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SINTESI IN PRIMO PIANO – 7 maggio 2021

In evidenza sui principali quotidiani:
– Ultimatum di Conte a Casaleggio
– Scontro a destra sui candidati
– Vaccini, l’ora degli over 50
– Bonus 4,0, salta la cessione dei crediti
– Europa spaccata sulla liberalizzazione dei vaccini

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Buzzi Emanuele 
Titolo: Ultimatum di Conte a Casaleggio: devi darci gli iscritti – L’aut aut di Conte a Casaleggio Ma una fronda M5S evoca la scissione
Tema: M5S

Giuseppe Conte attacca Davide Casaleggio per uscire dallo stallo e — sempre per lo stesso motivo — la fronda dei parlamentari che aspetta chiarimenti dall’ex premier si organizza. «Abbiamo predisposto tutto per partire. Siamo pronti. Questa impasse sta solo rallentando il processo costituente, ma certo non lo bloccherà. Verrà presto superata, con o senza il consenso di Casaleggio», dice Conte. L’avvocato annuncia il ricorso al Garante della Privacy per ottenere i dati degli iscritti al Movimento, che sono gestiti da Rousseau. «Ricorreremo a tutti gli strumenti per contrastare eventuali abusi. Non si può fermare il Movimento, la prima forza politica del Parlamento», spiega. Poi punge Casaleggio: «Per legge è obbligato a consegnare i dati degli iscritti al Movimento, che ne è l’unico e legittimo titolare. C’è poco da scherzare, perché questi vincoli di legge sono assistiti da solide tutele, civil i e penali». L’affondo dell’ex premier arriva a circa una settimana di distanza da quando l’ex premier aveva ipotizzato ai parlamentari M5S un accordo consensuale con la piattaforma, spiegando loro: «Ovviamente il Movimento, da parte sua, si farà carico di eventuali debiti contratti da Rousseau per conto del Movimento». Nel frattempo la trattativa — che dopo mesi ha visto in prima linea Conte, che ha contattato l’associazione milanese — non è mai decollata. E la sentenza di Cagliari — con il Movimento senza un rappresentante legale riconosciuto — ha fatto deragliare la situazione. I parlamentari si schierano con Conte.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: La Nota – Le convulsioni che archiviano una stagione del grillismo
Tema: M5s

Viene da chiedersi come i Cinque Stelle siano arrivati a questo punto in un tempo così breve. In tre anni, la forza che aveva ottenuto più voti di tutti, oltre undici milioni, alle elezioni del marzo 2018, rischia di apparire sempre più pn campo di macerie umane e politiche. E stato il contatto con il potere, si dice, a sconvolgere e travolgere identità, certezze, solidarietà e coesione interne. Ma il sospetto è che l’involuzione sia figlia non solo del potere, droga pericolosa per tutti. A influire è stato il retroterra di improvvisazione, presunzione e incompetenza che ha guidato l’operazione; e che si è rapidamente rivelato un peso schiacciante nell’impatto con la realtà. Di questo retroterra, l’ambiguità del rapporto con la piattaforma Rousseau di Gianroberto Casalegglo è stata ed è parte integrante. Insieme con Beppe Grillo, Casaleggio è stato uno dei due ispiratori del M5S. La coppia ha alimentato una strategia fatta di autoesaltazione visionaria e parole d’ordine velleitarie. Eppure, il cortocircuito non è coinciso né con la scomparsa di Casalegglo, nell’aprile del 2016, né col tramonto di Grillo dopo le ultime, tristi vicende familiari. In realtà, il punto di rottura è stato rappresentato dalla fine dell’esperienza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, all’inizio di quest’anno. La crisi del Movimento esisteva da prima. Basta scorrerei risultati delle ultime votazioni, da quelle locali alle Europee del 2019, per registrare un declino elettorale costante; o calcolare lo stillicidio di abbandoni e di espulsioni di parlamentari. Fino a quando i Cinque Stelle si sono illusi di controllare «bottoni» del potere con un premier espresso da loro e abile nel passare come un camaleonte dal rapporto con la Lega a quello col Pd, però, la crisi è stata rimossa. Fermentava nelle viscere del Movimento ma non poteva essere dichiarata.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Pd pronto a cedere la Regione al M5S per la corsa di Zingaretti a Roma
Tema: amministrative

Offrire ai 5 Stelle la presidenza della Regione Lazio: è questa l’ultima carta che intende giocare il Nazareno per riuscire nell’«operazione Nicola Zingaretti candidato sindaco di Roma». Enrico Letta è convinto: «I sondaggi su di lui sono molto buoni, ma non ne ho bisogno per sapere che Nicola è un egregio amministratore». Ma Zingaretti su un punto è stato categorico con Letta: «Io sono anche disponibile, ma chi ci assicura che se io mi candido contro Virginia Raggi i grillini non fanno cadere la mia giunta? A quel punto si creerebbe un clima di contrapposizione tra noi e loro, si andrebbe a votare in contemporanea sia per il Lazio che per Roma, divisi in entrambe le elezioni perché i 5 Stelle non potrebbero avere due posizioni diverse alle urne, e rischieremmo di dare la Regione al centrodestra e di rendere più difficile anche la partita del Campidoglio. E chi ci può dare garanzie nel Movimento che questo non accada?». Già, i 5 Stelle sono in fibrillazione permanente. Però Letta punta su Conte: «Ho molto rispetto per il lavoro che sta facendo in questo momento delicato». Comunque, le obiezioni di Zingaretti sono inoppugnabili. Allora l’unico tentativo possibile per i dem è quello di stringere un patto sullaa presidenza della Regione per rabbonire i grillini. In questo caso Zingaretti rimarrebbe in sella fino a settembre, in modo che nel Lazio si possa andare alle urne in dicembre, dopo le Amministrative, il che consentirebbe ai dem e al M5S di correre insieme: solo l’alleanza tra queste due forze garantirebbe la vittoria in un turno unico.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Il segnale dell’ex premier per l’intesa sulle città con il Pd e Zingaretti
Tema: amministrative

Agli occhi del Pd, la decisione di Conte di intestarsi la guida del Movimento ha chiarito una volta per tutte che spetta all’avvocato trattare su alleanze e candidature, finora frenate dalla guerra per bande fra i grillini. «Nutro grande rispetto per il lavoro di costruzione della leadership che Conte sta facendo dentro i 5S», riflette Enrico Letta con i suoi. Il segnale atteso dal segretario dem per chiudere la partita che gli sta più a cuore: quella per il Campidoglio. Giocata dall’unico nome considerato vincente: Nicola Zingaretti. Alle condizioni poste dal governatore per scendere in campo. Ossia presentare le sue dimissioni a settembre, così da concludere la campagna di vaccinazione nel Lazio ed evitare la coincidenza tra elezioni comunali e regionali. Che rischierebbe di far saltare l’alleanza siglata alla Pisana e di compromettere ogni accordo futuro. Zingaretti è stato chiaro: «Mi candido solo se si raggiunge un’intesa che metta in sicurezza la Regione». Di questo hanno parlato nel tardo pomeriggio Letta e Luigi Di Maio. Un incontro riservato durante il quale il ministro degli Esteri avrebbe chiesto 24 ore di tempo per verificare la possibilità di stringere il patto nel Lazio, in caso di dimissioni anticipate del governatore. Tant’è che il tavolo di coalizione sulle primarie, previsto per stasera, potrebbe subire un nuovo rinvio. Se l’ex segretario del Pd dovesse scendere in pista, gli altri candidati ai gazebo potrebbero infatti sfilarsi. Ce n’è abbastanza per far infuriare Virginia Raggi. Subodorato il tranello, la sindaca studia le contromisure per non finire fuori gioco: da un lato starebbe preparando un dossier anti-Zingaretti e organizzando un paio di liste civiche in grado di sostituire il simbolo del M5S qualora gli venisse sottratto all’improvviso, dall’altro incassa l’endorsement di Casaleggio, pronto a usarla come arma anti-Conte. «I veri protagonisti della politica capitolina sono i cittadini», scrive l’Associazione Rousseau sul Blog delle Stelle: «Saranno loro, insieme all’attuale amministrazione, a scrivere il programma elettorale per le comunali».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lauria Emanuele – Pucciarelli Tommaso 
Titolo: Scontro a Destra sui candidati E Salvini attacca la Meloni – Comunali, governo, leadership tra Meloni e Salvini è sfida aperta
Tema: centrodestra

Matteo Salvini per la prima volta attacca pubblicamente Giorgia Meloni, colpevole – sostiene in una intervista rilasciata al quotidiano spagnolo El Pais – di non appoggiare il governo per mere ragioni di opportunità elettorale. «È più comodo stare fuori», rincara la dose il leader del Carroccio a Terni. Sono circa quattro mesi che non viene convocato un vertice delle forze che compongono la coalizione: non solo Lega e Fdi, ma anche Forza Italia, Cambiamo e centristi. Nel frattempo le settimane passano e sul fronte elezioni amministrative non si vedono schiarite, da Roma alla Calabria passando per Milano, tanto che ad esempio nel capoluogo lombardo l’ex sindaco Gabriele Albertini candidato in pectore si è tirato indietro. Troppe poche rassicurazioni, scarsa adesione alla sua possibile investitura contro Sala. «Finora ho ricevuto solo “no” dagli alleati», si lamenta Salvini. «Qualcuno si diverte a smontare», aggiunge poi l a sera a Porta a porta. «Nessun “no” da parte nostra, sfido a trovarlo in una nostra dichiarazione, ma da tempo chiediamo un tavolo, è lì che si decidono le candidature», replica Daniela Santanché. «Chi ha il dovere di convocare il vertice è lui, in quanto leader del partito più grande», sottolinea Carlo Fidanza, anche lui di Fdi. Perché quindi non viene convocato questo benedetto vertice? «Beh, semplice, perché a quel punto dovremmo discutere di tutto, compresa la presidenza del Copasir in mano leghista, che invece toccherebbe a noi in quanto opposizione», si sfoga un esponente di Fdi. Che fa notare: «Finché loro stavano al 34 per cento e noi al 6, problemi non ne aveva a stare ai tavoli congiunti, per forza, decideva tutto in ragione della sua forza». Già, perché alla fine la tensione di queste ultime settimane tra Lega e Fdi si riduce a questo: il Carroccio perde terreno mentre la destra ex missina passo dopo passo si avvicina. Se il trend rimane questo, manca poco ad un sorpasso impensabile solo due anni fa. Lo ha fatto notare anche il Financial Times con un focus proprio sulla situazione italiana: «Meloni, l’astro nascente dell’estrema destra italiana, sta capitalizzando la decisione della Lega di fare un’inversione di marcia e abbracciare il governo di Mario Draghi».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – La sfida Meloni-Salvini e gli effetti sul Nord
Tema: centrodestra

La questione delle candidature alle amministrative è, nel centrodestra, l’apice di una guerriglia che si combatte su tanti fronti e pure in Europa dove il leader leghista sta tentando di formare un gruppo parlamentare alternativo ai Popolari “annettendo” quello dei Conservatori di cui è presidente la Meloni. L’effetto di queste tensioni, tenute calde dal ritmo con cui vengono sfornati sondaggi che danno sempre più vicini i due partiti, è lo stallo in una coalizione che – fin qui – è sempre apparsa diversa dal centro-sinistra perché meno conflittuale, litigiosa e divisa. E invece ora anche questo schieramento si è “ammalato” della stessa malattia. Quello che è saltato nel centro-destra è che non si trova più un metodo per decidere. Se prima c’era un ordine gerarchico in base ai voti presi, adesso che la leadership di Salvini appare scalabile e la Meloni può tentare il sorpasso, nessuna scelta è pi ù scontata. Ed è proprio interesse della leader di Fratelli d’Italia far apparire più complicate le decisioni perché questo diventa la dimostrazione che il suo peso nella coalizione è cresciuto. E che quindi può porre i suoi paletti – i suoi no ad Albertini o Bertolaso – o portare i suoi interessi da difendere come alla Rai o rivendicare il rispetto di una legge anche a scapito del suo alleato leghista, vedi la vicenda del Copasir. Sia da ambienti della Lega che da FdI confermano che i rapporti tra i due leader sono freddi ma che saranno costretti a parlarsi. Questione di giorni, forse di settimane, ma si ritroveranno intorno a un tavolo per “rilegittimarsi”, cioè riconoscersi come alleati e non solo come avversari.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bianconi Giovanni – Ferrarella Luigi 
Titolo: Nei verbali un secondo nome del Csm Davigo: ecco perché non feci l’esposto
Tema: giustizia

Quando esattamente un anno fa, ai primi di maggio 2020, l’allora componente del Consiglio superiore della magistratura Piercamillo Davigo decise di portare dentro il Csm i segreti dell’indagine sulla presunta loggia massonica coperta «Ungheria», non formalizzò la comunicazione per salvaguardare, a suo avviso, la riservatezza di un’inchiesta molto delicata che secondo il pubblico ministero milanese Paolo Storari era bloccata dall’inerzia del procuratore Francesco Greco. Ma c’era pure un altro problema, interno all’organo di autogoverno dei giudici: nei verbali dell’avvocato Piero Amara tra i componenti dell’ipotetico gruppo in grado di condizionare i poteri dello Stato compariva non solo il consigliere Sebastiano Ardita (ex amico e compagno di corrente di Davigo, con il quale s’era interrotto ogni rapporto), ma pure il consigliere Marco Mancinetti, in quel momento ancora in carica; si dimetterà nel settembre successivo, in seguito all’azione disciplinare avviata nei suoi confronti per un’altra vicenda legata al caso Palamara. Per questi motivi, ha spiegato Davigo al procuratore di Roma Michele Prestipino nella testimonianza resa mercoledì, non ritenne di presentare una relazione o un regolare esposto al Csm, ma di investire il comitato di presidenza solo informalmente. Tuttavia in maniera piuttosto dettagliata, secondo i ricordi affidati ai pm di Roma. II primo colloquio con il vicepresidente del Csm David Ermini avvenne il 4 maggio, giorno in cui il Csm riaprì i battenti dopo il lockdown anti Covid. Ma poi tornò a parlargli dell’argomento facendo esplicito riferimento ai verbali segreti con gli interrogatori di Amara ricevuti da Storari, e che forse nei giorni successivi gli consegnò. Davigo racconta anche di avere chiesto a Ermini di avvertire il Quirinale, cosa che il vicepresidente gli confermò in seguito di avere fatto.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Milella Liana 
Titolo: Giustizia, ora la Lega sgambetta Cartabia “Pronti i referendum”
Tema: giustizia

La frase è dirompente. Di quelle che possono squassare una maggioranza. Detta da Salvini poi, nel salotto di Porta a porta, fa ancora più rumore. Soprattutto se riguarda la giustizia, e alla vigilia di riforme strategiche che, se dovessero fallire, metterebbero in pericolo i fondi del Recovery. Eppure l’annuncio fa capire che non parla “politichese”, il progetto è già in cammino. Lui dice proprio così: «Questo Parlamento con Pd e 5Stelle non farà mai una riforma della giustizia. Per questo stiamo organizzando con il Partito Radicale una raccolta di firme per alcuni quesiti referendari». Che equivalgono a una bomba, perché riguardano, per citarne due, sia le carriere dei magistrati e la loro eventuale separazione, sia il Csm. Quando, in via Arenula, sottopongono alla Guardasigilli Marta Cartabia la battuta di Salvini lei reagisce solo con un «legittime iniziative». Ma, politicamente, si tratta di una bomba. E va da sé che la prima verifica di autenticità da fare è con Giulia Bongiorno, l’avvocato penalista dei casi difficili — Andreotti, Sollecito, adesso Grillo — che non solo è senatrice della Lega, ma anche responsabile Giustizia del partito. E lei conferma pienamente le parole di Salvini con un «ci stiamo lavorando». Ma alla domanda «ma questo è un attacco a Cartabia? State pensando a una crisi di governo?» Bongiorno frena: «Ma no, non c’è niente contro di lei. Questo non è un passo che va contro la ministra, la Lega sarà con lei sulle riforme, siamo soddisfatti che acceleri sulla giustizia. Ma al contempo vogliamo vedere se i cittadini italiani hanno voglia di un grande cambiamento proprio sulla giustizia».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: E la corsa al Colle può accorciare la vita al governo – Romanzo Quirinale
Tema: Quirinale

Il mandato di Mattarella scade a febbraio 2022. L’attuale capo dello Stato potrebbe fare da “traghettatore” fino al voto del 2023 persino all’interno dei singoli partiti, però, non c’è una linea d’azione unica, tenendo presente che l’elezione del Capo dello Stato cade a un anno della fine della legislatura e potrebbe accelerare la conclusione dell’ultima che conta mille parlamentari, molti dei quali non avranno altre chance. E se da sempre il Quirinale è una finalissima che il voto segreto rende piena di sorprese, con il Parlamento nevrotico di oggi l’imponderabilità diventala variabile suprema. In tre anni 216 parlamentari hanno cambiato bandiera, e il partito vittorioso nel 2018 è diventato il principale fattore di instabilità. Come ammesso in privato da Dario Franceschini, uno che nel Palazzo sa come muoversi, se anche il Pd volesse fare un tentativo per sbarrare la strada a una candidatura del centrodestra, non potrebbe assicurarsi la con vergenza dei rissosi grillini ed ex. E allora non resta che ragionare di conseguenza. Al momento, esistono tre alternative, tutte istituzionali: il premier Draghi, la ministra della Giustizia Cartabia e l’attuale presidente Mattarella, che gli eventi costringerebbero al bis come avvenne per Giorgio Napolitano. Sul destino di Draghi, negli ultimi giorni la Stampa ha raccolto le irrequietezze di fonti vicine ai ministri tecnici che sono espressione diretta del premier. L’orizzonte che si sono dati è di un anno. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani lo ha detto in più occasioni. Ma è una scadenza che intravedono come possibile anche altri, da Daniele Franco a Vittorio Colao a Cartabia. Un anno, a partire dalla nascita del governo Draghi, il 13 febbraio. Il che fa pensare a una coincidenza perfetta, perché a febbraio del 2022 si entrerà nel vivo della partita quirinalizia.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Savelli Fabio 
Titolo: Vaccini, ora degli over 50 – Più forniture e anziani diffidenti «Prenotazioni al via per gli over 50»
Tema: vaccinazioni
La campagna vaccinale accelera per le forniture regolari ma anche per effetto di una quota di diffidenti al vaccino tra le categorie più anziane: ciò permette di anticipare le punture a chi è più giovane prima delle previsioni. Così da lunedì 10 maggio — ha annunciato ieri il commissario Francesco Figliuolo — saranno aperte in tutte le regioni le prenotazioni per gli «over 50», seguendo Lazio, Lombardia e Veneto che avevano già cominciato a farlo. Significa che la corsa alle somministrazioni quotidiane sta permettendo di modificare il programma delle inoculazioni anticipando le adesioni ai 50enni senza disperdere fiale. E un effetto positivo di uno stock di vaccini ormai diffuso — sono previste 17 milioni di dosi a maggio, altre 25 milioni a giugno — ma segnala una quota di No Vax tra le categorie più a rischio leggermente al di sopra delle attese. D’altronde non c’è l’obbligatoriet&agr ave;, ma sugli «over 80» possiamo ormai dire che tutti i prenotati sulle varie piattaforme regionali sono stati vaccinati. Resiste una quota di diffidenti e di difficili da raggiungere (e convincere) soprattutto in Sicilia, Campania, Calabria e Sardegna. Ma anche nelle regioni più virtuose, come Lazio e Lombardia, c’è un 10% che non aderisce alla campagna secondo la banca dati dell’Istat. Sulla fascia 70-79 anni siamo nei giorni dello sprint: Lombardia e Veneto hanno coperto i tre quarti della popolazione almeno con una dose, in alcune regioni meridionali siamo a poco più della metà anche per effetto di un importante sottoutilizzo di AstraZeneca.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fiammeri Barbara – Rogari Marco
Titolo: Il M5S alza il tiro sul Mef: riproporremo l’emendamento con il decreto Sostegni bis – Bonus, alta tensione su Mef e governo
Tema: Dl Sostegni

La minaccia di non votare la fiducia al decreto Sostegni, che il ministro Federico D’Incà aveva appena posto nell’Aula del Senato, è durata un paio d’ore. Alla fine anche il M5s ha dovuto accettare la decisione della Ragioneria: lo stralcio dal maxiemendamento del superbonus per le aziende, ovvero della possibilità per gli imprenditori di cedere i crediti d’imposta maturati grazie agli incentivi 4.0, per l’impatto che avrebbe avuto sui conti pubblici. E così in serata il Senato ha licenziato il provvedimento con 207 sì e solo 28 contrari (5 gli astenuti). Quanto accaduto ieri è però significativo. Era da tempo che la Ragioneria non pronunciava un «no» così perentorio. Arrivato per di più all’ultimo momento, quando il testo del maxiemendamento sembrava essere già pronto per il voto dell’Aula. Anche per questo la reazione M5s (che si è visto cancellare anche la disposizione sull’impignorabilit&agra ve; del reddito di cittadinanza) in prima battuta è stata veemente («stiamo valutando la forza del maxiemendamento senza questa norma così importante»). L’esame del decreto in Aula è stato sospeso per tentare di trovare una via d’uscita tra le proteste dell’opposizione di Fratelli d’Italia che ha anche abbandonato i lavori in commissione Bilancio. L’intesa è stata raggiunta e a darne l’annuncio è stato il capogruppo M5s Ettore Lichen : «Domani inizieremo un tavolo perché l’emendamento rientri nel decreto Sostegni 2». Licheri ha anche detto di aver ricevuto «garanzie importanti da parte del Governo» perché «la cedibilità dei crediti e l’unico strumento che consente di aver soldi oggi, non promesse di avere soldi domani». La soluzione però non è affatto semplice e proprio per questo già ieri veniva ritenuto altamente improbabile l’inserimento del superbonus per le aziende nel prossimo decreto Sostegni.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Sostegni, salta la cessione dei crediti Sì al decreto, malumore tra i 5 Stelle
Tema: Dl Sostegni

A un certo punto, all’inizio del pomeriggio, si è temuto il peggio. E stato quando il capogruppo dei 5 Stelle al Senato, Ettore Licheri, ha avvertito: «Il Movimento valuta come procedere sulla fiducia al decreto Sostegni, perché la Ragioneria dello Stato, all’ultimo momento, ha chiesto di stralciare la misura che prevede la cedibilità dei crediti d’imposta per gli investimenti delle imprese rientrati nel piano Transizione 4.0». Era accaduto che il Tesoro aveva fatto togliere la norma, passata in commissione con un emendamento dei 5 Stelle, temendo «potenziali rilevanti effetti sulla finanza pubblica» a causa dell’indeterminatezza sulla platea dei possibili beneficiari e quindi della necessaria copertura. E così la seduta dell’Aula, convocata per le 15.30 per le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia posta ieri mattina dal governo, è stata rinviata prima alle 16.15 e poi alle 18. Ore spese per trovare íl compromesso che alla fine ha consentito, ieri sera, di chiudere la partita a Palazzo Madama con il voto di fiducia sul decreto (207 sì, 28 no), che ora passa alla Camera, dove non subirà altre modifiche, dovendo essere convertito entro il 21 maggio. Il voto Il compromesso lo ha spiegato lo stesso Licheri prima della ripresa dei lavori: «Il Movimento voterà la fiducia, ma ripresenterà l’emendamento sulla cessione del credito del superbonus imprese nel decreto Sostegni bis», che dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri la prossima settimana. Il Tesoro, aggiunge Licheri, ha garantito l’apertura di un tavolo per mettere a punto la norma. Quello su Transizione 4.0 non è l’unico emendamento cancellato. La Ragioneria ha ottenuto lo stralcio anche della norma che consentiva la cedibilità a banche e intermediari finanziari dei crediti (o lo sconto in fattura) per l’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici per immobili in ristrutturazione, anche qui per mancanza di copertura. Gli unici voti contrari sono stati quelli dell’opposizione, cioè di Fratelli d’Italia.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine – Mobili Marco 
Titolo: Bonus 4.0, salta la cessione dei crediti Ora anche il Superbonus è a rischio – La Ragioneria ferma la cessione dei bonus 4.0, rischia il 110%
Tema: Dl Sostegni

La cedibilità è la leva finanziaria che contribuisce in misura determinante all’appetibilità del superbonus. I tecnici temono la possibile riclassificazione da parte di Eurostat di questi crediti fiscali, che sul tema ha cambiato i suoi precedenti orientamenti, sostenendo che gli effetti finanziari potrebbero «essere particolarmente significativi» per quei crediti che, come Transizione 4.0, «prevedono una fruizione in quote annuali» con un impatto sul deficit anticipato interamente al primo anno di utilizzo, indipendentemente dall’utilizzo dei crediti in compensazione. I tecnici vanno oltre e spiegano che la «cessione al sistema bancario e finanziario comporterebbe poi la registrazione sul debito di Maastricht per l’intero importo ceduto». Senza contare, poi, che sul tema non si è mai conclusa ed «è in corso di definizione», scrivono i teorici, «la tematica della registrazione del debito delle ce ssioni pro-soluto dei crediti non pagabili». Per la Ragioneria, dunque, le norme sulla cessione dei crediti hanno «potenziali rilevanti effetti sulla finanza pubblica» e per questo vanno stralciate. Non è in sostanza possibile estendere la cedibilit&agrave ;ad altre tipologie di crediti, proprio per le incertezze sulle modalità di utilizzo dei crediti: «Il trattamento contabile potrebbe (con elevata probabilità) cambiare nel prossimo futuro, producendo effetti diversi da quelli stimati».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Intervista a Maurizio Marchesini – Marchesini: «Imprese deluse, un errore ridurre adesso gli strumenti per la liquidità» – «Delusi e amareggiati, errore ridurre la liquidità in questo momento»
Tema: Confindustria

«Sono deluso, amareggiato, preoccupato. Questo è un momento determinante per la ripresa e la crescita del paese. Le aziende stanno ricomindando ad avere fiducia, a programmare investimenti, ma combattono ancora con il problema della liquidità e con l’aumento vertiginoso del prezzo delle materie prime, che pesa sui conti. Questo cambio di rotta non ci voleva, è una batosta. Spero che il governo ci ripensi». Maurizio Marchesini, vice presidente di Confindustria per le Filiere e le medie imprese, ha appena saputo che la Ragioneria dello Stato ha bloccato la norma, inserita del Dl Sostegni, che consente la cessione a terzi dei crediti fiscali per gli incentivi di Transizione 4.0 e bonus mobili. Una disciplina già prevista per altri strumenti, come il super ecobonus e sisma bonus al 110%. «Si mette a rischio un’impalcatura fondamentale. Già si cominciavano a vedere i risultati positivi del superbonus nel mondo dell’edilizia, con una rip resa di tutta la filiera. È troppo presto per vedere gli effetti di Transizione 4.0, ma abbiamo valutato che la possibilità di cedere il credito di imposta avrebbe dato un impulso molto forte agli investimenti, addirittura raddoppiandoli. Tra l’altro non è comprensibile questo atteggiamento del governo, dal momento che il digitale è uno dei driver del Pnrr, come ha indicato l’Unione Europea nelle linee guida del Recovery Plan».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Monticelli Luca 
Titolo: I sindacati a Triclico “Piano inaccettabile” riforma dopo l’estate
Tema: pensioni

Un coro di no alla proposta di Pasquale Tridico. I sindacati bocciano l’idea del presidente dell’Inps che ieri su questo giornale ha ipotizzato, per il dopo Quota 100, una riforma in due step: in pensione a 62 anni con un assegno calcolato solo con la quota contributiva, che verrebbe poi integrato con la parte retributiva al compimento dei 67 anni. L’obiettivo è attutire lo scalone della legge Fornero che da gennaio 2022, con la fine della sperimentazione di Quota 100, sposterebbe appunto la pensione dai 62 ai 67 anni. La flessibilità suggerita dall’economista vicino ai 5 stelle viene giudicata da Cgil, Cisl e Uil penalizzante per i lavoratori che si troverebbero con un assegno molto basso, almeno per i primi anni. Si respira aria di mobilitazione nelle segreterie sindacali e nel mirino c’è soprattutto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, accusato di non aver aperto il tavolo sulla riforma previdenziale. Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil, lo dice chiaramente: «Orlando l’aveva annunciato a maggio e ancora non sappiamo nulla. Ogni giorno che passa è già troppo tardi, il tavolo sulle pensioni andava convocato due mesi fa. Evidentemente non c’è la volontà politica di ridisegnare il sistema». Questo infatti è il sospetto che serpeggia tra i sindacati, ossia che il governo voglia fare solo qualche aggiustamento marginale, ampliando l’Ape sociale, il contratto d’espansione e magari una proroga di Opzione donna. Al ministero dell’Economia il dossier non è stato esaminato e si propende a voler rinviare tutto dopo l’estate, quando si comincerà a discutere la legge di Bilancio. È in quel provvedimento che sarà inserito il il fondo in grado di finanziare la riforma previdenziale.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine – Trovati Gianni 
Titolo: Pnrr, ecco il cronoprogramma Spesa 2021 prevista a 13,8 miliardi
Tema: Pnrr

L’Italia punta a spendere quest’anno 13,79 miliardi dei 191,5 messi a disposizione dalla Recovery and Resilience Facility, dedicandoli a 105 interventi. L’impennata si avvia dal prossimo anno, quando i miliardi da spendere diventano 27,6 distribuiti in 167 interventi, per poi salire a 37,4 e 42,7 miliardi nei due anni successivi. Dal 2025 (38,3 miliardi) inizia una lieve discesa per chiudere il programma con i 31,6 miliardi dell’ultimo anno. Nel 2021 le risorse maggiori saranno destinate al programma di incentivi Transizione 4.0 e al fondo export gestito dalla Simest. Il piano effettivo di spesa emerge dalle tabelle del Recovery Plan italiano completo di allegati, un maxidocumento inedito da 2487 pagine che il governo ha spedito alla commissione Ue e ha trasmesso il 4 maggio al Parlamento. Nelle tabelle e negli allegati tecnici, in inglese, prendono forma concreta strategie e progetti delineati nelle 273 pagine del piano pubblicate fin qui. E si dettagliano i contenuti dei provvedime nti attuativi chiamati a far viaggiare la pubblica amministrazione ai ritmi serrati imposti dal Piano. O almeno a provarci. Il primo impegno è rappresentato dalla coppia di decreti legge che dovranno disciplinare la governance del piano e «assicurare la capacit&agrave ; amministrativa necessaria ad assorbire gli investimenti del Recovery». Le tabelle inviate a Bruxelles per ufficializzare gli impegni assunti con la commissione fissano una data limite per i due provvedimenti: il 20 maggio per le semplificazioni e il 31 per la governance. E soprattutto mettono in fila i dettagli del meccanismo che avrà alla Ragioneria generale il centro di controllo e a Palazzo Chigi la cabina di regia.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Olivieri Antonella 
Titolo: Telecom crolla in Borsa: a rischio la rete unica – Telecom crolla in Borsa: rete unica a rischio con le gare pubbliche
Tema: Rete unica a rischio

Telecom non è riuscita a far prezzo in avvio di seduta, poi è stata sospesa per eccesso di ribasso e infine ha chiuso la giornata in Borsa lasciando sul campo 2,5 centesimi per azione, con un calo del 5,52% a 0,421 euro. Telecom ha annunciato un esposto alla Consob a fronte di interpretazioni «inappropriate» riportate da organi di stampa sul tema rete unica. Ma il progetto, almeno in questa fase, è stato superato dai fatti. Stupisce semmai che il mercato se ne renda conto solo ora. «Rete unica? Obiettivo è quello di soddisfare le esigenze dei cittadini. Le questioni societarie le valutano le società e le autorità preposte come l’Antitrust. Noi vogliamo portare a tutti la banda ultralarga, indipendentemente da dove si trovano e lo faremo con delle gare in concorrenza tra gli operatori», ha infatti ripetuto per l’ennesima volta il ministro dell’Innovazione Vittorio Colao. In sostanza la questione non riguarda il Governo. L’iter che porterà a mettere a gara l’infrastrutturazione delle zone semiconcorrenziali (le cosiddette “aree grigie”), non coperte autonomamente dagli operatori, in realtà è già partito con la consultazione avviata da Infratel il 30 aprile – e che si dovrà condudere entro il 15 giugno – con la quale si chiede a ciascun player di dichiarare in quali aree sono previsti piani di copertura in banda ultralarga. In sostanza si tratta della “mappatura del territorio” preliminare alla definizione dei bandi di gara. Di fatto la scelta del Governo, in questo caso, non può non avere influenza sull’evoluzione delle vicende societarie, dal momento che uno dei due soggetti chiamati in causa è partecipato dallo Stato.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  F.D.R. 
Titolo: Tim: esposto Consob per le voci sullo stop alla Rete unica I sindacati scrivono al governo
Tema: Rete unica a rischio

Telecom «presenterà un esposto alla Consob» ritenendo «del tutto inappropriate e prive dl riscontri oggettivi le interpretazioni relative al contenuti del Pnrr» che «ha come scopo la digitalizzazione del Paese e il completamento delle Reti nelle aree in cui gli investimenti privati non sono sufficienti» e non ha «relazione con possibili aggregazioni di società oggi operanti nel settore». II riferimento è a FiberCop e Open Fiber, che a breve passerà sotto II controllo di Cdp. II riassetto rende «più semplice l’interlocuzione sulla rete unica» ha detto pochi giorni fa II ceo di Tim, Luigi Gubitosi confermando che il progetto è ancora sul tavolo. Ieri i sindacati hanno scritto una lettera al governo manifestando preoccupazione per l’impatto che le voci hanno avuto in Borsa su Tim e chiedendo quale strategia industriale intende seguire il governo in tema di telecomunicazioni per salvagua rdare l’occupazione.
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Testata:  Stampa 
Autore:  F.Sp. 
Titolo: Il tramonto del piano rete unica Colao: “Gare per la banda larga”
Tema: Rete unica a rischio

«Credo che il ruolo giusto della politica sia quello di pensare agli interessi dei cittadini», dice il ministro per la Transizione digitale, Vittorio Colao, e «di farlo in maniera equilibrata. Le questioni societarie le devono valutare le società e l’Antitrust», afferma nel corso di un convegno organizzato dalle testate di Caltagirone Editore. «Il nostro obiettivo — prosegue — è politico e di Paese, non di assetti societari». Dunque si punta a «qualsiasi situazione adatta a dare la banda larga a tutti. Lo faremo con delle gare, dei sussidi che potranno andare a degli operatori in concorrenza, a degli operatori in collaborazione o in consorzio, Lo vedremo quando arriverà la gara». Linea differente dal passato governo che puntava tutto sulla rete fissa. Ora si guarda a diverse tecnologie. Non solo fibra ottica, ma il mobile 5G e l’Fwa, che porta Internet via radio. E il cosiddetto piano B, citato proprio da Colao in una delle sue prime uscite da ministro. Questo spiega anche perché il Pnrr contempli non già la rete unica ma lo «sviluppo di reti di telecomunicazione», al plurale. Tim, dal canto suo, contesta le interpretazioni, circolate ieri e alla base del crollo in Borsa, che mettono in relazione la declinazione del Pnrr con la fine della rete unica: presenterà un esposto alla Consob. Di certo le speranze di portare a termine l’integrazione come la concepisce la lettera di intenti con Cdp di fine agosto appaiono ardue. Tim, ora, potrebbe perfino rivedere il totem di avere la maggioranza della società di rete, un punto che l’ad Luigi Gubitosi ha sempre dato per irrinunciabile, nonostante le perplessità che già circolavano a Bruxelles. Ma è la filosofia di fondo a essere mutata. Meglio la concorrenza, le gare, al limite i consorzi. In Open Fiber Enel è in uscita, ma la salita di Cdp al 60% appare dettata più dalla volontà di tutelare governance e investimenti che di correre verso la rete unica.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Vaccini senza brevetto La strategia di Biden per sconfiggere il virus in tutto il pianeta
Tema: vaccini, la svolta di Biden

La svolta di Joe Biden che promette l’accesso libero ai brevetti di Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson, inaugura una nuova diplomazia americana dei vaccini. Destinatari sono i paesi emergenti, India e Sudafrica in testa, che chiedono questa sospensione della proprietà intellettuale da tempo. Il gesto politico ha grande risonanza nel mondo, ma va contro gli interessi di Big Pharma che ne contesta l’utilità. Non avrà comunque effetti immediati, e sarà temporaneo. I dettagli giuridici vanno ancora negoziati a Ginevra in seno alla World Trade Organization, dove la delegazione Usa è guidata dalla segretaria al Commercio, Katherine Tai. Lei stessa ha avvertito che ci vorrà tempo. Mai negoziati avranno un’accelerazione visto che fino a ieri la principale opposizione veniva dagli Stati Uniti. L’annuncio di Biden è stato seguito da un coro di approvazioni: dall’Unione europea alla Russia. A Washington questa è una vittoria per l ‘ala sinistra e la lobby terzomondista all’interno del partito democratico. Tra i fautori dell’accesso libero ai brevetti sui vaccini figura Bernie Sanders, senatore socialista che fu rivale di Biden nella corsa alla nomination un anno fa. Da tempo l’ala più radicale del partito faceva una campagna molto visibile sui media, riuscendo a sovrastare voci contrarie e pur autorevoli come quella di Bill Gates. Tra le spinte decisive c’è stata una telefonata fra Biden e il premier indiano Narendra Modi. La Casa Bianca punta su un rapporto strategico con l’India, per contenere l’espansionismo cinese in Asia. Venire in aiuto a Delhi nell’acuta emergenza della pandemia è un gesto obbligato, e contribuisce a contrastare le altre diplomazie dei vaccini dispiegate da superpotenze rivali come Cina e Russia. La stessa Amministrazione Biden però smorza le aspettative sulle conseguenze pratiche di questo annuncio. Avere accesso libero e gratuito ai brevetti serve a poco, se per fabbricare vaccini su vasta scala mancano le capacità industriali, i macchinari, il know how e la manodopera qualificata, nonché l’accesso agli ingredienti di base che scarseggiano: tutti requisiti che possono richiedere molti mesi se non anni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  MA.BRE. 
Titolo: Europa spaccata sui brevetti Speranza: fiale made in Italy – L’Europa si spacca su vaccini e brevetti Merkel frena, Draghi sceglie la cautela
Tema: vaccini, l’Europa si spacca

La svolta di Joe Biden sulla liberalizzazione dei brevetti dei vaccini anti-Covid irrita l’industria farmaceutica e spiazza l’Europa, che si risveglia senza una linea chiara. Favorevole la Francia di Emmanuel Macron, contrarissima la Germania di Angela Merkel. Mentre Mario Draghi non si schiera apertamente e, con una dichiarazione volutamente neutra, invita a valutare tutte le possibili implicazioni. La questione piomberà oggi sul tavolo dei 27 leader Ue, che si riuniranno a Porto in occasione del summit dedicato ai temi sociali e ai rapporti con l’India. Il tema brevetti è stato aggiunto nel menu della cena. Sarà il primo vertice europeo del premier Draghi in presenza, anche se non tutti i suoi colleghi saranno fisicamente nella stanza: Merkel, l’olandese Mark Rutte e il maltese Robert Abela parteciperanno da remoto. I governi europei sono stati presi alla sprovvista dall’annuncio dell’amministrazione Usa. «A Bruxelles non abbiamo avuto il tempo di affront are la discussione a 27» rivela un alto funzionario Ue. Che ammette un certo scetticismo in Europa, soprattutto in alcune capitali. Ursula von der Leyen è stata la prima a reagire ufficialmente in occasione del suo discorso di apertura allo Stato dell’Unione dell’istituto universitario europeo di Firenze. La presidente della Commissione non ha chiuso definitivamente alla proposta americana, anche perché domani i leader terranno un vertice con il premier indiano Narendra Modi: l’Ue punta a riaprire i negoziati per un accordo commerciale con Nuova Delhi e la questione brevetti, caldeggiata sin dall’autunno scorso dal governo indiano, non può certo essere liquidata a priori. Per questo von der Leyen si è limitata a dire – senza troppo fervore – che l’Ue «è pronta a discuterla», ricordando però che l’Europa esporta vaccini e gli Stati Uniti no. «Molto favorevole» Macron, mentre un portavoce di Merkel ha ammesso lo scetticismo della Cancelliera, che deve fare i conti con il peso dell’industria farmaceutica tedesca.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  L. Cr. 
Titolo: Libia, ferito un italiano – Gli spari dei guardacoste libici contro due pescherecci italiani
Tema: Libia

I guardacoste libici sparano verso le navi da pesca italiane al largo della Tripolitania. Nel corso dell’aggressione è rimasto ferito a un braccio Giuseppe Giacalone, comandante del peschereccio Aliseo, che è stato soccorso e medicato. La dinamica dell’incidente ieri sera era ancora da chiarire. Se però fosse vero che i guardacoste libici hanno utilizzato la barca da pattugliamento veloce Obari — donata dall’Italia cinque anni fa e tutt’ora assistita dalle unità officina della Marina Militare italiana, nel contesto del programma comune contro l’immigrazione clandestina — per cercare di sequestrare e persino sparare contro i pescherecci, allora è evidente che le relazioni italo-libiche subirebbero un colpo grave. Alessandro Giacalone, 27 anni, armatore dell’Aliseo e figlio del comandante ferito, ieri è rimasto inchiodato in capitaneria di porto a Mazara del Vallo in attesa di notizie del padre e del fratello Giacomo, 32 anni, anche lui a bordo. «Non ho parlato con loro, ma so che papà sta bene e sono già sulla via del ritorno». Giacomo a settembre era stato sequestrato con il gruppo di pescatori rimasti 1,38 giorni a Bengasi. «Stavolta i libici hanno sparato ad altezza uomo — racconta Alessandro —. Così si mette a rischio la vita di chi lascia la propria casa solo per andare a lavorare». Il mondo politico è in subbuglio. Le accuse a Tripoli sono unanimi. «Non ci si potrà accontentare di scuse o vaghe spiegazioni», avverte il segretario del Pd, Enrico Letta. «Si tratta di un gravissimo attacco della Guardia Costiera libica ai pescatori. Chiediamo da tempo un intervento diplomatico», sottolineano i deputati della Lega Lorenzo Viviani e Paolo Formentini. Non manca la richiesta di bloccare «immediatamente» il sostegno italiano alla Guardia Costiera libica, già nell’occhio del ciclone a causa delle polemiche relative al trattamento dei migranti e dopo gli scambi di accuse con le associazioni non governative
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: Libia, la Guardia costiera spara ferito pescatore italiano – Scintille nel mare libico La Guardia costiera spara su peschereccio italiano
Tema: Libia

«Adesso forse è chiaro a tutti: pescare nel Mediterraneo centrale è come andare in guerra. E l’Italia deve decidere: difendere i suoi pescherecci e i suoi diritti, oppure ritirarsi». Marco Marone è l’armatore del Medinea, uno dei due pescherecci sequestrati tre mesi dal l° settembre a Bengasi. Ieri un altro peschereccio italiano al largo della Libia, l’Aliseo, sempre di Mazara del Vallo, è stato assaltato da un gommone armato: per costringerlo a dirigere verso il porto di Misurata, i miliziani hanno sparato ad altezza d’uomo, colpendo la cabina. Il comandante Giuseppe Giacalone è stato ferito a un braccio e alla testa dai vetri del parabrezza esplosi per i proiettili. Il peschereccio ora sta rientrando in Sicilia: fortuna ha voluto che la fregata italiana Libeccio fosse vicina alla zona di pesca, e sia intervenuta facendo volare il suo elicottero e poi avviando un negoziato con i miliziani. Alla fine i libici sono scesi dal pes chereccio, che stavano già trasferendo verso Misurata.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ippolito Luigi 
Titolo: La ministra francese che sfida Londra sul mare – Londra-Parigi, battaglia nella Manica
Tema: la “guerra dei crostacei”
La giornata di ieri ha visto una drammatica escalation militare nel canale della Manica. Boris Johnson ha mandato due navi da guerra davanti all’isola di Jersey, il territorio britannico di fronte alle coste della Francia, per difenderla da un blocco marittimo minacciato dal pescatori bretoni e normanni. Ma il presidente francese Emmanuel Macron ha prontamente risposto inviando nella zona due motovedette della sua Marina. Al termine di ore di tensione, i pescherecci francesi, così come le due unità militari di Parigi, si sono ritirati: «Victoire!», hanno intonato i tabloid inglesi, sempre pronti a cavalcare il nazionalismo più becero, che li aveva portati a invocare le memorie di Nelson e della battaglia di Trafalgar. Le cannoniere britanniche sono rimaste invece nell’area: Johnson ha ribadito il suo «sostegno senza equivoci» a Jersey e ha detto che le unità della Royal Navy «rimarranno sul posto per monitorare la situazione c ome misura di precauzione». È una disputa dunque tutt’altro che risolta e che ha origine dall’accordo sulla Brexit: i pescatori europei hanno ottenuto l’accesso alle acque britanniche fino al 2026, ma le barche devono dimostrare di aver operato in passato in quelle zone. Le autorità di Jersey su questa base hanno negato l’accesso a decine di pescherecci francesi, scatenando una reazione furibonda: una flottiglia di almeno 60 barche era pronta a salpare per Jersey e a bloccarne il porto. Addirittura, l’altro ieri lo stesso governo francese aveva minacciato di tagliare l’elettricità all’isola, che dipende dal continente per le sue forniture. «Perfino i nazisti avevano lasciato la luce accesa», hanno commentato a Londra, riferendosi all’occupazione tedesca durante la guerra. A questo punto Johnson non ha perso l’occasione per incassare un dividendo politico, anche in vista dell’importante tornata di elezioni amministrativa che si svolgeva proprio ieri in Gran Bretagna. E una mini-crisi delle Falklands, se vogliamo: anche in quella occasione Margaret Thatcher usò una spedizione bellica per risollevare le sorti del suo governo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ginori Anais 
Titolo: Parigi e Londra, nella Manica la disfida dei crostacei – La guerra dei crostacei Francia e Regno Unito schierano la flotta
Tema: la “guerra dei crostacei”
«La giornata non è stata molto fruttuosa ». Il capitano del Sirocco, Victor Massu, attracca quando il sole sta già tramontando. Il peschereccio ha navigato nella Manica per ore, ma è senza l’abituale carico di aragoste e capesante. Per una volta non è la mancanza di coquillages a rendere triste il quarantenne titolare di una piccola imbarcazione passata di padre in figlio che evoca un vento sahariano molto più caldo di quello che ieri batteva la costa misto a pioggia. «Tutto inutile, siamo stati respinti». Il capitano non ha avuto dubbi quando mercoledì notte è partita la chiamata per un’operazione coup de poing, come dicono i pescatori di questo paesaggio di falesie che cambia al ritmo delle maree. Una piccola flotta è partita verso il porto di Saint-Helier, capitale di Jersey. Come decine di altri pescatori della costa, Massu ha ricevuto qualche giorno fa una mail in cui le autorità dell’isola br itannica gli notificavano il ritiro della licenza. «Ci eravamo fidati del governo», commenta a proposito dei ministri francesi che a gennaio promettevano che la Brexit non avrebbe cambiato nulla, che l’accordo in extremis tra l’Ue e Londra salvaguardava i loro diritti di pesca. E invece. Due navi della Royal Navy accolgono minacciose la cinquantina di imbarcazioni francesi in avvicinamento. Tra i pescatori ci sono quelli più agguerriti che lanciano fumogeni. Altri ostentano striscioni: «Don’t change anything, let’s stay friends». Un britannico sfreccia tra le onde alzando il dito medio contro gli «invasori». Un’imbarcazione francese finisce per speronarne un’altra dell’isola anglo-normanna. Non è un pescatore brexiter ma un milionario di Jersey, padrone di hotel e pub. La scena viene osservata da lontano dalla Royal Navy schierata per «monitorare la situazione» secondo Londra, e dalle due motovedette mandate in risposta dalla Prefettura della Normandia. Prove generali di guerra navale, almeno questa è la narrazione sovranista. «La nostra è un’operazione pacifica», spiega Ludovic Lazaro, pescatore di Granville. È tra i leader della protesta, ma non sembra gov ernare gli eventi.
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