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SINTESI IN PRIMO PIANO – 21 aprile 2021

In evidenza sui principali quotidiani:

– Emergenza Covid: nella bozza del Dpcm le riaperture, il green pass e la scuola;
– L’inchiesta sul figlio di Beppe Grillo, Giuseppe Conte si smarca e cresce la protesta 5S;
– Recovery Plan: il Premier Draghi ha incontrato Confindustria e Sindacati;
– B20, al centro donne e clima: al via il gruppo di lavoro coordinato da Elkann e Marcegaglia;
– Usa: processo Floyd, condannato l’agente: colpevole di omicidio;
– Elezioni Cdu: candidato Laschet, nel segno dell’Europa.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica – Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Certificato verde per spostarsi E il 15 maggio aprono le piscine
Tema: Riaperture: il pass verde

Pranzi e cene all’aperto, spostamenti liberi tra regioni gialle, spostamenti per turismo tra regioni arancioni e rosse con la certificazione, in due per andare a visitare parenti e amici nelle zone gialle e arancioni: così riapre l’Italia dal 26 aprile. E dal primo maggio da amici e parenti si può andare in quattro, si va anche in piscina e nei centri commerciali il sabato e la domenica. Ma alle 22, tutti a casa. La bozza del decreto che il governo approverà oggi conferma le misure anticipate dal presidente del Consiglio Mario Draghi cinque giorni fa. Il percorso è segnato fino al 31 luglio. Fino ad allora è stato prorogato anche lo stato di emergenza. Torna la fascia gialla, mentre «gli spostamenti in entrata e in uscita dai territori delle Regioni e delle Province autonome collocati in zona arancione o rossa sono consentiti ai soggetti muniti delle certificazioni verdi». Rimane la possibilità di muoversi da queste aree per lavoro, salute e urgenza con autocertificazione. «Le certificazioni verdi sono rilasciate per attestare l’avvenuta vaccinazione al termine del prescritto ciclo, l’avvenuta guarigione, l’effettuazione di test antigenico rapido o molecolare con esito negativo». La certificazione «ha una validità di sel mesi ed è rilasciata in formato cartaceo o digitale, su richiesta dell’interessato, dalla struttura sanitaria che effettua la vaccinazione». Ma «cessa di avere validità qualora, nel periodo di vigenza semestrale, l’interessato venga identificato come caso accertato positivo». Le certificazioni «di guarigione rilasciate precedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto sono valide per sei mesi a decorrere dalla data indicata nella certificazione». La certificazione relativa al tampone «ha una validità di quarantotto ore dal rilascio ed è prodotta, su richiesta dell’interessato, in formato cartaceo o digitale, dalle strutture sanitarie pubbliche da quelle private autorizzate e accreditate e dalle farmacie che svolgono i test».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bocci Michele 
Titolo: Green pass per uscire dalla zona gialla: ai non vaccinati servirà il tampone
Tema: Riaperture: il pass verde

Non un pass unico ma tre “certi ficazioni verdi”, generalmente cartacee, che permettono di svolgere una serie di attività, ad esempio di spostarsi (da e verso) le regioni arancioni e rosse. L’articolo 10 della bozza di decreto del governo introduce lo strumento che in tanti aspettavano per riprendersi almeno un pezzo della vita di prima. La soluzione disegnata per ora è abbastanza semplice e si spera di farla partire già il 26 di aprile. Si basa sui documenti normalmente rilasciati a chi fa il vaccino o il tampone, o anche a chi ha avuto il Covid, da piegare e portarsi sempre dietro nella tasca. Insomma, non è ancora pronto un sistema digitale che permetta subito di creare un vero pass unico. Le certificazioni provano «lo stato di avvenuta vaccinazione contro il Sars-CoV-2 o guarigione dall’infezione, ovvero l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-CoV-2». I test possono essere sia quello “tradizionale” che quello veloce. Vengono descritte nel dettaglio le caratteristiche tecniche che devono avere. Comunque devono essere «riconosciuti dall’autorità sanitaria ed effettuati da operatori sanitari». Non vanno bene quindi quelli con prelievo salivare, che ancora non sono autorizzati dal ministero (ma potrebbero essere presto ammessi), e nemmeno quelli fai-date. Per quanto riguarda le vaccinazioni, la certificazione deve essere rilasciata quando il ciclo è completo, cioè quando è stata fatta la seconda dose, oppure anche solo la prima se il vaccino è quello di JohnsoneJohnson ose la persona ha già avuto il Covid.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Monticelli Luca – Russo Paolo 
Titolo: Sulla scuola il governo cede alle Regioni in presenza soltanto il 60% degli studenti
Tema: Riaperture: la scuola

Le regioni la spuntano sulla scuola, ma perdono il braccio di ferro con il governo sul coprifuoco che resta alle 22. Palazzo Chigi accelera e conta di portare in Consiglio dei ministri il nuovo decreto sulle riaperture già oggi, l’intenzione è giocare d’anticipo per evitare il pressing dei governatori, della Lega che chiede il via libera anche per i ristoranti al chiuso e delle categorie. Ad alzare i toni è la ministra degli Affari regionali, Mariastella Gelmini, che a «La Stampa» dice: «Sarebbe bastato allungare l’anno scolastico come aveva detto il premier Mario Draghiin Parlamento, invece isindacati non hanno voluto. Per colpa loro ci dobbiamo inventare le metropolitane che volano». Gelmini tiene a sottolineare che la linea del governo non è «un liberi tutti» e di questo ne ha parlato con la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese: «Lei è d’accordo sia sui controlli, che vanno intensificati, sia su una massiccia comunicazione istituzionale sul rispetto delle regole, che dobbiamo far partire chiamando come testimonial grandi personaggi dello sport, della cultura e dello spettacolo». Le regioni, grazie alle concessioni sulla Dad e al tavolo sul trasporto pubblico locale, annunciato dalla stessa ministra degli Affari regionali, hanno ricucito con l’esecutivo dopo le recenti tensioni. Il ritorno in classe degli studenti delle superiori al 100% era una soluzione «tecnicamente impraticabile», ha detto il leader dei governatori, Massimiliano Fedriga, anche se alla fine restano i dubbi dei presidenti sulla soglia di alunni da garantire in presenza: il 60% nelle zone gialle e arancio/ e almeno il 50% nelle aree rosse. Sul Trasporto pubblico locale viene mantenuto il vincolo che prevede il riempimento di bus, metro e treni della metà rispetto alla capacità effettiva, ma potrebbe salire. Se ne parlerà al tavolo con gli enti locali e i ministri Giovannini, Bianchi e Lamorgese. «Il trasporto pubblico è un problema con le scuole aperte, però in questi mesi non si è fatto nulla – attacca Gelmini – e le gare presentate dalle regioni per acquistare mezzi in più vanno a rilento».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso – Lauria Emanuele 
Titolo: Scuola, dietrofront sul rientro di massa da lunedì alle superiori 6 studenti su 10
Tema: Riaperture: la scuola

Il compromesso sulla scuola arriva al termine di un corpo a corpo con le Regioni: alla fine, nel decreto legge che vedrà la luce probabilmente già stasera, la percentuale degli studenti in presenza nelle scuole superiori scende dal 100 per cento annunciato dal premier Draghi a un minimo del 60 per cento. Ma un altro ostacolo si profila sulla strada che porta al sofferto via libera alle riaperture: Matteo Salvini tenta l’ultimo assalto e fa sapere che la Lega oggi in Consiglio dei ministri chiederà di far scattare già dai primi di maggio (e non da inizio giugno) l’attività dei ristoranti al chiuso. Non solo: il Carroccio proverà a strappare anche il rinvio del coprifuoco serale dalle 22 alle 23. La posizione di Draghi, e della gran parte dell’esecutivo, è molto prudente su questi punti e ricalca la linea rigorista del ministro della Salute Roberto Speranza: sarà ribadito il no all’anticipo per i ristoranti che non hanno tavoli all’esterno, mentre sul coprifuoco si cercherà un punto di caduta. Magari, si ragiona in ambienti di governo, l’orario di rientro nelle proprie abitazioni potrebbe essere spostato alle 23 o anche a mezzanotte a partire da giugno e poi, a estate inoltrata, la rimozione di ogni limite. Unica certezza è che le misure in arrivo avranno validità più lunga di quanto ipotizzato: la scadenza il 31 luglio. La novità più significativa riguarda, appunto, la scuola. Ed è frutto di una trattativa serrata, condotta sotto il pressing di presidi, insegnanti, sindacati di categoria che si erano ribellati a un ritorno in massa a scuola degli studenti nelle zone gialle e arancioni. A rendere complicato quel “segnale di ritorno alla normalità” voluto da Draghi due problemi: il nodo del trasporto pubblico, con la capienza dei bus limitata al 50 per cento e la mancanza di mezzi necessari per le nuove esigenze, e l’impossibilità – sottolineata dai capi d’istituto – di garantire anche nelle aule condizioni di sicurezza.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Il premier: piani obsoleti, è mancato un sistema di allerta
Tema: Global Health Summit di Roma

«Il nostro lavoro deve iniziare ora, poiché non sappiamo per quanto tempo durerà questa pandemia o quando ci colpirà la prossima». È uno dei concetti espressi ieri da Mario Draghi in un videomessaggio in occasione di un webinar di preparazione al Global Health Summit di Roma in programma il 21 magio. Evento che coinvolgerà 41 Paesi ed e organizzato dal governo italiano, che ha la presidenza del G20, e dalla Commissione europea. Il summit non si svolgerà in presenza e si concluderà con una dichiarazione adottata da tutte le delegazioni. II capo del governo ieri, in collegamento con i rappresentanti della società civile, ha in qualche modo introdotto il vertice indicando alcuni punti chiave: «L’attuale pandemia ci impone di essere preparati meglio per il futuro. Dobbiamo sostenere la ricerca, rafforzare le catene di approvvigionamento e ristrutturare i sistemi sanitari nazionali. Dobbiamo rafforzare il coordinamento e la cooperazione globali». II Global Health Summit servirà anche a dettare le linee guida di contrasto e intervento in caso di altre future pandemie, come ha detto ancora il presidente del Consiglio: «La maggior parte di noi non era pronta ad affrontare una crisi sanitaria di tale portata. Ci mancava la capacità di rilevare la pandemia attraverso un sistema di allerta precoce. I nostri piani di emergenza erano obsoleti e insufficienti. Nonostante tutto il coraggio dei nostri medici e infermieri, il virus ha messo in luce le fragilità del nostri sistemi sanitari. Ma abbiamo mostrato la capacità di reagire».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fasano Giusi 
Titolo: Bongiorno: porterò dai pm il video del garante 5 Stelle Il pianto della ragazza
Tema: Inchiesta sul figlio di Grillo

Questa storia non è il video di Grillo. Non sono le sue parole urlate alla telecamera. Non è il suo dramma di padre. È prima di tutto la storia di una ragazza di 19 anni che racconta di aver subito una violenza sessuale e davanti a quella parola – stupro – rovesciare la prospettiva è un dovere. Quindi. C’è una ragazza (in realtà due, anche se dell’altra non si parla mai) che racconta di essere stata violentata. E ci sono quattro ragazzi che invece sostengono che non c’è stata nessuna violenza, che lei «ci stava», per essere chiari. E tutto lì il discrimine, nel concetto di una donna che «ci sta», che «era consenziente», che «ha denunciato dopo otto giorni… Strano». E poi, dice Grillo, «c’è un video e si vede il gruppo che ride», che «sono ragazzi che si stanno divertendo», che «sono in mutande, saltellano col pisello così perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori». E se invece la ragazza sta dicendo la verità? Come può sentirsi la vittima di uno stupro se per ore e ore – ormai da due giorni – vede la sua storia su ogni sito, su ogni talk show, su ogni giornale, raccontata da un uomo che, in sostanza le dà della bugiarda? Giulia Bongiorno, l’avvocata che la difende, parla di «dolore amplificato», di notte senza sonno, di «lacrime e disperazione», e dice che «la famiglia della ragazza è totalmente distrutta». Rivela una quantità infinita di richieste di interviste ma «hanno scelto il silenzio», giura, anche se il video di Grillo – già dirompente il primo giorno – ha creato ancora più tempesta ieri. «Quel video è un boomerang», si è spinta a dire. «Ha ridicolizzato i fatti, un’atipica strategia difensiva: si riduce in briciole un fatto in modo tale che sembri irrilevante. Ora mi aspetto un video in cui si dirà: beh, allora che sono venute a fare in Sardegna? È una strategia che tende a sostituire i ruoli processuali: le ragazze diventano imputate».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vecchio Concetto 
Titolo: Conte si smarca da Grillo “Rispettare donne e toghe” Cresce la protesta delle 5S
Tema: Inchiesta sul figlio di Grillo

Giuseppe Conte dopo un giorno trascorso a rimuginare in silenzio a sera, pressato anche dagli imbarazzi del Pd, prende finalmente le distanze dall’intemerata video di Beppe Grillo. «Comprendo le sue angosce, ma anche il dolore della ragazza. Con il Movimento 5Stelle mi accomunano da sempre queste due convinzioni: di ritenere indiscutibile il principio dell’autonomia della magistratura e di considerare fondamentale la lotta contro la violenza sulle donne, una battaglia che abbiamo sempre combattuto in prima linea, basti ricordare l’introduzione delle norme sul codice rosso. Questi principi continueranno a informare la nostra azione politica e a ispirare le nostre battaglie culturali». E gli altri big del Movimento? Da Luigi Di Maio a Riccardo Fraccaro, da Stefano Patuanelli ad Alfonso Bonafede, giunge solo un silenzio carico di disagio. L’unica che si è esposto, ma per difendere il fondatore, è stato l’altro giorno Alessandro Di Battista. Parlano molte donne del Movimento, invece. «Una donna o un uomo hanno diritto di denunciare eventuali violenze quando lo ritengono più opportuno e comunque entro i termini stabiliti dalla legge, che sono stati correttamente allungati», dichiara a sera, interpellata dall’Ansa, la sindaca di Torino Chiara Appendino. Mezz’ora dopo, alle ore 21, esce allo scoperto anche la prima cittadina di Roma, Virginia Raggi: «Capisco la sofferenza di Beppe, ma le donne devono poter denunciare sempre». Parole simili le aveva usate tra le prime già lunedì, Maria Edera Spadoni, la vicepresidente della Camera. Sul suo profilo Twitter campeggia la foto della panchina rossa, simbolo della lotta alla violenza nei confronti delle donne. Spadoni, nel novembre 2019, si era fatta fotografare con il presidente della Camera Roberto Fico su quella panchina. Ma Fico ora tace sul caso Grillo. Altre hanno bucato la cortina dell’imbarazzo. L’onorevole Federica Daga ha rilasciato un’intervista coraggiosa ieri aRepubblica. Valentina Barzotti si è esposta: «Vicinanza umana, ma la legge è legge».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: L’ex premier non convince il Pd «Servono parole più chiare»
Tema: Pd-M5S

il problema irrisolto del Pd, quello che ha spinto Nicola Zingaretti a dimettersi. E ora, all’indomani dell’uscita di Beppe Grillo, si ripropone tale e quale. Ha avuto poco più di un mese di navigazione tranquilla Enrico Letta, e in questo momento certo nessuno cercherà di minarne la leadership, ma il problema resta. Con l’interrogativo che si porta appresso e che una parte del Partito democratico continua a porsi: «Perché un’alleanza organica con i 5 Stelle?». Anzi, adesso è anche più urgente quella domanda per i dem, perché dopo le pressioni del Pd, Giuseppe Conte aspetta ore prima di convincersi a parlare. Lo fa cercando di mediare tra l’ira funesta di Grillo e la tutela delle vittime. «Esercizio di arrampicata sugli specchi», lo bolla un autorevole esponente di Base riformista, la corrente degli ex renziani. La tela dei rapporti tra dem e 5 Stelle è ancora tutta da tessere. Letta fa la spola tra Conte, Vito Crimi e Luigi Di Maio, perché ancora non si è capito chi comanda nel Movimento. E l’uscita di Grillo non aiuta. Nelle città più importanti l’accordo con il M5S non si farà. Non a Roma, dove il 20 giugno si terranno le Primarie del centrosinistra (e non è detto che alla fine della festa si decida di soprassedere) e poi si farà campagna elettorale contro Virginia Raggi, difesa da Grillo. Non a Milano, dove Beppe Sala, sicuro del fatto suo, ha detto: «No grazie, dei 5 Stelle qui non c’è bisogno». Non a Torino, dove l’ex sindaco Piero Passino ha già avvertito: «Qui non ci sono le condizioni per un accordo con i grillini» E nemmeno a Bologna, dove il candidato del Pd, Matteo Lepore, alle primarie se la dovrà vedere con Isabella Conti, sindaca di San Lazzaro, lanciata da Renzi. Forse solo a Napoli, delle grandi città chiamate al voto in ottobre, grillini e dem riusciranno a trovare un accordo. Però non su Roberto Fico, perché c’è stato il veto di Enzo De Luca.
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Testata:  Panorama 
Autore:  Rico Alessandro 
Titolo: Il Quirinale e la sindrome cinese
Tema: Quirinale

La scalata al Colle, a inizio 2022, sarà il passaggio cruciale. Chi entra al Quirinale dà le carte della Repubblica. Perciò la sinistra, che colleziona batoste alle urne, spera di potersi aggrappare al successore di Sergio Mattarella per condizionare l’eventuale futuro esecutivo a trazione sovranista. A questo risiko, in una fase storica così complicata, s’è aggiunta un’incognita in più: Pechino. Cosa c’entra la Cina con il Quirinale? C’entra. Magari il Dragone non briga dietro le quinte. Non può sperare di alterare le alchimie dei palazzi romani. Tuttavia, spera in un singolare incrocio tra i disegni del Partito democratico e i progetti del suo soft power. Specialmente qualora i dem riuscissero nel colpaccio: sistemare al Quirinale il tremente Romano Prodi, storico amico di Pechino. Il piano per portarlo sullo scranno più alto d’Italia, caldeggiato dal neo-segretario Pd, Enrico Letta, prevede anzitutto d’imbrigliare il concorrente più insidioso: l’attuale premier, Mario Draghi. Ovvero, la personalità sulla quale potrebbe puntare una destra a corto di candidati e agibilità politica. E in effetti, il nome di Super Mario era stato tirato fuori, in tempi non sospetti, dalla Lega, su impulso di Giancarlo Giorgetti. Per il Pd, sarebbe complicato rifiutargli il sostegno. Il discorso, però, cambierebbe, se la reputazione dell’uomo del «Whatever it takes» venisse macchiata da qualche clamoroso flop. Specie sulla campagna di vaccinazioni, che stenta a decollare. Ed è anche per questo che Letta cerca l’incidente con Matteo Salvini. L’obiettivo? Far sprofondare Draghi in un «irrespirabile Vietnam». L’inquilino di Palazzo Chigi per adesso annaspa nel pantano d’una maggioranza composita, divisa tra rigoristi e aperturisti. Il mito di Super Mario rischia di uscirne minato, il suo appeal quirinalizio annullato. E c’è chi si spinge fino a sostenere che sia stato Mattarella in persona a orchestrare la trappola, irretendo Mr. Bce per toglierlo di mezzo dalla corsa al Colle. Se il tranello riuscisse, avrebbe campo più libero proprio Prodi.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Bonomi: «Evitare azzardi sul Def. Serve visione strategica sulle filiere industriali nel Pnrr»
Tema: Recovery, colloquio Bonomi – Draghi

Una «visione generale» per la «costruzione di una nuova Italia». Che tocchi tutti i problemi in cui si dibatte il paese: l’«emergenza assoluta» del lavoro; la liquidità delle imprese e il rafforzamento del loro capitale; il rientro dal deficit, su cui «per evitare azzardi occorre prevedere interventi per una crescita solida». E poi l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza: serve un coinvolgimento sistematico delle parti sociali, una governance snella, una «visione industriale strategica» che approfondisca le filiere centrali della nostra manifattura; occorre dare più spazio ai privati, accogliendo le proposte dell’Antitrust. E la riforma del welfare non va realizzata per compartimenti stagni. Nel colloquio di ieri con il presidente del Consiglio, Carlo Bonomi ha approfondito i temi prioritari per la crescita del paese, dal quadro macroeconomico, alle misure più urgenti per le imprese, al Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’Europa rischia di restare indietro e l’Italia più indietro ancora, ha fatto presente Bonomi al premier. L’auspicio è che «con il nuovo Pnrr, di cui Confindustria non conosce ancora i dettagli, il governo sappia utilizzare al meglio le risorse europee». Confindustria si è riservata una vlutazione perché ad oggi non è stato visto alcun documento, l’ultima versione disponibile risale al 12 gennaio. Ciò che sollecita il presidente di Confindustria è una «visione» per la ripresa del paese. E parla di «pregiudicata sostenibilità sociale», situazione che richiede «risposte ispirate allo stesso senso di emergenza che ci vede impegnati contro la pandemia». Le fratture sociali «in continua crescita» richiedono una «revisione generale dell’intervento dello Stato» in alcuni pilastri fondamentali, a partire dall’offerta formativa pubblica, la sanità, riequilibrio della previdenza, riforma organica del fisco e delle procedure pubbliche, abbandono di criteri elettoralistici e assistenziali «Il tempo per le imprese è trascorso invano», ha fatto presente Bonomi, che ha rinnovato la disponibilità di Confindustria.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Le parti sociali incalzano il governo: «Sul Recovery un ruolo attivo»
Tema: Recovery, colloquio Governo-parti sociali

Pressing delle parti sociali su Mario Draghi per avere un ruolo attivo nella gestione del Recovery plan, ovvero dei circa 200 miliardi di risorse europee destinate all’Italia. La richiesta di un coinvolgimento nella governance è venuta ieri sia dai sindacati sia dalle associazioni imprenditoriali, incontrati separatamente dal presidente del Consiglio in vista dell’approvazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), probabilmente venerdì in consiglio dei ministri. Il presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, ha chiesto al premier «un sistematico coinvolgimento delle parti sociali nell’attuazione del Piano. Una vera e propria “rete” nazionale, composta da soggetti pubblici e privati, per monitorare e accompagnare l’esecuzione dei progetti». Stessa cosa hanno fatto i leader di Cgil, Cisl e Uil. Secondo l’Alleanza delle cooperative la governance allargata alle parti sociali è più adeguata del modella «task force». La Cna (artigiani) propone una «cabina di regia permanente». Queste richieste si sommano a quelle delle autonomie locali e dei partiti. Un problema per Draghi, che mette a rischio l’approvazione del decreto legge sulla governance che dovrebbe accompagnare il piano. Decreto che potrebbe quindi slittare. Per ora, infatti, lo schema sul quale lavora il premier prevede due livelli: uno centrale, col coordinamento politico di Palazzo Chigi, e uno periferico con Regioni, province e comuni. I nodi politici da sciogliere sono due: l’allargamento della task force di Palazzo Chigi, che nel disegno di Draghi dovrebbe essere composta solo dai ministri competenti, ai capi delegazione della maggioranza; il coinvolgimento delle parti sociali.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine 
Titolo: Arriva il nuovo Recovery: tre spine su Sud, fondi 5G e centri di tech transfer
Tema: Recovery Plan

Sud, banda ultralarga e 5G, centri di ricerca e trasferimento tecnologico. La costruzione del nuovo Recovery plan, atteso al consiglio dei ministri tra domani e venerdì, ha creato più di un malessere. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, ad esempio, il Pd ritiene insufficiente il risultato rivendicato invece come un successo dal ministro di Forza Italia Mara Carfagna, cioè la destinazione del 40% di fondi al Sud. Calcolo effettuato al netto di i7 miliardi considerati non ripartibili su base territoriale. La contestazione è che il 34%, cioè la quota minima prevista dalla legge per gli investimenti ordinari, viene superata solo conteggiando anche 21 miliardi del Fondo sviluppo e coesione che comunque (per una quota dell’80%) sarebbero stati destinati al Sud. Nell’intervista al Sole 24 Ore del 18 aprile Carfagna ha evidenziato che i 21 miliardi, come specificato dal Def, saranno reintegrati salvando l’addizionalità. Ma in una nota 16 deputati meridionali chiedono che il recupero delle risorse Fsc avvenga in modo certo e scandito nel profilo annuale all’interno «del fondo pluriennale di investimenti che si sta costituendo per i progetti extra Recovery». «Serve una fortissima spinta agli investimenti pubblici per andare davvero oltre il 34%» commenta Antonio Misiani, responsabile economia del Pd. I Dem in realtà avrebbero espresso perplessità anche su un capitolo del piano cui ha lavorato il ministro per l’Innovazione e la transizione digitale, Vittorio Colao. Nel piano sarà evidenziata l’importanza del 5G insieme alla tecnologia mista Fwa per affiancare la fibra nella copertura della banda ultralarga. Durante l’audizione dell’ex manager di Vodafone in commissione Trasporti e tlc della Camera, una settimana fa, il gruppo Pd ha sollevato il tema. In sostanza, secondo quanto poi ricostruito, peri Dem non si possono usare risorse del Recovery plan per sussidiare gli operatori tic nella mera copertura mobile 5G se questa è già prevista dagli obblighi delle gare con cui le compagnie si sono aggiudicati le frequenze.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  N.P. 
Titolo: Donne e clima le priorità nella riunione del B20
Tema: B20: al via il gruppo di lavoro coordinato da Elkann e Marcegaglia

Donne e clima. Sono stati questi i temi al centro del primo incontro dell’Intemational Advocacy Caucus (IAC), l’organismo internazionale del B20 che riunisce 26 leader aziendali dei paesi del G20. Presenti ieri a Roma, in Confindustria, la chair del B20, Emma Marcegaglia, seduta tra Carlo Bonomi, presidente degli industriali, e John Elkann, presidente e ad di Exor N.V. e presidente Stellantis Group. Gli altri collegati on line. Il B20 si svolge con la regia di Confindustria, ha ricordato Bonomi aprendo la riunione e ringraziando Marcegaglia ed Elkann per il loro impegno, oltre a tutti i membri dello IAC. Marcegaglia ha indicato tre priorità, people, planet e prosperity. «ll mondo del business ha un ruolo importante per una crescita più inclusiva e sostenibile. Sono fiera del percorso svolto, sono certa che formuleremo proposte concrete per il G20, a partire dall’impiego, le donne e i cambiamenti climatici». Le proposte, ha aggiunto Elkann, saranno presentate ai governi del G20 a Roma il 7e 8 ottobre. «E’ l’obiettivo che si è dato il modo del business, riunito nel Caucus internazionale più inclusivo a ampio della storia del B20-G20». L’International Advocacy Caucus, dopo l’Advisory Board completa la governance del B20. Prossimo incontro, il 30 luglio, aperto ad alcuni ministri. In quello finale, 28 settembre, saranno individuati i messaggi da inserire nella dichiarazione azione finale.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Chiarelli Teodoro 
Titolo: I big mondiali dell’industria al G20 “Donne e clima in cima all’agenda”
Tema: B20: al via il gruppo di lavoro coordinato da Elkann e Marcegaglia

Valorizzare il ruolo delle donne, attraverso la creazione di un nuovo ambiente di lavoro, e affrontare la sfida del cambiamento climatico. Questo l’appello di 26 fra i più importanti presidenti, amministratori delegati e leader aziendali del mondo in vista del summit del G20 che si terrà il 7 e 8 ottobre a Roma sotto la presidenza italiana. I due temi cardine sono stati ieri al centro del primo incontro dell’International Advocacy Caucus (Iac), l’organismo internazionale del B20, forse il più autorevole gruppo di lavoro istituito dal G20. A coordinare questo gruppo, Emma Marcegaglia, già presidente degli industriali europei, e John Elkann, presidente e amministratore delegato di Exor e numero uno di Stellantis. La riunione, la prima di tre appuntamenti, è stata introdotta dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, e ha costituito l’occasione per valutare le sinergie tra il B20 e il G20 sulle due priorità relative al contesto lavorativo delle donne e agli obiettivi climatici da perseguire. «Sfide di portata globale richiedono l’impegno di tutti – ha detto Elkann -. Il mondo del business, riunito nel Caucus internazionale più inclusivo e ampio di sempre nella storia del B20-G20, in termini di mestieri, età e genere, si è dato un obiettivo fondamentale: formulare proposte concrete per migliorare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro e per rendere lo sviluppo economico compatibile con la salvaguardia del nostro pianeta. Proposte che saranno presentate ai governi del G-20 nella riunione che si svolgerà a Roma il 7 e 8 ottobre». Soddisfatta del lavoro svolto Emma Marcegaglia. «Sono fiera del percorso fin qui svolto e sono certa che raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo prefissi con la formulazione di proposte concrete per il G20, a partire dall’impiego delle donne e i cambiamenti climatici».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  De Carolis Guido 
Titolo: La Superlega sta già franando: almeno 5 squadre pronte a ritirarsi
Tema: Superlega

La Superlega è nata praticamente morta. Il congiunto attacco politico e sportivo, contro i 12 club fondatori del nuovo torneo europeo per soli ricchi, è andato a segno, sfaldando il fronte degli scissionisti che hanno iniziato a perdere i pezzi, fino quasi a gettare la spugna. Probabilmente resterà un orribile progetto, azzoppato appena due giorni dopo l’annuncio. La prima squadra a ufficializzare il ritiro è stata il Manchester City. La crepa si è allargata ad altri club inglesi, mandando di fatto al macero una revisione totale del calcio invisa a tutti. Una prima vittoria delle istituzioni, dell’Uefa e dei tifosi che sono riuscite a sventare la rivoluzione. La valanga è partita dall’Inghilterra, il Paese più esposto e che il calcio moderno l’ha inventato a metà del 1800: oggi probabilmente l’ha salvato. La rivolta dei tifosi di Sua Maestà è stata intercettata dal Primo Ministro, Boris Johnson, deciso a voler «sganciare una bomba legislativa per fermare la Superlega». E bastato l’avvertimento di una legge ad hoc per bloccare il progetto a spingere verso l’uscita il Manchester City, controllato dallo sceicco Mansour, componente della famiglia reale di Abu Dhabi, e pure il Chelsea del magnate russo Roman Abramovich ha messo in moto i suoi avvocati per preparare i documenti per l’addio. Alla doppia defezione si potrebbe presto aggiungere quella dell’Arsenal e quella, ancor più significativa, del Manchester United, il cui vicepresidente Ed Woodward, tra cervelli dell’operazione Superlega, ha rassegnato le dimissioni sotto la spinta delle contestazioni dei tifosi dei Red Devils. A quel punto bisognerà vedere quanto resisteranno Tottenham e Liverpool. Addirittura nei Reds gli stessi giocatori si sono ammutinati, schierandosi contro la società: «La Superlega non ci piace e non la vogliamo».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Molinari Maurizio 
Titolo: Intervista ad Andrea Agnelli: “Patto di sangue La Superlega andrà avanti”
Tema: Superlega

Presidente Agnelli, la Superlega perde pezzi, il progetto rischia di affondare? «Fra i nostri club c’è un patto di sangue, andiamo avanti». È la componente britannica ad apparire in difficoltà. Ritiene che il progetto possa ancora avere successo? «Sì, ha il cento per cento di possibilità di successo». La vulnerabilità della Superlega è nell’essere accusata di rappresentare un progetto elitario che snatura il calcio europeo trasformandolo da sport popolare in un club per ricchi. È questo ciò che volete fare? «No. Vogliamo creare la competizione più bella al mondo capace di portare benefici all’intera piramide del calcio, aumentando la distribuzione delle risorse agli altri club e rimanendo aperta con cinque posti disponibili ogni anno per gli altri da definire attraverso il dialogo con le istituzioni del calcio». Ma una simile competizione non è una minaccia mortale per i campionati nazionali? «Nessuna minaccia, c’è piena volontà di continuare a partecipare acampionatoecoppe nazionali». Come è possibile che tre squadre italiane della Superlega, prendendo ogni anno un bonus di 350 milioni, non alterino l’equilibrio della Serie A a cui partecipano? «Il bonus di 350 milioni l’anno è falso. Noi rimaniamo nelle competizioni domestiche, andremo a giocare in ogni stadio d’Italia, di Spagna e d’Inghilterra. II nostro lavoro resterà intrinsecamente legato alle competizioni domestiche». II modello Nba negli Stati Uniti si alimenta grazie alle squadre dei college. Che legame avrete con le squadre giovanili, locali? «L’alimentazione dei settori giovanili viene mantenuta. Ogni settimana daremo ai tifosi le partite dei campionati nazionali e di una nuova competizione, capace di avvicinare le generazioni più giovani che si stanno allontanando dal calcio».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: Gentiloni: riformulare tasse sull’energia
Tema: A giugno la revisione Ue

La Commissione Ue ha tratteggiato ieri il ruolo che la tassazione dell’energia deve avere nell’Europa del futuro. Il commissario agli affari economici Paolo Gentiloni ha spiegato di volere presentare nelle prossime settimane un pacchetto legislativo che attraverso una riformulazione della tassazione verde raggiunga due obiettivi: ridurre l’inquinamento e aumentare il gettito. «La tassazione ambientale permette di mettere sotto pressione le azioni e i comportamenti dannosi per il pianeta, e nel contempo raccogliere entrate fiscali tali da promuovere l’emergere di economie e società resistenti e inclusive», ha spiegato l’ex premier italiano durante un video convegno. In pratica, si tratta di utillroare particolari imposte per far sì che il comportamento rispettoso dell’ambiente metta radici. «Allo stesso tempo, la Commissione vuole incoraggiare gli Stati membri ad introdurre imposte (…) che possano consentire di ridurre la tacca7ione sul lavoro, più dannosa per la crescita – ha aggiunto il commissario -. Eliminare i sussidi, le esenzioni e le agevolazioni fiscali per le attività inquinanti potrebbe (…) rendere i sistemi fiscali più equi peri lavoratori». Nel 2019, appena 3,2% del gettito fiscale dei governi europei giungeva in media dalla tassazione verde. A giugno, la Commissione presenterà un’attesa revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia. II testo attuale risale al 2003, e dà tuttora vantaggi anacronistici a fonti di energia oggi ritenute inquinanti, come il diesel Bruxelles vorrà modificare il testo perché rispecchi i nuovi obiettivi: la riduzione delle emissioni nocive del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) così come la neutralità climatica entro il 2050.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Mancini Umberto 
Titolo: Intervista ad Andrea Orlando: «Ita non è una preda Solo licenziamenti selettivi»
Tema: Ita

Ministro del Lavoro Andrea Orlando, lunedì si è svolto un vertice a Palazzo Chigi sul caso Alitalia con il premier Mario Draghi e i ministri Giorgetti, Franco e Giovannini. C’è una tensione crescente tra i dipendenti preoccupati per il futuro della compagnia stretta tra i diktat della Ue, la pandemia e il decollo ritardato di Ita. Avete individuato una soluzione per proteggere gli eventuali esuberi? E in che direzione vuole andare il governo per far decollare il vettore il prima possibile? «E’ ancora aperta una interlocuzione con la commissione Ue e, come sa, sul fronte Alitalia sono state tante le occasioni perse in passato. Nella trattativa Bruxelles deve tenere conto anche della dimensione che deve avere Ita per essere competitiva rispetto alle altre compagnie. Inoltre è giusto difendere i livelli occupazionali e dare a Ita una dimensione tale che le consenta di essere sostenibile, stabile, di andare avanti». Ma a Bruxelles si sta facendo di tutto per ritardare le decisioni… «La trattativa deve tenere conto della situazione che stiamo attraversando. Non vogliamo che Ita diventi una preda. Siamo consapevoli che se sarà eccessivamente sottodimensionata questo sarà il pericolo. Per questo insisteremo per far valere le nostre esigenze, gli interessi del Paese». Il tempo stringe e a fine mese gli stipendi degli 11 mila dipendenti rischiano di non arrivare? «E’ evidente che la compagnia deve ripartire approfittando della ripresa dei traffici. I tempi più che dalla Commissione Ue mi sembrano dettati da questa esigenza. Sarebbe assurdo non sfruttare la ripartenza. Quanto agli ammortizzatori non mi sembra corretto definirli nel dettaglio adesso, con il negoziato aperto con la Ue. Di certo posso assicurare che ridurremo eventuali impatti sull’occupazione. Ci sono vari scenari allo studio e vari strumenti che possono essere utilizzati. Ci stiamo lavorando insieme al Mims, il ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili».
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Testata:  Mf 
Autore:  Leone Luisa 
Titolo: Il cashback non si rottama
Tema: Cashback

Scudo del governo sul programma cashback. Nonostante il pressing di molte forze parlamentari per l’abolizione dello strumento, l’esecutivo non pare intenzionato a stoppare anticipatamente il bonus, che garantisce il rimborso del 10% delle spese pagate con strumenti elettronici fino a un massimo di 1.500 euro di transato a semestre e quindi un rimborso di non più di 150 euro ogni sei mesi, con l’ulteriore paletto che il massimo retrocesso per ogni acquisto non può essere superiore a 15 euro, indipendentemente dal valore dello scontrino. La misura però già dai tempi dell’esecutivo Conte II è nel mirino del centrodestra, anche se la Lega e Forza Italia, pur contrari al bonus, si sono astenuti in una recente votazione su una mozione presentata da Fratelli d’Italia in Senato per chiederne l’abolizione. Così come non ha mai visto di buon occhio il bonus sui pagamenti elettronici neanche Italia Viva di Renzi. L’ idea a questo punto è rivedere alcuni meccanismi che regolano il funzionamento del cashback, con una revisione che non si esclude possa passare anche per un abbassamento della soglia delle spese rimborsate, così da ottenere qualche risparmio sul costo complessivo del programma, che al momento impegna 4,75 miliardi di euro tra il 2021 e il 2022. Proprio l’entità della spesa prevista è il grimaldello su cui puntano le forze politiche contrarie al cashback per cercare di scardinarlo, facendo perno sul fatto che in un momento di emergenza come quello attuale quei denari potrebbero fare comodo per altre spese, magari quelle legate al contrasto della pandemia. Un altro possibile correttivo potrebbe essere poi l’eliminazione del Superbonus, che oggi permette un ulteriore rimborso di 1.500 per i primi 100 mila aderenti che abbiano effettuato il maggior numero di acquisti nei sei mesi, senza tener conto degli importi spesi.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  S.b. 
Titolo: Cdp riunisce il cda per decidere il futuro di Open Fiber
Tema: Open Fiber, oggi cda Cdp

Oggi un cda di Cdp dovrebbe prendere alcune decisioni strategiche su Open Fiber, e a seguire dovrebbe essere convocato un cda della società della fibra per dare il suo gradimento a Macquarie. Cdp e il fondo australiano avrebbero negoziato i termini della governance che prevede un presidente scelto insieme, un ad espresso da Cdp (che dovrebbe rilevare fino al 10% di Open Fiber salendo al 60%), un direttore finanziario scelto dal fondo australiano e un direttore di rete scelto dalla Cassa. Se la governance è stata condivisa, l’acquisto delle quote in mano a Enel potrebbe invece slittare, ma i futuri azionisti del gruppo puntano a un cambio dei vertici al più presto, anche per accelerare sugli investimenti. In proposito il favorito a subentrare a Elisabetta Ripa – che molti vedono in futuro avere un incarico in Enel – sarebbe Luigi Ferraris, ex numero uno di Terna.
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Testata:  Italia Oggi 
Autore:  Merli Filippo 
Titolo: L’aeroporto di Catania prende il volo con Sace
Tema: Sace-Aeroporto Catania

L’Aeroporto di Catania decolla con Sace. La società del gruppo Cdp specializzata nel sostegno alle pini italiane ha garantito un finanziamento di 25 milioni di euro per lo scalo di Fontanarossa, il primo del Sud per traffico totale di passeggeri. L’investimento è stato definito da Società aeroporto Catania, il gruppo che gestisce il Fontanarossa, nell’ambito del programma Garanzia Italia, lo strumento previsto dal dl Liquidità per sostenere la concessione di finanziamenti alle attività economiche danneggiate dall’emergenza legata al Covid. Il finanziamento, con lo Studio Grimaldi nel ruolo di deal counsel, è stato concesso da Intesa Sanpaolo, UniCredit e Banca agricola popolare di Ragusa con le garanzie rilasciate digitalmente e in tempo brevi da Sace. L’operazione di finanziamento prevede una durata di 72 mesi a tassi particolarmente vantaggiosi. E si inserisce nel quadro di un piano di consolidamento finanziario finalizzato a sostenere gli investimenti previsti nel piano industriale dell’aeroporto catanese. «Nonostante il comparto stia attraversando un periodo di straordinaria criticità dovuto alla pandemia, l’aeroporto mostra importanti segnali di vivacità», ha spiegato l’amministratore delegato di Società aeroporto Catania, Nico Torrisi. «Siamo in presenza di una solida struttura patrimoniale e di una posizione finanziaria decisamente positiva, grazie ai rilevanti recenti profitti e alle determinazioni prudenti dei soci. Siamo certi che il superamento della crisi alimenterà in misura crescente il traffico passeggeri e merci nel nostro aeroporto».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Valsania Marco 
Titolo: Biden: «Prove schiaccianti» sulla morte di Floyd
Tema: Usa, processo a Minneapolis

Da Minneapolis alla Casa Bianca, è attesa spasmodica per il verdetto nel caso di George Floyd, ll cittadino afroamericano morto per mano della polizia quasi un anno fa. Un caso diventato simbolo, capace di innescare una resa dei conti nel Paese, la più profonda in decenni, sull’eredità del razzismo e il comportamento delle forze dell’ordine nei confronti della comunità nera. La giuria si è riunita per decidere la colpevolezza innocenza dell’ex agente Derek Chauvin, incriminato per omicidio: anticipando in qualche modo il verdetto di colpevolezza, íl presidente Joe Biden telefonando alla famiglia ha detto che «le prove sono schiaccianti». L’ annuncio può arrivare in ogni momento, al termine di un processo durato 14 giorni e trasmesso in diretta televisiva. Con 45 testimonianze e soprattutto, impresse negli occhi dei giurati come dell’opinione pubblica, le drammatiche immagini, registrate dai passanti, di Floyd inesorabilmente soffocato dal ginocchio del poliziotto, premuto sulla gola per oltre nove minuti. II presidente ha fatto sapere d’esser pronto a parlare alla nazione qualunque sia ilverdetto. L’obiettivo è rivolgere un appello al Paese lacerato e scosso, per riconoscere la necessità d’una nuova stagione ispirata a sanare discriminazioni sodali e razziali allo stesso tempo invitare alla calma e all’unità e condannare qualunque violenza. È stato lui stesso a evidenziare il rilievo della tragedia. Ha telefonato nelle ultime ore alla famiglia Floyd: «Prego per un verdetto giusto», ha detto.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: «L’agente tre volte colpevole» Una sentenza storica per Floyd
Tema: Usa, processo a Minneapolis

Colpevole. Tre volte colpevole. II poliziotto Derek Chauvin ha ucciso George Floyd. La giuria ha deciso rapidamente, dopo solo dieci ore di discussione e senza chiedere chiarimenti alla Corte di Minneapolis. Toccherà ora al giudice Peter Cahill fissare l’entità delle pene. A carico di Chauvin erano state formulate tre imputazioni. Colpevole in tutti e tre casi: omicidio colposo, ma con il presupposto di un’aggressione o di un assalto contro la persona, senza tenere in conto le possibili conseguenze; omicidio dovuto a una condotta pericolosa e negligente; omicidio preterintenzionale, causato da un comportamento irragionevolmente rischioso. Le punizioni base oscillano tra i 10 e i 15 anni di reclusione per le due prime accuse; cinque anni per la terza. Solo con le aggravanti, per esempio omicidio commesso davanti a testimoni minorenni, si potrà arrivare fino a 40 anni di carcere. E’ una sentenza storica per l’America. E’ la condanna attesa da una larga parte del Paese. A cominciare da Joe Biden, che ieri aveva rotto il silenzio prima che arrivasse la notizia: «Prego perché il verdetto sia quello giusto. Per me le prove sono travolgenti. Lo dico solo ora perché la giuria è in ritiro». II presidente è poi intervenuto ancora in serata, con un discorso televisivo in cui invitato il Paese ora a restare unito. I dodici giurati, sei bianchi, quattro afroamericani, due di altra etnia, cinque uomini e sette donne, si erano chiusi in Camera di consiglio da lunedì sera. Hanno ripercorso le prove e soprattutto i filmati di un processo inedito, costruito sulle immagini riprese dalle «body camera» degli agenti, dalle telecamere di sicurezza e dai telefonini dei testimoni. La parola adesso passerà alla politica, al Congresso degli Stati Uniti, dove la Camera ha già approvato una legge di riforma della polizia, con standard nazionali per l’addestramento e per l’uso della forza.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Valentino Paolo 
Titolo: Laschet candidato alla cancelleria Un figlio di minatori per il dopo Merkel
Tema: Elezioni Cdu

Alla fine Armin Laschet ce l’ha fatta. Al termine di una riunione fiume protrattasi per oltre 6 ore, la direzione cristiano-democratica ha votato a maggioranza in favore del suo presidente e premier del Nord-Reno Vestfalia. Sarà lui il candidato cancelliere della Cdu-Csu alle elezioni del prossimo settembre. Il premier bavarese Markus Söder, che fino all’ultimo gli ha conteso la nomina, ha fatto ieri mattina il passo indietro: «Il dado è tratto. Mi sono congratulato con lui». Laschet è stato votato da 31 dei 46 membri della direzione, 9 si sono espressi per Söder e 6 si sono astenuti. È un risultato netto, ma che tradisce tutti i dubbi e le perplessità del partito sulla forza di una candidatura, che non ha mai convinto nessuno e che soprattutto non ha il favore popolare. Ancora peggio, la scelta chiude una settimana di lotta senza quartiere tra i due contendenti, che ha velato un fronte conservatore diviso, incerto e quasi in preda al panico di fronte alla prospettiva reale di perdere la guida della Germania, dopo i sedici anni della cancelliera Merkel. Il caos interno rispecchia infatti il crollo nelle preferenze dei tedeschi, dove in poco più di un mese la Cdu-Csu è passata dal 38% al 27% delle intenzioni di voto. Di più, l’Unione deve fare i conti con i Verdi, che con Annalena Baerbock hanno nominato lunedì la più giovane candidata di sempre alla cancelleria, lanciando una sfida credibile e ambiziosa alla direzione del Paese. Armin Laschet ha tutte le carte in regola per puntare alla cancelleria.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mastrobuoni Tonia 
Titolo: La Cdu ha scelto Laschet dopo Merkel nel segno dell’Europa
Tema: Elezioni Cdu

I giornali l’hanno ribattezzato Rocky Balboa: e non certo perché gli somigli fisicamente. Armin Laschet ha conquistato ieri la sua cintura da candidato dei conservatori dopo essere stato picchiato dai sondaggi, suonato da mezzo partito, atterrato un paio di volte dal suo sfidante, il leone della Baviera Markus Soeder. Il governatore del Nordreno-Westfalia si è sempre rialzato e ha ricominciato a tirare pugni. E l’ultimo, quello del ko, è stato una riunione dei vertici della Cdu convocata lunedì sera, in cui Laschet ha costretto il partito a sostenerlo, nonostante il tabellone dei punti mostrasse già il rivale Soeder vincente. Ieri, il leader della Csu si è ritirato, e ha lasciato il campo: «Il dado è tratto», ha detto, rivolgendo un appello all’unità dei due storici alleati, Cdu e Csu. Ma il partito di Angela Merkel è come un ring dopo un round violento: un disastro. Nel 2002 Angela Merkel rinunciò a correre contro Gerhard Schroeder, lasciando il campo a Edmund Stoiber – anche lui fu sconfitto. Stavolta, il leader della Csu Soeder aveva dalla sua sondaggi alle stelle. Ma il numero uno della Cdu Laschet ha continuato a ripetere che i sondaggi non contano, che lui ha sempre vinto contro ogni pronostico e ha tirato fuori l’indole per la quale è più noto, riassunta da un bel titolo dello Spiegel: “l’uomo di gomma”. Le prime parole del neo candidato Cdu/Csu sono state «dobbiamo dare forma al dopo-Merkel». Sulla mancanza di fascino, il neo candidato Cdu/Csu ha persino costruito uno slogan: «Forse non sono l’uomo della perfetta messinscena. Ma sono Armin Laschet e di questo vi potete fidare». In questo, è certamente più simile a Kohl e Merkel. Della cancelliera, il governatore del Nordreno-Westfalia eredita un centrismo oltranzista e un forte europeismo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bongiorni Roberto 
Titolo: Ucciso al fronte Déby La Francia perde il suo uomo forte in Ciad
Tema: Ciad, morte violenta per il Presidente Idriss Deby

Non sempre i capi di Stato africani alleati dell’Occidente sono anche i migliori statisti possibili. Anzi, lo sono di rado. Idriss Déby Itno, 68 anni, da 31 anni al potere in Ciad, apparteneva a quell’élite di “presidenti quasi a vita” amici dell’Occidente, che paiono eterni. Anche nell’ultima, peraltro contestata elezione, svoltasi lo scorso 11 aprile e terminata con lo scrutinio di tutte le schede solo ieri, Idriss era uscito vincitore con un quasi plebiscito (8o% delle preferenze). Ma il suo sesto mandato è durato solo un giorno. Il tempo di mettersi in testa all’esercito per fermare il Front pour l’alternance et la concorde au Tchad, un gruppo di ribelli con base in Libia che, dopo aver sfondato la porosa frontiera settentrionale, si stava dirigendo verso la capitale N’Djamena. Idriss è morto in seguito alle ferite riportate negli scontri nel nord del Paese. Come si conviene a ogni’ crisi africana, Governo e Parlamento sono stati sciolti e un Consiglio militare governerà nei prossimi 18 mesi. Al suo comando siederà il figlio del defunto presidente, Mahamat Idriss Déby Itno, un generale di soli 37 anni che si può già fregiare di quattro stelle. Nei prossimi 18 mesi dovrebbe traghettare il Paese alle elezioni. Ma la sensazione è che, al pari di altri generali saliti al potere dopo fatti di sangue, sentiremo parlare ancora a lungo di Mahamat. Cresciuto e addestrato militarmente in Francia, Idriss Déby era il presidente che combatteva il terrorismo di matrice islamica, sempre più aggressivo e presente nel Sahel non solo per il suo popolo, ma anche per Parigi e l’Occidente. Sapeva usare il pugno di ferro, lo aveva usato a lungo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: Ciad, il presidente morto in battaglia “Ucciso dai ribelli alleati di Haftar”
Tema: Ciad, morte violenta per il Presidente Idriss Deby

Una versione è questa: il presidente ciadiano Idriss Deby era arrivato lunedì in elicottero al fronte, dove i suoi soldati contrastano l’avanzata dei ribelli del “Fact”, entrati in Ciad dalle loro basi nel Sud della Libia. È stato centrato da un razzo lanciato contro il fuoristrada su cui viaggiava. Sarebbe morto così, da combattente. Un’altra versione, che circola senza nessuna possibilità di verifica, parla invece di complotto, di misterioso assassinio. Nessuna prova. L’unica certezza è che il presidente del Ciad è morto in modo violento. Deby aveva 69 anni, aveva conquistato il potere con un colpo di Stato nel 1990, quando a sua volta era a capo di una formazione di ribelli. Era tornato al fronte dopo aver vinto le seste elezioni presidenziali di seguito, un rito di finta democrazia in un Paese africano strategico soprattutto per la Francia e per i Paesi europei che vogliono bloccare il dilagare del terrorismo che dal Sahel minaccia il Nord Africa e anche l’Europa. Deby per 30 anni era rimasto al potere in questa ex colonia francese saldamente ancorata alla francafrique, un sistema che ri mane centrale nella politica estera di Parigi. Ieri quando le forze armate del Ciad di fatto hanno annunciato un nuovo colpo di stato, mettendo il figlio del presidente Mahamat Idris alla guida di una giunta militare, Parigi ha accolto il passaggio dei poteri con favore. E così gli Stati Uniti: l’importante è la continuità al potere, e che prosegua la battaglia contro i terroristi. Buona parte di questo mistero ciadiano è affidata proprio alle colonne di “ribelli” che rientrano nel Paese dal Nord. Secondo molte fonti sono ex mercenari che in Libia hanno combattuto per il generale Khalifa Haftar. Altri presentano una versione leggermente diversa: i miliziani del “Fronte per l’alternanza e la concordia in Ciad” sono ribelli ciadiani che nel Sud della Libia da anni hanno trovato basi, e che col generale Haftar avevano un accordo di convenienza.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Ferrara Cecilia 
Titolo: Quei bimbi migranti che l’Europa tradisce ogni giorno spariscono oltre 16 minori soli
Tema: Inchiesta di Lost In Europe

Mohammed lo incontro l’ultimo dell’anno di due anni fa a Briançon, appena scavallato il confine francese all’altezza di Oulx, al Refuge solidaire. Ha una felpa rossa con scritto «London Queen’s city» e un giubbotto nero buttato sopra. Mi ferma lui: «Sto scrivendo un romanzo – dice – “Un orfano nell’immigrazione”». Parla italiano bene, con una freddezza quasi inquietante. Racconta di essere partito dalla Guinea a 15 anni, quando ha scoperto che era stato adottato: «Mi sono reso conto di aver vissuto nella menzogna e ho deciso di venire in Europa». Prima di decidere di venire in Francia ha cambiato 3 centri per minori in 9 mesi, Calabria, Busto Arsizio, Como. Ed è fortunato, è riuscito a passare oltralpe al secondo tentativo, unico neo è che la polizia francese gli avrebbe rubato le scarpe. «Il primo giorno ero in gruppo, eravamo sette, in tre ci hanno beccato, gli altri che erano più avanti sono passati – racconta -. La seconda volta sono passato perché ero da solo. Paura? Macché paura, non ho niente da perdere». A Briançon arrivano centinaia di migranti al mese che se ne vanno dall’Italia, il 40% per gli attivisti del Refuge solidaire sono minorenni. Mohammed è uno dei cosiddetti «irreperibili», così venivano chiamati fino a poco tempo fa i minori stranieri non accompagnati (Msna) che, dopo essersi registrati in Italia, spariscono dai radar. Arrivano in migliaia ma in migliaia anche spariscono, spesso nell’indifferenza generale. Per la prima volta Lost in Europe, un collettivo di giornalisti (tra cui chi scrive) basato in 12 Paesi, ha deciso di capire quanti sono inoltrando richieste ufficiali a 30 Stati europei. Secondo i dati raccolti da ottobre scorso dal 2018 al 2020 sono scomparsi 18.292 minori stranieri non accompagnati dai centri di accoglienza europei. L’Italia è il Paese con i numeri di sparizioni più alti, 5.775, ma solo per gli ultimi due anni dei tre presi in considerazione, poiché nel 2018, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, a cui fanno capo le politiche e la gestione dei Msna, non contava gli allontanamenti annualmente, ma in «stock».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  … 
Titolo: In 62 Paesi libertà religiosa non garantita
Tema: Rapporto Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre”

Sono 62 i Paesi del mondo (su 196) in cui non è garantita la libertà religiosa, uno su tre, nel quali vive però oltre la metà della popolazione del pianeta: 5,2 miliardi di persone. In 26 Paesi si registrano vere persecuzioni contro le minoranze religiose. Lo dice il Rapporto della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. E se il radicalismo islamico non combada più con quello che fu l’Isis in Siria e Iraq, la minaccia del califfato e «transcontinentale» con le sue espressioni più feroci in Africa. Tra i Paesi dove è violata la libertà religiosa ci sono Cina, India, Pakistan, Nigeria e Bangladesh.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Paci Francesca 
Titolo: Storia di Intisar, la modella in carcere che fa lo sciopero della fame
Tema: Yemen, condizione delle donne

Lo Yemen non è un Paese per donne, come, dopo aver sperato che la primavera del 2011 riscattasse dallamiseriail passato glorioso che inebriava Pasolini e la Callas, non lo è più per nessuno. Intisar Al Hammadi, le cui tracce si fermano al 20 febbraio scorso, vive virtualmente sui social, immagini e storie di un voler essere contemporaneo laddove il tempo si è fermato. La moda, un paio di serie per la tv locale, il cinema come eterna immutabile via di fuga. Raccontano che non volesse portare il velo, che il Dna meticcio ereditato dal babbo yemenita e dalla mamma etiope ne facesse una ribelle genetica. Raccontano che il Paese, macerandosi nel dolore, sia diventato ancora più conservatore di prima e che l’assegnazione del premio Nobel per la pace all’attivista Tawakkul Karman significhi poco più che la pacificazione del senso di colpa occidentale sublimato nell’acclamazione di una donna e di una donna velata. Intisar Al Hammadi il velo non lo porta, non nelle foto che girano almeno. E agli houthi la cosa non può che dare fastidio. Il problema è che, sul fronte opposto, il nemico degli houthi è una coalizione a guida saudita che non primeggia certo per rispetto delle donne e che dal 2015 ha bombardato a pioggia lo Yemen ammazzando, secondo l’Onu, il doppio delle vittime civili rispetto a tutte le altre forze in campo messe insieme.
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