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SINTESI IN PRIMO PIANO – 8 dicembre 2019

In evidenza sui maggiori quotidiani:

– Governo: Conte rassicura Mattarella, la tenuta è stabile;
– Elezioni in Emilia: “Effetto piazze” per il candidato dem Bonaccini;
– Manovra: stretta antievasione sull’Imu, rinvio per plastic tax e sugar tax;
– Autostrade, il Premier Conte è cauto sulla revoca;
– Libia: l’Onu rilancia l’allarme e per Conte serve un piano Ue;
– Gran Bretagna: Governo teme ingerenze russe sul voto.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Breda Marzio 
Titolo: Il retroscena – Le nuove insidie per il governo che preoccupano il Quirinale
Tema: Governo

Alcuni giorni fa Giuseppe Conte aveva assicurato che il governo «non cadrà né ora né a gennaio». Quella promessa di stabilità, proiettata comunque nel brevissimo periodo, era parsa più un esorcismo che una fondata garanzia di solidità della maggioranza. Così l’avevano percepita anche al Quirinale, dove non si azzardavano previsioni, ma non si escludeva il rischio che gli scambi di ostilità e i giochi tattici fra partner (con i 5 Stelle e Italia viva accaniti nella guerra di logoramento) sfociassero in un incidente di percorso. Insomma: l’ipotesi di una crisi spalancava la prospettiva di un naufragio della Finanziaria, costringendo il Paese all’esercizio provvisorio di bilancio, mentre al capo dello Stato non sarebbe rimasto che sciogliere le Camere per spedire gli italiani al voto in marzo. Il tormentato compromesso raggiunto l’altra sera sulla manovra ha tamponato quel pericolo, con un sospiro di sollievo del premier e pure di Mattarella, preoccupato per le conseguenze sullo spread. L’equilibrio resta però fragile ed esposto a tante incognite. Sul Colle le stanno valutando una per una, mentre a Palazzo Chigi si studia un cronoprogramma per la ripartenza dell’esecutivo e mentre gli «artificieri» dei partiti dialoganti lavorano per disinnescare le mine più esplosive. Quasi tutte con il timer fissato in gennaio.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Intervista a Andrea Orlando – Orlando: Di Maio dica se ha fiducia nel premier Allenti o si rischia il voto
Tema: Governo

Vicesegretario Andrea Orlando, la manovra sta in piedi anche senza sugar e plastic tax? «Sì, gli obiettivi fondamentali sono stati centrati, nonostante l’eredità pesantissima del governo precedente. Abbiamo evitato l’aumento dell’Iva, incrementato i trasferimenti ai Comuni e la spesa sociale, per la sanità, gli asili nido e la non autosufficienza. Si è iniziato un percorso redistributivo con la riduzione della pressione fiscale sul reddito da lavoro. Quanto a sugar e plastic tax, l’obiettivo di riorientare i consumi e la produzione resta. Vogliamo spostare il carico fiscale su condotte più sostenibili, dando tempo alle imprese per adeguarsi». Conte è costretto a convocare vertici su vertici per sedare le liti. Come va avanti un governo così? «Una maggioranza tiene quando ha un obiettivo forte. Dopo la manovra, o a gennaio, si ridetermineranno altri obiettivi aumentando l’ambizione riformista, o sarà la “verticite” ad aumentare. E’ puerile cercare di dare la colpa agli altri. Quando non c’è un obiettivo condiviso le fibrillazioni sono inevitabili, anche se il Pd con forte spirito zen non ne ha prodotte». Renzi minaccia il voto e poi canta vittoria: siete finiti nella sua trappola? «Penso abbia vinto l’ltalia. La medaglia che dobbiamo appuntarci al petto è aver evitato l’aumento dell’Iva, che avrebbe portato alla recessione. Se c’è qualcuno che si consola con le medaglie di latta, si accomodi. L’idea che qualcuno voglia ridurre le tasse e altri no a prescindere, è una mistificazione. Il taglio più consistente sulle tasse lo abbiamo voluto e difeso noi ed è la riduzione di tre miliardi della tassazione sulla busta paga».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Caruso Carmelo 
Titolo: Sottosegretari senza deleghe, rischio paralisi – Il governo dove i ministri non si fidano dei vice
Tema: Governo

Come ci si può fidare di un governo che non si fida di se stesso? Novanta giorni dopo la nascita del Conte bis, i ministri non si fidano dei loro vice e i loro vice non conoscono quali siano i loro compiti. Da tre mesi, 47, tra sottosegretari e viceministri, hanno gli onori della carica, ma non hanno ancora le deleghe assegnate. Da tre mesi, hanno i privilegi dell’incarico, ma non conoscono le materie specifiche per cui sono stati incaricati. Come il cavaliere dello salttore Italo Calvino che esisteva senza esistere, che si presentava con l’armatura come guscio, ma senza corpo, anche loro si muovono nei ministeri con il ruolo, ma senza la funzione. Se è vero che non tutti possono fare tutto, come può un solo ministro occuparsi di tutti i dipartimenti? Come può un ministro degli Esteri occuparsi, ad esempio, di affari politici e sicurezza, di mondializzazione e questioni globali, di Ue, di cooperazione e sviluppo? Nel caso poi di Luigi Di Maio, ministro della provincia più che degli Esteri (è sempre in tour elettorale per il M5s) è chiaramente impossibile. Alla Farnesina, i viceministri e sottosegretari sono 5 e tutti fanno tutto rischiando di fare niente. La prova è che nessuno dei 5 ha saputo, al momento, rispondere, alla domanda più paradossale che si possa formulare: chi di voi risponde alle nostre domande? E l’interrogazione scritta, (la numero 4-03962) che ha presentato il deputato della Lega, Paolo Formentini, a fine ottobre. Chiedeva in pratica quanto bisogna ancora attendere prima di sapere a quale dei 5 sottosegretari deve rivolgersi in determinate circostanze.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Minzolini Augusto 
Titolo: L’analisi – Anche la Lega è d’accordo Intesa sul proporzionale che libera tutti i partiti
Tema: Legge elettorale

Venerdì mattina, mentre i renziani minacciavano la crisi su plastic e sugar tax, nel corridoio del governo adiacente al Transatlantico di Montecitorio, un serafico Dario Franceschini, cioè l’uomo forte del Pd nel Conte due, era preso da ben altro, dalla stagione nuova che verrà. «Quante volte si parla di crisi di governo, solo per minacciarla?!», osservava «Basterebbe rifletterci un po’: su una manovra di 30 miliardi di euro si può fare la crisi per 200 milioni?!». E infatti l’attenzione del ministro per i Beni culturali era concentrata su un tema diverso: «La cosa importante è la legge elettorale. Ormai siamo avanti, la scelta proporzionale è fatta, incardineremo il provvedimento in Parlamento entro questo mese e tutti i partiti e i protagonisti della politica dovranno immaginare nuove strategie. Anche Salvini credo si stia convincendo che il proporzionale potrebbe convenire anche a lui: intanto il 35% di cui lo accreditano i sondaggi sarà tutto suo, non dovrà dividerlo con nessuno sull’altare delle alleanze; e, comunque, anche nel sistema proporzionale non si può in ogni caso prescindere da una forza del 35%. Inoltre con una legge elettorale di questo tipo si liberano tutti. Forza Italia non sarà più obbligata ad andare con Salvini. E noi non dovremo più Renzi dà l’ok: «Così si rimettono in moto i processi politici» andare per forza con Renzi. Tana libera tutti e torniamo giovani».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Milella Liana 
Titolo: Bonafede cede Sulle intercettazioni in arrivo un decreto
Tema: Intercettazioni

Sulle intercettazioni – la legge Orlando – un fatto è certo. Entrerà in vigore il primo gennaio. Anche lei, come quella sulla prescrizione. Della serie, una a me e una a te. Al Guardasigilli grillino Bonafede la sua legge sulla prescrizione. All’ex Guardasigilli Orlando la sua sulle intercettazioni. La spiegazione politica è semplice: dopo la battaglia sulla prescrizione Bonafede non ne può reggere un’altra contro il Pd per rinviare le “nuove” intercettazioni, già bloccate da lui per due volte. Più d’uno gli ha sentito dire: «Sulle intercettazioni non m’impicco». Ma da qui al 31 dicembre il tempo è poco, e il problema è come far entrare in vigore la legge. Che, ricordiamolo, impedirà la pubblicazione integrale delle telefonate registrate. Fatto di civiltà, dicono i garantisti; colpo alla trasparenza dell’informazione, dicono i giornalisti, o almeno una parte di essi. Ma tant’è. II problema ora è capire “come” entrerà in vigore la legge. Se tutta intera o per pezzi. Di sicuro servono, nell’ordine, una norma transitoria che stabilisca come applicarla subito ai processi e alle intercettazioni in corso (sollecitata mercoledì dai maggiori procuratori italiani in un incontro con Bonafede); servono poi delle modifiche, una soprattutto assai rilevante. Come farlo? Bonafede ha proposto al Pd due strade: un decreto legge ad hoc, ma è da vedere se ne ricorre “necessità e urgenza”; o un comma ad hoc nel decreto Milleproroghe (ma c’è già chi storce il naso per la consistenza forte della modifica).
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Imarisio Marco 
Titolo: In diecimila per Bonaccini: appello al M5S – In diecimila per Bonaccini (si presenta anche Prodi) L’appello agli elettori M5S
Tema: Emilia, comizio di Bonaccini

Come è cambiato, Stefano Bonaccini. Nel 2014, quando a malincuore venne caldamente invitato da Matteo Renzi a candidarsi, era il classico prodotto di quel che restava del «partitone» emiliano. Serio, serioso, austero nell’abbigliamento, con il complesso dell’irraggiungibile Roma, che da queste parti per i figli del Pci fin dai tempi dell’ostracismo di Togliatti è un classico come i tortellini. Ce l’aveva quasi fatta, quando una faida interna obbligò l’allora segretario del Pd a rispedirlo a casa, rinunciando a nominarlo responsabile nazionale dell’organizzazione dei democratici. Lui accettò, per vincere le elezioni meno partecipate della storia della sua Regione. Adesso un Bonaccini con barba hipster e Ray-Ban chiari a goccia, divenuto logo di se stesso, irrobustito dall’ora quotidiana di palestra nel fisico e dai cinque anni di governo della Regione nella testa, se la ritrova in casa, la partita nazionale. Le sorti del secondo governo Conte dipendono dalla sua vittoria o dalla sua sconfitta. Peccato per lui che rispetto al 2014, manchi anche quel «probabile vincitore» che era l’abituale definizione riservata ai candidati del Pd in corsa per l’EmiliaRomagna. Con Lucia Borgonzoni sana un testa a testa, fino al 26 gennaio. Al punto da rendere necessaria una adunata in piazza Maggiore come non se ne vedevano da anni, perché mai prima ce n’era stato bisogno. Erano in diecimila, tanti. Anche questo è un segno della delicatezza del momento. Le bandiere che non dovevano esserci invece c’erano, da quelle più numerose del Pd a quelle di Italia viva fino ai Verdi. C’era tra il pubblico anche Romano Prodi, genius loci che mai si era scomodato per una elezione regionale.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bignami Silvia 
Titolo: Effetto piazze sul voto in Emilia Bonaccini stacca la rivale leghista
Tema: Emilia, comizio di Bonaccini

Tornano piene le piazze della sinistra nell’Emilia Romagna al voto per fermare l’onda leghista. Dopo le sardine e «grazie al coraggio che hanno dato al nostro popolo», anche Stefano Bonaccini riesce a riempire il Crescentone. Il governatore dem, in corsa per il bis alle regionali del 26 gennaio contro la leghista Lucia Borgonzoni, porta in Piazza Maggiore oltre 10mila persone. Ci riesce da solo, tenendo a distanza i big del partito, cancellando il simbolo Pd dal palco e dai manifesti – «perche sono candidato di una coalizione in cui tutti i partiti hanno pari dignità» – , ma lasciando che le bandiere dell’intero centrosinistra invadano il Crescentone. «Portate tutte le bandiere che volete» aveva detto nei giorni scorsi. E infatti ci sono tutte. Quelle del Pd, della sinistra “Coraggiosa” di Vasco Errani, dei Verdi, dei giovani europeisti di Volt, persino dei Repubblicani. Pure quelle della sua lista, la lista civica di Bonaccini, con l’immagine stilizzata dell’Emilia Romagna disegnata nel verde che è il colore della Regione e che il presidente usa pure per il logo col suo volto sui gadget della campagna. «Mi avevano sconsigliato di fare questa manifestazione e invece ne è valsa la pena. Questa è una piazza straordinaria» dice il governatore sul palco. Unico politico a parlare alla piazza, dopo i monologhi di Alessandro Bergonzoni, Carlo Lucarelli e Bella Ciao cantata in coro. Il Pd sta dietro i riflettori, mentre il governatore spinge sull’acceleratore e stacca la rivale Lucia Borgonzoni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Poletti Fabio 
Titolo: “C’è il voto disgiunto” E Bonaccini sfida gli elettori di Salvini – Bonaccini lancia l’amo alle Sardine E stuzzica i leghisti: c’è il voto disgiunto
Tema: Emilia, comizio di Bonaccini

Nuotano in questo mare di gente che affolla Piazza Maggiore, le Sardine che fanno la differenza, anche oggi nell’Emilia-Romagna che corre verso il voto del 26 gennaio. Non hanno cartelli, non si fanno riconoscere, sono qui a titolo personale e dunque chissà quante sono. Le Sardine stanno soprattutto lontano dal palco dove il Governatore uscente e in cerca di riconferma Stefano Bonaccini, alla guida di una coalizione di centrosinistra, si sgola e gli liscia le squame: «So che ci siete. Se volete un confronto noi ci siamo». Il leader defilato Mattia Santori, il leader di questo movimento, molto distante dal palco gioca a nascondino con i fotografi. Le uniche sue non memorabili dichiarazioni, sono quelle che va ripetendo da giorni: «Sono qui a titolo personale. Non siamo un partito ma presenteremo i nostri punti alla coalizione di Bonaccini». Lo staff del Governatore esulta per questa piazza gremita «come non si vedeva dagli Anni Settanta». Dicono che saran 10 mila. Comunque meno delle Sardine che l’altra volta hanno strabordato ed eran quasi 15 mila. Al netto dello scarso appeal dei partiti tradizionali, le Sardine con quel loro agitarsi in branco piacciono a tanti. Pure a Francesca Pascale, storica fidanzata di Silvio Berlusconi, che lancia un improbabile endorsement: «Trovo in loro elementi di libertà che furono della rivoluzione del Cavaliere. Potrei anche scendere in piazza con loro».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  De Marchis Goffredo 
Titolo: Di Maio: la guida nostra, non del Pd – Di Maio: “Alzo la voce con il Pd per difendere il programma 5S”
Tema: M5S
Io sto difendendo il Movimento e la sua natura. E voi? Non è proprio un’accusa di tradimento ma ci va molto vicino. I frondisti dei 5 stelle e in generale chi accusa il capo politico di stressare troppo il rapporto con l’alleato Pd non hanno capito, secondo il leader, che la posta in gioco è l’identità. Primo: si nascondono nell’anonimato. «Quelli che sembra abbiano parlato del documento per sfiduciarmi non hanno neanche il coraggio di dirlo pubblicamente», si sfoga il ministro degli Esteri nei suoi colloqui riservati. Secondo: non è previsto e non ci sarà alcun incontro chiarificatore con i 14 capigruppo di commissione che hanno sollevato il problema. «Nessuno me l’ha chiesto. Ioli sento sempre. Faccio riunioni periodiche con loro quindi non c’è bisogno di chiedere niente», taglia corto. Ma il disagio che si respira nelle stanze del Movimento è rivelato implicitamente anche nei ragionamenti di Di Maio. «Il punto vero è un altro – dice ai fedelissimi -. Si può provare a combattere per il nostro programma elettorale senza alzare la voce quando gli altri partiti non vogliono fartelo fare?». La risposta chiaramente è no. Bisogna twittare, se necessario. Ribattere muscolarmente, anche. Rendere evidente la distanza con gli altri partiti anche se si finisce per battagliare sul medesimo terreno della Lega. Con i soliti sospetti di un feeling mai sepolto. «Noi ci opponiamo alla linea del Partito democratico sul Mes, il fondo salva-stati, e sulla prescrizione – replica Di Maio -. E dov’è la novità? Sono le nostre sfide da sempre. Invece subito veniamo accusati di voler sfasciare tutto. Ma io ho il dovere di difendere il Movimento e il suo programma».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: La rabbia del M5S investe Casaleggio “Ora basta dare soldi per Rousseau”
Tema: M5S

Basta toni violenti sui social. Basta dare soldi a Davide Casaleggio senza controllo. Sono gli ultimi capitoli dell’eterna insoddisfazione dei parlamentari grillini, stufi di essere tagliati fuori da ogni scelta politica che Luigi Di Maio prende a nome del M5S. Ieri i quattro soci dell’Associazione Rousseau, (Casaleggio, Massimo Bugani, Pietro Dettori e Enrica Sabatini) si sono difesi dall’accusa di aver dirottato verso le proprie casse, e all’insaputa di tutti, i 120 mila euro rimasti come avanzo dall’organizzazione di Italia a 5 Stelle. Il bilancio è stato reso pubblico, hanno spiegato, e le attività di Rousseau dettagliate in diversi appuntamenti disertati da gran parte dei parlamentari. Lo scontento è noto: molti deputati esenatori da mesi si chiedono perché versare 300 euro mensili del proprio stipendio a una piattaforma che considerano inutile. Tra i più inferociti ci sono Federica Dieni, deputata calabrese, e Giorgio Trizzino, già alla testa di una fronda e tra coloro che chiedono di cambiare il regolamento per slegare – sia da un punto di vista politico che finanziario – Rousseau e la Casaleggio dal M5S. Ma la preoccupazione è un’altra. Come avvenuto per gli eventi annuali di Italia a 5 Stelle anche per gestire i contributi derivanti dal taglio dello stipendio degli eletti grilli ni è stato costituito un comitato peri rimborsi (Di Maio, Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva).
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Scalfari Eugenio 
Titolo: L’editoriale – Napoleone e l’ultima campagna di Renzi – L’ultima tentazione di Renzi
Tema: M5S

Il Movimento-partito dei Cinque Stelle si sta occupando principalmente del Mes al quale è contrario. Lo scontro all’interno della maggioranza di governo è abbastanza evidente anche se è soltanto una delle posizioni politiche dei Cinque Stelle di Luigi Di Maio. Di Maio è tutto solo. Volutamente tutto solo per dare più evidenza a uno dei partiti numericamente più modesti che esistano in questa fase delicata della politica italiana. La settimana scorsa Li abbiamo elencati tutti: dai più numerosi ai granelli di sabbia che peraltro si propongono con molta quanto ingiustificata presenza. In questa situazione generale i Cinque Stelle sono numericamente il più modesto dei partiti realmente esistenti. La natura reale dei suoi iscritti è populista ma proprio come tale non è in crescita bensì in decrescita e tuttavia la sua presenza in Parlamento è ragguardevole. Di Maio oscilla tra la solitudine di chi accetta una dittatura e un altro aspetto del tutto contrario, tanto da aver detto di sì all’incarico di ministro degli Esteri del governo presieduto da Giuseppe Conte, che nacque politicamente come espressione dei Cinque Stelle e fu promosso proprio da Di Maio alla carica di primo ministro, un ruolo accettato anche da Salvini.
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Testata:  Tempo 
Autore:  Bisignani Luigi 
Titolo: Spaventa l’asse di ferro tra Bergoglio e Mattarella – Asse Bergoglio-Mattarella
Tema: Bergoglio – Mattarella

Caro direttore, asse di ferro Bergoglio-Mattarella. Porpore e sottane sull’orlo di una crisi di nervi in Vaticano dopo l’arrivo della strana coppia siciliana Pignatone-Barbagallo deputata a vigilare sui Sacri Palazzi. Il primo, di Caltanissetta, presidente del Tribunale vaticano fresco di nomina al posto del mite giurista cattolico, Giuseppe Dalla Torre; il secondo, catanese, neopresidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria (Aif), istituzione della Santa Sede per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, in sostituzione di René Brülhart, l’avvenente avvocato svizzero di Friburgo silurato a sorpresa dal Vaticano senza troppi complimenti. Neppure il Segretario di Stato Pietro Parolin si capacita della scelta di Bergoglio di aver designato l’ex procuratore capo di Roma e il precedente capo della Vigilanza della Banca d’Italia per mettere ordine tra le numerose inchieste vaticane, dalla finanza alla pedofilia. Comincia però a farsi strada un sussurro, che porta addirittura al Quirinale, dove regna il più illustre dei siciliani, Sergio Mattarella. Sono in molti a giurare che tra Papa Francesco e il nostro Presidente della Repubblica esista ormai una linea telefonica diretta ed è nota la stima di Mattarella verso Giuseppe Pignatone e Carmelo Barbagallo, così come quella per l’ex direttore generale di via Nazionale, Salvatore Rossi, che ha dovuto fare un passo indietro per favorire la conferma di Ignazio Visco, brav’uomo, più portato agli studi che al Vietnam del sistema bancario italiano.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Rogari Marco 
Titolo: Industria 4.0 con credito d’imposta Robin tax al 3,5% – Robin Tax, 3,5% solo sui trasporti Impresa 4.0 con credito d’imposta
Tema: Manovra

Sale al 3,5% l’aliquota della Robin tax, ma saranno escluse le concessioni per la produzione e distribuzione dell’energia elettrica, le acque minerali, radio, Tv e telecomunicazioni. Per la tanto contestata plastic tax il taglio del contributo si ferma a 50 centesimi al chilo, e non a 40 centesimi come era stato ipotizzato nel corso del vertice di maggioranza di venerdì a Palazzo Chigi, ma viene confermato il posticipo del primo versamento al mese di ottobre. L’entrata in vigore slitterà dunque dal 1° aprile 2020 al 1° luglio prossimo, stessa data di decorrenza ora fissata perla sugar tax, che è destinata a non essere alleggerita e versata solo a partire da ottobre 2020. I correttivi del Governo, cui si aggiungerà il nuovo credito d’imposta per Industria 4.0, sono attesi per domani in commissione Bilancio al Senato. Dove già ieri sono stati depositati dai relatori al Ddl di Bilancio, Rossella Accoto (M5S) e Dario Stefano (Pd), una trentina di ritocchi. A cominciare da quello sul prestito ponte per Alitalia da 400 milioni che entra così in manovra. Ancora ieri i tecnici del Mef e della Ragioneria hanno lavorato per quantificare le coperture di questo pacchetto di modifiche e tradurre in subemendamenti al «mini-maxi» già depositato in Bilancio l’intesa faticosamente raggiunta dalla maggioranza di Governo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Imu, stretta anti evasione – Manovra, tensione Renzi-Conte La Lega vuole andare alla Consulta
Tema: Manovra

Gli estenuanti vertici di maggioranza di questi giorni hanno determinato un ritardo tale nell’iter parlamentare della manovra che, questa volta, non ci saranno i soliti tre passaggi parlamentari, ma solo due, con la Camera che dovrà ratificare il testo che uscirà blindato dal Senato alla fine della prossima settimana. Insorge la Lega: «Uno schifo. Platealmente incostituzionale. La Camera tagliata fuori dalla legge di Bilancio. Ci vediamo alla Consulta», avverte Claudio Borghi. Intanto, gli aggiustamenti su plastic e sugar tax, frutto del compromesso tra Pd e Italia viva, arriveranno tra oggi e domani, quando il governo presenterà gli emendamenti nella commissione Bilancio del Senato. II rinvio di tre mesi (a luglio 2020 la plastic e a ottobre la sugar) delle cosiddette microtasse determinerà un minor gettito di circa 400 milioni nel 2020. Cifra che verrà in gran parte coperta con un ulteriore inasprimento delle tasse su giochi e lotterie. Oltre alle coperture da completare, c’è da definire anche il dettaglio delle rimodulazioni delle tasse. La plastic tax slitta a luglio ma dovrebbe restare a 50 centesimi al chilo (esentata anche quella riciclabile) e non scendere a 40, spiega il viceministro dell’Economia Antonio Misiani. Sarà corretta anche la cosiddetta Robin tax: l’addizionale Ires potrebbe salire dal 3 al 3,5% ma colpire concessionarie di autostrade, porti e aeroporti, non quelle di luce e gas.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Conte Valentina 
Titolo: Basta trucchi sulle prime case – Stretta sui furbetti della prima casa Il Pd spinge sul cuneo
Tema: Manovra

Il vertice di quindici ore a Palazzo Chigi venerdì ha prodotto ieri un primo pacchetto di 31 emendamenti firmati dai relatori della manovra in commissione Bilancio del Senato: Rossella Accoto (M5S) e Dario Stefano (Pd). Altri ne arriveranno domani. Si punta a liquidare il testo entro la settimana, per poi inviarlo alla Camera pressoché blindato perché non ci sarebbero i tempi per un terzo passaggio entro il 31 dicembre L’opposizione rumoreggia. «Incostituzionale tagliare fuori la Camera dalla legge di Bilancio», twitta il leghista Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio. L’ingorgo dei provvedimenti è tuttavia importante. Oltre alla manovra, ci sono 4 decreti in scadenza entro l’anno: fiscale, clima, sisma e scuola. E non più di 14 giorni di sedute tra Camera e Senato. Raggiunto l’accordo politico sulle microtasse – quella sulle auto di fatto sparisce, plastic e sugar tax partiranno più in là, in luglio e ottobre, ridimensionate – tutte le forze di maggioranza esultano. «Abbiamo vinto la battaglia sulle tasse», dice Matteo Renzi (Iv). «Ha vinto l’Italia», gli risponde Nicola Zingaretti (Pd). «Abbiamo vinto tutti», aggiunge il premier Giuseppe Conte. Niente crisi di governo, per ora. Anzi il Pd, con il viceministro all’Economia Antonio Misiani, chiede di accelerare sul taglio del cuneo fiscale da 3 miliardi nel 2020, inserito in manovra ma affidato a un decreto successivo – e al confronto con le parti sociali – per la sua traduzione in un concreto aumento delle busta paga. Nel pacchetto dei 31 emendamenti spunta una.stretta sui furbetti delle residenze e quindi sulle finte “prime case”.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Amato Rosaria 
Titolo: Intervista a Pier Paolo Baretta – Baretta “La manovra funziona ma ora una revisione dell’Iva Meno Irpef per i redditi bassi”
Tema: Manovra

Una manovra «in parte già costruita dall’anno precedente», gravata dal vincolo oneroso delle clausole Iva. Eppure, rivendica Pier Paolo Baretta (Pd), sottosegretario all’Economia, «i pezzi del puzzle ci sono tutti», gli obiettivi principali sono stati raggiunti, dal taglio del cuneo fiscale al ridisegno del welfare familiare all’industria 4.0. Punti strategici che però vanno ripresi subito, a gennaio, aprendo tre fronti di discussione: una riforma fiscale che ridisegni le aliquote Iva e renda l’Irpef più leggera per i meno abbienti, una riflessione sulla previdenza all’indomani di quota 100, l’emergenza climatica. La legge di Bilancio è ormai quasi definitiva. Ma non si poteva fare di più, con scelte più decise a favore dei lavoratori, delle famiglie e della crescita? «Sicuramente bloccare le clausole Iva impegnando 23 miliardi ha lasciato uno spazio relativo per altri interventi. La nostra decisione è stata quella di mettere più risorse possibili per il taglio del cuneo fiscale, 3 miliardi quest’anno e 5 dal prossimo. Un segnale importante che avvia seriamente la riduzione del carico fiscale dei lavoratori. Ce lo hanno chiesto le parti sociali, anche gli imprenditori, perché in una fase difficile per la competitività, con i salari che rimangono bassi, questa diventa una forma di ristoro che favorisce il coinvolgimento dei lavoratori».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tridico Pasquale – v.co. 
Titolo: Lettera. “Quota 100 non ha ritardato l’erogazione delle altre pensioni”
Tema: Lettera Presidente Inps

Gentile direttore, in merito all’articolo pubblicato il 4 dicembre dal titolo ‘Noi pensionati senza pensione’; desidero precisare quanto segue, dopo però aver espresso sincero rincrescimento per i casi più gravi segnalati nell’articolo. Al 30 settembre 2019 l’Inps ha liquidato 568.655 nuove pensioni di tutte le tipologie (nel corrispondente periodo 2018 erano 528.366). In particolare, nei primi 9 mesi del 2019 le domande di pensione anticipata presentate dai lavoratori del settore privato sono il 32,6% in più rispetto a quelle del corrispondente periodo del 2018, mentre quelle dei lavoratori del settore pubblico sono aumentate del 135,7% L’impegno profuso dall’Istituto nelle pratiche di pensione anticipata (fra cui quota 100) non ha rallentato la lavorazione delle altre prestazioni. Ad esempio, le pensioni liquidate a superstiti di pensionati o assicurati sono state 169.037 mentre erano state 167779 nel corrispondente periodo del2018 L’articolo apparso, invece, riporta dati relativi ai tempi medi di liquidazione delle pensioni non confrontabili tra loro. Per trasparenza, segnalo che il tempo complessivo di definizione di una pensione si è attestato nei primi nove mesi del 2019 sui 42 giorni (47 giorni ne12018). Vanno inoltre considerate le diverse tipologie e gestioni previdenziali.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fabbrini Sergio 
Titolo: Un Mes comunitario nell’interesse nazionale
Tema: Mes

Il dibattito che si è svolto sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) dimostra che la principale linea di divisione tra governo e opposizione (e al loro interno) riguarda l’idea stessa di interesse nazionale. Per gli oppositori della riforma occorre smantellare il sistema regolativo dell’Eurozona («L’uscita dall’euro non è un tabù», ha ripetuto l’altro ieri l’onorevole leghista Borghi), così da giungere ad un mercato comune privo di meccanismi vincolanti. Qui, l’interesse nazionale coincide con l’isolazionismo. Una prospettiva del tutto implausibile, nel contesto di profonda interdipendenza strutturale in cui siamo inseriti. Per i difensori della riforma, invece, il Mes costituisce uno strumento necessario per proteggerci dalle crisi finanziarie, sia sotto forma di crisi sovrana che bancaria. Per di più, esso non impone automatismi di ristrutturazione del debito, nel caso che un suo stato membro richiedesse aiuto finanziario. Qui, l’interesse nazionale coincide con la partecipazione all’Eurozona. È indubbio che sia così. Tuttavia, pur riconoscendo la necessità di approvarlo, occorre domandarsi se il nostro interesse nazionale coincide con un’Eurozona che diventa sempre più intergovemativa, anche grazie al Mes. A me non pare. Alcuni difensori della riforma sostengono che il Mes non può che essere intergovernativo, visto che i fondi per il suo funzionamento vengono forniti direttamente dai suoi stati membri.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Caro Paola 
Titolo: Intervista a Maria Elisabetta Casellati – Casellati: il salva-Stati? Sarà fondamentale il ruolo del Parlamento – «Sul salva-Stati sarà fondamentale la discussione in Parlamento»
Tema: Mes

La durata del governo, le polemiche sul Mes (ovvero il fondo salva Stati), l’irrompere sulla scena politica delle Sardine. Ma anche la necessità di un nuovo «patto generazionale» che abbia nella tutela dell’ambiente, nel sostegno alla genitorialità, nelle politiche per l’occupazione il suo fulcro, all’insegna della «sostenibilità». Maria Elisabetta Casellati, prima donna a salire sulla poltrona di seconda carica dello Stato, primo presidente del Senato della storia Repubblicana a essere espressione dell’opposizione, dalla sua poltrona tricolore, in tono calmo e deciso, mette in fila le emergenze da affrontare. Con un filo conduttore: quello dell’«orgoglio nazionale», principio ispiratore delle iniziative per le quali si è spesa: dalla promozione delle «eccellenze italiane» nella cultura, che ha visto ospitati e premiati in Senato i grandi della musica, del cinema, del teatro a quelle per la difesa del territorio – ha invocato una commissione di inchiesta sul dissesto idrogeologico, ha voluto in un convegno al Senato Greta Thunberg -, fino alle politiche per «un nuovo welfare». È questa la priorità della legislatura? «Abbiamo il dovere di garantire domani ai nostri giovani le stesse opportunità che noi abbiamo oggi. E’ il risultato che si può raggiungere tutelando l’ambiente, favorendo l’occupazione, incentivando il welfare e gli investimenti a sostegno della genitorialità. Solo così sarà possibile invertire la curva demografica discendente e creare le condizioni per un nuovo patto generazionale».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca 
Titolo: Intervista a Dario Scannapieco – Territorio e mobilità urbana La spinta «verde» della Bei
Tema: Bei

«Cerchiamo di mettere in pratica un’azione di contrasto al cambiamento climatico, i cui effetti sono già ben visibili, e consapevoli del fatto che l’Ue è responsabile per un quarto delle emissioni di CO2 prodotte a livello globale». Dario Scannapieco, 52 anni, è dal 2007 uno dei vicepresidenti della Banca europea per gli investimenti. La Bei fornisce i finanziamenti per i progetti che contribuiscono a tradurre in concreto gli obiettivi dell’Unione e ha annunciato che non investirà più sulle fonti fossili dalla fine del 2021. La Bei diventa la «banca del clima»? «Non solo. Vogliamo portare al 50% entro il 2025 il volume di attività dedicate all’ambiente e alla lotta al cambiamento climatico, attivando mille miliardi di investimenti nel settore nei prossimi dieci anni. Ma non a scapito delle altre due missioni. Il 3o% delle nostre attività è dedicata alle aree coesione per fare in modo che il sistema economico europeo sia omogeneo. Ambiente e coesione non vanno visti in termini antitetici. C’è poi l’innovazione: una chiave di svolta sia per la coesione sia per l’ambiente». Dalla fine del 2021 non investirete più sul gas. L’Italia usa prevalentemente gas, non c’è un rischio per il Paese? «In Italia abbiamo fatto molto in passato. E saranno ancora finanziabili le reti predisposte per il passaggio di gas meno inquinanti come idrogeno e biogas, su cui anche Snam ad esempio sta lavorando, oltre che gli impianti a gas più puliti. Se oggi consideriamo il gas un’energia di transito tra la fase attuale e una fase più centrata su efficienza energetica e rinnovabili, rischiamo di finanziare progetti che perdono utilità economica perché diventano obsoleti».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Autostrade, Conte cauto sulla revoca
Tema: Autostrade

La decisione del Tar della Liguria di trasmettere alla Consulta il quesito di Autostrade per l’Italia contro il cosiddetto decreto Genova che l’ha estromessa dalla demolizione e ricostruzione del ponte Morandi ha riacceso i riflettori sul contenzioso tra il governo e l’Aspi. Sulla vicenda specifica l’esecutivo, ovviamente, aspetterà le decisioni della Corte costituzionale per vedere se rimettere mano al provvedimento. Questione quanto mai spinosa. Invece la decisione sulla revoca della concessione ad Autostrade era attesa prima di Natale. Ma è difficile che i tempi vengano rispettati. Luigi Di Maio, ancora pochi giorni fa, dava la cosa per fatta, però non è così facile come dice il ministro degli Esteri. A Palazzo Chigi c’è molta più cautela. «Sto aspettando che il quadro sia più chiaro», ripete Giuseppe Conte. Probabilmente il premier vuole capire quali siano le eventuali conseguenze penali per i mancati controlli di Aspi. E anche il Pd prende tempo. «Revoca entro l’anno? L’istruttoria è ancora in corso, nessuna decisione è stata presa e il timing si vedrà in base alle attività che stiamo sviluppando», ha spiegato la ministra per i Trasporti e le Infrastrutture Paola De Micheli. Se è vero quindi che per il Partito democratico la revoca della concessione ad Aspi non è più un tabù (come sottolinea con soddisfazione Di Maio) è anche vero che i dem non vogliono fare passi falsi.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Indice Matteo – Salvaggiulo Giuseppe 
Titolo: Morandi, l’atto di accusa del manager Autostrade – “La sicurezza non va” Così sul crollo del Morandi il manager di Autostrade ha rotto il muro di silenzio
Tema: Autostrade

E’ il 13 settembre 2018: la commissione del ministero delle Infrastrutture che indaga sul crollo del Ponte Morandi, che un mese prima ha causato 43 morti, si trova davanti l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia. È la prima volta che Giovanni Castellucci rende un’audizione. E sarà anche l’ultima: come molti altri indagati della società, davanti ai magistrati si avvarrà della facoltà di non rispondere. Ma in quei giorni manager e tecnici non possono sottrarsi alle domande e alle contestazioni degli esperti del ministero. Sono gli uomini di punta di Autostrade. E parlano senza rete e senza avvocati, forti dei «pieni poteri» e della «totale fiducia» degli azionisti che verrà meno solo 14 mesi dopo, cioè domenica scorsa, quando il patron Luciano Benetton, in una lettera aperta, ha definito il management di Autostrade «non idoneo» e l’organizzazione «non all’altezza», perché «una struttura è fatta di uomini e qualche mela marcia può celarsi dappertutto». I verbali, acquisiti dalla Procura di Genova e di cui La Stampa può rivelare il contenuto, ricostruiscono la catena di comando di Autostrade. Il parto del progetto mai attuato di ristrutturazione dei tiranti sul Morandi. Le segnalazioni di pericolo, ignorate. Il dispositivo di sicurezza su quello e altri 2000 ponti in tutta Italia. Le ambiguità tra Aspi e l’azienda consorella Spea, cui erano delegate le verifiche di sicurezza. Le reticenze. Lo scaricabarile. Ma anche la voce fuori dal coro di un dirigente di punta della società. Il primo e l’unico a rivelare che le segnalazioni di rischio sui viadotti «per prassi» dovevano essere riferite «anche direttamente ad Autostrade». A definire «assurdi» gli errori nelle schede tecniche. A confermare che i rilievi nella relazione allegata al progetto mai attuato avrebbero meritato «un approfondimento».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dragoni Gianni 
Titolo: Alitalia, Lufthansa disponibile tra 18 mesi (dopo il risanamento) – Lufthansa, per l’acquisto di Alitalia servono 18 mesi
Tema: Alitalia

Il nono commissario di Alitalia è pronto a entrare nell’azienda. Sul sito della compagnia compaiono ancora i nomi dei tre professionisti esautorati dal governo (Stefano Palean, Enrico Laghi, Daniele Discepolo), ma da domani i comandi saranno in mano all’avvocato Giuseppe Leogrande. È il commissario numero nove per la sofferente compagnia, considerando anche i quattro commissari della vecchia Alitalia pubblica (il primo è stato Augusto Fantozzi) che fu mandata in soffitta nell’agosto 2008 da Silvio Berlusconi per vendere la polpa, senza debiti, ai Capitani coraggiosi. C’è stato anche Luigi Gubitosi, commissario coordinatore della terna con Laghi e Paleari dal 2 maggio 2017 al 20 novembre 2018. La prossima mossa che si attende è la scelta di un manager che guidi la gestione, come numero due del commissario. Leogrande, nato 56 anni fa a Ravenna, è uno stimato avvocato esperto di diritto fallimentare, collaboratore («of counsel») dello studio Maffei Alberti di Bologna e titolare di 16 incarichi di commissario di varie imprese. Ma non è un manager. Secondo voci potrebbe essere nominato d.g. di Alitalia Giancarlo Zeni, ora a.d. di Blue Panorama Airlines, già dirigente di Alitalia durante la gestione di Giancarlo Cimoli.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: L’Onu rilancia l’allarme sulla Libia – L’Onu rilancia l’allarme Libia Conte: azione congiunta Ue
Tema: Libia

Troppe interferenze, una comunità internazionale divisa e un’Europa debole con “primi della classe” e “improvvisatori” (riferimento alla Francia pro Bengasi). Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è sempre più preoccupato per il deteriorarsi della crisi libica con raid continui a Sud di Tripoli e un mig di Haftar abbattuto. Alla chiusura dei Med Dialogues ieri a Roma il premier annuncia che al prossimo Consiglio europeo del 12 dicembre porrà ai partner europei il problema di un’azione congiunta per non far fallire il tentativo tedesco di una Conferenza di pace a Berlino. «Ne ho parlato anche con Trump al summit Nato – spiega Conte – dobbiamo fare di più, in particolare l’Italia che sul dossier libico ha molta competenza, deve cercare di coinvolgere tutti, anche gli Stati Uniti e gli altri Paesi dell’Unione europea per indirizzare una soluzione politica». L’Italia da sempre sostiene il processo politico come unico mezzo per una stabilizzazione. «Apparteniamo – aggiunge Conte – alla ristretta cerchia di quegli stakeholder il cui comportamento è completamente coerente con le dichiarazioni pubbliche». Per questo, chiarisce Conte, «non è possibile improvvisare o fare i primi della classe». Il riferimento è alla Francia che, nonostante alcuni recenti progressi, sostiene sempre le ambizioni egemoniche di Haftar.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dominelli Celestina 
Titolo: Descalzi: la soluzione non è nelle mani dei libici
Tema: Libia

Nessun «segreto particolare», ma la scelta di valorizzare le risorse dei Paesi in cui Eni opera, non solo in termini economici, ma trasferendo know how, tecnologie e formazione e garantendo lo sviluppo sostenibile dei territori. Dal palco dei Mediterranean Dialogues 2019, l’ad di Eni Claudio Descalzi ribadisce la centralità dell’area nella geografia del gruppo («Eni è nata nel Mediterraneo e vi ha investito gran parte delle sue risorse») e rimarca l’efficacia della strada battuta dal Cane a sei zampe che, in Egitto e in Algeria, come in Tunisia o in Libia, ha adottato un’ottica di lungo periodo. Dalla Libia, spiega il ceo, «non ce ne siamo mai andati anche perché abbiamo voluto tenere un atteggiamento diverso. Così, invece di esportare gas, abbiamo deciso di alimentare il mercato interno con il gas che abbiamo scoperto: oggi siamo l’unico e il primo produttore di gas e forniamo tutte le centrali elettriche». Una condizione che ha permesso agli impianti di Eni, precisa, «di non essere mai toccati» altrimenti «ci sarebbe stato il rischio di un blocco completo». Quanto al destino della Libia, l’ad sfodera la consueta franchezza. «È un territorio in cui i conflitti non riguardano i libici ma molti Stati diversi. La popolazione è pacifica, non ha alcuna velleità di combattere: la soluzione non è solo nelle mani dei libici, ma in quelle di altri Paesi».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  D.Gor. 
Titolo: Roma vuole un piano Ue sulla Libia
Tema: Libia

Come tutti i partecipanti alla quinta edizione dei Mediterranean Dialogues, anche Giuseppe Conte invoca la pace nell’area. E per questo, intervenendo ieri a chiusura della 3 giorni di lavori, il presidente del Consiglio si appella all’Unione europea, «visto che il futuro della regione determinerà la sicurezza del continente». I conflitti sociali e bellici della zona sono al centro delle dichiarazioni pubbliche dal palco dell’Hotel Parco dei principi di Roma, mentre all’esterno un piccolo presidio di iraniani manifesta chiedendo di «non appoggiare il regime». «Nel Mediterraneo allargato – continua Conte – osserviamo una domanda crescente di processi di transizione politica che devono essere sostenuti e incoraggiati a livello internazionale: non dobbiamo più farci sorprendere come è successo con le primavere arabe nel 2011». Anche sulla Libia «la prossima settimana i nostri diplomatici si riuniranno per lavorare alla Conferenza di Berlino. Parlerò anche in seno al Consiglio europeo, per sollecitare una posizione cornu ne». Perche per Conte «non esiste un’opzione militare risolutiva, solo un processo politico inclusivo potrà condurre a una stabilizzazione piena e duratura. La situazione di conflittualità in Libia ha ripercussioni che travalicano i confini del Paese con la crisi umanitaria, la minaccia terroristica, i flussi migratori e anche l’instabilità riguardo la produzione energetica».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  v.n. 
Titolo: Libia, l’Onu a Conte: “L’Italia si muova Senza pace ci sarà un’ondata di migranti”
Tema: Libia

Mentre a Roma si discute, a Tripoli si bombarda. Gli attacchi del generale Khalifa Haftar anche ieri hanno colpito le milizie che difendono la capitale della Libia. Ma un aereo Mig di Haftar è stato abbattuto mentre bombardava Yarmouk, a soli 15 chilometri dalla Piazza dei Martiri, il centro di Tripoli. Il caccia poi è precipitato nell’area di Zawiya, 45 chilometri a ovest di Tripoli. Ieri a Roma la Libia è rimasta al centro della “Conferenza Med”: inventata 5 anni fa da Paolo Gentiloni, è diventata un appuntameríto centrale per la politica estera dell’Italia nel Mediterraneo. L’intervento più duro, quasi drammatico, è stato quello dell’inviato Onu Ghassan Salamè: «La notte vado a dormire con il rumore dei bombardamenti che arrivano e mi sveglio col rumore delle bombe. E anzi non dormo, pensando che se la guerra civile arriverà nelle strade di Tripoli sarà un massacro. Senza la pace in Libia non si fermeranno i migranti e neppure il terrorismo». Salamè ieri è stato ricevuto anche da Giuseppe Conte: e per la prima volta ha scelto in privato un tono drammatico. «Se l’Italia non agisce con più forza politicamente la situazione precipiterà, se gli scontri arriveranno in città sarete voi italiani a pagarne il prezzo».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sforza Francesca 
Titolo: Conte: sempre coerenti sulla Libia Salamé teme un massacro a Tripoli
Tema: Libia

Inutile negare che nella capitale libica sia in corso un’escalation: «Se nel compound dove vivo a Tripoli, all’inizio della guerra, non avevamo sentito tanti bombardamenti, oggi ci addormentiamo e ci svegliamo sotto l’eco delle bombe». A dirlo è l’inviato dell’Onu in Libia Ghassan Salamé, che ieri a Roma, nella giornata conclusiva di Med, la conferenza sul Mediterraneo, ha tracciato uno scenario piuttosto preoccupante: «Temo un bagno di sangue a Tripoli, temo un grande movimento migratorio di popolazioni, ci saranno masse di s follati che ricadranno in tutti i Paesi vicini, come Niger, Algeria, Tunisia, Sudan, e temo che andremo ad aggiungere punti controversi a una lista su cui già le grandi potenze non si trovano d’accordo». La conferma arriva dal terreno quasi nelle stesse ore, dove le forze del governo di Tripoli hanno reso noto di aver abbattuto, a Sud della città, uno dei caccia del generale della Cirenaica, Khalifa Haftar. Malgrado il colpo, tuttavia, fonti autorevoli sostengono che il rischio che Haftar prenda Tripoli è alto, ma non è l’unico.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  … 
Titolo: Gb, governo teme ingerenze russe sul voto – Interferenze russe sul voto, «preoccupata» la ministra Morgan
Tema: GB

La ministra della Cultura e del Digitale, Nicky Morgan, secondo quanto riferiscono i media britannici, ha dichiarato: «Dovremmo essere preoccupati» delle interferenze russe nelle elezioni. L’allarme di Morgan arriva a seguito delle notizie secondo cui documenti ufficiali del governo trapelati online – i piani dettagliati per un accordo commerciale post-Brexit con gli Usa – potrebbero essere stati pubblicati da una campagna di interferenza russa. Il documento di 451 pagine con i piani dettagliati per un accordo commerciale postBrexit con gli Usa era stato svelato da Jeremy Corbyn in una conferenza stampa di Westminster il mese scorso. Lo scorso mese di novembre il premier britannico Boris Johnson aveva insistito sul fatto che in un rapporto del Commons Intelligence and Security Committee (Isc) non ci fosse “assolutamente” nulla su possibili interferenze russe nel processo democratico del Regno Unito. Un rapporto che non sarà diffuso prima delle elezioni. Intanto i sondaggi premiano Boris Johnson, di misura, 52% a 48%, nell’ultimo faccia a faccia televisivo con Jeremy Corbyn prima del voto britannico del 12 dicembre.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bianchi Alfonso 
Titolo: L’incubo delle interferenze russe sulle elezioni in Gran Bretagna
Tema: GB

A meno di una settimana dalle elezioni britanniche, previste per giovedì prossimo, l’ombra di Vladimir Putin continua ad incombere sulle democrazie europee e il sospetto che la Russia non smetta di interferire sulle campagne elettorali di altre nazioni si fa sempre più forte. Mosca sarebbe dietro il «leak» di documenti riservati sulle trattative tra il Regno Unito e gli Usa che sono stati resi pubblici dal Jeremy Corbyn la scorsa settimana e usati per accusare i Conservatori di voler svendere a Donald Trump la sanità pubblica nazionale. A sollevare il dubbio Reddit, il sito a pubblicazione libera da parte dei suoi utenti, che ha chiuso 61 account che ritiene possano far parte di una campagna di disinformazione «originata in Russia». Secondo il social il documento mostrato da Corbyn, che rivelava i contenuti di trattative riservate tra Londra e Washington, era stato anche postato da uno degli utenti bannati. I documenti sarebbero apparsi per la prima volta in un post sul portale ad ottobre e il sito ha ora affermato di ritenere che la pubblicazione fa parte «di una campagna che è stata segnalata come originata in Russia», con diversi account che avrebbero manipolato i like sul post per promuovere il suo contenuto e farlovenire a galla.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Lo scambio di «spie» Torna libero Wang il ricercatore americano
Tema: Stati Uniti-Iran

A Zurigo, Stati Uniti e Iran si scambiano i prigionieri. Nelle capitali europee si cerca di capire se questa buona notizia sia anche il segnale di un’inversione di tendenza nelle relazioni trai due Paesi. Ieri pomeriggio due uomini hanno ritrovato la libertà, incrociandosi nella città svizzera che ha mediato l’operazione. Da Teheran è arrivato Xiyue Wang, 38 anni, ricercatore cino-americano, detenuto dal 2016 con l’accusa di spionaggio. Dagli Usa lo scienziato iraniano Massoud Soleimani, processato e condannato per aver cercato di portar fuori dal territorio americano materiale biologico. I rispettivi governi hanno trasformato un atto prima di tutto umanitario in un successo politico. Il più rapido è stato il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. Si è messo in posa con Soleimani davanti a un aereo di Stato, poi si è fatto fotografare all’interno del velivolo, poco prima del decollo verso Teheran. Infine ha postato un tweet che confermava ufficialmente l’iniziativa: «Sono felice che il professor Massoud Soleimani e il signor Xiyue Wang saranno presto con le loro famiglie. Grazie mille a tutti coloro che si sono impegnati, in particolare al governo svizzero». Subito dopo ecco Trump, con un comunicato della Casa Bianca: «Dopo tre anni di prigionia Xiyue Wang sta tornando negli Stati Uniti… Ringraziamo i nostri partner svizzeri per la loro assistenza nel negoziato con l’Iran… Liberare gli americani detenuti è di vitale importanza per la mia amministrazione e continueremo a lavorare sodo per riportare a casa tutti i nostri cittadini ingiustamente imprigionati all’estero».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Stabile Giordano 
Titolo: Scambio di prigionieri tra Iran e Usa Trump: “Con Teheran accordi possibili”
Tema: Stati Uniti-Iran

Iran e Stati Uniti tornano a parlarsi in un negoziato definito dallo stesso Donald Trump «molto leale» e si accordano per uno scambio di prigionieri che ha restituito due scienziati alle loro famiglie. Una schiarita in un autunno di tensioni crescenti. Questa volta la diplomazia, attraverso la mediazione della Svizzera, ha avuto la meglio. Così un ricercatore sino-americano, Xiyue Wang, detenuto in Iran dal 2016, e il professore iraniano Massoud Soleimani, arrestato lo scorso anno a Chicago, sono stati liberati in contemporanea. Wang era stato fermato dalle forze di sicurezza iraniane con l’imputazione di aver «collaborato con governi stranieri», cioè di essere una spia. Soleimani, specializzato in cellule staminali, era accusato di voler esportare «materiale biologico» verso l’Iran. Tutti e due si sono dichiarati innocenti e a questo punto se ne sono convinte anche la autorità di Washington e Teheran. Lo scambio è stato portato a termine senza intoppi. Il presidente americano Donald Trump ha sottolineato che “liberare i cittadini detenuti ingiustamente all’estero è di vitale importanza per questa Amministrazione» e ha tirato la solita stoccata al predecessore Barack Obama: «Wang è stato catturato durante la sua presidenza ma l’ho riportato a casa io, nonostante Obama abbia regalato 150 miliardi a Teheran», un’allusione all’intesa sul nucleare del 2015 e ai fondi sbloccati da Washington subito dopo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Eisenberg Lewis_M. 
Titolo: L’intervento – Italia-Usa, una storia di successo – Italia-Usa, una storia condivisa e di successo
Tema: Italia-Usa

Le nostre nazioni sono accomunate anche da solidi legami economici. Aziende americane e italiane creano innovazione e posti di lavoro, stimolando la crescita economica di entrambi i paesi attraverso scambi commerciali e investimenti. L’interscambio di beni e servizi fra l’Italia e gli Usa ha raggiunto nel 2018 i loo miliardi di dollari e si inserisce nella più estesa relazione commerciale al mondo, quella fra gli Stati Uniti e l’Unione europea, che nel 2018 ha raggiunto i 1.300 miliardi di dollari. È una storia di successo, anche se siamo impegnati a risolvere alcune differenze, e lo facciamo da amici ed alleati. Per comprendere la vitalità delle relazioni economiche fra gli Stati Uniti e l’Italia, è essenziale considerare anche il flusso degli investimenti. Il presidente Trump, in occasione della visita ufficiale del presidente Mattarella negli Stati Uniti, ha evidenziato che migliaia di aziende americane ed italiane hanno investito più di 70 miliardi di dollari nelle reciproche economie. Tale volume di investimenti genera posti di lavoro qualificati e ben remunerati, che danno sicurezza economica alle famiglie, assicurano un’istruzione ai figli, portano prosperità e rendono solida la nostra relazione bilaterale.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mastrogiacomo Daniele 
Titolo: Morales lascia l’esilio per Cuba e prepara il ritorno in Bolivia
Tema: America Latina

Evo Morales ha lasciato il Messico. Vuole andare in Argentina per restare più vicino al suo Paese. Sembra una cosa facile. In fondo è stato per 13 anni (2006-2019) il presidente della Bolivia. Nel bene e nel male. Avrebbe almeno i diritti umani basilari, oltre che politici, di poter continuare ad essere il leader dell’opposizione. II suo ruolo passato dovrebbe garantirgli una immunità. Nel mese che ha appena trascorso in Messico è rimasto chiuso in una caserma dell’esercito e solo negli ultimi giorni è andato in una casa privata. L’uscita dal Messico è complicata, pericolosa. La sua vita è a rischio, lo dicono ambienti di intelligence. Chi lo vuole in carcere è il nuovo governo di destra della Bolivia. Per reprimere il dissenso, la presidente ad interim, Jeanine Mies, ha dato carta bianca ai militari. Potevano sparare senza pagare le conseguenze. È bastato un giorno e sono stati uccisi 38 manifestanti a Cochabamba. Solo in quel momentd il nuovo capo dello Stato ha deciso di revocare il decreto. Adesso accusa Morales di “tradimento, truffa elettorale e Corruzione”. Due giorni dopo aver preso il potere avvertì l’ex presidente: «Se torna in Bolivia finirà davanti a un tribunale, deve rispondere di molti crimini».
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PRIME PAGINE

IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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LIBERO QUOTIDIANO
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IL FATTO QUOTIDIANO
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