, venti giorni di ferie e non di più, come tutti quelli che lavorano per lui. E proprio in vacanza in camping quando, nel luglio del 1981, viene chiamato a far parte del Comitato Esecutivo dell’Abi, l’associazione bancaria italiana. Un banchiere in tenda, anche questo è potere. E soprattutto tradizione di famiglia che si tramanda. Nel 1880, in calce al suo testamento Quintino aveva voluto ammonire i suoi eredi: «La nostra famiglia deve la sua prosperità (mai ricchezza, per carità) al lavoro, alla concordia e alla parsimonia». Sono tre le chiavi per il successo: sobrietà, sobrietà e ancora sobrietà. E poi dedizione, fiducia nel futuro, investimenti e innovazioni. E così che si manda avanti un’azienda di cinquemila dipendenti (divisi a metà tra uomini e donne) con più di trecento succursali, con un’università aziendale, l’acceleratore di idee SellaLab. Tutto ovviamente made in Biella, senza mai quotarsi in borsa per rivendicare il proprio spirito artigianale. Famiglia povera, impresa ricca. Lo dicono tutti gli illuminati. Nel nome dei padri, dei figli, dei clienti e del risparmio di tutti.


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