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SINTESI IN PRIMO PIANO – 30 maggio 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Dal 3 giugno riapertura per tutte le regioni
– Mattarella: basta commistioni tra toghe e politica
– Il governatore di Bankitalia Visco: il Pil rischia un crollo del 13%
– Istat: -5,4% la crescita del primo trimestre
– Usa dilaga la protesta per la morte dell’afroamericano

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica – Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Si riapre tutti il 3 giugno – Libertà di movimento Da mercoledì cadono i «confini» regionali
Tema: riaperture

Il 3 giugno l’Italia si rimette in movimento, tutta insieme. Si tornerà a circolare liberamente tra una regione e l’altra e anche la Lombardia potrà riaprire i suoi confini, in entrata e in uscita. La decisione del governo è maturata nel pomeriggio di ieri, quando anche il più prudente dei ministri, Roberto Speranza, ha letto con sollievo i dati del monitoraggio. Ieri sera, dopo un giro di consultazioni del ministro Francesco Boccia con i governatori, è arrivato il via libera. «Il decreto legge vigente prevede dal 3 spostamenti infraregionali — ha annunciato Speranza —. Al momento non ci sono ragioni per rivedere la programmata riapertura degli spostamenti». Il problema della Lombardia resta, la cautela degli scienziati anche. Ma rinviare di una settimana la ripartenza avrebbe innescato tensioni non sostenibili e costretto il governo a tenere ancora chiusi i confini con l’estero. Se invece il via libera sarà confermato, l’Italia potrà dare un segnale importante di ripresa sotto il profilo economico, anche rispetto a un Paese come la Grecia che ha chiuso le frontiere ai nostri viaggiatori. La svolta arriva nel pomeriggio quando si completa il monitoraggio con i dati di tutte le regioni. «Sono incoraggianti – commenta Speranza —. La strada intrapresa è giusta. I sacrifici degli italiani e le misure del governo stanno portando i risultati che aspettavamo. Possiamo continuare nel percorso graduale di riaperture». Al vertice dei capi delegazione con Conte, cui partecipano anche Luigi Di Maio, Luciana Lamorgese e Riccardo Fraccaro, il capo del governo arriva convinto che non sia giusto lasciare indietro la regione che ha pagato il prezzo più alto al virus.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Il retroscena – “Il blocco non ha più senso” E Conte disse: inutile rinviare
Tema: riaperture

II più determinato a mantenere quanto promesso, è Giuseppe Conte. Ieri mattina, il presidente del Consiglio ha guardato i dati del monitoraggio delle Regioni. Ne ha parlato col ministro della Salute Roberto Speranza che gli ha ripetuto: «Sono buoni, vanno dal 18 al 26 maggio e il trend dei contagi da Covid-19 continua a scendere». Era il via libera che aspettava, prima di decidere se mantenere fede a quanto scritto nell’ultimo decreto varato sull’emergenza coronavirus: riaprire quindi il 3 giugno le frontiere dell’area Schengen e quelle delle regioni. Di tutte le regioni. L’idea di creare un regime speciale per la Lombardia, dove ci sono ancora la maggior parte dei contagi, non convince il premier. «Ci sono dieci milioni di lombardi – è il ragionamento fatto a Palazzo Chigi — di cui 22mila positivi. Parliamo dello 0,2 per cento». Si tratta dei casi conosciuti, ma per Conte indicativi di un’epidemia che può essere considerata sotto controllo. «Non sarebbe giusto — spiegano nel governo — impedire a 9 milioni e 980mila lombardi di muoversi. Il punto ora non è creare zone rosse, ma rispettare il distanziamento ovunque. Tanto basta sempre un positivo a creare un focolaio, possono farlo sia un lombardo che un campano». È sui singoli focolai infatti che bisognerà agire adesso. E per evitarli, «servono distanziamento fisico e mascherina ovunque». Quest’indicazione viene condivisa a sera con i capi delegazione della maggioranza e i ministri Speranza, Boccia, Lamorgese e Di Maio. La presenza del responsabile della Farnesina non è un caso, perché è colui che sta lavorando per far sì che l’Italia non venga esclusa dai circuiti internazionali del turismo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  De Leo Carlotta 
Titolo: «Liberi tutti». «È rischioso» I presidenti in ordine sparso
Tema: riaperture

Dal 3 giugno l’Italia torna unita. La conferma, arrivata a tarda sera, mette fine a una lunga giornata di polemiche tra le Regioni che sull’apertura dei confini, ultima eredità del lockdown, si sono mosse in ordine sparso. Da un lato il presidente sardo, Christian Solinas, che non arretra sul progetto di chiedere un certificato di non positività al Covid a tutti coloro che partono per l’Isola. Dal lato opposto, invece, la governatrice della Calabria, Jole Santelli, che non vede l’ora di spalancare i confini regionali. «Non sono preoccupata dell’arrivo dei turisti lombardi. Anzi, chiedo loro di venire da noi: fare una vacanza qui significa poi tornarci sempre». Santelli chiede però all’esecutivo alcune precauzioni: «Chiudere in zona rossa eventuali nuovi focolai e fare controlli in partenza». Con queste accortezze, per la presidente della Calabria, il via libera dal 3 giugno non trova impedimenti. Dello stesso avviso anche il collega della Liguria, Giovanni Toti: «Riapriamo i confini di tutta Italia, anche Liguria, Lombardia e Piemonte, triangolo strategico per tutto il Paese». Per altre Regioni, invece, la parola chiave è «prudenza». L’assessore alla Sanità della Lombardia, Giulio Gallera, ha assicurato che la Regione «non si farà trovare impreparata il 3 giugno». Anche se «per noi la data cruciale è l’8 giugno» quando arriveranno «dati certi» sull’andamento del contagio e «si potrà capire se siamo in una fase nuova oppure no». Enrico Rossi, governatore della Toscana, lancia invece un’altra ipotesi: «Un intervento differenziato» del governo tra Regioni e Regioni che hanno situazioni molto differenti. Un’idea che il collega dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, boccia subito: «Ripartire tutti, vorrebbe dire che tutte le regioni, inclusa la Lombardia, hanno un rischio basso di contagio» Anche il presidente del Veneto, Luca Zaia, invita a «evitare aperture a macchia di leopardo. Rimuoviamo i blocchi tutti insieme, anche a livello internazionale. Non è giusto che l’Italia venga considerata il lebbrosario d’Europa» accusa il governatore che ieri ha detto addio all’obbligo delle mascherine, almeno all’aperto.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Pagnoncelli Nando 
Titolo: Scenari – La Lega scende, Pd più vicino E Meloni sfiora i Cinque Stelle
Tema: sondaggi

Gli indici di gradimento di Conte e dell’esecutivo fanno registrare un calo rispettivamente di 6 e 3 punti rispetto ad aprile, riportandosi ai valori di marzo, quando il consenso aumentò significativamente a seguito dell’adozione delle misure per il contenimento del contagio. A fronte della diminuzione delle preoccupazioni per la salute e della crescita dell’inquietudine per la situazione economica sono emerse critiche sull’efficacia delle misure finora adottate dal governo. Gli orientamenti di voto dei cittadini mostrano alcuni cambiamenti di rilievo, a partire dal netto aumento di astensione e indecisione che ha raggiunto il 43,2%, circa 10 punti in più rispetto a un anno fa. La Lega, pur mantenendosi in testa alle preferenze degli italiani, fa segnare l’ulteriore calo di 1,1 punti attestandosi al 24,3%, seguita dal Pd stabile al 21,2%. A seguire il M5S con il 16,7%, in calo di 1,9%, tallonato da FdI che aumenta di 2,1% raggiungendo il 16,2%, il valore più elevato mai registrato dal nostri sondaggi. Quindi Forza Italia con il 7,4% e Italia viva con il 3%, entrambe stabili rispetto ad aprile. La Lega vede sensibilmente ridimensionato il proprio consenso. Le sue perdite sono soprattutto verso Fratelli d’Italia e verso incertezza e astensione (il 19%). Se poi guardiamo ai segmenti sociali, le perdite maggiori si registrano tra diplomati, professionalizzati e ceti medi, casalinghe, residenti nel Nordovest e nel Centronord (le quattro regioni che un tempo si definivano rosse) e tra i cattolici praticanti.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Verderami Francesco 
Titolo: Settegiorni – Franceschini e le risorse per una svolta – Franceschini e il «jackpot» da sfruttare
Tema: governo e ripresa

Per Dario Franceschini «abbiamo davanti un’occasione incredibile». Il coronavirus ha infettato l’economia mondiale e debilitato ulteriormente un sistema già gracile come quello nazionale, ma la crisi può trasformarsi in un’opportunità — secondo il ministro della Cultura — perché «per la prima volta dopo più di trent’anni» un esecutivo «può spendere risorse per il Paese invece di tagliarle»: «Da Amato in poi è sempre stata una quaresima, e in Europa bisognava lottare per ottenere la flessibilità di qualche decimale. Ora invece è stato sospeso il patto di Stabilità, che ci ha consentito di chiedere in Parlamento uno scostamento di bilancio per più di ottanta miliardi, ci sarà il Recovery fund, c’è il Mes che prenderemo…». Per una coalizione politicamente fragile, chiamata a sopportare un peso per chiunque insostenibile, «questo è un jackpot» che potrebbe «cambiare le sorti del Paese»: «Sarebbe l’immagine di questo governo e di questa maggioranza per il futuro. A patto di saper indovinare le mosse». Ed ecco il punto. Come il caffè turco, i discorsi di Franceschini depositano una polvere sul fondo, e tutto il suo ragionamento poggia sull’ultima frase, che è la chiave per interpretare il pensiero del capodelegazione del Pd: è uno sprone a uso interno, per Palazzo Chigi e per i partiti di maggioranza; ma è anche un messaggio rivolto all’esterno, verso quanti — dal governatore Visco fino al presidente di Confindustria Bonomi — esortano di fatto il governo a dotarsi di una «visione». E se la chiedono vuol dire che finora non l’hanno vista. Il capogruppo del Pd Delrio — che per primo ha posto il tema nel Palazzo — dopo il vertice europeo ha sottolineato in una nota come sarà «decisivo per il nostro Paese arrivare all’appuntamento con l’uso delle risorse ingenti che verranno messe a disposizione, con idee chiare e coraggiose. Non con progetti di “manutenzione” dell’esistente». Ed è parso riferirsi a Conte, che sul Corriere aveva presentato il suo «Recovery plan» per l’Italia. Insomma, il «jackpot» c’è. Ma è fondamentale non sprecarlo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Breda Marzio 
Titolo: Mattarella per la riforma del Csm: no a commistioni politici-magistrati – «Sì a una riforma del Csm per la credibilità dei magistrati»
Tema: Csm

Sergio Mattarella recupera le dure parole che aveva usato davanti al Csm l’anno scorso, quando fu smascherato il «mercato delle toghe», e le ripete adesso, mentre una grandinata di intercettazioni rinfocola lo scandalo. «Grave sconcerto e riprovazione… degenerazione del sistema torrentizio… inammissibile commistione fra politici e magistrati… un costume inaccettabile… prestigio e credibilità incrinati». Allora lo choc, del Paese e suo, nasceva dal caso Palamara-Lotti. Oggi a rilanciarlo è l’affaire Palamara e infiniti altri, con una coda di veleni contro Salvini. Il Capo dello Stato si sente obbligato a rompere l’asfissiante assedio politico e mediatico, con il quale gli si chiede di congedare in blocco l’organo di autogoverno dei magistrati (che lui presiede) o d’intervenire comunque con dei moniti sanzionatori. Un doppio pressing cui risponde con un doppio, motivato no. E con l’invito, al governo e al Parlamento, a mettere in cantiere la riforma del Csm annunciata da tempo. Ha dunque il sapore di un promemoria polemico la nota che il capo dello Stato ha fatto diramare ieri. Un testo che tradisce umori infastiditi verso chi lo incalza obbligandolo a riassumere i termini del problema. Infatti spiega: «Per quanto superfluo, va chiarito che il presidente della Repubblica si muove — e deve muoversi — nell’ambito dei compiti e secondo le regole previste dalla Costituzione e dalla legge e non può sciogliere il Csm in base a una propria valutazione discrezionale». La nostra Magna Charta, aggiunge pedagogico, prevede che «il Csm conclude il suo mandato dopo 4 anni dalla sua elezione e può esser sciolto in anticipo soltanto in presenza di una oggettiva impossibilità di funzionamento, condizione che si realizza ove venga meno il numero legale dei suoi componenti». Mattarella rammenta che «l’attuale Csm, rinnovatosi in parte, non si trova in questa condizione ed è impegnato nello svolgimento della sua attività istituzionale». Quindi resta per forza in carica. Se però i partiti «sono favorevoli a un Consiglio superiore formato in base a criteri nuovi e diversi, è necessario che predispongano e approvino in Parlamento una legge che lo preveda». Ecco il punto politico: quel compito, «non è affidato dalla Costituzione al capo dello Stato, ma al governo e al Parlamento».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Milella Liana 
Titolo: Intervista a Edmondo Bruti Liberati – Bruti Liberati “Per svoltare va ridotto il peso delle correnti Da Davigo parole sbagliate”
Tema: Csm

Davigo? «Ha detto in modo sbagliato una cosa giusta, ma non spetta mai alla magistratura dare una valutazione sulla moralità politica». Palamara? «Bisogna voltare subito pagina». L’ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati sta con Mattarella e dice: «Parole giuste e sagge le sue».  «Il 21 giugno 2019 Mattarella disse “oggi si volta pagina al Csm”. Una risposta c’è stata: sia pure dopo qualche titubanza, tutti i consiglieri in qualche modo coinvolti hanno rassegnato le dimissioni, taluni dall’incarico al Csm, altri dalla magistratura. Del parzialmente rinnovato Csm si possono non condividere singole scelte. Ma una analisi obbiettiva e non preconcetta deve riconoscere che un percorso di svolta è stato intrapreso». Lei è troppo buonista, il suo è un no allo scloglimento? «Non ne vedo i presupposti. Mentre era ed è urgente riformare il pessimo sistema elettorale senza delegittimare il Csm voluto dalla Costituzione. Perché il governo della magistratura, se lo si sottrae al Csm, non può che essere del ministro della Giustizia, e dunque della politica. È esattamente ciò che sta accadendo in Polonia e in Ungheria». C’è questo nell’attacco del centrodestra al Csm? «Dico solo che bisogna evitare rimedi peggiori del male. Quando la Costituzione prevede l’elezione dei togati mira a far vivere il Csm dai magistrati come un organo di cui portano la responsabilità. Ma nella futura legge bisogna assolutamente ridurre il peso delle correnti allargando le possibilità di scelta degli elettori, anche di quelli che continuino a fare riferimento a uno o a un altro gruppo».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  … 
Titolo: Salvini: bene il presidente Ma si dimetta chi ha sbagliato
Tema: Csm
La prima reazione alla nota del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è quella del leader della Lega Matteo Salvini, che nei giorni scorsi aveva chiesto l’intervento del Colle dopo la diffusione delle chat del magistrato Luca Palamara. «Il Quirinale interviene sullo scandalo dei magistrati politicizzati e intercettati, ribadendo sconcerto e riprovazione: bene», commenta Salvini che chiede le dimissioni «dagli incarichi (giudiziari o politici) di tutte le persone coinvolte nello scandalo, da cui emergono vergognosi attacchi a me e alla Lega». Anche il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, sollecita «le immediate dimissioni di tutti i magistrati del Csm coinvolti a vario titolo nello scandalo» e raccoglie l’invito di Mattarella a riformare i criteri di composizione del Csm «per mettere fine al cancro delle correnti e al mercanteggiamento di poltrone e incarichi». Positivo il giudizio del responsabile Giustizia del Pd, Walter Verini: «La nota del Quirinale mette un punto fermo, di chiarezza e rigore costituzionale, sulle speculazioni e le improvvisazioni sul tema della Giustizia e del ruolo del Csm»
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Piccolillo Virginia 
Titolo: «Un errore dire: aspettiamo le sentenze» Bufera su Davigo
Tema: giustizia

«L’errore italiano è sempre stato quello di dire: “aspettiamo le sentenze”. Ma se invito il mio vicino a cena e lo vedo uscire con l’argenteria nelle tasche per invitarlo di nuovo non sono costretto ad aspettare la sentenza della Cassazione. E se è stato condannato in primo grado per pedofilia, io, in omaggio alla presunzione di innocenza, gli affido mia figlia di 6 anni perché l’accompagni a scuola?». Piercamillo Davigo, l’ex pm di Mani Pulite ora consigliere Csm, aveva spiegato così giovedì, a Piazzapulita, su La7, la differenza tra sospetto («una cosa che viene in mente a qualcuno») e gli indizi («elementi oggettivi che aspettano di essere valutati»). Sottolineando che la «prudenza è una virtù cardinale» al pari della giustizia. E dopo aver respinto la qualifica di giustizialista («balla inventata da esperti di comunicazione per evitare di difendersi nel merito delle accuse») aveva puntato il dito verso i politici («Siccome restano tutti al loro posto fino a che arrivano i carabinieri, allora è un problema»). E, immediate, dalla politica, sono tornate a divampare polemiche che hanno investito lui e la magistratura. Anche da parte di chi, nei giorni scorsi, aveva sopito l’anima garantista per attaccare le toghe sulla base delle intercettazioni delle chat di Luca Palamara, ex capo Anm e consigliere Csm accusato di corruzione. «Davigo fa paura», scrive su Facebook Matteo Renzi leader di Iv. E aggiunge: «Per i giustizialisti basta la condanna mediatica. Aspettare le sentenze non è un errore: si chiama civiltà». E il pd Stefano Ceccanti, twitta: «Leggo Davigo» e penso ad Aldo Moro e Giovanni Leone «che hanno lavorato sull’articolo 27 della Costituzione basandosi sul principio opposto».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Caro Paola 
Titolo: Intervista a Maria Elisabetta Alberti Casellati – «Così va cambiata la giustizia» – Casellati: «Giustizia da cambiare È in gioco lo stato di diritto»
Tema: giustizia

Chiede un ruolo per le opposizioni. Dice basta all’abuso di strumenti straordinari come i decreti del presidente del Consiglio. Avverte: o i soldi dell’Europa arrivano subito, o rischiano di essere inutili. E lancia l’allarme: «Sulla giustizia è in gioco lo stato di diritto». Nel momento chiave del passaggio dalla Fase 2 al nuovo inizio, è un intervento a tutto campo quello di Maria Elisabetta Casellati. Per la  presidente del Senato «sulla ripresa economica pesano ancora troppi interrogativi con un “tira e molla” di risposte che non possiamo permetterci. Serve chiarezza, rapidità ed efficacia. Aprire subito ed in sicurezza tutte le attività economiche. Mettere soldi in tasca agli italiani, sostenendo soprattutto le famiglie e i cittadini che non hanno un reddito fisso». «Non si può costruire il futuro del Paese a colpi di Dpcm e decreti legge blindati da voti di fiducia. E inaccettabile che di fronte a un dramma che ha provocato oltre trentamila morti e portato l’Italia in recessione le ragioni della contrapposizione prevalgano su quelle del confronto». Nel frattempo è polemica violenta sulla giustizia, con il Csm oggetto di scontri censurati anche dal capo dello Stato: va riformato? «Sì. Ho posto per prima il problema della necessità di un intervento chiaro e definitivo sui problemi in campo. Vedo con piacere che oggi sono al centro dell’attenzione. E chiaro ormai a tutti che non esiste solo il problema Palamara, le cui responsabilità saranno valutate, ma esiste il problema della giustizia italiana. La politica deve fare la sua parte con riforme strutturali, coraggiose e autonome, così come il Csm non può più lasciare margini di opacità. Ho fatto parte del Csm dal 2014 al gennaio del 2018 e queste sono state le mie battaglie. Ho sempre affermato che la giustizia, compreso il Csm, va rivista e riformata: sorteggio dei membri togati del Csm, non obbligatorietà dell’azione penale, separazione delle carriere, divieto di porte girevoli dalla magistratura alla politica e viceversa etc. È in gioco il nostro stato di diritto».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Minzolini Augusto 
Titolo: Il retroscena – Prima Berlusconi, poi contro Salvini Quei pm impuniti – Scatta la congiura dell’oblio quando un pm finisce nei guai
Tema: giustizia

La sacerdotessa dell’imparzialità, Emma Bonino, che l’ha denunciato per una vita, ne parla come uno di quei virus letali, tipo «l’uso politico della giustizia», impossibili da debellare. «E’ il solito intreccio mediatico-giudiziario: se la questione avesse coinvolto una persona normale, o più normale di altri, il caso Palamara sarebbe esploso e avrebbe tenuto banco per giorni sulle prime pagine dei grandi quotidiani; invece, visto che riguardava un magistrato, è stato nascosto. La verità è che questo Csm è un verminaio». Il più garantista tra i leghisti, Luca Paolini, usa una punta di sarcasmo: «Visto che sono garantista, lo sono pure con i grandi giornali. La metto in senso buono: non volevano andare dietro allo scoop della Verità». Se, però, scavi, ti accorgi che lo sconcerto anche nel Palazzo, cioè tra quelli che sono oggetto delle incursioni dei magistrati da trent’anni, che ormai vivono l’altro Potere come gli antichi vivevano il Fato, è grande. «La cosa più sconvolgente delle intercettazioni di Palamara – confidava qualche giorno fa nel cortile di Montecitorio la sottosegretaria del Pd, Alssia Morani – è il rapporto che intercorre tra alcuni giornalisti e alcuni magistrati». Accanto all’«uso politico della giustizia», quello che ha visto – ultimo nel tempo – il pm Palamara suonare su Whatsapp la carica della magistratura italiana contro Matteo Salvini, c’è un altro totem che ha condizionato decenni di storia patria, il famoso «circuito mediatico-giudiziario». Quel meccanismo che è alla base di quell’affermazione a cui si è lasciato andare l’altra sera in tv il Profeta del giustizialismo italiano, Piercamillo Davigo, e che sicuramente avrà fatto rivoltare Cesare Beccaria nella tomba: «L’errore? Dire: “Aspettiamo le sentenze”». Una teoria che ha fatto insorgere pure Matteo Renzi: «Davigo fa paura». «Fa tremare i polsi» gli è andato dietro il capogruppo dei senatori del Pd, Marcucci.
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Economia e finanza

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubini Federico 
Titolo: Intervista a Paolo Gentiloni – «Recovery plan, l’Italia affronti la sfida con serietà» – Gentiloni: il Recovery fund non è una torta da spartire Ci vuole molta serietà, è un’occasione irripetibile
Tema: fondi Ue

Paolo Gentiloni si tiene alla larga dalla retorica dei proclami. Ma si avverte subito, parlandoci, che ha la misura esatta di ciò che significa il Recovery Plan. Settimane fa, sembrava impossibile che proponeste emissioni di debito comune da finanziare con entrate europee. Cosa è cambiato? «E vero. In 65 giorni la Ue ha coperto una strada che sarebbe stata considerata impensabile, se si guarda agli ultimi dieci anni. C’è stato un mix di misure protettive della Banca centrale europea di metà marzo, poi due scelte drammatiche dal punto di vista delle norme come la sospensione del Patto di stabilita e delle regole sugli aiuti di Stato. Alla fine siamo arrivati al pacchetto da 750 miliardi di euro questa settimana, che amplifica in modo straordinario un elemento che era passato senza che ce ne fosse troppa consapevolezza: Sure, l’assistenza sull’occupazione, prevedeva già emissioni di titoli comuni per 100 miliardi». La recessione, per dimensioni, ha un peso maggiore di un pacchetto europeo pur enorme. La preoccupa? «Il pacchetto europeo è complementare a quelli dei governi: misure di stimolo in media per il 4% del Pil europeo, più differimento di tasse e garanzie per un altro 23%. Cifre enormi, con un potenziale accentuarsi delle differenze fra i Paesi che possono di più e quelli che possono meno. Il pacchetto europeo è fondamentale per mitigare gli squilibri e orientare le risorse alle esigenze future. Ma ricordo che ci sono strumenti disponibili già quest’anno: il fondo Sure, le garanzie della Bei, i crediti agevolati del Mes e una parte — seppure minima — dei trasferimenti di emergenza che abbiamo proposto». Secondo Gentiloni «Per l’Italia, conta anche quanto riuscirà a esprimersi la nostra capacità produttiva. I ritardi nell’intervento pubblico vanno colmati, certo, ma non dimentichiamo la nostra storia: anche se l’intervento dello Stato è sempre stato rilevante, molto spesso la forza dell’economia si è sprigionata a prescindere dallo Stato. E se noi vogliamo riprendere a crescere e mettere il debito su una curva discendente, abbiamo bisogno che questa forza si manifesti». In Italia invece si parla di intervento pubblico o di bonus e tagli alle tasse grazie al Recovery Fund. Che ne pensa? «Non penso che sia utile impostare la questione come se si trattasse di dividersi una torta. E sono certo che il governo, che ha agito bene nella fase dell’emergenza, ne è consapevole».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ginori Anais 
Titolo: Intervista a Bruno Le Maire – “La Francia non userà il Mes ma le condizioni del Fondo adesso sono favorevoli”
Tema: fondi Ue

La Francia non utilizzerà il Mes. «Per adesso non ne abbiamo bisogno» dice Bruno Le Maire, aggiungendo sulle polemiche in Italia: «Non entro nel vostro dibattito ma ricordo che ci siamo battuti per alleviare al massimo le condizionalità del Mes». Il ministro dell’Economia è stato uno dei protagonisti dell’accordo franco-tedesco ripreso dalla Commissione. Pontiere con Berlino ma anche con Roma, Le Maire ha permesso di superare il tabù degli eurobond, lanciando l’idea del Recovery Fund. La proposta dellaa presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, corrisponde a quello che voleva la Francia? «È una proposta storica. Stiamo parlando di 750 miliardi di euro, che si aggiungono ai 540 miliardi di euro di prestiti già sbloccati. Per la prima volta. l’Ue emetterà un debito comune per finanziare il suo bilancio. Abbiamo messo la solidarietà al centro della costruzione europea. Ognuno rimborserà non in base a quanto ricevuto, ma alla sua ricchezza. Infine, questa proposta è storica perché segna il ritorno della coppia franco-tedesca alla ribalta della scena europea». Come spiega l’evoluzione di Merkel, che fino a poco fa rifiutava l’indebitamento comune? «Saluto il coraggio e il senso della Storia dimostrati da Angela Merkel. Accettare il principio di un debito comune europeo è un grande passo avanti. Tra venti, trenta o quarant’anni gli storici racconteranno che ha avuto l’audacia di cambiare idea e di accettare ciò che nessun altro governo tedesco aveva mai accettato».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Davide – Marroni Carlo 
Titolo: «Crisi epocale, ora patto per le riforme» – «Un progetto e un nuovo patto per le riforme»
Tema: la relazione di Visco

Ritrovare la via dello sviluppo dell’economia, che ha davanti uno scenario drammatico. Ma prima di tutto il Paese deve mostrare coraggio e unità di intenti, con lo spirito che l’Italia ritrova nelle ore più buie della sua storia «Serve un nuovo rapporto tra Governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile; possiamo non chiamarlo, come pure è stato suggerito, bisogno di un nuovo “contratto sociale”, ma anche in questa prospettiva serve procedere a un confronto ordinato e dar vita a un dialogo costruttivo». Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, legge per la nona volta le sue Considerazioni Finali nella condizione più inedita: pochissimi invitati nel Salone dei partecipanti —tra cui Mario Draghi e Fabio Panetta – e tutti in mascherina. L’emergenza da Covid-19 innerva le 25 pagine del discorso, ma forse per la prima volta da tre mesi viene detto chiaro che si deve arrivare ad un nuovo “patto sociale”, che parta anche dal rapporto con l’Europa. Il riferimento è allo sforzo finanziario messo in campo dalla Ue in parallelo con gli interventi della Bce. Trasferimenti e prestiti, rispettivamente per 500 e 250 miliardi, assegnati con un’attenzione particolare per i paesi più colpiti. L’Italia è tra questi e Visco, senza dimenticare i punti di forza che pure ci sono – per esempio le banche, più forti che nel recente passato – lo sottolinea in più passaggi. Per poi ricordare che la vera forza è nello stare insieme: «L’Unione europea è una risorsa formidabile per i suoi cittadini e la dolorosa esperienza della pandemia rende oggi ancora più forti le ragioni, non solo economiche, dello stare insieme». Le prospettive per il 2020 sono di un calo dell’attività produttiva del 9%, superiore a quella sofferta nelle due crisi del 2008 e del 2013, e senza gli interventi messi in campo dal governo potrebbe andare anche peggio: da un -11%a un -13% nello scenario più negativo, con l’ipotesi di un recupero solo parziale nel 2021, se la pandemia non ritornerà. Per ritrovare la via dello sviluppo – ha spiegato il Governatore – serve un disegno organico di riforme per molti aspetti già tracciato.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico – Massaro Fabrizio 
Titolo: L’avviso di Visco: il Pil rischia un crollo del 13% – Visco: Pil in caduta fino al 13% ma l’Italia è forte, può farcela
Tema: la relazione di Visco

La proposta di Ursula von der Leyen di un fondo di 750 miliardi per trasferimenti e prestiti agli Stati europei rappresenta «un’opportunità importante per predispone una risposta comune che, al pari delle misure monetarie, sia proporzionata alla gravità della crisi». Una crisi, ha spiegato ieri il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali, che ha colpito durissimo il nostro Paese, tanto che il Pil nel 2020 e previsto in calo del 9% nello scenario «base», ma potrebbe crollare del 13% in quadro di «ipotesi più negative, anche se non estreme». Perché la verità, ha aggiunto il governatore, è che in questa pandemia «possiamo solo riconoscere di “sapere di non sapere”». Ecco perché il Recovery plan proposto dalla presidente della commissione Ue può essere molto utile all’Italia, che però «è chiamata a uno straordinario sforzo, tecnico e di progettazione, per sfruttare le opportunità offerte meglio di quanto non abbia fatto negli ultimi decenni». Ammonendo tuttavia che «i fondi europei non potranno mai essere “gratuiti”». La crisi sta accentuando la distanza tra ricchi e poveri. «Nel primo trimestre del 2020 — si legge nella Relazione che accompagna le Considerazioni — la disuguaglianza della distribuzione del reddito netto equivalente da lavoro, misurata dall’indice di Gini per i nuclei con capofamiglia di età inferiore ai 64 anni e in cui non si percepiscono redditi da pensione (il 58% del totale), sarebbe aumentata di circa due punti percentuali al 37%, toccando il valore massimo dal 2009, anno di inizio della serie storica». Gli interventi emergenziali decisi dal governo valgono 75 miliardi, pari al 4,5% del pil. E soprattutto la Bce «ha agito con decisione, immediatezza e piena efficacia», con un’azione «senza precedenti».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Tamburini Fabio 
Titolo: Servono progetti e la capacità di realizzarli
Tema: la relazione di Visco
In chiusura della relazione di ieri del Governatore della Banca d’Italia c’è un passaggio che merita attenzione. «Da più parti – ha ricordato Ignazio Visco – si dice: insieme ce la faremo. Lo diciamo anche noi purché non sia detto solo con ottimismo retorico, bensì per assumere collettivamente un impegno concreto. Per farcela – ha aggiunto – servono altre due condizioni: «saper guardare lontano e affrontare finalmente le debolezze che qualche volta non vogliamo vedere» . In queste poche righe, a partire dall’appello alla concretezza, sono riassunte le premesse per una svolta. Prima di tutto la concretezza. L’emergenza sanitaria è stata affrontata con una valanga di parole e di promesse, di miliardi stanziati come se piovesse, di un numero talmente elevato di decreti e provvedimenti normativi che ci vorrebbe un testo unico per raccoglierli e interpretarli. Il timore, anzi la certezza, è che chi guida il Paese non si stia rendendo conto del rischio di vedersi sfuggire di mano la situazione. Per questo l’invito a impegni concreti va raccolto, prima che risulti troppo tardi. Servono progetti concreti e fatti. E per mettere in cantiere progetti concreti serve saper guardare lontano. Il che significa avere una visione chiara della strada da seguire, delle riforme da fare, delle priorità. Ma soprattutto serve capire che il tempo a disposizione sta per finire. Anzi, è finito. Sotto questo aspetto la pandemia rappresenta il colpo decisivo. O c’è la capacità di cogliere l’occasione per una trasformazione vera oppure nei prossimi mesi i margini di manovra diventeranno sempre più stretti.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Manca Daniele 
Titolo: L’analisi – Le scelte da fare – La valanga di sussidi e aiuti non potrà durare per sempre Serve una svolta per la ripresa
Tema: la relazione di Visco

Quello che selve, e Visco Io ha detto chiaramente («possiamo anche non chiamarlo un nuovo contratto sociale»), è un dialogo costruttivo tra politica, mondo dell’economia reale, finanza, istituzioni, società civile tutta. Il primo passo spetta al governo. Dovrà fare quello scatto verso l’efficacia dei suoi provvedimenti e dei suoi propositi. «Efficacia» è una parola che è ricorsa spesso nella relazione annuale di Visco pronunciata davanti a un Salone dei rappresentanti mai così vuoto. Con una quarantina di persone sedute e distanziate tra loro che indossavano tutte una mascherina, dietro la quale c’erano i volti delle principali cariche dello Stato e dei maggiori protagonisti del mondo delle imprese e dell’economia, dalla presidente del Senato, Elisabetta Maria Casellati e a quello della Camera Roberto Fico, passando per Mario Draghi e Fabio Panetta della Banca centrale europea. E’ la mancanza di «efficacia» ed «esecuzione» di quanto si decide, il nodo scorsoio che sta soffocando la portata e l’ampiezza della reazione. Le scelte non si scaricano a terra, a decreto succede decreto e a essi regolamenti attuativi. Per quanto roboanti possano apparire le cifre dei finanziamenti posti in essere, quello che conta per una famiglia e un’impresa è il poterci contare in tempi rapidi. E questo non è avvenuto nei mesi scorsi. Non deve essere necessario aspettare la relazione annuale del governatore della Banca d’Italia per rendersi conto che ci sono state difficoltà e ritardi nell’erogazione dei prestiti alle imprese. E in questo che si vede la capacità di governo profonda. Un governo che non si accontenta di deliberare misure ma che con costanza e cassetta degli attrezzi al proprio fianco è pronto a intervenire in caso di strozzature. Certo deve essere chiara la direzione. La valanga di sussidi e aiuti non durerà per sempre.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Patta Emilia 
Titolo: Gualtieri: fondi Ue, un piano ambizioso per la ripresa – «Con i fondi Ue piano per la ripresa ambizioso»
Tema: la relazione di Visco

«Nelle splendide considerazioni forali del governatore della Banca d’Italia si ripercorre anche l’entità macroeconomica delle misure che abbiamo adottato che è indicativa: 75 miliardi in termini di deficit e 4,5% del Pil, quindi abbiamo messo in campo risorse importanti». Ecco, è tutta nell’aggettivo “splendida” usato da Roberto Gualtieri per descrivere le considerazioni di Ignazio Visco la sintonia tra il ministro dell’Economia e il Governatore. Certo, il titolare di via XX Settembre non si spinge oltre il plauso generico. Non è infatti consuetudine che il ministro dell’Economia commenti nei dettagli il discorso annuale del Governatore della Banca d’Italia. Ma durante una lunga intervista televisiva a Sky tg24 Gualtieri ha indicato più di un punto tra quelli sottolineati da Visco: dall’uso pragmatico ed oculato dei fondi Ue alla necessità di investimenti in favore delle imprese fino ad una razionalizzazione del sistema fiscale. «Le risorse Ue sono un’occasione storica, non vanno sprecate – ha detto Gualtieri – e per questo vogliamo lavorare a un grande impegno per realizzare un piano per la ripresa molto ambizioso: piena digitalizzazione del Paese, banda larga dappertutto,aumentare il nostro livello di investimenti pubblici e incoraggiare e sostenere gli investimenti delle imprese». Gualtieri ha comunque escluso che per la riforma del fisco si possa usare il Recovery Fund e ha frenato sull’ipotesi di scostamenti aggiuntivi dal debito («è prematuro parlarne») mentre non ha escluso il ricorso al divisivo Fondo Salva-Stati per le spese legate all’emergenza: «L’attivazione del Mes? Vedremo».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Davide 
Titolo: Istat: -5,4% la crescita del primo trimestre Mai così male dal ’95 – L’Istat taglia la crescita: -5,4% nel primo trimestre
Tema: stime Istat

Istat lo aveva messo in chiaro a fine aprile che quelle stime preliminari sul Pil del primo trimestre sarebbero state oggetto di una revisione. La quarantena generalizzata imposta su oltre il 48% delle attività produttive per evitare il diffondersi dei contagi ha praticamente bloccato il flusso di una serie di dati, soprattutto nel settore dei servizi. E ieri, con il nuovo quadro più completo dei conti, è arrivata l’amara conferma: una correzione al ribasso di sei decimali che porta la variazione in negativo del Pil dal 4,7% al 5,3%, in termini congiunturali. Una correzione di quasi uguale portata ma di senso opposto l’ha fatta ieri anche l’Istituto statistico francese, che ha ridotto il crollo dal -5,8% indicato un mese fa al -5,4% attuale. Un allineamento che nel nostro caso si traduce in una variazione acquista per l’anno pari a -5,5% rispetto a un tendenziale che ora segna -5,4% (contro il -4,8% di un mese fa). La nuova stima dei conti economici trimestrali conferma in termini statistici la portata eccezionale della crisi. Per incontrare una variazione del Prodotto di questa scala bisogna risalire al primo trimestre del 1995. A trascinare la caduta del Pil italiano nei primi novanta giorni – annota Istat nel comunicato di ieri – è stata soprattutto la domanda interna (incluse le scorte), mentre quella estera, anch’essa in calo, ha fornito un contributo negativo meno marcato (-0,8 punti percentuali). Sul piano interno, l’apporto dei consumi privati è stato negativo per 4 punti e quello degli investimenti per 1,5 punti, mentre un ampio contributo positivo (+1 punto percentuale) è venuto dalla variazione delle scorte. Un dato quest’ultimo che non potrà controbilanciare la prossima caduta, attesa ancor più profonda, del secondo trimestre, colpito in pieno dal lockdown, con cali già registrati pari all’80% del traffico aereo e del 50% del traffico autostradale nel solo mese di maggio. Tra gennaio e marzo alla contrazione dell’attività produttiva ha corrisposto una decisa riduzione dell’input di lavoro in termini sia di ore lavorate sia di Unità di lavoro equivalenti.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Stringa Giovanni 
Titolo: L’inflazione è negativa, ma vola il carrello della spesa
Tema: stime Istat

Dopo quattro anni, l’Italia torna in deflazione. L’indice dei prezzi al consumo a maggio è diminuito dello 0,1% sia rispetto ad aprile sia rispetto a maggio 2019 — secondo i dati diffusi dall’Istat basati su stime preliminari — soprattutto a causa del crollo dei prodotti legati all’energia, come i carburanti. Un capitolo ben diverso è quello del «carrello della spesa», che comprende i beni alimentari e quelli per la cura della casa e della persona, che ha segnato un +2,6%, tendenziale, in ulteriore accelerazione rispetto al 2,5% di aprile: un dato, questo, legato soprattutto al comparto alimentare, unico settore rimasto completamente aperto durante il lockdown. Sull’andamento dell’inflazione in generale ha pesato il calo della domanda interna. Già nel primo trimestre i consumi erano scesi del 5,1% e gli investimenti fissi lordi dell’8,1% rispetto al trimestre precedente. Gli acquisti delle famiglie, sempre secondo l’Istat, sono diminuiti del 7,5%. Il calo mensile più forte dei prezzi è stato quello dei beni energetici (-2,8% su aprile, -12,7% su maggio 2019), anche di quelli non regolamentati (-4,2% su aprile, -12,2% su maggio 2019). Sono cresciuti invece i prezzi dei beni alimentari (+0,7% su aprile e +2,7% su maggio 2019) soprattutto quelli non lavorati (+1,2% su aprile e +3,7% su maggio 2019), visto che l’emergenza sanitaria ha costretto le famiglie a casa e ha spinto i consumi di alimenti non lavorati. I consumatori del Codacons parlano  di «speculazioni» sul carrello della spesa che avrebbe subito «rincari ingiustificati durante il lockdown», per cui una famiglia, solo per mangiare, spende in media 206 euro in più su base annua.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Davi Luca 
Titolo: Non escluso il rischio di nuovi salvataggi per le banche – Banche, rischio di nuovi salvataggi
Tema: banche

La mina dei crediti deteriorati che il Coronavirus ha innescato è destinata inevitabilmente a esplodere, manifestandosi così sui conti delle banche. Anche per questo motivo bisogna tenersi pronti a ogni evenienza, incluso il ricorso allo strumento delle ricapitalizzazioni precauzionali. Il Governatore Ignazio Visco lo dice a chiare lettere nelle sue considerazioni finali. «Nel medio periodo, malgrado i progressi conseguiti negli ultimi anni, la profondità della recessione non potrà non avere effetti sui bilanci bancari», spiega Visco davanti alla mini platea di banchieri e politici che lo ascoltano a Palazzo Koch. Dopo il lavoro di pulizia dei crediti deteriorati fatto negli ultimi anni, che ha permesso di ridurre di due terzi in quattro anni l’ammontare degli Npl, il comparto bancario deve insomma allacciarsi le cinture di sicurezza e prepararsi a una nuova ondata di accantonamenti che è destinata a erodere redditività e, in alcuni casi, il capitale stesso. L’aumento dei crediti deteriorati andrà allora «affrontato per tempo, facendo ricorso a tutti i possibili strumenti», a partire dalla «ristrutturazione dei finanziamenti e la loro vendita sul mercato». Ma qualora si rivelasse necessario, sottolinea il Governatore, «si dovrà essere pronti a percorrere soluzioni che salvaguardino la stabilità del sistema», valutando anche il ricorso a strumenti che agiscano «in via preventiva» per banche che versino in una situazione di «serie, anche se presumibilmente temporanee, difficoltà». Un richiamo neppure troppo velato alle ricapitalizzazioni precauzionali previste dalla direttiva bancaria Brrd e già sperimentate nel caso Mps, che ha visto l’ingresso dello Stato nel capitale.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Savelli Fabio 
Titolo: Atlantia congela il dividendo per ottenere il prestito di Stato
Tema: Autostrade

Comincia a delinearsi un possibile compromesso sul destino di Autostrade. Il dossier sulla concessione — argomentato dalla ministra Paola De Michell mercoledì a Palazzo Chigi — è stato condiviso con le altre componenti del governo. E probabile che mercoledì 3 giugno il premier Giuseppe Conte decida di indire un vertice per trovare una sintesi tra le anime dell’esecutivo. L’ipotesi della revoca — come suffraga anche la sortita del viceministro dello Sviluppo Stefano Buffagni («Trattiamo, ma i 43 morti di Genova meritano rispetto») — sembra essere più defilata. Il punto di caduta con i Benetton, che controllano la concessionaria tramite la capogruppo quotata Atlantia, verte su un riassetto societario in Autostrade. Con la costituzione di un veicolo — che ne detenga la maggioranza del capitale — sottoscritto in tandem da Cassa Depositi e il fondo infrastrutturale F2i. Non è chiaro se i Benetton ne diventerebbero semplici sottoscrittori o resterebbero fuori dal perimetro. Si tratterebbe di un’operazione di sistema a cui aderirebbero diverse casse previdenziali e fondazioni bancarie (come la Cariplo, la Compagnia di San Paolo e l’ente Cassa di risparmio di Firenze), già socie sia di Cassa Depositi, sia di F2i. Operazione che permetterebbe di mantenere l’italianità della rete di Autostrade — con i suoi 3mila chilometri di tratte — conferendo ai quotisti i dividendi di gestione permettendo di remunerare al meglio anche i sottoscrittori di buoni postali raccolti da Cdp.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  B.F 
Titolo: La Lega ora rilancia la flat tax al 15%: «Così si aiutano imprese e famiglie»
Tema: flat tax

La Lega non è più al Governo ma anche dall’opposizione l’obiettivo resta sempre lo stesso: la riduzione delle tasse attraverso l’estensione subito della flat tax sia per chi vive da solo che per le famiglie e in prospettiva per le imprese. Un pacchetto di proposte contenuto nel disegno di legge che prevede in prima battuta un taglio delle tasse di 13 miliardi . «Pagare meno per pagare tutti», ha detto ieri Salvini, spiegando che con queste risorse «si aiuterebbero, semplificando la vita e riducendo l’imposizione fiscale, 10 milioni di famiglie italiane. A meno che – ha aggiunto qualcuno voglia usare quei soldi in redditi di cittadinanza o assistenza: sono due visioni di vita diverse». Il compito di entrare nel merito della proposta di «rivoluzione fiscale» del Carroccio, Salvini lo ha affidato ad Armando Siri, l’ideologo della flat tax, costretto un anno fa ad abbandonare l’allora governo gialloverde a seguito di un’indagine della Procura di Roma. «Questa proposta è il proseguimento di un percorso cominciato con l’introduzione della flat tax per le partite iva fino a 65mila euro», ha ricordato Siri.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Usa, dilaga la protesta Arrestato il poliziotto – Il poliziotto in arresto I rivoltosi: non basta
Tema: le proteste negli Usa

In galera. Mike Freeman, procuratore della Hennepin County di Minneapolis ha disposto l’arresto di Derek Chauvin, il poliziotto ripreso da un video mentre preme il ginocchio con tutto il peso del corpo sul collo di George Floyd, l’afroamericano di 46 anni ucciso lunedì scorso. Due i capi di imputazione: «Omicidio di terzo grado», un reato simile al nostro «omicidio colposo» e manslaughter, assimilabile all’«omicidio preterintenzionale». In una conferenza stampa Freeman ha spiegato che gli inquirenti hanno raccolto sufficienti prove per l’incriminazione, mettendo insieme le clip, le testimonianze dei passanti e il referto medico. Il procuratore ha aggiunto che «il provvedimento restrittivo» è arrivato «a tempo record», mentre «proseguono le indagini» sugli altri tre agenti implicati nella morte di George. Quel lunedì pomeriggio, due pattuglie hanno controllato Floyd, che non ha opposto alcuna resistenza. E nessuno degli uomini in divisa ha fermato il collega, mentre «il sospetto» sdraiato pancia a terra sull’asfalto implorava: «Non respiro, mi state uccidendo». Anzi un nuovo video, trasmesso ieri dalle tv, mostra come due agenti tenessero fermo George, mentre Derek Chauvin prendeva posizione sopra di lui. Secondo il rapporto dell’ospedale, Floyd ha smesso di respirare tre minuti prima che Chauvin finalmente sollevasse il ginocchio.  Il movimento spontaneo che ha invaso le strade di Minneapolis, dopo due notti di incendi e saccheggi, ha discusso per tutta la giornata. La maggior parte, a quanto sembra, considera insufficiente la decisione delle autorità giudiziaria, anche se Chauvin rischia una condanna a 20 anni di carcere. Ma è difficile chiedere alla Procura, che deve limitarsi ad accertare le responsabilità penali personali, una risposta più generale, politica. La tensione in citta resta altissima. Tanto che il governatore Tim Walz (democratico) ha imposto il coprifuoco.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  G. Sar. 
Titolo: La battaglia del sindaco: non possiamo arrenderci
Tema: le proteste negli Usa

Il sindaco bianco. Il capo della polizia nero. Jacob Frey, 38 anni, e Medaria Arradondo, 55 anni, costituiscono la prima linea di risposta alle proteste e ai saccheggi di Minneapolis. Frey è arrivato in città solo nel 2009. È nato vicino a Washington. Avvocato molto attivo nelle organizzazioni non profit, aspetta un figlio dalla seconda moglie, una lobbista del Terzo Settore. Ha vinto le elezioni nel 2017 promettendo più casi popolari e il miglioramento delle relazioni tra polizia e comunità. Vale a dire tra gli agenti e gli afroamericani. È un credente convinto, frequenta una sinagoga dell’ebraismo riformista. Frey ha reagito senza esitazioni all’omicidio di George Floyd. Si è schierato con la famiglia, con i leader delle associazioni che hanno subito chiesto l’incriminazione in particolare del poliziotto che ha schiaciato con il ginocchio il collo di George. «Mi domando perché non siano in galera», ha dichiarato in una delle prime conferenze stampa. Ma non è riuscito a placare la rabbia, degenerata in incendi e saccheggi per due notti consecutive. Trump lo ha attaccato duramente, definendolo «un sindaco debole, della sinistra radicale» incapace di riportare l’ordine.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Valsania Marco 
Titolo: La guerra Trump-Twitter nell’inferno di Minneapolis
Tema: Trump e i social
Il controverso tweet presidenziale è arrivato puntuale, come ogni mattina. È parso suggerire, davanti ai gravi disordini esplosi a Minneapolis per l’uccisione da parte della polizia d’un afroamericano disarmato, che è lecito sparare sui dimostranti definiti come teppisti. Altrettanto rapida è scattata la risposta di Twitter, che ha messo le parole del Commander in chief in “quarantena” citando violazioni delle norme contro la glorificazione della violenza. E immancabile è scattata l’escalation delle tensioni, oltreché in strada, sulla piazza digitale. Quello tra Casa Bianca e social media è uno scontro che promette di mettere in gioco regole, leggi e modelli di attività delle grandi piattaforme online. Con un impatto anche sulla politica, dove i new media sono sempre più diventati un pilastro delle campagne elettorali. Per l’America il nodo più drammatico da sciogliere resta quello di fare i conti con lo spettro del razzismo — evidenziato dall’estendersi delle proteste per la morte di George Floyd, ammanettato e accasciato, con il ginocchio di un agente (arrestato ieri sera) puntato in gola per nove minuti. Ma che la posta in gioco sia alta anche nella battaglia sui social è stato evidenziato da un altro fatto: Donald Trump nelle stesse ore ha firmato un ordine esecutivo che vorrebbe spianare la strada alla riduzione delle protezioni legali dei social media e consentire maggiori interventi delle autorità di regolamentazione contro le loro “censure”.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Barlaam Riccardo 
Titolo: Tensioni Usa-Cina, Trump scende in campo a favore di Hong Kong – «Hong Kong, revoca dei privilegi»
Tema: Trump su Hong Kong e Oms

«La Cina non ha mantenuto le promesse di autonomia su Hong Kong», tuona Donald Trump dal giardino della Casa Bianca. «La formula “un Paese, due sistemi” è stata trasformata da Pechino in “un Paese, un sistema”. Ho avviato le procedure per cancellare lo status speciale di Hong Kong», ha detto il presidente americano. Lo status economico speciale previsto finora dalla legislazione americana permetteva rapporti economici privilegiati all’ex colonia britannica rispetto alla Cina Mainland. Trump ha annunciato anche sanzioni contro i funzionari di Hong Kong che hanno consentito la repressione cinese. Il presidente ha rinnovato le accuse contro Pechino per il Covid19 e sull’Oms per i ritardi nella decisione di dichiarare la pandemia: «Ho deciso di sospendere le relazioni con l’Oms. Tutti i finanziamenti verranno destinati ad altre organizzazioni sanitarie». Muro anti-cinese anche sulla ricerca. «La Cina per anni ha rubato i segreti tecnologici americani. Emetterò una direttiva per rendere sicura la ricerca nelle università americane». La Casa Bianca intende cancellare i visti ai ricercatori e gli studenti cinesi che hanno legami con l’esercito cinese. Sui mercati finanziari il presidente ha ricordato di aver avviato un gruppo di lavoro per valutare se le aziende cinesi quotate a Wall Street non rispettano le regole del mercato e sono condizionate o guidate da Pechino. Il passo successivo, una volta provata la presenza del governo nel capitale delle società cinesi, è il delisting, con conseguenze che non piaceranno ai mercati finanziari né agli investitori.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  M.Ga. 
Titolo: Hong Kong e Oms, Trump attacca la Cina
Tema: Trump su Hong Kong e Oms

Dopo aver sospeso il pagamento delle quote, Donald Trump completa la sua guerra contro l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ritirando totalmente gli Stati Uniti dall’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della salute sul nostro pianeta. «E’ un’organizzazione Cinacentrica» accusa il presidente americano, che comunica la rottura in un breve discorso alla Casa Bianca nel quale ha annunciato anche un ventaglio — vasto ma ancora non be definito — di ritorsioni nei confronti della Cina contro la quale lancia una raffica di accuse: dallo spionaggio al furto di segreti industriali, dalla concorrenza sleale all’«espansionismo illegale in territori dell’Oceano Pacifico che minaccia la libertà di navigazione», fino alla legge sulla sicurezza nazionale appena approvata a Pechino che mina l’autonomia di Hong Kong e pone fine alla liberta della quale hanno fin qui goduto i cittadini dell’ex colonia britannica. Una violazione degli accordi internazionali che dovrebbero garantire questa autonomia almeno fino al 2047. «La Cina» dice Donald Trump, «afferma che sta proteggendo la sua sicurezza nazionale. In realtà a Hong Kong sta invadendo col suo apparato di sicurezza quello che fino a ieri era un bastione di libertà». La misura più grave annunciata da Trump è la fine dello statuto speciale fin qui concesso dagli Stati Uniti al territorio di Hong Kong. Pessima notizia per la Cina, ma soprattutto per la città il cui dinamismo industriale e finanziario è alimentato proprio da questi privilegi commerciali. Non è, però, chiaro quanto rapido e profondo sarà l’intervento di Trump, che si è limitato ad «avviare le procedure per la revoca» senza fissare una scadenza e senza indicare quali trattamenti preferenziali verranno eliminati. Il presidente ha precisato che «il mio annuncio odierno riguarda l’intero spettro degli accordi che abbiamo con Hong Kong, compresi la revoca del trattamento preferenziale e le facilitazioni di viaggio e doganali con le quali oggi trattiamo la città in modo diverso dal resto della Cina».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: Bruxelles prudente con la Cina: «Le sanzioni non sono risolutive»
Tema: Ue e questione Hong Kong

Riuniti ieri in teleconferenza, i ministri degli Esteri europei hanno espresso evidente nervosismo per le minacce all’autonomia di Hong Kong da parte di Pechino, senza però optare per sanzioni. I Ventisette, tuttavia, appaiono consapevoli della necessità di un nuovo modus vivendi con la Cina, in un contesto nel quale il nuovo unilateralismo americano contribuisce a una scena internazionale più incerta, imponendo all’Europa di trovare un proprio equilibrio con la potenza asiatica. «Abbiamo bisogno e siamo pronti a intavolare un dialogo aperto e onesto con la Cina», ha detto in una conferenza stampa l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Josep Borrell. L’uomo politico ha espresso a nome dei Ventisette «grave preoccupazione» per la scelta di Pechino di rimettere in discussione l’autonomia di Hong Kong. Il governo cinese ha imposto un giro di vite che permetterà al regime di schiacciare qualsiasi contestazione nell’ex colonia britannica. Le sanzioni «non sono il mezzo per risolvere i nostri problemi con la Cina», ha osservato Josep Borrell. Nella riunione, un solo Paese — la Svezia — si è espresso a favore di questa soluzione.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: Navi e caccia all’Egitto di Al Sisi governo diviso sulla maxi commessa
Tema: commesse militari

Il governo italiano si prepara ad approvare la vendita di 6 fregate, di una ventina di pattugliatori navali, di 24 cacciabombardieri Eurofighter e 24 aerei addestratori M346 all’Egitto del presidente Abdel Fatah Al Sisi. Una “commessa del secolo” che per l’Italia non ha soltanto un valore commerciale e industriale. «Fra mille difficoltà, l’Italia vuole mantenere un rapporto solido con l’Egitto, mantenere un dialogo politico che riguarda mille dossier aperti nel Mediterraneo», dice una fonte di Palazzo Chigi coinvolta nel negoziato. II “programma navale” verrebbe avviato con la vendita delle due prime fregate classe “Fremm” che sono già state consegnate alla Marina Militare italiana e che verrebbero quindi trasferite all’Egitto. Giovedì il premier Giuseppe Conte ha posto il tema al tavolo del Consiglio dei ministri, ma è stato costretto a sospendere la decisione perché sulla strada dell’Egitto l’Italia trova un ostacolo non secondario: l’assassinio di Giulio Regeni. Molti ministri in Consiglio hanno fatto notare che sul caso del giovane ricercatore italiano ucciso al Cairo nel febbraio del 2016, la collaborazione giudiziaria con l’Egitto non ha portato a nessun risultato. L’Egitto, in altre parole, non ha ancora individuato gli assassini di Regeni, o meglio non li ha voluti indagare e mettere sottò processo. Molto probabilmente perché sono poliziotti o agenti dei vari organismi di sicurezza egiziani. E la mancata collaborazione sul caso Regeni mobilita buona parte del deputati del Movimento 5 Stelle, così come ampi settori del Pd e di Leu. Fonti della Farnesina sostengono che «una decisione deve essere del Governo nel suo complesso, deve essere una decisione collegiale, che tenga conto degli interessi generali del Paese e del rispetto per le sacrosante richieste della famiglia Regeni». Ma al ministero degli Esteri hanno accettato con favore la pausa di sospensione anche perché «la decisione dovrà convinta, di tutto il governo».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sforza Francesca 
Titolo: Retroscena – La Farnesina protesta: “No a discriminazioni” Di Maio a Berlino e Atene per sbloccare i viaggi
Tema: Grecia vietata agli italiani

il turismo deve ripartire, in entrata e in uscita dall’Italia. Non si tratta solo di vacanze, ma di economia, di rilancio, di benessere. E anche di un pizzico di orgoglio nazionale, perché impedire agli italiani di viaggiare — così come comunicato dalla Grecia, che ci ha escluso dalla lista dei Paesi da accogliere — non significa soltanto limitare lo spostamento di cittadini europei, ma anche mettere in dubbio le misure di profilassi e sicurezza messe in atto dal nostro Paese. Per questo il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha intenzione di farsi sentire con forza in Europa, e ha già messo in agenda un’azione diplomatica su tre tappe: sarà in Germania il prossimo 5 giugno, in Slovenia il 6 e in Grecia il 9. L’obiettivo: garantire una ripartenza dei flussi turistici che non discrimini nessuno. E lanciare un messaggio chiaro a quei Paesi che in questo frangente si stanno dimostrando ostili: «Se si rispettano le regole, non ci sono rischi per la salute». Un primo segnale di apertura arriva proprio il 3 giugno, con la visita del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, che ha scelto l’Italia come prima tappa estera dopo il lockdown. Per il successo dell’azione diplomatica su Berlino e Atene, città strategiche per il turismo italiano (sia in entrata che in uscita) la Farnesina ha già messo a fuoco il principio della normativa omogenea, espresso dal Ministro Luigi Di Maio in occasione della Conferenza dei ministri degli Esteri Ue il 18 maggio scorso. Al termine dell’incontro è emerso un ampio consenso sulla necessità di mantenere uno stretto coordinamento per la ripresa dell’attività turistica e di sviluppare protocolli comuni, per far sì che i flussi possano gradualmente tornare alla normalità, garantendo al tempo stesso la salute dei cittadini. È evidente che la mossa della Grecia di escludere gli italiani si muoverebbe in contrasto con quanto definito in quell’occasione.
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