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SINTESI IN PRIMO PIANO – 30 settembre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Conte-Bonomi: un patto per l’Italia
– Atlantia respinge l’ultimatum su Aspi
– Fisco, addio alle aliquote
– Maxi rincari per luce e gas
– Pompeo a Roma, tensione su Cina e 5G

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Armaroli Paolo 
Titolo: Riforme: in Italia capita di tutto, anche niente
Tema: legge elettorale

La riforma elettorale segna il passo. Dopo essersi trascinata tra tante polemiche per otto sedute nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio, dal 14 gennaio al 10 settembre, adesso è calma piatta. Per scaramanzia il testo base presentato dal presidente della commissione, il pentastellato Giuseppe Brescia, è stato adottato il 10 e non l’8 settembre. La fretta ha partorito un nulla di fatto. Perché? Per mille motivi. Come si sa, l’iniziativa legislativa cancella il Rosatellum allora caro al Pd, all’incirca un terzo di maggioritario con collegi uninominali secchi, come nel Regno Unito, e per i restanti due terzi proporzionale. Ma quello che andava bene nel 2017, adesso non va più bene. La linea Maginot del proporzionale è stata partorita a bella posta dalla maggioranza: un ostacolo allestito per fermare la probabile vittoria del centrodesta alle future elezioni politiche. Ovviamente il centrodestra non ha mostrato evangelicamente l’altra guancia e ha dato battaglia. Ma poi tutto si è placato. Non è stato buon profeta Matteo Salvini quando disse che alle regionali il centrodestra avrebbe fatto cappotto. Può capitare di tutto in Italia, diceva Indro Montanelli: anche niente. E niente è successo. Almeno all’apparenza. Certo, il centrosinistra ha perso un’altra regione, le Marche strappate da Giorgia Meloni. Ma si è confermato in Campania, Puglia e Toscana. Questo pareggio, tre a tre, ha stabilizzato la segreteria di Zingaretti e rafforzato il governo.
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Autore:  Ciriaco Tommaso 
Titolo: Il retroscena – Patto Zingaretti-Di Maio per depotenziare Conte – La sintonia Zingaretti-Di Maio per smontare il “metodo Conte”
Tema: tenuta governo
Un ping pong telecomandato, quasi un’esibizione a favore di telecamere. «Bene i 5S sulla riforma fiscale, siamo pronti a un tavolo per lavorare insieme», cinguetta Nicola Zingaretti. «C’è convergenza – fa l’occhiolino Luigi Di Maio – ed è un bene la proposta del segretario Pd». Sintonia pubblica, ostentata, inedita. Ma che sta succedendo? Succede che il leader dem e l’ex capo politico del Movimento hanno infittito il colloqui. Di più: hanno deciso di inaugurare una nuova fase. Stanchi, entrambi, di quella che Zingaretti chiama «la melassa» che a volte avvolge le scelte e le strategie di Palazzo Chigi: un intruglio di annunci mediatici e decisioni rinviate. Che adesso, è l’opinione del governatore uscito indenne dalle Regionali, non ha più ragione di esistere. Il leader dem lo ha spiegato così ai suoi: «Non è all’orizzonte far cadere niente e nessuno, anzi, voglio rafforzare il premier e il governo. Ma una cosa deve essere chiara: metterò i puntini sulle “i”». Il segretario l’ha accennato ieri all’avvocato, sotto il palco di Confindustria, in un lungo colloquio terminato con la promessa di un incontro a breve, per ragionare di un rilancio.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: La Nota – Ammainare il vessillo del no al Mes senza lacerarsi
Tema: tenuta governo
C’è una presa d’atto al vertice di Confindustria: questo governo andrà avanti ancora a lungo. Non si può dire che si tratti di una prospettiva gradita al vertice degli imprenditori, anzi. Ma certi toni critici meno perentori da parte del presidente, Carlo Bonomi, fanno capire che l’interlocutore a medio termine rimarrà l’esecutivo di Giuseppe Conte; e che bisognerà farci i conti, se non altro per moderare una spinta statalista e una cultura assistenzialista favorite dalla pandemia del Covid-19. D’altronde, fino a quando il centrodestra non ufficializzerà una svolta plenamente europeista, sarà difficile costruire un’alternativa alla maggioranza M5S-Pd, per quanto precaria e contraddittoria. L’elezione di Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, al vertice del gruppo europeo dei conservatori è un segnale positivo e prestigioso. Rimane tuttavia un richiamo al sovranismo che evoca le diffidenze delle cancellerie europee. E incrocia il persistente euroscetticismo della Lega di Matteo Salvini. In questa cornice, le responsabilità dell’esecutivo aumentano. Ricade su Giuseppe Conte e sui suoi alleati la responsabilità di governare questa fase. L’invito al presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, a «lavorare giorno e notte» per fare avere a tutti i soldi arretrati della cassa integrazione, è l’ammissione che le cose vanno a rilento. Idem la preparazione dei progetti da presentare all’Europa per ottenere i soldi del Fondo per la ripresa.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Folli Stefano 
Titolo: Il punto – Il nuovo Conte-2 tra il Pd e il Mes
Tema: tenuta governo

La maggioranza si è squilibrata rispetto all’asse che ha sorretto il Conte-2 per un anno. La maggiore solidità del Pd è ancora tutta da verificare sui fatti, ma non è credibile che il gruppo dirigente del partito, dopo essere apparso a torto o a ragione subalterno ai 5S, rinunci oggi a occupare il centro della scena, uscendo dal lungo periodo di frustrazione. In altre parole, la nuova fase del Conte-2 dovrebbe coincidere con la fine della supremazia di Palazzo Chigi. Non ci sarà un Conte-3, proprio perché non si è verificato il collasso della maggioranza, tuttavia il timone non è più nelle mani dei “grillini” e del loro garante alla testa dell’esecutivo: è passato a Zingaretti e ai suoi amici, se sapranno farne buon uso. Peraltro, il solo fatto che il Conte-2 stia rimettendo mano alle leggi promosse dal Conte-1 la dice lunga. Spiega i mutamenti, piccoli ma significativi, intervenuti nelle coalizione. Di certo è aumentata la pressione della Commissione europea sull’esecutivo giallo-rosso. Il premier si adegua, naturalmente, ma cerca di prenderla alla larga. Intanto la politica del rinvio comincia a logorarsi. I progetti per il fatidico Recovery Fund sono ancora confusi, pesa la difficoltà di accantonare la cultura dell’assistenzialismo. O forse, più semplicemente, la classe politica non è preparata. E sullo sfondo rimane il Mes, ossia la versione più aggiornata del vincolo europeo. Lo ha chiesto giorni fa il governatore della Banca d’Italia e ieri il presidente della Confindustria. E’ la carta nella manica del Pd, se davvero vorrà imporre il proprio segno sul governo e dimostrare alla Von der Leyen, ma soprattutto ad Angela Merkel, chi tiene il bandolo della matassa a Roma.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Paci Francesca 
Titolo: Intervista a Giorgia Meloni – Meloni: “Sui migranti sto con la Polonia Meno ingerenze Ue” – “Io, terza via blairiana di destra Sui migranti sto con i polacchi”
Tema: immigrazione

La neoeletta presidente dei Conservatori e riformisti europei, la terza forza politica del Parlamento di Bruxelles sostiene che «l’Europa non si esaurisce in due opzioni, uscire o prostrarsi in ginocchio. Io rappresento la terza via blairiana di destra, sto in Europa con i partiti che condividono un modello confederale, con nazioni che collaborano ma restano sovrane in casa propria. Oggi l’Ue non ha una politica estera ma si occupa di carote e vongole, ecco, vorrei l’opposto: di queste cose si occupino gli Stati, mentre l’Europa dovrebbe pensare alle grandi materie di interesse comune». Si dice che Salvini abbia pensato al Ppe. I Conservatori non lo vogliono? «Non lo so, ne parleremo nei prossimi giorni». Qual è in Europa la differenza tra i sovranisti di Salvini e i Conservatori? «I Conservatori non si limitano alla critica ma propongono un’idea alternativa di Europa, nel solco di un pensiero presente sin dall’inizio del processo d’integrazione europea». Il veto della Polonia impedisce la revisione del Trattato di Dublino sui migranti. Spiegherà a Varsavia che Ue significa beneficiare dei fondi comuni ma anche condividere le responsabilità? «Purtroppo sono d’accordo con loro. Dublino è un finto problema, si occupa dei profughi, ossia il 10% del totale dei migranti. La Polonia dice: tutti insieme difendiamo i confini ma se voi siete il buco nella rete è un vostro problema. Ha ragione. La soluzione non è la soluzione dell’Italia ma neppure dell’Europa, io propongo da sempre il blocco navale e poi distinguiamo tra rifugiati e immigrati dandestini. Vi invito a leggere bene il piano della Von der Leyen, scoprirete che non sono solo i cattivi dell’Est a chiedere di combattere l’immigrazione illegale ma anche la Commissione Ue, con Francia e Germania in testa».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ducci Andrea 
Titolo: Reddito di cittadinanza, Di Maio apre: sì a un tagliando per aggiornarlo
Tema:  Rdc

La parola a cui si aggrappa in queste ore il M5S per tenere il reddito di cittadinanza al riparo da critiche, attacchi e interventi che ne rivedano caratteristiche e dotazione economica è una soltanto: tagliando. Suggerendo così l’idea che la misura bandiera del Movimento stia funzionando e che si tratti di una buona riforma, meritevole appena di qualche aggiustamento. A dirlo in un’intervista al Corriere è stata la viceministra dell’Economia, Laura Castelli (M5S), seguita poche ore dopo da un intervento del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che rivendica la battaglia sul reddito di cittadinanza. «C’è chi non perde occasione per strumentalizzare la prima vera misura contro la povertà mai varata in Italia. Sul reddito di cittadinanza hanno raccontato ogni genere di bugia, l’ultima ha riguardato quelle bestie dei fratelli Bianchi e la morte del povero Willy. Falsità — dice Di Maio — rilanciate da alcuni solo per colpire il M5S». In un passaggio, tuttavia, il ministro degli Esteri apre all’avvio di una riflessione nella maggioranza per un intervento sull’assegno destinato a chi è in cerca di lavoro e bisognoso di un sussidio. «Dopo la pandemia è cambiato tutto, siamo entrati in una crisi che deve spingerci a guardare oltre e ad aggiornare anche alcuni provvedimenti cardine del Movimento, proprio come il reddito. Non significa — spiega — cancellarlo, anzi. Si può però fare un tagliando, un adeguamento alle attuali necessità del Paese. E questo spirito, oggi, unisce tutto íl governo». Di Maio si fa, insomma, interprete di una linea che, pur salvaguardando l’impianto della norma del reddito di cittadinanza, contempla la necessità di mettere mano a una misura, che alla luce di una serie di fatti di cronaca presta il fianco a continui attacchi politici.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: «Scomparsi dai territori» «Siamo senza identità» Lo psicodramma dei 5 Stelle
Tema: M5S

Tutto il gotha di governo e sottogoverno del Movimento 5 Stelle convenuto per una riunione che è un po’ team building, un po’ autocoscienza e un po’ gabinetto di guerra. Il resoconto di quello che si dice in quelle ore di lunedì, in un frugale agriturismo alle porte di Roma immerso nella riserva naturale dell’Insugherata, è il quadro esatto dello stato di salute del Movimento, reduce dallo schiaffo delle urne regionali e incagliato nelle secche di una riforma interna bloccata da veti e diffidenze. Per più di un’ora si susseguono interventi su meet up e territorio, rimostranze e mea culpa. Stefano Buffagni lamenta: «Non abbiamo più un’identità, non esistiamo». D’Incà: «Non ci siamo sui territori». Giuseppe L’Abbate, non si sa se provocatorio: «Siamo senza struttura, non siamo niente. Ma perché non prendiamo lo statuto del Pd, togliamo il loro simbolo e ci mettiamo il nostro?». Il capo delegazione Alfonso Bonafede richiama tutti all’ordine: «Ma non avevamo tre opzioni da discutere?». In effetti sì, quelle enunciate ai gruppi dal capo politico Vito Crimi, per capire come procedere. Si cerca di capire come reagire al tracollo elettorale. Riccardo Fraccaro ha la sua ricetta: «Dobbiamo spingere sul referendum propositivo». Certo, come no, risponde a mezza bocca uno dei presenti, «se annuncio questo tema ai miei elettori mi vengono a prendere a mazzate». Il taglio degli stipendi dei parlamentari sembra finito nel dimenticatoio. È Luigi Di Maio a lanciare l’idea della riforma fiscale. Che viene sposata con forza anche da Carlo Sibilia e Davide Crippa e rilanciata alla stampa da Crimi. II ministro degli Esteri si muove con l’energia rinnovata del capo in pectore. Non ha apprezzato granché certi cedimenti al Pd di Palazzo Chigi, ma la gira in chiave autocritica: «Sul reddito di cittadinanza dovevamo prendere l’iniziativa noi. Se c’è qualcosa da registrare, siamo noi a doverne parlare per primi».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Zapperi Cesare 
Titolo: Salvini vede Zaia dopo il trionfo «A te la Conferenza Stato-Regioni»
Tema: Lega

Tra la non-vittoria alle Regionali dello scorso week end e il processo di sabato a Catania per il caso Gregoretti, cosa c’è di più ristoratore per Matteo Salvini di un «tuffo» in laguna? Eccolo, il segretario leghista nella terra che ha tributato a Luca Zaia un plebiscito «bulgaro» (quasi il 77 per cento) e che ha confermato fin dal primo turno il sindaco Luigi Brugnaro, non leghista ma pronto a far posto in giunta ad un vice di stretta osservanza salviniana. Il leader del Carroccio guarda a loro come figure destinate ad avere «un ruolo nazionale». Ma ha soprattutto il profilo del «Doge» la carta che Salvini vorrebbe giocare per dare più sostanza ad un partito che, pur aumentando il numero dei consiglieri regionali (da 46 a 74), a livello generale da un anno pare aver invertito la direzione di marcia nei consensi. Come? Offrendogli la presidenza della Conferenza Stato-Regioni, oggi nelle mani del pd Stefano Bonaccini, che l’ex ministro ha rivendicato fin da lunedì scorso ad urne ancora calde («governiamo 15 Regioni a 5, quel ruolo tocca a noi»). Zaia per il momento abbozza: «Il discorso è ancora in fieri — conferma —Ci incontreremo ancora e ne riparleremo». Ma la disponibilità di massima è subito accompagnata da un distinguo: «Per me la priorità assoluta, in questo momento, è governare il Veneto che mi ha dato un così grande consenso».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Bonomi: coraggio e visione in un grande patto per l’Italia – «Patto per l’Italia, scelte anche controvento»
Tema: Assemblea Confindustria

Cita Henry Ford: «Gli aerei decollano ogni giorno controvento, non con il vento in coda». Per aggiungere subito dopo: «Questo è lo spirito che serve, scelte per l’Italia del futuro, anche controvento». E quindi quel «coraggio del futuro» che Carlo Bonomi ha scelto come titolo della sua prima assemblea pubblica, posticipata rispetto a maggio per il Covid. Coraggio, unito alla «visione», e cioè quale dovrà essere l’Italia dei prossimi anni. Un Paese che deve riprendere a crescere, non solo recuperando il crollo del Pil di quest’anno, stimato in una forbice tra -9 e -11%. Ma anche, ha sottolineato Bonomi, quei tre punti che ancora a fine 2019 ci mancavano per recuperare il periodo pre crisi 2008. «L’Italia viene da 25 anni di bassa crescita e di bassa produttività. Occorre definire poche incisive priorità, serve una rotta precisa», ha detto il presidente di Confindustria, rivolgendosi direttamente al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, seduto in platea, insieme a una nutrita delegazione del governo (ben 12 ministri), alla presidente del Senato Elisabetta Casellari, istituzioni, sindacalisti, imprenditori. «Due settimane fa lei ha detto: se sbaglio sull’utilizzo del Recovery Fund mandatemi a casa. Se si fallisce andiamo a casa tutti, non solo lei, il danno per il Paese sarebbe immenso lo pagheremmo tutti, non ce lo possiamo permettere. È tempo di una azione comune». Per il presidente di Confindustria ciò si concretizza in un Patto per l’Italia: «Lo chiediamo alle istituzioni, alla politica, a tutti i maggiori soggetti economici e sociali del paese». Un patto cui è richiesta «una visione alta e lungimirante». Con al centro l’impresa. Dal presidente del Consiglio Conte e dal ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli la disponibilità è arrivata.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ri. Que. 
Titolo: Gli industriali incalzano Conte – Bonomi rilancia un patto per l’Italia «Non possiamo diventare il Sussidistan»
Tema: Assemblea Confindustria
Un «patto per l’Italia» tra governo e parti sociali. Questo ha proposto ieri la Confindustria di Carlo Bonomi. L’occasione è stata l’assemblea dell’associazione, la prima del nuovo presidente. Oggetto del patto: la condivisione di un’idea di Paese come traguardo, e della rotta da seguire per raggiungere la meta. La risposta del governo è arrivata a stretto giro con gli interventi del ministro dello Sviluppo economico e del presidente del Consiglio. Viale dell’Astronomia ha incassato un’ apertura di credito senza ombre. «Senza un nuovo patto tra pubblico e privato ogni sforzo del Paese risulterà vano» ha detto il premier, difendendo però allo stesso tempo le politiche di sussidi messe in campo con l’emergenza Covid. «Se vogliamo tutti bene all’Italia è ora di lavorare insieme — ha aggiunto il titolare del Mise, Stefano Patuanelli —. Ma non trinceriamoci dietro posizioni ideologiche. L’obiettivo più ambizioso del mio mandato è ricostruire un rapporto di fiducia con il mondo dell’impresa». E ancora, rivolgendosi direttamente al leader degli industriali: «Carlo, noi siamo qui a raccogliere la tua sfida per uscire da questa crisi più forti di prima. La storia ci guarda e ci giudicherà». Che l’aria in Confindustria sia cambiata è stato chiaro fin dai primi passaggi della relazione del presidente. Bonomi esordisce facendo presente al premier che se palazzo Chigi fallirà sul Recovery fund non solo il governo sarà costretto «ad andare a casa» ma con lui metaforicamente tutti gli italiani perché il Paese sarà ín ginocchio. Ma quali sono i pochi capitoli di spesa su cui puntare le fiches del Recovery fund? Bonomi non entra nel merito in modo diretto, forse temendo che fughe in avanti brucino i primi tentativi di dialogo e condivisione con il governo. Nello stesso tempo non manca di segnalare la posizione di Confindustria su alcune partite-chiave. Primo: è stato un grave errore ridimensionare il piano “Impresa 4.o” (le agevolazioni per gli investimenti nella digitalizzazione delle aziende). Secondo: bene il reddito di cittadinanza per la parte in cui aiuta chi ha bisogno, mentre quella sul reinserimento al lavoro ha fallito e va smontata. Terzo: sì al Mes.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pogliotti Giorgio – Tucci Claudio 
Titolo: La partita dei contratti, «rispettare le regole»
Tema: rinnovo contratti

«Il blocco dei contratti non lo vuole nessuno». Il presidente di Confindustria replica alle accuse sindacali sulla presunta contrarietà delle imprese al rinnovo dei contratti, rivendicando il rispetto dell’impegno preso alla chiusura del contratto della sanità privata avvenuta «in 14 settimane dalla mia nomina», dopo 14 anni di attesa. In vista dell’attuale tornata contrattuale che interessa 10,5 milioni di lavoratori nel privato, Bonomi indica un «duplice dovere»: l’autonomia delle associazioni va rispettata, ma al contempo richiama «fermamente tutti al rispetto delle regole» fissate insieme al sindacato nel Patto della Fabbrica. Dove queste regole vengono rispettate, aggiunge il presidente di Confindustria «i contratti, dopo il legittimo e giusto confronto tra le parti, si rinnovano senza problemi, come nel settore della gomma-plastica e del vetro». Quindi «non è in discussione la libertà delle imprese di sottoscrivere i contratti che vogliono, come sta avvenendo nell’alimentare». Ma «non possiamo immaginare che accordi stipulati in violazione alle regole sottoscritte due anni fa possano ricadere a cascata su tutti i nuovi Ccnl», perché «si metterebbero in enorme difficoltà tantissime imprese a minori margini, soprattutto le piccole. O si darebbe il via libera a un aumento di contratti che svuoterebbe dall’interno il senso stesso delle nostre associazioni». Il messaggio al sindacato è chiaro: «Se le regole sottoscritte due anni fa non vanno più bene, bene ridiscutiamole», ma non accusateci di non voler rinnovare i contratti. Bonomi boccia la proroga del blocco dei licenziamenti e, al governo che lavora alla riforma degli ammortizzatori, chiede di far decollare le politiche attive del lavoro.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  De Cesare Corinna 
Titolo: Maxi rincari per le bollette di luce e gas – Luce e gas, ottobre con maxi-aumenti Elettricità, più 15% Metano su dell’11%
Tema: aumenti luce e gas

Finita l’emergenza, finiti anche i ribassi. L’Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, ha comunicato ieri i rialzi delle bollette previsti per il mese di ottobre. Dopo i «forti cali» dei mesi scorsi, tornano a salire sia la luce (+15,6%) che il gas (+11,4%). Aumenti che tornano su livelli vicini a quelli pre-Covid, ha spiegato Arera, dovuti al rafforzamento della ripresa delle attività economiche e dei consumi. Ciononostante, ha aggiunto l’autorità di regolazione, per la famiglia tipo sono ancora previsti risparmi per quest’anno. Non ne sono convinte le associazioni dei consumatori che parlano di «stangata» e «batosta» record. Critica anche Coldiretti: «L’aumento delle tariffe energetiche pesa sui costi delle imprese particolarmente rilevanti per l’agroalimentare, in una situazione fortemente condizionata dall’emergenza Covid. Il costo dell’energia, oltre a ridurre il potere di acquisto dei cittadini, si riflette, infatti, in tutta la filiera e riguarda sia le attività agricole ma anche la trasformazione e la distribuzione». Secondo Arera, nel 2020 la famiglia tipo beneficia comunque di un risparmio complessivo di circa 207 euro/anno rispetto al 2019. Diversi i calcoli delle associazioni dei consumatori che stimano, su base annua, 70 euro in più per la luce e 96 euro in più per il gas. Una maggior spesa complessiva insomma di 166 euro.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tito Claudio 
Titolo: Fisco, addio alle aliquote – Rivoluzione Irpef, scaglioni addio ognuno avrà la sua aliquota
Tema: fisco

Pil in crescita tra il 6 e il 7 per cento nel biennio 2021-2022 con l’obiettivo di ritornare alla situazione pre-Covid in due anni. Investimenti vicini al 4,5 per cento dello stesso Prodotto interno lordo e deficit che scenderà al 7 per cento nel 2021 rispetto al 10,8 per cento del disastroso anno in corso, e al 4,7 e 3 per cento nei due anni successivi. Ma soprattutto subito la riforma fiscale sul modello “tedesco” (che si basa su una curva crescente della tassazione: sostanzialmente ognuno potrebbe avere la propria aliquota e verrebbe ridotto il rischio dei cosiddetti “scaloni” superati i quali la percentuale di imposizione subisce un balzo netto) e una nuova “Semplificazione” per avere la certezza di immettere immediatamente nel circuito dell’economia i finanziamenti europei del Recovery Fund. E’ questo il piano del governo che prenderà corpo con la legge di Bilancio e la cui formulazione inizierà nel Consiglio dei ministri convocato stasera per avviare l’esame della Nadef, ossia il documento che aggiorna le previsioni economiche. Le mosse dell’esecutivo, ovviamente, sono tutte mirate a ricostruire un tessuto che negli ultimi anni si era lacerato e che la pandemia del Coronavirus ha distrutto facendo saltare tutti i precedenti parametri. Basti pensare che quest’anno il calo del Pil non ha precedenti recenti e che il debito potrebbe salire fino alla soglia record del 158 per cento. Una situazione cui fare fronte con urgenza e che per la maggioranza giallorossa è ormai diventata più di una semplice sfida. Non si tratta di rimettere in ordine i conti pubblici ma di ridisegnare e ricostruire il Paese come accadde dopo la Seconda Guerra mondiale. «Bisogna restituire fiducia ai cittadini», è la parola d’ordine che Giuseppe Conte ripete ad ogni riunione: «Va dato un segnale di ripresa in tempi brevi». Oggi, dunque, ci sarà il primo passo. Seguito dal Documento Programmatico di Bilancio che verrà approvato il 15 ottobre e spedito a Bruxelles per comunicare gli obiettivi dell’esecutivo relativi all’anno successivo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: Recovery fund Grandi opere, previsti solo 20 miliardi – Recovery: 40 miliardi al digitale, solo 20 alle infrastrutture
Tema: aiuti europei

Ecco i primi numeri del governo sul Recovery Plan. È una prima ripartizione inviata a singoli ministeri. Ai progetti green andrà il 37%, come indica anche l’Unione europea e ha confermato ieri il premier Giuseppe Conte: di questi 75 miliardi la quota maggiore andrebbe a stabilizzare il superbonus del 110% mentre altre voci saranno il piano contro il dissesto idrogeologico e la mobilità verde nelle città. Il 20% del recovery, pari a circa 40 miliardi, dovrebbe andare ai progetti di digitalizzazione dove la parte del leone la farà il piano per la banda larga. Alle infrastrutture della mobilità una prima ripartizione dei fondi attribuisce il 10%, quindi 20 miliardi, molto meno di quanto richiesto con un piano da almeno 100 miliardi fatto di progetti per Alta velocità al Sud, ferrovie, strade, porti e logistica. Altre quote del piano – in attesa di conoscere il quadro completo con i fondi, per esempio, per la sanità, per il lavoro, per il fisco, per le imprese, pe rla scuola – dovrebbero andare a un piano per l’acqua e la depurazione e a un piano per le città, l’housing sociale e la rigenerazione urbana: questi due capitoli varrebbero il 5% (10 miliardi) ciascuno.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Bassi Andrea – Gentili Alberto 
Titolo: Il retroscena – Sei “commissari” per il Recovery Il governo cala l’asso – Recovery, la mossa anti-ritardi: sei commissari per l’attuazione
Tema: aiuti europei

Giuseppe Conte sa bene che sull’utilizzo dei 209 miliardi del Recovery Fund rischia la pelle, perché «sono la partita più importante giocata dal Paese negli ultimi decenni per costruire il domani». Così, per tentare di non perderla, il premier all’Assemblea di Confindustria annuncia una legge per rispettare il cronoprogramma che verrà fissato dall’Unione europea nella realizzazione dei vari progetti del Recovery Plan. L’idea, come dicono a palazzo Chigi, «deve essere ancora messa a terra, nero su bianco». Ma l’impostazione che ha in mente Conte sembra seguire il modello Genova o Expo: sei supercommissari, sei guardiani del Recovery Plan, diversi da chi verrà incaricato di realizzare le varie opere. Uno per ogni area di intervento in cui è suddiviso il piano italiano. E incaricati di vigilare sull’attuazione dei progetti e interventi finanziati con i fondi europei. Obiettivo: non rischiare di perdere risorse targate Bruxelles. Ma ecco l’annuncio fatto dal presidente del Consiglio davanti agli industriali: «Ci doteremo per l’attuazione del nostro piano di ripresa di uno strumento normativo ad hoc. Ne abbiamo bisogno, non c’è altra strada. Una struttura normativa dedicata, con norme specifiche, soggetti attuatori dedicati, che ci garantisca un monitoraggio trasparente e tempi di attuazione certi».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubini Federico 
Titolo: Recovery fund a metà I progetti valgono (solo) 100 miliardi
Tema: aiuti europei

L’ultimo aggiornamento del programma economico-finanziario del governo è quasi pronto, incluso il dato oggetto delle maggiori attenzioni: il livello del debito pubblico. Quest’anno il ministero dell’Economia lo vede in aumento fino quasi al 160% del prodotto lordo, dal 135% dov’era rimasto per i sei anni di debole ripresa fino al 2019. Significa che il debito pubblico italiano oggi è di fatto al punto più alto mai raggiunto dallo Stato unitario, alla pari con il livello toccato alla fine della Grande guerra e nel pieno della febbre spagnola che spazzò via mezzo milione di italiani in pochi mesi verso la fine de11918. Per gli anni prossimi poi la nota del governo indica un percorso in discesa del debito, ma a una condizione che non viene esplicitata: la parte di prestiti di Next Generation EU (o Recovery Fund) riservata all’Italia, per circa 127 miliardi, non dev’essere assorbita dal governo se non in piccola parte; oppure, se quei soldi sono presi, questa parte di prestiti europei non viene usata per finanziare investimenti in più rispetto a quelli già previsti dal 2019. Al contrario, questa porzione di finanziamento deve servire principalmente per sostituire con debito verso l’Unione europea il debito verso il mercato che lo Stato italiano avrebbe comunque contratto per finanziare vecchi progetti che esistevano già. In sostanza la spinta addizionale alla ripresa garantita dal Recovery Fund, in base ai piani attuali, vale circa la metà dei 209 miliardi assegnati al Paese nel negoziato di Bruxelles. Il resto è sostituzione di debito con altro debito, a condizioni meno onerose, per pagare gli stessi piani di prima. La nota di programma del ministero dell’Economia ad oggi prevede infatti che gli investimenti in più permessi da Next Generation EU si debbano finanziare quasi tutti attraverso la parte da 82 miliardi dei trasferimenti diretti di Bruxelles. Solo quella infatti non andrebbe ad aumentare il debito, se utilizzata, proprio perché lo Stato non deve rimborsarla.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  D’Argenio Alberto – Puledda Vittoria 
Titolo: Atlantia e il governo muro contro muro Bruxelles si prepara a chiedere chiarimenti
Tema: Autostrade

Il consiglio di Atlantia e quello di Aspi hanno risposto al governo. Confermando di aver fatto tutto quello che era stato chiesto. Ma per portare a termine gli impegni presi lo scorso 14 luglio – uscire da Aspi, con una procedura di mercato – occorre che dall’Atto transattivo venga tolto l’articolo 10, quello in cui si vincola la chiusura della procedura di revoca alla vendita a Cdp, altrimenti la società non è vendibile. Quell’articolo infatti «non è pertinente né in linea con lo scopo dell’atto stesso, né con il contenuto della lettera di impegni inviata da Atlantia» il 14 luglio. Così come è «inaccettabile» la richiesta di manleva da parte di Cdp. Sintetizzando, è questo lo schema della lettera inviata al governo da Atlantia. E, per quanto di propria competenza e in maniera ancora più dettagliata sul fronte del negoziato, da Aspi, che ha ricordato come, in caso di revoca, farà valere i diritti previsti dalla convenzione. Rispettata dunque la scadenza del 30, entro la quale mandare una risposta, resta da vedere se il governo considererà soddisfacente la posizione. Che sembra solo confermare la posizione già più volte espressa negli ultimi tempi. Difficile che dal versante Cdp ci possa essere un’accoglienza migliore rispetto ai giorni scorsi. Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Galvagni Laura 
Titolo: Atlantia respinge l’ultimatum su Aspi – Atlantia respinge il diktat su Aspi: «Sì a Cdp ma a condizioni di mercato»
Tema: Autostrade

«Atlantia ribadisce di aver compiuto e di voler compiere ogni sforzo per raggiungere un accordo rispettoso delle finalità espresse nella lettera del 14 luglio e contemporaneamente tutelare i diritti e gli interessi degli azionisti di Atlantia e di minoranza di Aspi». E in virtù di questo chiede al governo di approvare il piano economico finanziario (pef) e l’atto transattivo, senza i quali, di fatto, non può essere aperta alcuna procedura di vendita. Ovviamente, sostiene la compagnia, va eliminato qualsiasi riferimento a Cdp poiché la concessionaria non può assumere alcun impegno in nome della controllante. Eppure, fonti vicine al dossier ricordano come siano state proprio «le società Aspi ed Atlantia ad aver espressamente proposto al governo nelle lettere dell’11, del 13, del 14 e del 15 luglio scorso, come poi riportato nel comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 luglio, una soluzione combinata che abbinava il riequilibrio della concessione e la cessione del controllo a Cassa Depositi e prestiti». Vero, hanno risposto fonti vicine alle società, tuttavia quanto proposto era vincolato al `voto” positivo del mercato, che a riguardo ha invece risposto picche. Ecco perché procedura e schema di vendita sono stati rivisti, nel rispetto però di quelli che erano i punti salienti dell’intesa, fanno notare sempre ambienti vicino all’azienda: Atlantia si è resa disponibile a cedere l’asset, ha assecondato le richieste su tariffe, investimenti modello Art e compensazione, il resto non può essere deciso a tavolino ma solo nell’ambito di un negoziato aperto e trasparente. Insomma, se in sede di data room gli interessati chiederanno tutele specifiche o sconti sul prezzo si valuterà il da farsi.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cellino Maximilian 
Titolo: Asta BTp, il decennale fermo a un passo dal minimo storico
Tema: mercato finanziario

Un solo centesimo. Tanto è mancato al BTp decennale emesso ieri dal Tesoro italiano per registrare in asta il rendimento minimo di sempre. il tasso lordo del nuovo benchmark, assegnato per 4,5 miliardi di euro, è infatti risultato pari allo 0,89% per cento: 22 centesimi in meno in confronto al mese precedente, ma uno in più rispetto allo 0,88% di un anno fa a ottobre, quando le condizioni di mercato – con una Bce che si apprestava a riprendere i riacquisti di titoli pubblici – erano altrettanto favorevoli. Chi gestisce l’enorme debito italiano (che ieri ha collocato anche BTp a 5 anni per 2,5 miliardi a un tasso dello 0,35%) può dunque rallegrarsi per lo scampato pericolo rappresentato dalle elezioni regionali di dieci giorni fa. Le insidie delle urne, temute da molti analisti per le possibili ripercussioni dell’aumento del rischio politico sui nostri titoli di Stato, si sono alla fine rivelate infondate: l’esito del voto, notano anzi da UniCredit Research, ha «rafforzato l’attuale governo e dimostrato che le forze politiche populiste italiane stanno perdendo vigore». E si può anche guardare con ragionevole fiducia agli ultimi tre mesi di questo 2020, particolarmente impegnativo pervia degli extra-costi legati a Covid-19 da finanziare attraverso nuovo debito pubblico. Con le operazioni di ieri il Tesoro ha infatti nel complesso collocato titoli a mediolungo termine per 296 miliardi: da qui a fine anno ne mancano ancora circa 40 miliardi, che non sono certo una cifra piccola, ma che nel contesto attuale sembrerebbero un ostacolo meno impegnativo rispetto a quelli superati in un passato anche piuttosto recente.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cellino Maximilian 
Titolo: Asta BTp, il decennale fermo a un passo dal minimo storico
Tema: mercato finanziario

Un solo centesimo. Tanto è mancato al BTp decennale emesso ieri dal Tesoro italiano per registrare in asta il rendimento minimo di sempre. il tasso lordo del nuovo benchmark, assegnato per 4,5 miliardi di euro, è infatti risultato pari allo 0,89% per cento: 22 centesimi in meno in confronto al mese precedente, ma uno in più rispetto allo 0,88% di un anno fa a ottobre, quando le condizioni di mercato – con una Bce che si apprestava a riprendere i riacquisti di titoli pubblici – erano altrettanto favorevoli. Chi gestisce l’enorme debito italiano (che ieri ha collocato anche BTp a 5 anni per 2,5 miliardi a un tasso dello 0,35%) può dunque rallegrarsi per lo scampato pericolo rappresentato dalle elezioni regionali di dieci giorni fa. Le insidie delle urne, temute da molti analisti per le possibili ripercussioni dell’aumento del rischio politico sui nostri titoli di Stato, si sono alla fine rivelate infondate: l’esito del voto, notano anzi da UniCredit Research, ha «rafforzato l’attuale governo e dimostrato che le forze politiche populiste italiane stanno perdendo vigore». E si può anche guardare con ragionevole fiducia agli ultimi tre mesi di questo 2020, particolarmente impegnativo pervia degli extra-costi legati a Covid-19 da finanziare attraverso nuovo debito pubblico. Con le operazioni di ieri il Tesoro ha infatti nel complesso collocato titoli a mediolungo termine per 296 miliardi: da qui a fine anno ne mancano ancora circa 40 miliardi, che non sono certo una cifra piccola, ma che nel contesto attuale sembrerebbero un ostacolo meno impegnativo rispetto a quelli superati in un passato anche piuttosto recente.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Tridico, da Palazzo Chigi l’ok all’aumento retroattivo
Tema: L’affaire Inps

Sapeva tutto Palazzo Chigi. Sapeva e ha anche avallato: non solo l’aumento degli stipendi per i presidenti Inps e Inail, ma pure la loro retroattività. Poi inserita nel decreto interministeriale con cui il 7 agosto scorso i 150mila euro di appannaggio sono stati riconosciuti da.l’atto di nomina, anziché dall’insediamento del Cda (come legge vorrebbe). Una retrodatazione di più d’un anno: sia nel caso di Pasquale Tridico (Inps), sia di Franco Bettoni (Inail). Che, se i revisori dell’Istituto previdenziale non si fossero messi di traverso, gli avrebbe consentito d’incassare una cospicua somma a titolo di arretrati. La prova sta nella nota, protocollata con il numero 15902, con cui il 14 luglio il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro — che firma in calce di suo pugno — accetta la «proposta, condivisa e ritenuta equa», avanzata dal ministero del Lavoro e concordata nella riunione di coordinamento con Tesoro e Ragioneria generale convocata il 16 giugno dal Dica (il dipartimento governativo che si occupa degli atti amministrativi). In tale documento Fraccaro dà prima via libera all’incremento per i presidenti Inps e Inail, entrambi in carica da metà 2019, indicando nel contempo i compensi per i vicepresidenti e i consiglieri d’amministrazione. Quindi «precisa, ad ogni buon fine, che le indennità sopra rappresentate (…) decorreranno dalla data di nomina degli organi».
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Societa’, istituzioni, esteri

Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Libia e 5G cinese, la difficile agenda di Pompeo a Roma Gelo del Vaticano
Tema: Usa-Italia e nodo 5G

Il dinamismo cinese resta in cima alle preoccupazioni di Mike Pompeo. Ma il segretario di Stato americano, che arriva oggi a Roma per una visita di due giorni, appare più rilassato sulla tecnologia 5G. L’amministrazione di Washington ha fatto sapere al governo italiano «di apprezzare» le misure adottate per tutelare il traffico di dati. Passi nella direzione giusta, secondo Washington, per evitare che finiscano, via Huawei, nelle mani «del partito comunista cinese». Pompeo vedrà, innanzitutto, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e l’arcivescovo Paul Gallagher, titolare degli Affari esteri in Vaticano. Papa Francesco non sarà presente al vertice, ufficialmente perché il Pontefice non incontra leader in campagna elettorale. In realtà il meeting non avvicinerà le posizioni delle due parti. Pompeo chiede alla Chiesa di lasciare cadere l’accordo con la Cina sulla nomina condivisa dei vescovi (in scadenza il 22 ottobre). Ma il Vaticano intende rinnovare l’intesa. Nel pomeriggio di domani Pompeo avrà un colloquio di 45 minuti con il premier Giuseppe Conte e subito dopo con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Ancora Cina, nell’agenda. Ma grande spazio ad altri due questioni urgenti: Libia e Turchia. Circa un mese fa gli Stati Uniti hanno preso l’iniziativa per arrivare a una tregua tra Tripoli e Tobruk-Bengasi. Pompeo ripeterà quali sono gli obiettivi degli Stati Uniti: impedire ai russi di aumentare l’influenza nella Cirenaica; rivitalizzare al più presto la produzione di petrolio locale. Gli americani non hanno bisogno del greggio libico, ma sono convinti che più i soldi riprenderanno a circolare, più sarà facile trovare una soluzione politica tra le diverse fazioni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sforza Francesca 
Titolo: L’Italia accoglie Pompeo “Nel Mediterraneo serve più America”
Tema: Usa-Italia e nodo 5G

I rapporti con la Cina restano al primo posto dell’agenda: sono mesi che gli Stati Uniti hanno stabilito un filo di comunicazione serratissimo con chi lavora al gruppo di contatto italiano per il 5G, con scambi a livello di funzionari praticamente quotidiani. La linea non cambia: gli sherpa di Palazzo Chigi, Farnesina e Mise sono al lavoro per costruire un forte impianto giuridico sul perimetro della legge sulla cybersecurity, con l’intento di salvaguardare innanzitutto i criteri di sicurezza del sistema, più che l’affidabilità di chi fornisce le diverse tecnologie, forti anche della legge sul golden power che dà al governo strumenti d’azione molto incisivi «in caso di grave pregiudizio sugli interessi pubblici». In aggiunta alle rassicurazioni politiche sulla priorità della sicurezza nazionale e dei propri alleati (tra cui gli Usa), l’Italia farà presente l’importanza di viaggiare con un’unica velocità con gli altri Stati membri dell’Unione Europea. Per due ragioni — spiegano fonti di Palazzo Chigi — per salvaguardare la sicurezza Ue, ma anche per non creare scompensi sul piano della competitività. Non è possibile, in altre parole, che determinate tecnologie siano messe a disposizione dei diversi Paesi europei a diverse condizioni; è invece importante che su questo binario si proceda insieme, a garanzia di tutti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Sorrentino Riccardo 
Titolo: L’impegno di Macron: l’Europa a fianco del popolo bielorusso
Tema: Bielorussia

Sanzioni a Minsk. Poi un’iniziativa di mediazione e infine una maggior apertura dell’Unione Europea È questa la via immaginata dal presidente francese Emmanuel Macron, che ieri a incontrato a Vilnius – primo tra i capi di Stato e di Governo del G-7 – la leader dell’opposizione bielorussa Swetlana Tikhanovskaya, per risolvere il conflitto tra il presidente Alexander Lukashenko e la società civile, che protesta da settimane. «Abbiamo avuto una discussione molto positiva, ma ora dobbiamo essere pragmatici e sostenere il popolo bielorusso. Faremo il nostro meglio, credetemi», ha detto Macron al termine dell’incontro. Tikhanovskaya – che parlerà a Parigi all’Assemblée Nationale e potrebbe presto incontrare anche Angela Merkel, a Berlino – ha aggiunto che il presidente ha promesso «di fare tutto per aiutare i negoziati durante questa crisi politica», e per facilitare «il rilascio di tutti i prigionieri politici». La posizione francese è, nei confronti di Lukashenko, molto dura: «Non riconosciamo il suo status di presidente eletto», ha detto lunedì Macron durante una conferenza stampa con il presidente lituano Gitanas Nauseda. «Le autorità bielorusse devono mettere fine, senza indugi, agli arresti arbitrari e alle pratiche di esilio forzato di molti componenti del Consiglio di coordinazione e devono liberare le persone detenute arbitrariamente e rispettare la verità delle urne». Più concretamente, Macron propone un pacchetto di sanzioni, che sarà esaminato dal Consiglio europeo giovedì e venerdì.ì
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fiano Fulvio – Vecchi Gian_Guido 
Titolo: Becciu e gli altri affari a Londra Indagato il finanziere Mincione
Tema: Vaticano

Non c’era solo il Palazzo al 60 di Sloane Avenue, a Chelsea, l’investimento londinese impostato nel 2012 che tiene ancora impegnata la Santa Sede, secondo i calcoli dei magistrati vaticani, per circa 350 milioni di euro. La Segreteria di Stato vaticana investì altri cento milioni di sterline nell’acquisto e la ristrutturazione di altri immobili in altre vie prestigiose della capitale inglese, «un portafoglio di appartamenti di altissimo livello a Cadogan Square e dintorni, a Knightsbridge, uno degli indirizzi residenziali più costosi di Londra». Lo scrive il Financial Times, che parla di un’operazione «supervisonata» da Angelo Becciu, allora Sostituto della Segreteria di Stato, al quale giovedì scorso il Papa ha imposto le dimissioni da capo dicastero e la rinuncia ai «diritti e le prerogative» del cardinalato. Il quotidiano della City dice di essere entrato in possesso dl nuovi documenti che peraltro, precisa, «non suggeriscono alcun illecito» anche se «gettano ulteriore luce sulle attività finanziarie della Segreteria di Stato». Un altro dettaglio che spiega come mai, da giorni, si infittiscano voci di un allargamento dell’indagine condotta dal «promotore di giustizia» vaticano Gian Piero Milano e dell’aggiunto Alessandro Diddi, un’inchiesta che finora vede ufficialmente sei indagati. II tutto mentre Raffale Mincione, il finanziere che ha orchestrato per il Vaticano l’operazione londinese, è indagato per riciclaggio anche dalla procura di Roma in un fascicolo separato. Non è detto che in Vaticano gli eventuali rinvii a giudizio siano imminenti, si seguono flussi di denaro che arrivano fino a Santo Domingo e potrebbero coinvolgere nuove persone: in tutto gli indagati sarebbero già una decina.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Giansoldati Franca 
Titolo: La resa dei conti dopo il caso Becciu «Bisogna accentrare tutte le risorse»
Tema: Vaticano

Uno dei pochi cardinali disposti a commentare questi «giorni bui» è il cardinale Domenico Calcagno, ex capo dell’Apsa, il forziere va-ticano oggetto di una riforma radicale. Diventerà l’unico centro di liquidità di tutte le risorse attualmente a disposizione dei dicasteri. «Quella che si sta attuando ora è una linea di condotta che fu proposta a partire dal lontano 2002. All’epoca fu il cardinale Nicora a portarla ai superiori. Se avessero attuato il piano sin dall’inizio non sarebbe successo quello che è successo» dice il porporato che evita volutamente di entrare nei dettagli e spiegare perché il piano di riforma ogni volta si inceppava. Anche quando fu eletto Francesco gli fu presentato il piano. «Lo facemmo per iscritto e anche a voce. Bisognava accentrare le risorse per gestirle e controllarle meglio. Alla fine ci siamo arrivati: se l’ufficio dell’amministrazione del patrimonio della Santa Sede è l’Apsa non si capisce perché ci siano tante altre amministrazioni in giro». Calcagno commenta con dolore l’inchiesta in corso («Ho sempre stimato Becciu come persona corretta e non ho motivo che abbia fatto cose non corrette, ora vedranno i magistrati») e poi si concentra sul fango che sta arrivando nuovamente sulla Chiesa, come se fosse il centro del male assoluto. «Penso che a qualcuno faccia comodo parlare male del Vaticano per poterci lucrare sopra. Naturalmente questo non vuole dire che non vi siano cose da mettere a posto nelle nostre amministrazioni. Ma non è tutto marcio, sia ben chiaro».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Degli Innocenti Nicol 
Titolo: Perché il Congresso Usa sconfesserà Johnson su Brexit
Tema: Irlanda del Nord

Uno dei numerosi aspetti positivi di Brexit, secondo Boris Johnson, è la possibilità di stringere un v accordo commerciale con Washington. Appena sarà libera dal giogo di Bruxelles, così promette il premier, la Gran Bretagna potrà finalmente coronare la “special relationship” storica e politica che da secoli la lega agli Stati Uniti con una vantaggiosa intesa economica. Il presidente Donald Trump ha incoraggiato questa aspettativa, minimizzando come il suo alleato Johnson le molte complessità dei negoziati e promettendo un accordo “facile” e in tempi brevissimi con Londra. Prospettiva che è sempre stata poco realistica, ma che ora si è fatta decisamente più remota. Il motivo è la decisione del Governo di riscrivere alcune clausole del protocollo sull’Irlanda del Nord, la parte dell’accordo di recesso dalla Ue che mira a preservare gli accordi di pace del Venerdì Santo evitando il ritorno a una frontiera tra le due Irlande. Johnson probabilmente non si attendeva una reazione così negativa da parte non solo dell’opposizione ma di molti notabili del suo stesso partito conservatore, che lo hanno accusato di mettere a repentaglio la reputazione della Gran Bretagna violando un trattato internazionale già concordato e sottoscritto. Ancora più inaspettata per il premier l’aspra reazione degli Stati Uniti. Il candidato democratico alla presidenza, Joe Biden, ha dichiarato che «non possiamo permettere che gli accordi che hanno portato la pace in Irlanda del Nord diventino una vittima di Brexit, quindi qualsiasi accordo commerciale tra gli Usa e la Gran Bretagna dipenderà dal rispetto dell’accordo di recesso senza ritorno a un confine. Punto».
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Testata:  Stampa 
Titolo: Elezioni in Usa Trump attacca il rivale Biden “Tuo figlio ha ricevuto 3,5 milioni dai russi” – Trump-Biden, scintille nel primo duello “Il figlio di Joe prende i soldi dai russi”
Tema: confronto Trump-Biden
Trump all’attacco su tutto, a partire dagli affari del figlio di Biden, Hunter, per far dimenticare il fallimento del Covid, le tasse non pagate, e ridefinire l’avversario davanti agli americani per screditarlo. Joe determinato a rispondere colpo sul colpo, grazie alle munizioni offerte dallo scoop del New York Times sulle dichiarazioni dei redditi, ma anche deciso a marcare la differenza di carattere per presentarsi come il vero presidente in sala, l’unico capace di guidare il paese contro la pandemia e la crisi economica, e riportarlo alla normalità. Che la dinamica del primo dibattito di ieri sera a Cleveland sarebbe stata questa si era capito di prima mattina, quando la campagna del capo della Casa Bianca aveva inviato ai giornalisti le 17 domande che voleva porre all’avversario democratico: «Tuo figlio Hunter ha ricevuto 3,5 milioni di dollari da una miliardaria russa, sposata con l’ex sindaco di Mosca. Aveva anche un conto bancario con un cittadino cinese, che aveva finanziato acquisti per 100.000 dollari in giro per il mondo. Tutto ciò accadeva mentre eri vice presidente. Perché gente connessa con i governi russo e cinese voleva dare a tuo figlio milioni di dollari?». Era una linea attesa perché nei dibattiti Trump ha sempre usato gli attacchi personali, inclusa ieri l’accusa che Biden fosse aiutato da un auricolare per ricevere suggerimenti, invece di concentrarsi sulle proposte politiche. Negli ultimi due giorni però si era indebolita assai, perché dalla dichiarazione dei redditi di Donald si è scoperto che pagava la figlia Ivanka come consulente della propria azienda, nonostante lei fosse una dipendente. Secondo l’ex procuratore del Watergate NickAkerman, già questa sarebbe «una frode fiscale da 5 o 10 anni di prigione».
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Andrei Andrea 
Titolo: Elezioni Usa, misure Facebook per impedire intrusioni nel voto – Usa, il piano di Facebook: così proteggeremo il voto
Tema: elezioni Usa

Stavolta non si può sbagliare. Per Facebook le prossime elezioni americane del 3 novembre rappresentano una prova cruciale, non solo per la credibilità, ma per la tenuta stessa della piattaforma. D’altronde proprio le scorse elezioni presidenziali degli Stati Uniti, quelle del 2016, hanno rappresentato una delle peggiori crisi della storia del social network, accusato di aver permesso intrusioni da parte della Russia con campagne mirate di disinformazione che avrebbero falsato il risultato delle votazioni. «Da allora abbiamo triplicato i nostri sforzi per vigilare sulla sicurezza della nostra piattaforma», ha sottolineato ieri Nick Clegg, vicepresidente degli Affari globali dell’azienda, durante una tavola rotonda virtuale con le maggiori testate internazionali, «con un team a cui oggi lavorano più di 35 mila persone». Non solo, Clegg (che in Gran Bretagna fu vice primo ministro di David Cameron dal 2010 al 2015) ha anche rivendicato che il colosso di Menlo Park ha «aiutato finora 2,5 milioni di persone a registrarsi al voto su Facebook, Instagram e Messenger», tramite un Centro informazioni sul voto avviato lo scorso agosto negli Usa, e «da marzo a maggio abbiamo rimosso più di 100 mila contenuti sulle nostre piattaforme per aver violato le nostre regole sulle interferenze politiche». Clegg ha anche ricordato che dal 2017 l’azienda di Mark Zuckerberg è stata in prima linea nel «proteggere oltre 200 elezioni in tutto il mondo, Europa compresa».
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IL SOLE 24 ORE
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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