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SINTESI IN PRIMO PIANO – 8 settembre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Scuole: riapertura imminente con tanti interrogativi
– Recovery plan: per Bankitalia può valere fino al 3% del PIL
– Elezioni regionali, referendum e Mes: PD: “occorre unità”
– Gualtieri firma il decreto fiscale
– Confindustria e sindacati riprendono il dialogo

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – A Modena saldato l’asse tra Conte e il leader Pd
Tema: Asse Conte Pd

La novità di ieri non è stata tanto la direzione Pd in cui Zingaretti ha schierato il partito sul “Si” al referendum o il voto sulla sua relazione, quanto la notizia che oggi Conte sarà alla Festa dell’Unità di Modena. Segno che non è del tutto vera la versione che vuole il Governo al riparo dal test delle regionali e che il premier avverte l’esigenza di dare attenzione al partito che più rischia in questo appuntamento con le urne. I candidati che vanno alla sfida con il centro-destra hanno il marchio Dem, alcune regioni sono cruciali e contendibili – come la Puglia e perfino la Toscana – e Conte capisce bene che una scivolata nei consensi complicherebbe la vita pure a Palazzo Chigi. Lo stesso segretario Pd durante la riunione di ieri ha calcato la mano e drammatizzato i round regionali chiedendo a tutti i dirigenti del partito di cancellare ogni impegno per le prossime settimane e dedicarsi pancia a terra alla campagna elettorale nei territori. E se per Zingaretti la posta in gioco è la sua leadership è chiaro che anche per il premier ci sarebbero contraccolpi da una destabilizzazione del Pd e del suo capo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso 
Titolo: Conte nell’arena dem per fare pace Si riapre la trattativa sul salva-Stati
Tema: Asse Conte Pd
A luglio scorso, Giuseppe Conte sussurrò a Nicola Zingaretti: «Quest’anno accetto il tuo invito, parteciperò alla festa nazionale dell’Unità». Per settimane, la promessa sembrava caduta nel vuoto. Nessun accenno nel programma ufficiale, silenzio radio dallo staff del premier, la freddezza dem riservata a chi promette e non mantiene. Fino a ieri, quando Palazzo Chigi annuncia all’improvviso che l’avvocato interverrà sul palco di Modena, intervistato da Maria Latella. Mangerà i tortellini con i volontari, visiterà la mostra per i 73 anni della kermesse. E lo farà spinto da un timore: qualcosa si è rotto, con il Pd. Consapevole, soprattutto, che dopo aver mandato segnali di pace ai grillini durante la festa del Fatto quotidiano, è necessario “parlare all’alleato, al suo mondo”. Quello stesso alleato che in queste ore sembra “sfuggirgli di mano”. Un passo indietro. C’è un punto di non ritorno, in questa storia che coinvolge i dem e il loro premier. L’ha scelto Nicola Zingaretti, a sua volta in lotta per la sopravvivenza politica a causa di Regionali ad alto rischio: il Mes. Il segretario ha deciso di farne una questione di dignità per il Partito democratico. Nelle scorse ore, ha spiegato a Conte quel che Conte sapeva già benissimo: difficilmente il Recovery Fund porterà a Roma risorse prima del 2021, l’idea dell’anticipo di ottobre presenta difficoltà tecniche e ritardi, nel 2020 i giallorossi dovranno accontentarsi di 3 0 4 miliardi, il governo ha bisogno di quei fondi per la sanità. Servono i 36 miliardi prestati dall’Europa e il Pd farà di quel denaro la battaglia campale del 22 settembre, a urne appena chiuse. Sarà un modo per far capire che gli equilibri sono cambiati, che i grillini che galleggiano attorno al 10% non possono più dettare l’agenda, che sono loro i veri sconfitti.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Casadio Giovanna 
Titolo: “Pd unito o sarà Caporetto” – Il Pd con Zingaretti sul Sì al referendum “Ma ora le riforme” E rilancia sul Mes
Tema: Referendum e riforme

Un sorriso lo strappa Gianni Cuperlo, quando dice che di questi tempi interrogare gli italiani sul taglio dei parlamentari è «come vendere una bistecca a un vegano». I sentimenti anti-casta la fanno da padroni. E tuttavia Cuperlo voterà No al referendum sul taglio, con un gruppo di Dem – capitanati da Luigi Zanda, Tommaso Nannicini, Matteo Orfini, tutti sullo stesso fronte ma con diverse motivazioni – che nella Direzione del Pd di ieri si contano nel voto online. Doppio voto: uno sulla relazione del segretario Nicola Zingaretti e uno sull’ordine del giorno (sottoscritto tra gli altri dai capigruppo in Parlamento, Graziano Deirio e Andrea Marcucci) che indica «l’orientamento del Pd rivolto ai propri iscritti e ai propri elettori a sostegno del Sì al referendum costituzionale». La conta finisce a stragrande maggioranza a favore del Sì: 188, 13 per il No, 8 astenuti e 11 non partecipano, tra cui gli orfiniani. Zingaretti vince. La sua relazione poi ha un appoggio bulgaro: 213 a favore su 220,1 astenuto e 6 non partecipano. Anche sul referendum il segretario porta a casa il risultato che voleva. Spiega: «Propongo il Sì, però non con le argomentazioni che sono banali e pericolose di un risparmio per lo Stato».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Minzolini Augusto 
Titolo: L’analisi – L’errore di Giuseppi sottovalutare il voto – La cantonata di Giuseppi sulle Regionali: il primo esame alle urne può essergli fatale
Tema: Elezioni regionali
Forse ha ragione quella vecchia volpe democristiana di Gianfranco Rotondi: «Anche se alle Regionali finisse, che so, 6 a 1, in favore del centrodestra non succederebbe niente perché Conte direbbe che la disfatta non riguarda il governo. E l’assurdo della “non politica” di oggi. Il motto è: non dare spiegazioni». Sull’altro versante, e cioè sullo spinoso tema del referendum sul taglio dei parlamentari, su cui il vertice del Pd propugna il «sì» mentre l’80% del gruppo dirigente propende per il «no», Zingaretti teorizza più o meno la stessa regola: «Non sono affatto convinto che se dovesse prevalere il “no” cadrebbe il governo. Non è così, parliamo di livelli diversi». Insomma, il centrosinistra potrebbe vincere solo in Campania, l’opposizione può arrivare a governare 17 Regioni del Belpaese su 20 (se il Pd perdesse sia la Puglia, sia la Toscana), ma il premier direbbe «chissene»: gli elettori possono pensarla come vogliono, ma la sua intenzione è quella di restare a Palazzo Chigi, come ha già spiegato nella sua prima sortita regionale. E Zingaretti, nel suo piccolo, nell’ipotesi più remota di una vittoria dei «no» al referendum, la pensa più o meno allo stesso modo. E il nuovo concetto di democrazia coltivato nei laboratori giallorossi. Il «grillismo» nell’interpretazione di Conte è passato dall’«uno vale uno», al «conto solo io e gli altri non contano un tubo». Ma questa singolare concezione può davvero prevalere? Sicuramente il premier ci proverà. Tutto ciò che ha fatto nell’ultimo mese, il «detto» e soprattutto il «non detto», fa rotta su questo approdo. Conte, che non è un fesso, ha capito da un pezzo che la maggioranza di governo farà una figura barbina a settembre e allora, come uno struzzo, ha messo la testa sotto la sabbia. Delle elezioni regionali si è disinteressato del tutto.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Bracalini Paolo 
Titolo: L’analisi – Referendum, sondaggio choc: rimonta del No – Sondaggio ribalta gli scenari: rimonta a sorpresa del «No»
Tema: Referendum e riforme
Quella che fino a qualche settimane fa sembrava una partita dall’esito già scritto si sta invece riaprendo. La vittoria del Si al referendum sul taglio dei parlamentari non è più scontata. Il No sta crescendo nelle rilevazioni, complice anche l’idea che una bocciatura del testo di legge firmato dal M5s (ma votato in larghissima maggioranza dal Parlamento) possa dare la spallata finale al governo Conte, come fu per Renzi il referendum del 2016. Secondo Roberto D’Alimonte il No negli ultimi giorni si è attestato sul 40-45%, ed è in crescita. Siamo quindi molto lontani dalle percentuali bulgare che stimavano il Si ben oltre il 70%. Qualcosa è cambiato nelle ultime settimane nella percezione degli effetti della riforma. Meno interesse per i risparmi modesti, più per gli effetti sulla rappresentanza parlamentare degli elettori. Contano però anche le logiche interne ai partiti, in particolare al Pd dove si registra una forte spaccatura rispetto alla linea ufficiale decisa da Zingaretti («voteremo Sì»).
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Folli Stefano 
Titolo: Il punto – Tre carte contro la paura – Pd, tre carte contro la paura
Tema: Referendum e riforme

Ieri non è successo niente che non fosse previsto. Era ovvio che il Pd si sarebbe pronunciato in modo tardivo e non senza sofferenza a favore del SI. Ed era evidente che la priorità di Zingaretti, avendo trascinato le decisioni formali fino a meno di due settimane dal referendum, consisteva nell’evitare ulteriori lacerazioni del partito. Non solo perché un gran numero di esponenti di primo piano è per il No, a cominciare dai protagonisti dell’era ulivista, Prodi e Parisi, ma soprattutto perché la base popolare più autentica, cioè quelli che un tempo si chiamavano i militanti – e ancora orgogliosamente lo sono -, sono incerti e ben poco sedotti dalle tesi “grilline” sulla bontà del taglio alla democrazia rappresentativa. Per dare un esempio, giorni fa uno studio di Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore prevedeva un vantaggio del No in Toscana del 52 contro 48. E ieri lo stesso analista descriveva una crescente rimonta del No che sul piano nazionale sarebbe adesso oltre i140 per cento. È chiaro che il problema del vertice del Pd non è guidare un fronte referendario contro l’altro, ma uscire senza troppi danni dalla prova del 20-21 settembre. In ogni caso l’esito sarà grigio e non vedrà protagonista la maggiore forza del centrosinistra.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Sorbi Maria 
Titolo: Il commento – Il ritorno a scuola nel caos: maestre vestite da «aliene» – Se la maestra è un’aliena
Tema: Rientro a scuola con molti interrogativi
I bimbi della sua classe non la vedevano dallo scorso febbraio, eccezion fatta per qualche collegamento on line. In tanti non si ricordavano nemmeno bene la sua faccia. E lei, al primo giorno della tanto attesa ripresa, si è presentata come una specie di E. T. nella scena in cui viene rianimato dall’unità speciale alieni. Una maestra extraterrestre fatta e finita: con mascherina, calotta di plexiglas sul viso e camice plastificato che nemmeno Dexter indosserebbe per eseguire il delitto perfetto. Addio all’immagine rassicurante della maestra dell’asilo nido, quella che dopo la mamma diventa il punto di riferimento, il porto sicuro dei bimbi che si affacciano al mondo oltre la loro famiglia. Per questo è stata lei stessa ad autodenunciare la situazione sui social. Ha preso spunto da un post pubblicato dal Comune di Milano per annunciare il ritorno a scuola dei bimbi dei nidi e delle materne e ha pubblicato la sua foto con la nuova divisa anti Covid. «Noi educatrici ci presenteremo così a bambini di due anni che non ci vedono da sei mesi, con camici in plastica modello Figurella per dimagrire» scrive. «Neanche gli infermieri sono così». Eppure nella scuola comunale le educatrici si sono dovute arrangiare con mezzi di fortuna: oltre alle divise si sono pure dovute inventare la nuova segnaletica per fare rispettare le distanze e hanno provveduto da sole alla pulizia dei locali.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bocci Michele 
Titolo: I test sierologici sui prof sono un flop – Scuola, il flop dei test sierologici Li ha fatti solo un docente su quattro
Tema: Rientro a scuola con molti interrogativi

Le Regioni hanno fatto i test sierologici a circa un quarto degli operatori della scuola, ai quali viene offerto gratuitamente l’esame sugli anticorpi del coronavirus in vista della ripresa delle lezioni. I dati arrivano da una decina di realtà locali, dove vivono oltre 45 milioni dei cittadini, cioè tre quarti dei cittadini del Paese. Si tratta di Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia, Liguria, Toscana, Campania, Lazio e Sicilia. In tutto hanno somministrato 365mila test sui circa 1,5 milioni distribuiti a loro distribuiti (il totale nazionale è di 2 milioni). Non è un gran risultato se si considera che il giorno fissato dal ministero alla Salute per chiudere la campagna, iniziata il 24 di agosto, era ieri. Vista la situazione quasi ovunque si va avanti, e si faranno test fino alla prossima settimana. Va specificato che alcune circostanze alla fine renderanno i numeri un po’ meno peggiori. Intanto molte Regioni hanno già preso appuntamento con i lavoratori della scuola peri prossimi giorni e quindi il numero di esami è destinato a salire a breve. Basta pensare alla Lombardia, dove sono stati fatti 75 mila sierologici su 105 mila prenotati (in tutto i lavoratori della scuola sono 206 mila). Il Lazio è arrivato a circa 30 mila ma ne ha già fissati altri 20 mila (il totale delle persone alle quali fare il test in questa regione sarebbe 120 mila). Così, tra prenotazioni da smaltire e attività svolta negli studi dei medici di famiglia, a fine settimana il 25% potrebbe salire, al 40-45% dei 2 milioni di test acquistati dal commissario straordinario Domenico Arcuri. La copertura non sembra comunque destinata ad essere alta.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: Il governo accelera sul Recovery plan Pressing Pd sul Mes – Recovery, sei piani e sei riforme Le risorse per i settori nel Def
Tema: Recovery plan

Pronte le «linee guida» del Recovery Plan, che sarà articolato in sei missioni e altrettante «azioni di riforma» che le accompagneranno: le bozze sono state girate a Regioni ed enti locali in vista del confronto in programma oggi; domani il Comitato interministeriale per gli Affari europei dovrebbe mettere il timbro politico. Dopo l’architettura generale – le priorità sono transizione digitale, infrastrutture, decarbonizzazione, inclusione sociale, salute e formazione – arriveranno i numeri con la distribuzione dei fondi, dettagliati nella Nota di aggiornamento al Def che il governo deve presentare entro il 27 settembre. A differenza di quanto si sperava a Palazzo Chigi prima dell’estate, non basterà l’ok alle linee guida per ottenere nel 2020 l’anticipo del 10% dei 209 miliardi assegnati all’Italia. Cresce quindi nel governo la pressione del Pd per attivare subito la linea di credito per l’emergenza sanitaria prevista dal Mes. In un’audizione, intanto, Banidtalia sottolinea che se i fondi saranno utilizzatibene possono produrre una crescita fino al 3% del Pil entro il 2025.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Marroni Carlo 
Titolo: Bankitalia: per l’Italia vale fino a 3 punti di Pil (se non ci sono ritardi)
Tema: Recovery plan

Le stime dei benefici per l’economia italiana dalle risorse del Recovery Fund sono difficili da quantificare, l’incertezza è elevata, ma certo se i fondi saranno utilizzati bene possono produrre fino a una crescita del 3% del Pil entro il 2025. La stima arriva dalla Banca d’Italia in audizione alla commissione bilancio, dove ha formulato due scenari: entrambi tuttavia presuppongono che i fondi disponibili per l’Italia, pari a 120 miliardi per i prestiti e a 87 per i trasferimenti, siano utilizzati pienamente e senza inefficienze, con una distribuzione della spesa uniforme nel quinquennio 2021-2025. A riferire le stime di Via Nazionale il capo della struttura economica, Fabrizio Balassone: «Nel primo scenario si ipotizza che tutte le risorse vengano utilizzate per attuare interventi aggiuntivi rispetto a quelli già programmati e che questi riguardino integralmente progetti di investimento, la forma di spesa pubblica che in base all’evidenza empirica fornisce lo stimolo più elevato alla crescita del prodotto in condizioni normali. Le maggiori spese ammonterebbero a oltre 41 miliardi all’anno e potrebbero tradursi in un aumento cumulato del livello del Pil di circa 3 punti entro il 2025, con un incremento degli occupati di circa 600mila unità». Va rilevato, sottolinea Via Nazionale, che questo scenario presupone uno sofrzo notevole in temini di progettazione e di capacità di esecuzione degli investimenti».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Confindusiria-sindacati, dialogo ripreso – Riparte il dialogo sui contratti Bonomi: un confronto utile
Tema: Riprende il dialogo Confindustria sindacati
Quattro ore di confronto, il primo tra sindacati e Confindustria dopo l’elezione di Carlo Bonomi al vertice della confederazione. Tema prioritario, i contratti, con oltre io milioni di lavoratori che attendono il rinnovo. Un primo appuntamento «utile», è stato il comune denominatore dei commenti al termine dell’incontro. «Un incontro molto atteso, che siamo riusciti a fare solo ora, in questo momento c’è bisogno di una spinta di fiducia e di coraggio», ha esordito Bonomi ieri sera, nella conferenza stampa dopo la riunione, subito dopo gli interventi dei segretari di Cgil Cisl e Uil. «È stato un incontro utile, un primo approccio. Da imprenditore sono ottimista, è iniziato un percorso per dare anche un segnale al paese e alla politica. C’è la necessità di parlare di rinnovi contrattuali, di ammortizzatori sociali, di politiche attive», ha detto il presidente di Confindustria, che con un tweet prima dell’appuntamento aveva scritto «incontriamo con fiducia i sindacati». Bonomi ha sottolineato un aspetto: la volontà di Confindustria di rinnovare i contratti, che sono «lo strumento per ridisegnare l’industria del futuro». Punto di riferimento, ha ribadito il presidente di Confindustria il Patto della fabbrica, firmato nel 2018 «il cui impianto è giusto. Restano alcuni punti da chiarire tra di noi per sbloccare i rinnovi, tra cui per primo quello degli alimentaristi».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pogliotti Giorgio 
Titolo: Cgil, Cisl e Uil: incontro positivo, bene l’impegno sul rinnovo per la sanità
Tema: Riprende il dialogo Confindustria sindacati
Da Cgil, Cisl e Uil arrivano giudizi positivi sul primo incontro con il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Il confronto ha avuto toni accesi sulle modalità di interpretazione del Patto della fabbrica nell’attuale tornata di rinnovi dei contratti nazionali che interessa 10,5 milioni di lavoratori del privato. I tre leader sindacali hanno riferito dell’impegno del numero uno di Confindustria a sbloccare il contratto della sanità privata, interpretato come un importante segnale di distensione. Non a caso, nella breve conferenza stampa organizzata alla fine dell’incontro in Confindustria, il leader della Cgil, Maurizio Landini ha parlato di «notizie positive», pur sottolineando l’esistenza di temi su cui «restano delle difficoltà». Per i lavoratori della sanità privata, secondo quanto ha riferito Landini «si riunirà l’associazione di categoria di Confindustria, l’orientamento è quello di firmare il contratto, mentre restano diverse le valutazioni sul rinnovo del contratto degli alimentaristi». Landini ha anche parlato della comune volontà di condurre una battaglia contro i numerosi contratti pirata, e della proposta avanzata al governo di sperimentare una tassazione agevolata per gli aumenti contrattuali. Schiarita in arrivo, dunque, sul fronte della sanità privata dopo la pre intesa del io giugno sul rinnovo del contratto atteso da vi anni; dopo che Aris e Aiop avevano fatto sapere che mancavano le condizioni per la firma, i sindacati hanno proclamato uno sciopero nazionale per il 16 settembre
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Morino Marco 
Titolo: Le Fs investono 1,4 miliardi per elettrificare tutta la rete – Fs, investimenti da 1,4 miliardi per l’elettrificazione della rete
Tema: Fs investe sul green
Il 28% della rete ferroviaria nazionale non è elettrificato (linee diesel). Parliamo di 4.763 chilometri suun totale di circa 16.800 chilometri di linee ferroviarie attualmente in esercizio. Sui binari non elettrificati circolano circa 1.250 treni al giorno (più unaventina di treni merci). Mai come in questi ultimi anni sono stati avviati progetti e cantieri per l’elettrificazione delle linee: 88 chilometri negli ultimi 5 anni, tra il 2015 e il 2019. E nei prossimi cinque (periodo 2020-2024) il Gruppo Fs prevede di elettrificare 670 chilometri di linee ferroviarie, per un investimento stimato di oltre 14 miliardi di euro. Sono tutte risorse statali. Una parte transita attraverso le Regioni e una parte attraverso Rfi (Rete ferroviaria italiana, la società del Gruppo Fs che gestisce l’infrastruttura) tramite Cassa depositi e prestiti (Cdp). Oltre l’orizzonte del 2024 sono annunciati 2,4 miliardi di ulteriori investimenti per elettrificare altri 1670 chilometri di linee. Da Nord a Sud Nell’arco temporale 2020-2024 sono in programma una serie di interventi, regione per regione, che avranno un forte impatto sui territori interessati.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Greco Andrea 
Titolo: Gualtieri firma il decreto Ma la “svendita” di Mps divide la maggioranza
Tema: Mps

Il Tesoro tira dritto sul dossier Mps, malgrado il rumore di fondo che sale dalla maggioranza – nelle ali più radicali di M5s e centrosinistra – e chiede di rinviare la vendita della banca. Vendita promessa all’Ué quando Mps fu nazionalizzata, ma che se si materializzasse entro mesi, ai valori di Borsa materializzerebbe minusvalenze da circa 7,5 miliardi per l’Erario. Ieri il ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri, ha firmato la proposta di Dpcm, che va ora alla firma di Palazzo Chigi. Secondo fonti al lavoro sul caso, Giuseppe Conte, si sarebbe preso qualche giorno per approfondire la questione, prima di dirimerla. Il testo finora è tenuto volutamente “aperto”, per consentire ogni modo possibile a una riprivatizzazione che s’annuncia complessa (la stessa banca senese ha messo nero su bianco che perderà altro denaro almeno fino al 2022, e ha 10 miliardi di euro di richieste danni). Il testo normativo in stesura, peraltro, è una delle precondizioni messe da Bce per dire sì alla vendita di 8,1 miliardi,di crediti deteriorati Mps ad Amco tramite scissione, con relativa erosione di 1,1 miliardi di capitale per la banca.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Signorini Antonio 
Titolo: Gualtieri blinda la stangata fiscale – Gualtieri contro tutti, blinda la riforma fiscale che stanga i redditi medi
Tema: Riforma fiscale

La riforma fiscale è ancora allo studio, ha confermato domenica il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. E il riferimento è a «valutazione tecnica» della principale proposta in campo che è il sistema tedesco con aliquota continua. Il ministro Pd sta effettivamente valutando costi e alternative, ma lo sta facendo in perfetta solitudine. Su quella che potrebbe essere la più importante riforma del Conte bis non c’è il minimo confronto con la maggioranza, lamentano esponenti dei partiti della coalizione di governo. In primo luogo M5s e Italia Viva, ma anche i dem sono tenuti all’oscuro della ricetta alla quale lavora via XX settembre. Un po’ come succede per il Recovery fund, sulla cui attuazione il premier Conte mantiene un controllo strettissimo, il nuovo regime dell’Irpef, degli assegni familiari e delle tax expenditures per il momento rimangono un affare dell’Economia. La ragione è politica (mettere il timbro del ministero sulla riforma), ma anche economica: la riforma sarà a costo zero e i compromessi costano. C’è l’assegno unico per le famiglie con figli, per il quale servono 10 miliardi di euro. Nella maggioranza e nel governo c’è chi spera che si possano in qualche modo drenare dal Recovery fund, facendoli figurare come risorse per il lavoro femminile. Ma Bruxelles, in primo luogo il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni, non è disposto ad accettare un taglio delle tasse finanziato con un fondo destinato a competitività e sviluppo. Il tema è, comunque, politicamente gestibile.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ippolito Luigi 
Titolo: Brexit, atto finale Johnson minaccia l’uscita senza intesa
Tema: Johnson minaccia l’UE

Ultimatum di Boris Johnson alla Ue: o si raggiunge un accordo sulla Brexit entro cinque settimane, oppure Londra abbandonerà il negoziato e si andrà al no deal, un divorzio senza accordi che avrà pesanti conseguenze, a partire dal ritorno di dazi e dogane. Il premier britannico ha lanciato ieri il suo messaggio, in un discorso alla vigilia della ripresa di quei colloqui che si trascinano da mesi alla ricerca di un patto commerciale complessivo: la Gran Bretagna ha infatti lasciato l’Unione Europea lo scorso 3i gennaio, ma è scattato un periodo di transizione che dura fino alla fine dell’anno e che doveva dare lo spazio per siglare un trattato di libero scambio. Ma adesso Boris dice che il tempo è scaduto: se non si conclude tutto entro ottobre, data del prossimo vertice europeo, allora è inutile andare avanti. E per Londra, sostiene, non è poi così male: il no deal sarà «un buon esito», dice il premier, grazie al quale la Gran Bretagna potrà «prosperare potentemente». E Downing Street sembra volersi bruciare i ponti alle spalle: mercoledì verrà presentata in Parlamento una legge che di fatto straccia parti decisive di quell’accordo di recesso raggiunto alla fine dello scorso anno. In particolare, vengono rimesse in questione le clausole sulllrlanda del Nord, che lasciavano la provincia nell’orbita regolamentare europea per evitare il ritorno a un confine rigido con la Repubblica di Dublino a sud.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  D’Argenio Alberto 
Titolo: Brexit, Johnson minaccia la Ue “Straccio l’intesa” – Johnson sfida la Ue e sulla Brexit minaccia di strappare l’accordo
Tema: Johnson minaccia l’UE

Torna alta la tensione tra Unione europea e Regno Unito, con lo spettro del no deal sui futuri rapporti commerciali tra i due blocchi che riprende ad aleggiare su Bruxelles e Londra. Oggi parte l’ottavo e ultimo round negoziale sulle relazioni future tra i team guidati da Michel Barhier e David Frost, ma i colloqui tecnici sembrano già minati dalle dichiarazioni del governo Johnson: il Regno è pronto a rimangiarsi parte dell’accordo sul divorzio modiScando già domani la legislazione che impone all’Irlanda del Nord di allinearsi alle regole commerciali europee, con Belfast che si trasformerebbe In un enorme buco nero dal quale tramite Irlanda del Sud entrerebbero nel mercato comune merci e alimenti che non rispettano gli standard Ue su salute e contraffazione. Una minaccia per l’Unione. «Confido – è stata la reazione di Ursula von der Leyen – che il governo britannico attui l’accordo di recesso, un obbligo ai sensi del diritto internazionale e prerequisito per qualsiasi futura partnership». Per inquadrare i rischi della mossa inglese, Barnier ha ricordato che quell’intesa era necessaria non solo per salvaguardare l’integrità del mercato interno, ma anche per evitare il risorgere di un confine terrestre tra le due Irlande giudicato capace di minare gli accordi di pace del Venerdì santo. In virtù dell’accordo di uscita, proprio per evitare il ritorno della frontiera, l’Ulster resterà nel mercato interno Ue e dovrà garantire controlli allineati agii standard europei sulle merci che passano per il suo territorio. Con queste premesse, sembra difficile che in settimana si arrivi a un’intesa capace di chiudere il negoziato commerciale sui rapporti futuri, il cui termine per entrare in vigore il primo gennaio, giorno in culla Brexit diventerà effettiva dopo l’annodi transizione, è il 31 ottobre.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bufacchi Isabella 
Titolo: E ora anche Merkel mette in discussione Nord Stream 2
Tema: Gasdotto Nord Stream 2

“L’ultimo miglio”per portare a termine lai costruzione del gasdotto Nord Stream 2, cioè gli ultimi 150chilometri su un totale di 1.234 che sotto il Mar Baltico raddoppieranno il collegamento tra la regione di Leningrado allo Stato-regione del Meclemburgo-Pomerania, è stato messo per la prima volta seriamente in dubbio dal governo tedesco. Dalla Germania. Dal Paese europeo che più di tutti ha messo su Nord Stream2 il proprio marchio di fabbrica (con 50 delle 100 aziende coinvolte), la faccia (politici Cdu-Csu, Spd, Fdp ma mai Verdi), ingenti risorse finanziarie (svariati miliardi). Solo una manciata di giorni fa, Angela Merkel aveva ribadito che il futuro del gasdotto non sarebbe stato messo in discussione dall’avvelenamento del leader russo all’opposizione Alexei Navalny, ricalcando quella linea di demarcazione che da lunghi anni divide nettamente le finalità economiche di natura privata di Nord Stream2 dalle vicende politiche del teso rapporto tra Germania e Russia. Da ieri, clamorosamente, la cancelliera non esclude più a priori che il caso Navalny, il dissidente russo uscito ieri dal coma dopo essere stato avvelenato con Novichok, possa avere un impatto sul futuro del gasdotto che a regime porterà altri 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno in Germania ed Europa, raddoppiando quelli del gasdotto Nord Streams.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Valentino Paolo 
Titolo: Navalny è fuori dal coma Sul gasdotto con Mosca si spacca il partito di Merkel
Tema: Gasdotto Nord Stream 2

Alexei Navalny sta meglio. E’ uscito dal coma e risponde agli stimoli il dissidente russo, avvelenato il 20 agosto in un aeroporto della Siberia e poi trasportato a Berlino. Lo hanno annunciato i medici della Charité, il policlinico della capitale tedesca dove Navalny è ricoverato. Le sue condizioni rimangono gravi e i dottori non escludono che ci potranno essere lesioni permanenti, ma il principale oppositore di Putin viene ora progressivamente staccato dagli apparecchi respiratori. Come hanno inequivocabilmente stabilito le analisi tossicologiche di uno speciale laboratorio della Bundeswehr, l’esercito federale, Navalny è stato avvelenato con un agente nervino della famiglia del novitchok. Sviluppato negli Anni Settanta dall’Armata Rossa dell’allora Urss, è lo stesso veleno usato, molto probabilmente dai servizi russi, nel tentativo di uccidere l’ex spia Sergei Skripal e sua figlia in Gran Bretagna nel 2018. La notizia del miglioramento Navalny giunge mentre in Germania infuria il dibattito sulle possibili misure punitive nei confronti di Mosca, se il Cremlino, parole di Angela Merkel, non darà «risposte chiare e rapide» sulle circostanze dell’accaduto e sui responsabili. Per la prima volta la cancelliera ha aperto alla possibilità che il governo tedesco ripensi la sua posizione sul Nord Stream 2, il controverso secondo gasdotto russo-tedesco sotto il Mar Baltico in fase di completamento, finora considerato intoccabile e «sganciato» da ogni considerazione geopolitica. «Sarebbe sbagliato escludere qualsiasi opzione», ha detto ieri il portavoce della cancelleria Steffen Seibert. A chiedere la fine immediata del progetto non è solo l’opposizione, verdi e liberali in primis, ma anche autorevoli esponenti della Cdu.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Giambertone Francesco 
Titolo: Giù contagi e tamponi. Spagna, 500 mila casi
Tema: Coronavirus: i contagi scendono

Calano ancora i nuovi casi da coronavirus in Italia, anche se il dato di ieri rischia di trarre in inganno. Perché se i nuovi positivi comunicati dal ministero della Sanità sono 1.108 nell’ultima giornata, cioè quasi duecento in meno dei 1.297 di domenica e quasi seicento meno di sabato (quando erano 1.695), negli ultimi giorni sono calati di molto anche i tamponi: ieri meno di 53 mila, molto sotto la media dell’ultimo periodo, che supera gli 80 mila e ha raggiunto punte di 113 mila. Per questo il tasso di positività (cioè il dato dei casi rispetto ai tamponi effettuati) è in realtà uno dei più alti da inizio maggio: il 2,196, in crescita rispetto all’1,5% delle ultime due settimane. Le regioni con più casi sono la Campania (218), il Lazio (159), l’EmiliaRomagna (132) e la Lombardia (109). In quest’ultima ieri sono morte 6 persone, su 12 in tutto il Paese: le vittime in Italia da marzo sono 35.553. Aumentano invece le persone ricoverate con sintomi (arrivate a 1.719 ieri, più del doppio di tre settimane fa) e quelle in terapia intensiva, attualmente 142, quasi raddoppiati negli ultimi dieci giorni. Ieri sera il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato il nuovo decreto (Dpcm) che proroga le misure per l’emergenza per 30 giorni, mentre la «seconda ondata» in Italia rimane piuttosto controllata rispetto a diversi Stati vicini. La Spagna è diventata ieri il primo Paese europeo a superare il mezzo milione di casi (quasi il doppio dell’Italia, che ne conta 278.874): sono 525 mila da inizio pandemia, circa un decimo dei quali nell’ultima settimana, 27 mila tra il weekend e lunedì. La maggior parte sono giovani, spesso asintomatici.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Dragosei Fabrizio 
Titolo: Il mistero dell’attivista sparita in Bielorussia – «Rapita» in strada anche Maria, l’ultima leader anti-Lukashenko
Tema: Attivista sparita in Bielorussia

Forse senza il video girato da un automobilista di passaggio, per chissà quanto tempo non si sarebbero avute notizie di Maria Kolesnikova, la leader dell’opposizione bielorussa prelevata ieri in strada e caricata su un furgone grigio da uomini mascherati. Ma ora nessuno ha dubbi su dove sia finita l’unica esponente rimasta in patria del trio di donne che sfidò Lukashenko alle elezioni del g agosto. Non in una cella del ministero dell’Interno, ma nelle mani del Kgb, come si chiama ancora oggi a Minsk il Servizio di sicurezza statale. Dopo aver usato la mano pesante contro le prime manifestazioni di piazza per i brogli, dopo aver finto di cercare un dialogo con chi protestava, ora il padre-padrone della Bielorussia ha deciso di chiudere i conti con chi guida l’opposizione. All’estero, dopo essere state minacciate e intimorite Svetiana Tikhanovskaya e Olga Kovalkova. In prigione o pure fuori dalla Bielorussia i tre esponenti politici che si erano originariamente candidati a sfidare Lukashenko che si presentava dopo 26 anni per il sesto mandato. Ora si sistemano coloro che sono rimasti in patria. Giorni fa è stata la volta dell’ex ministro della Cultura Pavel Latushko, costretto a riparare in Lituania. Aveva espresso il suo sostegno alle proteste e il «babbo», come ama farsi chiamare il capo dello Stato, gliel’aveva giurata: «Ha superato la linea rossa». Sabato 5, Olga Kovalkova, collaboratrice della Kolesnikova, era statá accompagnata alla frontiera con la Polonia e «gentilmente» invitata a varcare il confine. Ieri la «cattura» in strada della trentottenne Maria.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Stabile Giordano 
Titolo: Conte a Beirut sulle orme di Macron La rincorsa per aiutare la città ferita
Tema: Conte in Libano

Le famiglie cominciano già ad arrivare, in macchina, all’ingresso principale dell’Université Libanaise ad Hadath. Siamo nel cuore di Dahiyeh, il quartiere sciita roccaforte di Hezbollah. E’ una zona povera e il passaparola in un Paese dove la sanità pubblica è scarsa e quella privata inaccessibile ai più, è stato micidiale, conferma il generale Giovanni Di Blasi, in mezzo all’ospedale da campo appena allestito dall’esercito: «Si è sparsa subito la voce dell’ospedale italiano che “cura gratis” ma per il momento siamo costretti a rimandarli a casa, l’apertura è domani e da domani cominceremo ad accogliere i primi pazienti, in base alle priorità che ci sono state date». Di Blasi è a capo di una task force sbarcata a Ferragosto nella capitale libanese, straziata dalla terrificante esplosione nel porto. Le cliniche sono sommerse dai feriti, oltre settemila, con tremila che necessitano ancora di cure. Ogni aiuto è prezioso. «L’ordine è arrivato il 13 agosto, i primi mezzi sono sbarcati il 23 dalla nave San Giusto, poi abbiamo dovuto aspettare il resto dell’attrezzatura trasportata da navi civili», quasi si giustifica il generale. In caso di guerra l’ospedale può essere operativo in 72 ore, e così è stato a marzo, al picco dell’emergenza Covid in Italia, quando gli uomini di Di Blasi sono stati chiamati «al fronte» nelle province di Parma e Piacenza. Adesso però siamo a 2500 chilometri dal territorio italiano e anche la burocrazia ha il suo peso. Alla fine, dopo l’inaugurazione di oggi con Giuseppe Conte, la macchina partirà a pieno regime. Il premier arriva a una settimana dalla visita del presidente francese Emmanuel Macron, che era già stato nella città martoriata il 6 agosto, subito dopo l’esplosione al porto.
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