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SINTESI IN PRIMO PIANO – 7 gennaio 2021

In evidenza sui principali quotidiani:
– Conte apre al dialogo
– Il governo accelera: sei milioni di vaccinati entro marzo
– Recovery a 220 miliardi
– Trump scatena i suoi sostenitori: assaltato il Congresso

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Caro Paola 
Titolo: Conte apre al dialogo e al rimpasto Renzi: ora i fatti o toccherà ad altri
Tema: rimpasto

Alla fine di una giornata scandita da incontri e messaggi trasversali, la crisi di governo resta ancora sul piatto, ma un minimo spiraglio c’è. Perché il presidente del Consiglio in un lungo post su Facebook annuncia che «presto» si farà il punto in Consiglio dei ministri e si presenterà il testo in Parlamento, perché sia esaminato e magari arricchito anche con contributi dell’opposizione. «È il momento di correre», dice Giuseppe Conte, e anche di «rafforzare la coesione della maggioranza e la solidità della squadra». Con il recepimento delle richieste di Italia viva, è il messaggio: «La nuova versione del Piano nazionale di rilancio e resilienza punterà con ancora maggior decisione sugli investimenti, soprattutto quelli ad alto impatto sulla crescita, sulla trasformazione dei settori e sulle filiere innovative. Insomma, sembra che il premier voglia provare in tutti i modi a recup erare una situazione a un passo dallo sfuggirgli di mano, ponendosi come punto di equilibrio non solo per la maggioranza ma anche per l’opposizione sempre più sul piede di guerra («Torneremo in piazza, il governo deve andare a casa», ha detto ieri Salvini). Ma non è detto che l’operazione riesca, magari con un corposo rimpasto. Almeno a sentire Matteo Renzi. Il leader di Iv riconosce che l’apertura c’è: «Da quello che si legge il governo sembra aver cambiato idea. Evidentemente le idee del mio partito non erano male». Poi però resta molto duro nei toni: «Magari fosse una questione personale con Conte, quelle si risolvono. Anche noi abbiamo indicato il suo nome come premier per opporci a Salvini. Ma non si può fare politica solo contro. Conte ha detto “verrò in Senato”, quasi sfidandoci. Lo aspettiamo lì>. Renzi esclude che stia lavorando a un governo di scopo: «Non esistono governi di scopo. Esistono governi che devono lavorare. Se il governo è in grado di farlo, lo faccia. Sennò tocca ad altri».
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Trocino Alessandro 

Titolo: Rosato e Boschi i primi candidati Nel Pd Delrio, Orlando o Bettini Ma anche il leader di Iv è in gioco
Tema: rimpasto

C’è lo «schema Conte» — rimpasto rapido, con un paio di ministeri e sottosegretari in più e un paio di sostituzioni — e c’è lo «schema Renzi», ovvero dimissioni, ritorno al Quirinale, nuovo governo, possibilmente con un altro premier. In mezzo ci sono l’inquietudine del Pd, il disorientamento M5S e un paio di ipotesi residuali: il governo resiliente, grazie al puntello di una manciata di «responsabili» o l’esito finale, le urne. Per capire il gioco dei nomi che circolano in queste ore, bisogna entrare in queste logiche, spesso incomprensibili all’Italia colpita dal Covid. Lo «schema Conte» è il tentativo del presidente del Consiglio di risolvere le tensioni, senza andare al Quirinale, con qualche concessione di contenuto e un’impostazione che prevede l’ingresso di una personalità importante di Italia viva e di una (o due) del Pd. In questa logica, si potrebbero spacchettare un paio di minis teri (Infrastrutture e Trasporti e Cultura e Turismo), moltiplicando le poltrone. E magari aggiungendo un sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Entrerebbe così un esponente di rilievo di Italia viva: e qui i nomi sono due, Ettore Rosato e Maria Elena Boschi. A bilanciare, arriverebbero uno o due esponenti dem. Il capogruppo alla Camera Graziano Delrio. O Andrea Orlando, che in queste ore viene indicato quasi ovunque. Scartando via Arenula, dove è già stato, e il ruolo di vicepremier, che esclude lui stesso («Ipotesi priva di fondamento»), gli incarichi più probabili sono le Infrastrutture o il ruolo di sottosegretario a Chigi con delega al Recovery fund. Le Infrastrutture sono ambite anche dalla Boschi, perché in quel ruolo si sarebbe già all’interno della cabina di regia del Recovery. Ma una voce attribuisce il ruolo di sottosegretario a un personaggio chiave non solo del Pd, ma delle mediazioni: Goffredo Bettini.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso 
Titolo: L’ultima offerta di Conte rimpasto, fondi Ue e Servizi Renzi: tre giorni per decidere
Tema: rimpasto

Sotto assedio, Giuseppe Conte lancia la sua ultima offerta. Non prevede una crisi formale, che continua a rifiutare sdegnato, forte del fatto che il Quirinale potrebbe accettare un rimpasto senza dimissioni, a patto che il perimetro della maggioranza resti quello attuale. E con un post su Facebook offre a Matteo Renzi tutto quello che è possibile offrire sul Recovery. Per non lasciargli alibi, propone anche un «rafforzamento della squadra di governo». Lo fa per poter dire al mondo: ho ceduto molto, se non basta significa che ha comunque scelto di strappare. Parallelamente, l’avvocato continua a lavorare all’operazione “responsabili”. Sa che è tutta in salita a causa dei dubbi del Pd. Eppure non si ferma. L’obiettivo è mettere pressione ai gruppi renziani e non darla vinta al suo nemico. Dopo un vertice con Roberto Gualtieri, Enzo Amendola e Peppe Provenzano, aumenta pure la quota degli investimenti grazie all’accordo sui fondi di coesione del mi nistro del Sud. Conte, insomma, traccia il suo confine: se cedo sul Recovery, su cos’altro potrà sgambettarmi il leader di Iv? Renzi ci pensa un po’, prima di reagire. Gioisce nelle chat dei parlamentari, «indipendentemente da come finirà, abbiamo evitato un testo inguardabile». Fa sapere di attendere comunque al varco il premier, «queste sono parole, vediamo i testi». Ma poi si mette al lavoro soprattutto per sfilare all’avvocato il vantaggio tattico che gli deriva dall’aver sminato il terreno più pericoloso. «Il pacchetto è unico – è la linea – non c’è solo il Recovery». Significa che non darà il via libera al progetto nel consiglio dei ministri che Conte ha in mente di convocare domani, dopo aver riunito oggi I capidelegazione. Significa che adesso chiede al premier di rallentare e presentare entro domenica le sue proposte su Mes e Servizi, ma anche sui ministri giudicati logori e da sostituire. Il messaggio è chiaro: non consentirò a Palazzo Chigi di cavarsela trattando un dossier alla volta. E sempre alla crisi si torna. A quel passaggio parlamentare al Senato che Renzi pretende e il premier rifiuta, perché passa da dimissioni inaccettabili .
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: Grandi manovre in aula Al premier mancano 6 voti per fare il colpo in Senato
Tema: rimpasto

C’è un frenetico sali-scendi dalle scialuppe di salvataggio, in queste ore dl stand by Conte-Renzi. I 156 voti con cui è stata approvata la fiducia il 30 dicembre sul bilancio non garantiscono nulla. Ancor meno se davvero i 18 renziani dovessero salutare, scendere e andare via. Ma poi dove? Ma poi, tutti? Perché i dem più trattativisti stanno lavorando ai fianchi i più incerti tra i senatori di Italia Viva per spingerli alla scissione post scissione e a farli tornare alla casa madre. Si fanno i nomi di Comincini, Vono, Marino. Perfino di un paio di altri insospettabili che il capogruppo pd (ed ex renziano) Andrea Marcucci terrebbe come assi nella manica. il suo collega di Iv Davide Faraone invece replica con una risata, convinto che 18 sono e 18 resteranno, «fino alla fine», in barba alla campagna acquisti, qualunque decisione prenda alla fine il capo. Allora i numeri si fanno ballerini. La maggioranza, al suo massimo “splendore” al Sena to, ha toccato anche quota 170. Giusto qualche exploit. Poi ha sempre ondeggiato attorno alla soglia del pericolo di 161. Con 18 renziani in meno, addio: anche dall’apice di 170 si scenderebbe a 152. Da Palazzo Chigi in queste ore hanno lasciato intendere che sarebbero sufficienti anche 6 senatori per andare avanti e che le caselle sarebbero pure occupate. Ma poi in commissione, senza maggioranza – gongola coi suoi a voce alta Faraone – come farebbero? Ecco perché il pressing di grillini contiani e dei dem alla Bettini si fa incalzante sul gruppone dei 29 del Misto. «Io sono responsabile ma verso il Paese, non a favore di questo o quello, non è il momento di aprire crisi, direi a Renzi, ma di più non voglio dire», ma già dice Sandra Lonardo Mastella. Su di lei in maggioranza già contano. E in fondo anche su Mario Giarrusso, ex 5S che, forse non a caso, interpellato, se la cava con un «sono a casa e fuori da questi scenari, da questi giri…».
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Testata:  Stampa
Autore:  Sorgi Marcello 

Titolo: Quel risentimento tra Renzi e Conte
Tema: rimpasto
I responsabili ci sono per operazioni di emergenza. Ma se si tratta di prefigurare un appoggio stabile al governo, per prima cosa chiedono di sedere al tavolo delle decisioni, soprattutto quelle sui miliardi del RecoveryFund; poi avere, com’è ovvio, qualche posto di ministro e sottosegretario, e se possibile un allargamento della maggioranza a tutto o in parte il centrodestra, per salvare la faccia e non essere accusati di tradimento. Ora, per carità, tutto si può fare in un frangente delicato come quello che l’Italia sta attraversando. Ma tra rimettere in sesto il governo che c’è, e costruirne uno completamente nuovo, con una nuova alleanza, è evidente che la strada più impervia è la seconda. Aver puntato sui responsabili come strategia è stata davvero un’ingenuità, da parte del presidente del Consiglio.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Russo Paolo 
Titolo: “Entro l’estate vaccinati tutti gli italiani” – Dall’Europa via libera al vaccino di Moderna Il piano Arcuri: tutti immuni entro fine estate
Tema: vaccini

Proprio mentre i contagi risalgono oltre quota 20mila con altri 548 morti, la campagna di vaccinazione ingrana la quinta. O perlomeno, la benzina per spingere sull’acceleratore ora c’è, perché ieri l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, ha sdoganato il vaccino di Moderna, che per l’Italia vale oltre 20 milioni di dosi considerando la nostra quota parte di quelle in più opzionate dall’Europa. Già oggi l’Aifa autorizzerà la prima distribuzione in Italia, che partirà con solo 1,3 milioni di fiale. Le prime dosi saranno distribuite dall’esercito a partire da lunedì. Ma dal palazzo dell’Ema ad Amsterdam i responsabili del piano vaccini fanno sapere che già a fine mese potrà arrivare il via libera all’antidoto di AstraZeneca, anche se nel dosaggio pieno rivelatosi efficace solo al 62%. E per l’Italia sono altre 40,4 milioni di dosi. Poi a marzo dovrebbe essere il turno del vaccino della Johnson&Johnson, che per noi vale altr e 53,8 milioni di fiale. Alle quali potrebbero corrispondere altrettanti vaccinati se, come sembra, per ottenere l’immunità basterà una sola dose. Con questa riserva di carburante il commissario Arcuri ai governatori ieri ha potuto presentare una tabella di marcia più accelerata rispetto al piano messo a punto dal Governo. «Entro marzo vaccineremo 5,9 milioni di persone, 13,5 entro a aprile per arrivare a 21,5 milioni a fine maggio». E con questo cronoprogramma, ha assicurato alle Regioni, «potremmo concludere le vaccinazioni su base volontaria entro la fine dell’estate». Ossia con 4-5 mesi di anticipo rispetto al piano del governo.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Evangelisti Mauro 
Titolo: Intervista a Walter Ricciardi – «Picco contagi, misure blande» – «La politica non decide e i focolai cresceranno»
Tema: Covid

«Le limitazioni decise non saranno sufficienti è evidente. Così i contagi cresceranno ancora. Pensare di riaprire le scuole, con 20 mila casi al giorno, non ha senso». Il professor Walter Ricciardi è consigliere del ministero della Salute e docente di Igiene e Medicina preventiva alla Cattolica di Roma. Si è sempre schierato nelle fila di coloro che invocano non tanto misure più o meno severe, ma più tempestive, perché, a suo dire, inseguiamo la pandemia e interveniamo quando ormai è troppo tardi. L’incremento dei casi, nell’ultima settimana, e il ritorno sopra quota 20.000 sembrano dargli ragione. «La circolazione del virus è ancora intensa. Questo stato di emergenza per altri sei mesi è necessario ma va colto in funzione dell’evidenza scientifica che ci dice una cosa ormai chiara: le misure per fermare la trasmissione di Sars-Cov-2 vanno mantenute in maniera coordinata sul territorio italiano e in modo comprensibile ai cittadini. Soprattutto devono essere applicate in maniera costante». Sei mesi di proroga sembrano tanti. «Le pandemie sono fenomeni che durano anni, sicuramente mesi. Bisogna attrezzarsi per combatterla. Però bisogna utilizzare questo stato di emergenza per dare messaggi chiari e veritieri agli italiani e adottare misure efficaci. Bisogna cercare di anticipare il virus, non inseguirlo. La sfida di oggi è questa». Ma stiamo riuscendo a fare ciò che lei dice? Riusciamo a limitare la diffusione del virus, anticipandola? «No. Non ci stiamo riuscendo. Le istanze che, come scienziati, rappresentiamo al ministro della Salute e che lui a sua volta rappresenta al Parlamento scontano dei compromessi al ribasso che non riescono a gestire questa situazione».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Marino Giuseppe 
Titolo: Meloni conquista Confindustria (e arruola gli eredi di Moro) – Le mosse della Meloni: incontra Confindustria e arruola la famiglia Moro
Tema: centrodestra
 Sei punti percentuali in un anno. Il sondaggio presentato dal programma Quarta Repubblica laurea Fratelli d’Italia come il partito che ha guadagnato più consenso nel terribile 2020. Oggi è a 16,8 per cento dei consensi stimati, un anno fa superava di poco il 10 per cento. In via della Scrofa, sede storica della destra che il partito di Giorgia Meloni ha voluto mantenere, sono in tanti a pensare che a funzionare sia la strategia di guardare oltre l’orizzonte tradizionale della propria collocazione politica. Se questo è vero, dalla giornata di ieri Giorgia Meloni ricava due segnali importanti. L’incontro bilaterale in viale dell’Astronomia con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi corona un costante lavoro di attenzione alle categorie produttive orchestrato dal responsabile economico del partito, un tecnico prestato alla politica come il docente e tributarista Maurizio Leo. Ma la vera sorpresa è l’adesione della famiglia Moro alla raccolta di fir me per sfiduciare il premier Giuseppe Conte. La petizione ha solo un significato politico e non giuridico, ma Fratelli d’Italia in due giorni è arrivata a raccogliere on line 250mila firme. Tra cui quelle di Maria Fida e Luca Bonini Moro, rispettivamente figlia e nipote dello statista rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Chiale Stefania – Rossi Giampiero 
Titolo: Lombardia, verso Moratti vice Salvini: squadra pronta al 99%
Tema: giunta lombarda
Gli ultimi nodi sono stati sciolti in serata tra Mattero Salvini e Silvio Berlusconi. Ma per creare le condizioni necessarie all’ingresso di Letizia Moratti nel governo lombardo prima è stato soprattutto l’anziano padre di Forza Italia a dover trascorrere l’Epifania attaccato al telefono per chiedere passi indietro e per ascoltare e contenere le richieste dei suoi uomini in Regione. Già nel tardo pomeriggio Salvini si è mostrato più sicuro che ottimista: «Ancora poche ore. Noi non la facciamo lunga come il duello rusticano Conte-Renzi-Di MaioZingaretti. Per quello che mi riguarda al 99% è già chiusa con una squadra d’eccellenza. E quindi da settimana prossima si corre». E aggiunge: «Nessuno sarà dimenticato e nessuno viene sacrificato. Si fa un salto in avanti molto semplicemente. Tutti verranno valorizzati». Mentre scandisce queste frasi, davanti all’ingresso del palazzo che ospita il presidente della Regione, silente da tre giorni, Salvini ha ben chiari gli ultimi due nodi da sciogliere nella telefonata serale con Berlusconi. Il primo: il ruolo di Letizia Moratti, al di là della responsabilità del pesantissimo assessorato al Welfare, cioè alla sanità più importante d’Italia. Il secondo: il ricollocamento del rimosso Giulio Gallera, che da tre giorni è attivissimo nel reclamare comunque un posto, uno qualsiasi, nella compagine del governo lombardo. La questione della «qualifica» del rinforzo Moratti non è un dettaglio. L’ex ministra ed ex sindaca di Milano è stata contattata con la proposta di un ruolo da numero due nella giunta Fontana. Quindi non si tratterebbe di una sua richiesta ma dello stesso pacchetto di offerta.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio – Trovati Gianni 
Titolo: Recovery a 220 miliardi (con i fondi Sud) – Recovery con aiuto di fondi Sud: 220 miliardi alla prova della Ue
Tema: Recovery
Il Recovery Plan si fa aiutare dai fondi per il Sud (Fondo sviluppo coesione) per arrivare a 218,5 miliardi (di cui 139,8 aggiuntivi) e dare più facilmente risposte alle molte richieste dei partiti della maggioranza e a eventuali obiezioni di Bruxelles sui singoli progetti. L’impianto del piano, che ieri il ministro dell’Economia Gualtieri ha portato a Palazzo Chigi prima di avviare una serie di incontri bilaterali con i partiti, si colora il più possibile di investimenti pubblici, per venire incontro alle richieste avanzate soprattutto dai renziani. Ma lo fa senza sfondare le linee di deficit e debito scritte nei tendenziali di finanza pubblica, come Gualtieri ha chiarito fin dalla scorsa settimana. Per questa ragione la colonna dei totali chiama a raccolta tutti i fondi disponibili, anche per far crescere i capitoli strategici relativi a sanità, infrastrutture, welfare e occupazione giovanile (asili) e lavoro dei giovani. Si capirà già oggi se lo sforzo portato avanti da Via XX Settembre e dal ministro delle Politiche europee, Vincenzo Amendola, basterà a spegnere almeno questo incendio nella maggioranza. Ma sul piano sostanziale il tentativo di far andare d’accordo due esigenze opposte, quella di far crescere la mole degli investimenti ma non quella del debito pubblico, produce un’architettura complessa.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Baroni Paolo 
Titolo: Il Recovery plan cresce a 220 miliardi e la quota degli investimenti sale al 70%
Tema: Recovery

Grazie all’impiego di parte dei fondi europei perla coesione, il Piano nazionale di ripresa e resilienza tutto compreso adesso potrà contare su ben 220 miliardi anziché 200. Dal Pd come da Leu e dai 5 Stelle ieri è arrivato un sostanziale via libera alla revisione dei Recovery plan nazionale messa a punto negli ultimi giorni dal ministro dell’Economia Gualtieri e da quello degli Affari Europei Amendola. Anche da Italia Viva, la più critica sulla prima stesura del piano, ieri sono arrivati segnali di apertura nell’attesa di vedere i testi prevista per oggi. La nuova bozza, o meglio uno schema con l’elenco dei progetti selezionati ed i nuovi saldi relativi alle sei differenti missioni (digitalizzazione e innovazione, green, infrastrutture, istruzione e ricerca, parità di genere e coesione e salute), è stata consegnata ieri mattina da Gualtieri a Conte nel corso di un incontro al quale hanno partecipato anche Amendola ed il ministro per il Sud P rovenzano. Quindi sono iniziati i contatti informali coi partiti per saggiare una prima risposta degli alleati e procedere con la stesura definitiva del piano. «Molte nostre proposte a partire dalla sanità e dagli interventi per ridurre le diseguaglianze sono state accolte» ha fatto sapere il numero due del Pd, Andrea Orlando. Soddisfatto anche Vito Crimi (M5s): «Piano migliorato, accolte le nostre richieste». In base al documento messo a punto martedì sera al Mef, le risorse del Piano salgono di 20 miliardi grazie alle risorse attinte dai fondi europei per la coesione che andranno a finanziare gli interventi per le zone svantaggiate liberando fondi per gli altri progetti senza per questo aumentare il deficit. In questo modo i fondi per la sanità salgono d a9 a 18 miliardi, con le spese per assistenza di prossimità e telemedicina che passano 5 a 7,5 miliardi mentre la voce «Innovazione, ricerca e digitalizzazione» assorbe anche i 5,5 miliardi destinati agli ospedali a sua volta lievita da 4 a 10,51 miliardi. E poi agli sili nido vanno 3,6 miliardi, a cultura e turismo 4,1 miliardi in più, 4,6 ai progetti per l’alta velocità mentre ai giovani ed alle politiche del lavoro vann o altri 2,3 miliardi.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pesole Dino 
Titolo: L’analisi – Investimenti ma il Recovery deve trainare anche le riforme
Tema: Recovery
Non solo investimenti, con priorità alla transizione ecologica (almeno il 37%) e al digitale (20%), ma anche incisive riforme strutturali che vadano a incrementare produttività e Pil. L’architettura del Recovery and Resilience Facility è ben definita. Trova puntuale riscontro nelle linee guida della Commissione Ue del 17 settembre e nelle Raccomandazioni inviate al nostro Paese. Un tracciato che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, oggetto di ulteriori limature nelle ultime ore alla ricerca di un compromesso che eviti la crisi di governo, va ben evidenziato. I due percorsi devono marciare in parallelo. È sul combinato di progetti monitorati in progress nella fase di attuazione e riforme da valutare anch’esse nella loro concreta implementazione che la Commissione calibrerà l’erogazione delle tranche semestrali del Next Generation Eu. il parere della Commissione dovrà poi essere approvato a maggioranza qualificata dal Consiglio. Il tutt o nei tempi prestabiliti: entro il 2023 l’impegno delle risorse definita nel Piano nazionale, entro il 2026 l’effettiva erogazione dei fondi. Da Bruxelles si chiede dunque un insieme credibile e coerente di riforme e investimenti, che dovranno marciare spediti verso i quattro obiettivi portanti del Piano europeo: promuovere la coesione economica, sociale e territoriale, rafforzare la resilienza economica e sociale, mitigare l’impatto sociale ed economico della crisi, sostenere la transizione verde e digitale. Per quel che riguarda in particolare le riforme, in primissimo piano compare il riordino dell’amministrazione pubblica all’insegna «della qualità ed efficienza». Una svolta radicale favorita da massicci processi di digitalizzazione. E poi il sistema fiscale, per ridurre il peso della tassazione sul lavoro e razionalizzare il coacervo delle attuali agevolazioni, intervenendo al tempo stesso sui sussidi dannosi dal punto di vista ambientale.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Em. Pat. 
Titolo: Intervista a Luigi Marattin – «Bene Berlusconi, sì al coinvolgimento dell’opposizione»
Tema: Recovery

«Sono sempre stato favorevole a un coinvolgimento delle minoranze sulla gestione dell’emergenza e della crisi economica». II presidente della commissione Finanze della Camera Luigi Marattin, Italia Viva, giudica positivamente l’intervento di Silvio Berlusconi nel dibattito in corso sul Recovery plan. Ma il punto, avverte, è «che in Italia ora abbiamo due opposizioni. Satvini e Meloni che quando parlano di Europa usano termini come”ricattatori” e “usrpatori della nostra sovranità”. E Berlusconi che discute di contenuti, su cui si può concordare o meno». Presidente Marattin, l’emergenza economica impatta su di noi in modo maggiore che in altri Paesi europei anche perché veniamo da vent’anni di scarsa crescita… Il Recovery plan è un’opportunità per invertire la tendenza? Sul Recovery plan abbiamo finora perso sei mesi. I primi due dovevano essere dedicati a diffondere consapevolezza di cosa questo piano non è. No nè una grande legge di bilancio, da distnbuire sulla base di criteri territoriali o di consenso politico. E non è un nuovo fondo strutturale europeo, da utilizzare con la stessa pessima tempistica che abbiamo sempre avuto. Se le forze politiche avessero pienamente consapevolezza di ciò che non è, avremmo potuto da tempo concentrarci su come usarlo. Nei vent’anni precedenti al Covid, il tasso di crescita dell’economia italiana è stato uno dei più bassi al mondo, e il nostro reddito pro-capite è lo stesso di metà anni novanta. Questo ha finora “semplicemente” provocato un’ondata populista di dimensioni anomale; ma dopo il Covid, con un debito pubblico attorno al 160% del Pil, rischia di provocare danni persino maggiori».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Magatti Mauro 
Titolo: Perché è così difficile (in Italia) predisporre il piano di rilancio
Tema: Recovery

Sono anni che lo Stato italiano non è più in grado di svolgere il ruolo di quel «soggetto investitore» di cui oggi avremmo bisogno per cambiare passo e uscire positivamente dalla crisi pandemica. Così come sono anni che la società italiana è prigioniera di una cultura della rendita piuttosto che dell’investimento. In questa situazione, la disponibilità di risorse finanziarie aggiuntive può aiutarci a interrompere il lungo declino del Paese; ma potrebbe altresì essere l’evento che fa saltare i fragili equilibri di questi anni. Non si dimentichi che una buona quota di queste risorse sono prestiti che andranno poi restituiti. Hic Rhodus, hic salta. Nella partita del Recovery Plan si gioca davvero il nostro futuro. I rischi per l’Italia ce li ricorda la lingua latina: il liberto (da cui viene la parola libertà) è lo schiavo affrancato grazie al pagamento del suo debito. Per contro, l’addictus (radice che ne ll’inglese moderno si ritrova nel termine addiction che indica la dipendenza patologica) è l’uomo libero insolvente che cade in mano al proprio creditore. Il debito facile e necessario che la pandemia mette a disposizione può davvero costituire l’occasione (nel senso di Macchiavelli) di un cambio di passo. Ma non c’è nulla di scontato. Anzi. Come abbiamo visto in questi mesi — e come si continua a vedere nelle vicende di questi giorni — il rischio è che si continui a pensare a un «debito senza credito». Cioè senza obbligazione, senza rischio, senza fede. Per scrivere il Recovery Plan occorre essere convinti che la prosperità durevole non nasce dal facile sfruttamento del presente, che allarga solo il debito, ma dalla (difficile) costruzione del futuro, cioè dal credito. Per investire, occorre avere un’idea di avvenire: in che cosa, alla fin fine, si è disposti a «credere»?
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bartoloni Marzio 
Titolo: Con 18 miliardi la Sanità raddoppia ma resta aperto lo scontro sul Mes – Alla Sanità 18 miliardi, resta il nodo del Mes
Tema: Recovery e sistema sanitario

La dote per la Sanità nel Recovery plan raddoppia raggiungendo quota 18,1 miliardi complessivi dai 9 previsti inizialmente. Ma l’aumento effettivo delle risorse in realtà è di circa 3,5 miliardi perché altri 5,6 miliardi sono quelli già riservati all’edilizia ospedaliera e che farebbero parte di un altro capitolo del Recovey plan: quello relativo a riqualificazione ed efficentamento energetico di tutto il patrimonio edilizio pubblico. Fondi, quest’ultimi, che serviranno per costruire 63 nuovi ospedali in 5 anni e altri 170 da ristrutturare. La gran parte degli altri 12,5 miliardi della Sanità serviranno per potenziare le cure a casa e sul territorio, quelle al di fuori dell’ospedale, vera spina nel fianco durante l’emergenza Covid. Con queste nuove risorse si costruiranno da qui al 2026 quasi 5mila Case di comunità per assistere anziani e malati cronici e dei presidi sanitari a degenza breve (ospedali di comunità) per oltre 36mi la posti letto con una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero. Ma un altra fetta importante riguarderà la digitalizzazione dei servizi sanitari, lo sviluppo della telemedicina e l’ammodernamento del parco apparecchiature (Tac, Risonanze, ecografi ecc.) degli ospedali che da solo vale circa 2 miliardi.
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Testata:  Stampa 
Autore:  P. BAR. 
Titolo: Intervista a Maria Cecilia Guerra – “Bene il raddoppio dei fondi per la sanità ma insistere sul Mes serve solo a dividere”
Tema: Recovery e sistema sanitario

«Bene il raddoppio dei fondi per la sanità, e giusto aumentare la quota di investimenti, perché hanno un effetto moltiplicatore più forte sulla crescita dei bonus» spiega Maria Cecilia Guerra, sottosegretario all’Economia in quota Leu. Quanto al Mes, «ora non serve più usarlo e chi insiste lo fa solo per dividere e non per trovare soluzioni». Soddisfatti per i 18 miliardi assegnati alla sanità? «Da Conte e Gualtieri arrivano notizie molto confortanti: finalmente si potrà investire sulla sanità territoriale, su case e ospedali di comunità, ovvero su tutte quel genere di strutture che andavano rafforzate anche prima che scoppiasse la pandemia. La prima bozza castigava eccessivamente la sanità in un momento in cui c’era particolarmente bisogno di avere più risorse: come Leu lo avevano chiesto anche prima del Covid e anche prima di esprimere il ministro della Salute. Ma è importante anche la decisione di voler rafforzare le infrastrutture sociali, perché a nostro avviso al posto di semplici politiche di genere riteniamo sia più utile investire in strutture dedicate a persone con disabilità, non autosufficienti e asili. Tutte cose che fanno bene per gli utenti ed al tempo stesso contribuiscono a liberare tempo per le donne e a dare un valore al lavoro di cura». Sulla sanità, però, continua ad aleggiare sempre lo spettro del Mes: i 5 Stelle non sono disposti a prevedere nemmeno un utilizzo parziale dei 37 miliardi della linea sanitaria. Lei che ne pensa? «Io personalmente non ci vedrei nulla di drammatico ad utilizzare il Mes. Quando ancora il Recovery fund era un miraggio noi però ci battevano per avere uno strumento gestito dalla Commissione e non uno strumento intergovernativo come il fondo Salva stati e per questo abbiamo preso tempo. Poi abbiamo ottenuto il Recovery fund che ci assegna risorse molto ingenti e francamente, considerando che ora il risparmio sugli interessi sarebbe ridotto e che c’è la maggioranza relativa del governo che è nettamente contraria, mi sembra che insistere sul Mes sia più un modo per sollecitare delle divisioni che voler trovare delle soluzioni».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Garbarino Carlo 
Titolo: Perché sarebbe stato meglio consultare la Bce sul cashback
Tema: cashback
La lettera con cui la Banca centrale europea ha mosso rilievi critici al governo italiano con riguardo al meccanismo di cashback ha sollevato diverse reazioni. È stato affermato che non si comprende questo intervento dal punto di vista dell’analisi economica visto che il cashback si limita a rendere preferibile uno strumento di pagamento rispetto ad altri e che quindi Francoforte è stata un arbitro “opaco” la cui motivazione in realtà era invitare tutti i governi nazionali a consultare la Bce prima di mettere in atto qualunque provvedimento che tocchi le aree di sua competenza. Questo obbligo di informazione preventiva è del tutto comprensibile, e allora la lettera della Bce offre l’occasione di una riflessione critica in materia di moneta (cioè pagamenti elettronici) e fisco, nel caso si intendesse in futuro in Italia proseguire per la strada del cashless money come modalità privilegiata o addirittura obbligatoria onde verificarne preventiva mente la legittimità a livello europeo. In primo luogo la Bce stabilisce ora un chiaro principio in materia di moneta, e cioè che i gli Stati che adottano l’euro non possono adottare politiche e regolamentazioni monetarie per perseguire altri fini interni. In secondo luogo la Bce stabilisce un chiaro principio in materia di fisco, andando oltre i temi strettamente monetari. L’attuale cashback non ha specifici fini di controllo fiscale, ma è utile rammentare che in generale incentivi o eventuali obblighi di pagamenti elettronici sono stati, perlomeno in Italia, di recente giustificati da tali fini. In questo contesto appare non appropriato per la Bce richiedere che i governi dimostrino ex ante l’efficacia di siffatti interventi monetari antievasione. Il punto sostanziale è però che la Bce , focalizzandosi con la sua lettera sulla ratio fiscale del cashback, ha stigmatizzato interventi monetari nazionali di questo tipo volti ad attuare politiche fiscali, in quanto il monopolio della moneta è a livello Ue, non è nazionale.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Annichiarico Alberto 
Titolo: Iveco verso la Cina: Cnh tratta con Faw – Iveco riapre la pista cinese: Cnh tratta con Faw – Torna la pista cinese per i camion Iveco Cnh Industrial tratta con il gruppo Faw
Tema: automotive
I camion di Iveco prendono la strada della Cina. Cnh Industrial, infatti, ha riaperto le trattative con la cinese Faw sul futuro del produttore di mezzi da trasporto. Un portavoce di Cnh Industrial, il cui nuovo ceo, Scott W. Wine, si è insediato proprio questa settimana – ha confermato, senza aggiungere altri dettagli e dopo un’anticipazione Reuters, che il gruppo è nella fase delle discussioni preliminari con Faw Jiefang. La prospettiva è quella del «rafforzamento del business on-highway dell’azienda», ma «nessun accordo finale sulla portata o la natura della cooperazione è stato al momento raggiunto», ha aggiunto il portavoce. «Ulteriori informazioni saranno rilasciate quando richiesto in conformità alla normativa applicabile». Fonti a conoscenza della questione hanno rivelato a Reuters che i colloqui erano ripresi dopo essere stati sospesi l’anno scorso. La compagnia statale cinese aveva fatto un’offerta preli minare che stimava Iveco poco più di 3 miliardi di euro. Cnh aveva respinto l’offerta perché considerava la valutazione bassa, secondo quanto riportato da Reuters a settembre. La possibile svolta sul futuro di Iveco è arrivata quando Faw, con sede a Changchun, produttore di camion pesanti con il suo marchio Jiefang, ha pensato di espandersi al di fuori della Cina, nei prossimi due anni, sul mercato internazionale dei veicoli commerciali. II gruppo cinese ha quindi migliorato la sua offerta.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Valsania Marco 
Titolo: Usa, Trump incendia i sostenitori Campidoglio sotto assedio – I trumpiani assediano il Congresso Senato verso maggioranza dem
Tema: Caos in Usa

L’ultimo, grande ripudio politico dell’era Trump è arrivato dalle elezioni per i due seggi al Senato della Georgia, dove si è profilata una vittoria democratica. Ma l’escalation della tensione istigata dal Presidente uscente che non si arrende alle sconfitte è degenerata ieri pomeriggio, con scene senza precedenti nella storia contemporanea della capitale americana: manifestanti pro-Trump, istigati dal Presidente uscente, hanno fatto scattare un vero e proprio assalto al Congresso, occupando le scalinate alle porte del Parlamento e riuscendo poi a fare irruzione all’interno, nell’aula del Senato e della Camera. Un manifestante, dalle foto diffuse, si è insediato sul podio dello Speaker della Camera. Capitol Hill era in sessione a camere congiunte per certificare l’elezione alla Casa Bianca del democratico Joe Biden che ha battuto Trump ed è stata costretta a sospendere i lavori. Nel clima di enorme caos, è scattata l’evacuazione vera e propri a del Parlamento. Evacuato il vicepresidente Mike Pence, incaricato di condurre i lavori di deputati e senatori che, in un clima di shock, hanno ricevuto ordine di nascondersi sotto le scrivanie per precauzione. Il sindaco della capitale ha annunciato un coprifuoco dalle sei di sera. Trump, nel primo tweet davanti all’assalto al Congresso, si è limitato a chiedere ai manifestanti di rimanere «pacifici». Le forze dell’ordine hanno chiamato rinforzi. Possibili già alcuni feriti. In seguito sono partite operazioni di polizia per cercare di riprendere il controllo il Congresso minimizzando i rischi di violenza. Doveva essere la giornata dei democratici. In Georgia, con due poltrone al Senato in palio nel grande stato meridionale e tradizionalmente conservatore, i democratici hanno strappato nettamente un seggio e sono in vantaggio per aggiudicarsi il secondo. Ad un passo, se li conquisteranno entrambi, da una maggioranza alla Camera Alta che completerebbe il loro controllo del Congresso oltre che della Casa Bianca con Joe Biden.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe
Titolo: ***Furia di Trump, assalto al Congresso – Trump scatena la piazza Spari al Congresso, un morto – Edizione della mattina
Tema: caos in Usa

Alle 13.30 scatta l’ora più buia nella storia recente degli Stati Uniti. Migliaia di supporter trumpiani travolgono le barriere che proteggono il Congresso e il cordone di polizia, inspiegabilmente fragile. Nell’edificio i parlamentari stanno vagliando i voti dei 5o Stati che certificano l’elezione di Joe Biden. I manifestanti, confluiti in massa davanti alla cupolona di Capitol Hill, entrano a centinaia nelle aule del Parlamento, con le bandiere e gridando slogan. L’allarme è enorme. Una donna, non ancora identificata, viene ferita da un colpo di pistola. Viene portata in ospedale, coperta di sangue. Morirà in serata. Ci sono anche diversi feriti, pure tra gli agenti di polizia. II vice presidente Mike Pence riesce a lasciare l’edificio. Senatori e deputati si barricano negli uffici, dopo aver ricevuto maschere antigas dalle guardie di sicurezza. Alcuni fotogrammi rimarranno nella memoria: tre agenti in borghese con le pistole puntate, a protezione dell’Aula nel la House of Representatives. Oppure un manifestante seduto sullo scranno del presidente del Senato. O ancora il video che mostra un gruppo di attivisti con i cappellini rossi di «Make America Great Again» o con elmetti ed equipaggiamento paramilitare che mandano in frantumi le vetrate del piano terra di Capitol Hill. Il mandante di questa incredibile invasione è il presidente in carica degli Stati Uniti. Con un discorso di oltre un’ora Donald Trump ha infiammato la folla, indicando con nome e cognome i «nemici», i «corrotti» che hanno «rubato le elezioni». Solo alle 14.30, dopo che la sindaca di Washington Muriel Bowser aveva dichiarato il coprifuoco, a partire alle 18, Trump si affaccia su Twitter: «Per favore sostenete la nostra polizia di Capitol Hill, siate pacifici». Ma è un appello del tutto inefficace. Il presidente ci riprova più tardi: «Chiedo a tutti di rimanere tranquilli. Niente violenza. Ricordatevi, Noi siamo il partito della Legge e Ordine. Rispettate i nostri grandi uomini e donne in uniforme. Grazie». E ormai pomeriggio quando interviene Joe Biden: «Noi siamo meglio di così. Trump vada subito in televisione e faccia cessare l’assedio». Per tutta risposta, Trump, posta un video girato nei giardini della Casa Bianca: «Ci hanno rubato le elezioni, ma non siate violenti». Ma più tardi i gestori di Twitter decidono di bloccare l’account del presidente in carica.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Usa, un giorno da golpe – Assalto al Congresso istigato da Trump Quasi colpo di Stato
Tema: caos in Usa

«La democrazia è fragile, è in corso un attacco alla nostra libertà, allo Stato di diritto, alla sovranità popolare». Sono le 16.06, ora locale, quando Joe Biden parla alla nazione. È allarmato e indignato. Da tre ore ormai divampa “la battaglia di Washington”, le convulsioni di una giornata angosciante in cui la più antica democrazia del mondo piomba in stato d’assedio. Nel giorno in cui il Congresso si riunisce per celebrare un rito di passaggio, la ratifica finale dell’elezione presidenziale, l’ultimo colpo di coda di Donald Trump e agghiacciante. ll presidente scatena i suoi seguaci più fanatici e violenti in un assalto in piena regola alle sedi parlamentari, con saccheggi, violenze, intimidazioni, occupazioni. All’una in punto il Congresso apre i suoi lavori, e in quel momento la democrazia americana sembra sui binari della convalescenza verso la normalità. il vice di Trump, Mike Pence, che la Costituzione chiam a a presiedere quella sessione speciale, in una lettera pubblica si dissocia dal tentativi del suo capo di coinvolgerlo in un ribaltone elettorale. «Amo la Costituzione e questa non mi dà l’autorità unilaterale per decidere quali voti devono essere contati». Segue un intervento altrettanto ispirato del capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell: «Guai a noi se creiamo questo precedente pericoloso, per cui un partito sconfitto alle elezioni usa il Parlamento per capovolgere la volontà degli elettori. Un giorno questo si ritorcerebbe contro di noi». Ma proprio mentre Pence respinge le pressioni del suo capo che lo vorrebbe protagonista di un golpe parlamentare contro il suffragio popolare, Trump dl fronte alla Casa Bianca arringa la folla dei manifestanti — molte migliaia — affluita da tutta l’America dietro sua istigazione. «Non ammetterò mai che ho perso — dice il presidente uscente — e se Pence fa la cosa giusta, ho vinto io»..Galvanizzati dalle parole di Trump, all’una í gruppi più determinati partono verso la East Front Entrance del Congresso.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Gaggi Massimo 
Titolo: L’eredità del caos – Biden ora chiama «il popolo» «Un attacco, bisogna reagire»
Tema: caos in Usa

Divisa ieri tra fedelissimi di Trump pronti a calpestare le regole della democrazia rappresentativa e conservatori rispettosi delle istituzioni repubblicane, la destra potrebbe spaccarsi mentre un Paese stremato dagli eccessi del trumpismo potrebbe accogliere con sollievo un presidente che a piccoli passi cerca di riportare il Paese verso la normalità. Ieri, in un clima da guerra civile, Biden, scosso dall’enormità di quello che sta avvenendo, ha chiesto a Trump di fermare le violenze commesse in suo nome perché «le parole di un presidente possono ispirare ma anche distruggere». «Questo non è dissenso. E disordine, è caos, confina con l’eversione e deve finire adesso», ha aggiunto, per poi quasi sbottare, lasciando il palco: «L’America deve reagire. Quando è troppo è troppo». Subito dopo il presidente ha invitato gli attivisti trumpiani che aveva appena aizzato a tomare a casa. Ma il futuro è oscuro e il sentiero di Biden è molto stretto. Se la guida del Senato passerà dalle mani del repubblicano Mitch McConnell al democratico Chuck Schumer, Biden avrà qualche possibilità in più di far approvare uno stimolo all’economia contenente l’assegno di 2.000 dollari per chi è stato danneggiato dalla pandemia voluto anche da Trump, ma fin qui bocciato dai repubblicani. Subito dopo, o già nello stesso provvedimento, Biden potrebbe cercare di far passare altre misure economiche della sua agenda: non le grandi riforme proposte dalla sinistra democratica come Medicare for All o il Green New Deal ambientale ma, se sarà un abile negoziatore, Biden potrebbe strappare dai sui ex colleghi del Congresso il via libera a un alleggerimento del debito di studio degli universitari, a investimenti per l’ambiente e l’energia pulita e ad aiuti aggiuntivi alle famiglie con un reddito che non consente loro di acquistare una polizza sanitaria. Usando nel frattempo gli ordini esecutivi presidenziali per cancellare le misure anti immigrati di Trump e accelerare la lotta contro il Covid-19 che sta avendo conseguenze umane sempre più tragiche, ma sta anche devastando l’economia.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Mazza Viviana – Sarcina Giuseppe 
Titolo: Le milizie di Trump
Tema: caos in Usa

Erano almeno trentamila i sostenitori di Trump alla marcia «Save America» di ieri a Washington, ma c’erano anche state altre manifestazioni nel corso degli ultimi due giorni. Secondo il presidente, che ama esagerare, c’erano centinaia di migliaia di persone in strada. Era la solita folla eterogenea dei comizi trumpiani quella che si era riversata sulla capitale per contestare la vittoria di Joe Biden, e alcuni di loro hanno poi preso d’assalto Capitol Hill. C’erano gruppi di militanti organizzati come i Proud Boys, i Boogaloo e complottisti di QAnon, ma anche famiglie, tanti giovani, tante donne. «Save America», in particolare, era stata organizzata dalla figlia di una dei fondatori dei vecchi Tea Party, Kylie Jane Kremer, che ha creato con la madre l’associazione «Women for America First»: in origine era una risposta all’impeachment di Trump, poi contro le mascherine per il Covid e in seguito avevano lanciato la pagina social «Stop the Steal » contro l’«elezione rubata», che è stata bandita da Facebook. I Proud Boys sono quelli che il presidente ha chiamato «patrioti», ai quali ha chiesto di tenersi pronti (Stand back and stand by) ma che sono ritenuti un gruppo legato ai suprematisti bianchi. Il loro leader, Enrique Tarrio, 36enne di origini cubane di Miami, è stato arrestato lunedì a Washington, mentre si preparava a partecipare alle proteste di ieri, per aver bruciato ad un’altra marcia di un mese fa una bandiera di Black Lives Matter strappata da una chiesa nera di Washington. Gli hanno trovato addosso munizioni pesanti illegali, ma è stato rilasciato con il divieto di restare a Washington (tranne per vedere l’avvocato). Ieri sera è riapparso su Parler — il social che ha accolto gruppi come questo. Qui sono state scambiate le indicazioni sulle postazioni della polizia, su come raggiungere Capitol Hill evitando gli sbarramenti delle forze dell’ordine e su quali attrezzi portare per forzare porte e finestre. Sembra che almeno una decina di persone abbiano invitato a portare armi nelle sale del Congresso.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Geroni Attilio 
Titolo: L’Europa, la repressione a Hong Kong e l’intesa con la Cina
Tema: arresti ad Hong Kong
Come si muoverà l’Europa nei confronti della Cina sul rispetto dei diritti umani a Hong Kong? Ora che la repressione nell’ex colonia britannica è diventata una pratica quotidiana grazie all’entrata in vigore a giugno della nuova legge sulla sicurezza nazionale, quale sarà il nuovo punto d’equilibrio di un’Unione che ha appena firmato con Pechino un accordo politico sul Trattato per la protezione degli investimenti? La risposta diventa ancora più problematica alla luce della vasta operazione condotta ieri contro gli attivisti politici che criticano la nuova legge. All’alba, con l’impiego di un migliaio di poliziotti in 73 diversi punti della città, sono state arrestate 53 persone, tutte legate secondo le autorità cinesi al voto che nei mesi scorsi era stato organizzato per selezionare i candidati dell’opposizione da presentare alle elezioni cittadine, poi cancellate. L’accusa è di «sovversione», reato punibile con pene che a rrivano fino all’ergastolo. «Gli arresti coordinati di più di 5o attivisti pro-democrazia inviano il segnale che il pluralismo politico non è più tollerato a Hong Kong», ha protestato un portavoce dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, chiedendo «la liberazione immediatadelle persone arrestate». Resta da vedere se la recente intesa sugli investimenti possa aver dato a Bruxelles un’arma diplomatica in più nei prossimi negoziati con la Cina. il trattato vero e proprio, quello che garantisce l’apertura di settori dell’economia cinese alle imprese europee e viceversa, che prevede impegni precisi delle autorità di Pechino contro le pratiche del lavoro forzato, che dovrebbe mettere fine al trasferimento forzato di tecnologie nell’ambito delle joint ventures, va ancora finalizzato, tradotto e firmato. È un impegno che se va bene durerà almeno tutto quest’anno e dovrà essere poi sottoposto, in quanto accordo europeo, alla ratifica di un Europarlamento che ha già promesso battaglia proprio sul fronte della tutela dei diritti umani.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Santevecchi Guido 
Titolo: Hong Kong, l’ultimo colpo al dissenso
Tema: arresti ad Hong Kong,

John Lee Ka-chiu, segretario alla Sicurezza di Hong Kong, ha detto che i 53 lavoravano a un «progetto eversivo, cospiravano per ottenere 35 o più seggi al Legislative Council, per paralizzare l’azione del governo e costringere la governatrice Carrie Lam a dimettersi». In democrazia, candidarsi alle elezioni per cambiare il governo si chiama opposizione, nella Repubblica popolare cinese cercare una forma alternativa a quella del Partito unico è «un piano malefico», come ha enunciato il funzionario Lee. Vittime della retata sono i politici che si erano candidati alle primarie democratiche lo scorso luglio e gli attivisti che avevano organizzato il voto. Furono 610 mila i cittadini che si misero in coda pacificamente davanti ai seggi non ufficiali aperti in 250 negozi, sotto tendoni in strada, anche in un vecchio autobus dismesso. Quello fu l’ultimo atto di sfida massiccia della City. «Il popolo di Hong Kong ha fatto un miracolo», disse allora il professor di diritto Benny Tai, vecchio promotore di «Occupy Central» nel 2014, che era tornato a lavorare per la resistenza politica. E Benny Tai è il più noto tra i 53 arrestati ieri all’alba. II Legislative Council, il parlamento della City, conta 70 seggi e nelle elezioni del 20116 i democratici ne avevano conquistati 29, un numero molto significativo se si considera che metà dei posti erano assicurati comunque all’establishment filo-cinese e solo 35 uscivano dal voto popolare. Il rinnovo dell’assemblea era previsto per il 6 settembre del 202o e per questo il fronte di opposizione si era mobilitato con le primarie, dalle quali erano emersi nuovamente personaggi come Joshua Wong. Ma le elezioni generali sono state rinviate di almeno un anno dal governo, ufficialmente a causa della situazione sanitaria dovuta al coronavirus.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Foschini Giuliano 
Titolo: “Ecco perché denunciamo l’Italia” Le accuse dei Regeni al governo
Tema: caso Regeni
La vendita delle due fregate militari al governo egiziano è «avvenuta in palese violazione della legge». Perché vendere armi a Paesi che si sono macchiati di «gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dagli organi delle Nazioni Unite o dall’Unione europea» è vietato dalla legge 185 del 1990. Per questo i genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio, insieme con il loro avvocato Alessandra Ballerini, hanno depositato alla procura di Roma un esposto contro il governo italiano. Un atto forte, annunciato nei giorni scorsi e ora formalizzato davanti ai magistrati che indagano sulla morte del figlio. E che, nel silenzio della politica, “costringe” ancora una volta «Giulio a fare cose», per citare un’espressione cara ai genitori del ricercatore italiano. Un atto – quello dell’esposto – che apre una frattura importante tra la famiglia Regeni e il nostro esecutivo: dopo aver visto un figlio s equestrato, torturato e ucciso da apparati di uno Stato estero, così almeno sostiene la procura di Roma, sono costretti, da cittadini, a “difendersi” dal governo italiano. La denuncia è stata presentata, infatti, nell’ambito del procedimento penale aperto dalla procura di Roma sull’assassinio di Giulio. Tutto si muove attorno alla decisione del governo di vendere le due fregate Fremm, realizzate in Italia, al governo egiziano. La prima delle quali è stata consegnata il 23 dicembre scorso al cantieri del Muggiano a La Spezia. La legge 185/90, fa notare l’avvocato Ballerini, prevede nel primo articolo il divieto dl esportazioni di armi verso Paesi che violano le convenzioni internazionali in tema di diritti umani. La famiglia Regeni è convinta che l’Egitto sia tra quei Paesi.
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