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SINTESI IN PRIMO PIANO – 30 giugno 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Mes: alta tensione M5S-Pd;
– Salvini a Mondragone: scontri e insulti, rinuncia al comizio;
– Dl Semplificazione: appalti pubblici, un anno senza gare;
– Recovery Fund: asse Merkel-Macron;
– Frontiere: oggi la Ue deciderà sulle riaperture;
– Caso Soleimani: dall’Iran mandato di arresto per Trump.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Caccia Fabrizio 
Titolo: Prova di forza sul Mes – Movimento e Pd al duello sul Mes «È no». «Siete miopi e ideologici»
Tema: Mes, tensione M5S-Pd

La possibilità di ricorrere al Fondo salva Stati crea una frattura netta nella maggioranza. All’intervento sul Corriere del segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti («Il governo non può più tergiversare sul Mes»), ha fatto seguito ieri una nota del capo politico del M5S, Vito Crimi, che sembra chiudere la porta a ogni possibile futura convergenza: «Registriamo che alleati di governo insistono sull’adozione del Mes – scrive Crimi -. Vale lo stesso per il Movimento 5 Stelle, che continua a confermare la propria linea: il Mes non è uno strumento idoneo e restiamo contrari. Se debito deve essere, allora meglio che avvenga attraverso lo scostamento di bilancio piuttosto che utilizzando uno strumento che riteniamo non solo inidoneo ma pericoloso». E durante una riunione nella serata di ieri il capo politico dei pentastellati ha fatto sapere di non aver apprezzato che sull’argomento esponenti dei partiti di maggioranza «si stiano muovendo con modi e accenti che non si conciliano con questa fase cruciale per il Paese» E Crimi non è l’unico esponente dei Cinque Stelle a ribadire il no all’utilizzo dei 36 miliardi di fondi europei: «La posizione del Movimento non cambia», così ha risposto ieri il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, alla domanda di Affaritaliani.it se fosse cambiato qualcosa dopo le parole di Zingaretti. Immediata, la reazione degli alleati dem: «Patuanelli sostiene che la posizione M5S rimane la stessa di mesi fa. E questo il problema – obietta Michele Bordo, vice capogruppo del Pd alla Camera -. In questi mesi è cambiato tutto, in Europa sono stati messi in campo strumenti mai visti prima e rimanere fermi significa solo essere miopi e irresponsabilmente ideologici».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Malaguti Andrea 
Titolo: Intervista a Luigi Di Maio – Di Maio: “Irpef, subito la riforma” – Di Maio: “L’Europa ha risposto alla crisi Ora tocca al governo essere all’altezza”
Tema: Mes: intervista al ministro degli Esteri Di Maio

A 33 anni Luigi Di Maio ha vissuto molte vite. In quest’ultima da ministro degli esteri ha scoperto che la crudele Unione europea qualche pregio ce l’ha. Non riesce a dire apertamente sì al Mes, a quei 37 miliardi che servirebbero a risistemare il nostro sofferente sistema sanitario e che Nicola Zingaretti brama con tutto sé stesso. Ma non lo boccia. Ne parla diffusamente, eludendo però il peso di una risposta che lascia volentieri a Giuseppe Conte. «Il presidente del consiglio ritiene che sarà sufficiente il Recovery Fund e io non dubito delle sue parole». Lo dice con indifferenza, come una perfida nota a piè di pagina. «No, si figuri, è meglio che io non intervenga direttamente sul tema. Per non indebolire le trattative». In questa intervista a La Stampa il ministro degli esteri parla di molte cose – di politica interna e internazionale – ma soprattutto dell’urgenza di intervenire su un sistema economico travolto dal torrente irreparabile dei giorni. E chiede una riforma fiscale che parta dalla rimodulazione dell’Irpef. Ministro Di Maio, nell’ intervista a La Stampa, Angela Merkel ha detto: l’Europa sta mettendo a disposizione dei Paesi in difficoltà strumenti mai visti, ma ci aspettiamo che vengano utilizzati. Perché continuate a dire no al Mes? «Guardi, le dico sinceramente quello che penso, ovvero che in questa crisi l’Europa ha risposto. La stessa Bce ci ha dato un grande sostegno acquistando i nostri titoli di Stato. Gli strumenti ora ci sono e dobbiamo riconoscerlo. Quindi basta piagnistei, tocca al governo dimostrare di essere all’altezza della sfida. Il presidente Conte continua a dire che sarà sufficiente il Recovery Fund e noi abbiamo fiducia nelle sue parole».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Salvini Matteo 
Titolo: La lettera – «Non ipotecate il futuro Il Salva-Stati non ci serve» – Zingaretti non ipotechi il futuro dei nostri figli Il Salva-Stati è una trappola
Tema: Mes, le parole di Salvini

Zingaretti non sta nella pelle per il Mes e ci spiega in dieci punti le «ragioni per dire SI», ragioni che nel frattempo non hanno convinto Francia, Spagna, Grecia o Portogallo. Per la sua architettura istituzionale, perfino la Germania rischia di avere dei problemi: il Bundestag sarà chiamato ad approvare ogni singolo esborso del Mes. Mi lasci dire, direttore, che per sciogliere alcuni nodi economici non serve l’Europa ma un governo appena decente. Lo dimostrano i nostri vicini di casa che stanno lavorando senza aspettare il fondo Salva-Stati. Parigi, per esempio, ha messo 8 miliardi per il settore dell’auto. L’Italia ha preferito investire sui monopattini elettrici, che spesso sono di fabbricazione cinese. Berlino ha lanciato una manovra da più di 150 miliardi, mentre l’Italia non riesce a far funzionare nemmeno il bonus vacanza. La ricetta della Lega è diversa da quella ipotizzata dal Pd. Anziché ipotecare il futuro dei nostri figli, meglio scommettere sull’Italia con l’emissione di buoni del Tesoro. I segnali sono incoraggianti: il Btp Italia ha battuto ogni record e con un’unica asta ha chiuso a 22,3 miliardi. Più di metà del Mes! Invece, il Pd insiste col fondo Salva-Stati. Dei dieci punti citati da Zingaretti sul Corriere, quasi tutti comportano un aumento strutturale della spesa, ma il Mes serve solo per interventi straordinari direttamente collegati alla crisi Covid. E’ un prestito vincolato: significa che a parte l’ammodernamento degli ospedali e la ristrutturazione delle Asl, tutti gli altri obiettivi snocciolati dal segretario del Pd sono fuori tema. Il Mes non è pensato per alimentare gli investimenti nella ricerca, la rivoluzione digitale, il rafforzamento della medicina di base, la riforma dei servizi per anziani e malati cronici, l’aumento di investimenti per il personale sanitario.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – I tre segnali di Zingaretti sul Mes
Tema: Zingaretti sul Mes

Alla fine l’offensiva di Zingaretti sul Mes non ha prodotto novità se non l’ennesimo scontro coni 5 Stelle che sul “no” al prestito europeo trovano un mastice in grado di tenerli uniti nonostante le divisioni. In effetti, se – come pare – non ci saranno conseguenze pratiche a breve di quella lunga lettera che il segretario Pd ha scritto al Corriere (riprendendo gli argomenti di quella del 5 giugno al Sole 24 Ore) elencando le ragioni per usare le risorse Ue, non è chiara la logica di quell’uscita pubblica che ha fatto sbandare la maggioranza. Lo showdown parlamentare resta – infatti – previsto per l’autunno e dunque perché decidere di mettere sotto i riflettori una rissa con i grillini proprio ora? Calcoli politici, rispondono gli stessi esponenti del Pd, che tra le motivazioni trovano un filo che porta all’interno del partito, uno che si lega all’Europa e un altro che arriva a fino Forza Italia. Innanzitutto c’era l’esigenza per il leader dem, di prendere un’iniziativa e farlo su un tema scomodo e divisivo come il Mes per rispondere agli attacchi – anche interni – di chi dice che il Pd è diventato subalterno ai grillini. O peggio. Subalterno all’immobilismo dei 5 Stelle e di Conte che non sa più come governare il Movimento. Pare che lo stesso problema lo abbia ormai pure Grillo a cui sfuggono le leve di un gruppo che tra Camera e Senato segue logiche di cordata o addirittura personalistiche. E dunque Zingaretti aveva bisogno di trovare un argomento che facesse rumore e creasse un conflitto proprio per dare un profilo più autonomo al partito e soprattutto ribadire un posizionamento in vista dell’autunno quando molti prevedono che saranno le stesse Regioni (anche del Nord) a chiedere i fondi Ue.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bufi Fulvio 
Titolo: Tensioni e scontri a Mondragone Salvini deve rinunciare al comizio
Tema: Salvini a Mondragone

Paragonarlo a Luciano Lama è decisamente troppo, ma adesso anche Salvini ha il suo comizio negato, nemmeno iniziato, soffocato sotto una valanga di fischi, cori e canzoni a sfotterlo. La sua Sapienza è una rotonda della statale Domiziana che incrocia via Razzino, la strada di Mondragone dove ci sono i palazzi ex Cirio abitati dalla comunità bulgara costretta in quarantena perché al suo interno è scoppiato un focolaio di Covid 19. Salvini arriva qui dopo le proteste e le tensioni di giovedì scorso, nel tentativo di offrire una sponda politica all’insofferenza dei mondragonesi nei confronti dei bulgari. Le sue visite al Sud hanno spesso questa impostazione. Fece altrettanto poche settimane fa, precipitandosi a Santa Maria Capua Vetere per appoggiare la protesta degli agenti penitenziari finiti sotto inchiesta per le presunte torture nei confronti dei detenuti protagonisti di una delle tante rivolte scoppiate nelle carceri italiane durante i giorni critici dell’emergenza coronavirus. Stavolta però non trova la sintonia che trovò allora. Qui ad accoglierlo ci sono pochi mondragonesi, venuti più per vedere da vicino il politico famoso che per applaudirlo, e molti ragazzi dei centri sociali di Mondragone, della vicina Castel Volturno, ma anche di Caserta e della rete antifascista di Napoli. Né, per riequilibrare i numeri, possono bastare i suoi uomini in Campania: i deputati Gianluca Cantalamessa e Pina Castiello, il consigliere regionale Gianpiero Zinzi e pochi altri. Ma ieri probabilmente non sono riusciti mobilitare elettori per assicurare più presenze a sostegno del leader. Le forze dell’ordine gestiscono le proteste con cautela. E le due cariche accennate per disperdere i contestatori servono soltanto a ferire alla testa un ragazzo, ma non a fermare i cori.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Del Porto Dario 
Titolo: Salvini non è benvenuto Tensione a Mondragone “Vattene via, sciacallo” – Mondragone, l’ira di Salvini contestato dalla zona rossa “Preferiscono l’illegalità”
Tema: Salvini a Mondragone

Se l’obiettivo era cavalcare la difficile convivenza tra la comunità bulgara e quella locale per allargare la base di consensi della Lega nel Mezzogiorno, stavolta il Capitano ha fatto male i conti. A Mondragone, l’arrivo dl Matteo Salvini getta benzina sul fuoco nella città del Casertano scossa dal cluster di contagi divampato nel rione dormitorio delle palazzine ex Cirio, tra immigrati provenienti dalla Bulgaria e sfruttati nei campi dai caporali. L’ex ministro viene accolto da fischi, insulti, slogan. Uno striscione gli dà dello “sciacallo”, gli gridano «buffone, non ti vogliamo». Le urla coprono l’inno di Mameli sparato dal gazebo allestito a ridosso della zona rossa e quando Salvini prende la parola, la sua voce viene sommersa dalle grida. L’ex ministro non riesce a parlare. Qualcuno gli lancia una bottiglietta d’acqua. «Meno male, avevo caldo», prova a sdrammatizzare. «Alcuni teppisti hanno danneggiato l’impianto audio per impedire il comizio e aggredito i presenti con lanci di bottiglie e uova, mettendo in pericolo forze dell’ordine, tanti cittadini del quartiere e giornalisti», denuncia la Lega. Le forze dell’ordine fanno arretrare i manifestanti con due cariche. Una terza scatta quando l’ex ministro è già andato via e nello scontro ha la peggio un manifestante di 27 anni, Gabriele Esposito, colpito da una manganellata alla testa. Proprio mentre dalla Regione arriva la conferma di 23 nuovi casi di positività a Mondragone, che portano il totale a 66, nell’attesa del leader della Lega si forma un assembramento che fa saltare quasi tutte le regole anti Covid, eccezione fatta per le mascherine. Ciò nonostante, quando il cronista di Repubblica gli chiede dell’opportunità di organizzare un appuntamento del genere in queste condizioni, in questo luogo e in questo momento, Salvini sbotta: «E perché? Siamo in democrazia, c’è diritto di parlare. Mi sembra una domanda mal posta onestamente».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Labate Tommaso 
Titolo: Tra ribaltoni, vertici di governo e acquisti alle televendite Palazzo Grazioli, trasloca un’era
Tema: Berlusconi si trasferisce sull’Appia Antica

Centosessanta metri dagli scheletri della Dc di Piazza del Gesù, duecentoquaranta dai fantasmi dei comunisti di Botteghe Oscure. Quando entra da affittuario a Palazzo Grazioli, Berlusconi è considerato un uomo politicamente finito. E invece da lì, nel giro di qualche anno, demolirà la bicamerale di D’Alema, riannoderà il fili dell’alleanza con Bossi, tornerà al governo nel 2001 e ancora nel 2008. Tutte tappe preparate nel corso di riunioni infinite, col tempo scandito dalle penne tricolori del cuoco Michele, con un angoletto destinato a fare da «magazzino» di cravatte e foulard griffati, omaggi per i visitatori della casa. La decadenza dei selfie in bagno e le incursioni di Patrizia d’Addario sarebbero arrivati dopo, molto dopo. Come molto dopo, anno 2009, sarebbe arrivata la convivenza condominiale con la tv satellitare messa in piedi dall’associazione Red di Massimo D’Alema. Prima, inizio anni Duemila, Grazioli diventa l’incubo di Gianfranco Fini, all’epoca fumatore accanito, che sperimenta la ritrosia del padrone nei confronti delle sigarette altrui. L’inerme Palazzo Grazioli scrive anche capitoli decisivi della storia recente. Il 3 agosto del 2013, quando riceve la notizia della condanna in via definitiva, Berlusconi si trova là dentro. Sotto casa, il gruppetto di ultras noto come «L’Esercito di Silvio» aspettava la sentenza trepidante. Leggendario l’errore in cui incorre lo sparuto gruppo di sostenitori, che ascolta alla radio la lettura del dispositivo della Cassazione e lo scambia per un’assoluzione. Tempo qualche ora e Berlusconi si sarebbe affacciato a benedire la rabbia dei sostenitori di Forza Italia, che accorrono sotto Palazzo Grazioli chiedendo a gran voce l’uscita degli azzurri dal patto col Pd e quindi dal governo Letta. Scena che si ripete quando il Senato vota la decadenza dell’ex premier e si innesca un meccanismo che porta all’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Ora tutto si sposta più in là, sull’Appia antica, dove Berlusconi abiterà nella villa di Franco Zeffirelli acquistata vent’anni fa.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Fazzo Luca 
Titolo: L’audio choc del giudice: Berlusconi era innocente – L’audio choc La verità del giudice: «Plotone di esecuzione per la sua condanna»
Tema: Processo Diritti Tv

Due nuove prove per riscrivere la storia dei processi a Berlusconi. Chi se lo immaginava ormai pacificato con il suo passato giudiziario, accontentato della riabilitazione che gli ha restituito lo status di incensurato, deve ricredersi. Perché il Cavaliere riparte all’improvviso all’attacco sul fronte che per vent’anni lo ha visto in prima linea, quello della persecuzione giudiziaria di cui si sente vittima. Lo fa con un file audio e una sentenza inviati alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, davanti alla quale è ancora pendente – da ben sei anni – il suo ricorso contro la condanna perla vicenda dei diritti tv. Sono, nella convinzione del Cavaliere e dello staff legale guidato da Niccolò Ghedini, documenti clamorosi, le prove fumanti della persecuzione. E i giudici di Strasburgo non potranno non tenerne conto. Entrambi dicono la stessa cosa: che la sentenza con cui la Cassazione nell’agosto 2013 rese definitiva la condanna dell’ex premier per frode fiscale fu una sentenza abnorme, senza basi sui fatti emersi durante la causa. E, dice il nastro, figlia di una manovra decisa a tavolino, prima ancora dell’udienza, per eliminare Berlusconi «Un plotone di esecuzione». A parlare, nel nastro, è un giudice che quel giorno era in Cassazione, nella sezione chiamata a giudicare il leader azzurro: Amedeo Franco, relatore della causa, quello che di solito guida la discussione in camera di consiglio. Franco non voleva la condanna di Berlusconi, non voleva firmare le motivazioni. E un anno dopo, nel processo gemello per la vicenda Mediatrade, assolse Piersilvio Berlusconi scrivendo che la condanna di Berlusconi senior era stata «contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza di questa corte ed al vigente sistema sanzionatorio».
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Testata:  Foglio 
Autore:  Cerasa Claudio 
Titolo: Intervista a Giuliano Amato – Doveri del governo con l’opposizione, classe dirigente senza rotta, idee sul dopo Mattarella. Chiacchierata ottimistica con Giuliano Amato – “E ora il governo collabori con l’opposizione”. Parla G. Amato
Tema: Intervista a Giuliano Amato

Lo dice d’un fiato Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio, attuale membro della Corte costituzionale, ma lo dice offrendo un messaggio importante. Incoraggiante. Persino ottimista. “Basta con questa ondata di pessimismo. Voglio provare, se mi consente, a essere ottimista e a ragionare sul futuro tentando di capire non cosa potrebbe andare per il verso sbagliato ma, al contrario, cosa potrebbe andare per il verso giusto”. “Potremmo iniziare dall’Europa, per esempio, e potremmo dire che rispetto a dodici anni fa, quando la crisi economica divise l’Europa facendo emergere alcuni suoi egoismi, oggi l’Europa si è ritrovata in una condizione del tutto diversa. E in questa condizione, la crisi economica che è stata generata dall’arrivo del coronavirus ha fatto emergere pochi egoismi e molta solidarietà”. Solidarietà necessaria. Ma sufficiente? “C’è sempre qualcosa che si può fare meglio, e sono molte le lacrime amare di coccodrillo che l’Europa potrebbe versare rispetto ai molti errori commessi in questi anni, ma oggi bisogna essere orgogliosi. Si diceva, tempo fa, quando sembrava fosse possibile ritrovarci di fronte a una crisi dell’euro, che l’Europa era fragile, vulnerabile, impreparata ad affrontare gli choc esterni. Oggi, di fronte a un evento catastrofico, l’Europa ha mostrato solidità, tenacia, fantasia e ha messo in circolo anche un anticorpo utile per proteggersi da tutti coloro che in questi anni hanno soffiato sulle sue contraddizioni. L’Europa, lo sta già facendo con il fondo contro la disoccupazione, Sure, lo farà anche con il Recovery fund, sta creando debito comune. E anche se qualcuno finge di non vedere questo fenomeno, condividere i rischi significa aver creato qualcosa persino di più potente di una nuova dichiarazione di Schuman”.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine 
Titolo: Incentivi alle Pmi, 620 milioni in arrivo per l’innovazione – Innovazione e green, corsa a 620 milioni di incentivi
Tema: Dl crescita 2019: firmati i decreti Mise

Con i tempi lunghissimi delle trafile ministeriali circa 620 milioni di incentivi per l’innovazione dei processi produttivi stanno per materializzarsi. Il ritardo più evidente, oltre un anno, ha caratterizzato le agevolazioni per progetti di innovazione nell’ambito dell’economia circolare, 210 milioni disponibili con il decreto firmato dal ministro dello Sviluppo economico (Mise) Stefano Patuanelli e attualmente in corso di registrazione alla Corte dei Conti, e gli incentivi per investimenti volti alla trasformazione digitale delle Pmi, 100 milioni con il decreto direttoriale dello stesso ministero in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Entrambi attuano disposizioni che risalgono addirittura al decreto crescita n. 34 del 30 aprile 2019. In mezzo c’è stata una pandemia dagli effetti economici devastanti e ora bisognerà vedere quanta forza avranno le imprese per attivare investimenti significativi da supportare con gli aiuti. Ha avuto un percorso diverso il nuovo bando “Macchinari innovativi”, agganciato al programma Imprese e competitività finanziato con fondi Ue, che sarà anche il primo a far scattare le domande di accesso. È stato firmato pochi giorni fa il decreto direttoriale relativo al primo sportello di due previsti per complessivi 265 milioni, destinati a finanziare investimenti in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia per la trasformazione digitale di micro e Pmi attraverso le tecnologie 4.0 e per la transizione verso pratiche di economia circolare. I programmi devono prevedere spese comprese tra 400mila e 3 milioni di euro. Dalle 10 del 23 luglio si potrà compilare la domanda sulla specifica sezione del sito del Mise, dalle 10 del 30 luglio invece scattano i termini per inviarla, sempre online.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Intervista a Laura Castelli – «Per adesso il premier dice che non serve Abbiamo fiducia in lui»
Tema: Mes: intervista alla viceministra dell’Economia Castelli

Sul prestito Mes da 36 miliardi per la Sanità il segretario del Pd ha lanciato ieri dalle pagine del Corriere una sorta di ultimatum ai 5 Stelle: «Basta tergiversare», dice Nicola Zingaretti. «Non stiamo rinviando – ribatte la viceministra dell’Economia Laura Castelli, esponente di rilievo dello stesso Movimento – . Il tempo viene usato per fare quello che serve». Ovvero? «Abbiamo messo l’Europa nelle condizioni di tornare a fare l’Europa, cioè una comunità solidale. Sul Mes abbiamo fiducia nelle parole del Presidente Conte, che ad oggi ha detto che non serve». Conte ha detto che deciderà il Parlamento. A luglio o a settembre? «A settembre scriveremo la legge di Bilancio, è quello il momento di capire che fare». Secondo lei il Pd si sta comportando in modo leale o lavora per costruire maggioranze diverse? «Ci fidiamo reciprocamente, comunque in questa fase è difficile ipotizzare un Governo senza il Movimento». I 10 punti indicati da Zingaretti per rafforzare la Sanità richiedono molte risorse. Come fare senza il Mes? «Per rimettere in piedi la Sanità servono più dei io punti indicati da Zingaretti. Da quando siamo al Governo è stata finanziata a discapito dei tagli subiti negli anni precedenti, adesso dobbiamo spendere anche i soldi fermi, come quelli dell’Inail per l’edilizia sanitaria. Questa crisi, anche per la Sanità, è stata utilizzata come occasione di ripartenza, continueremo a lavorare perché nella manovra si prosegua».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Giavazzi Francesco 
Titolo: I passaggi necessari sul fisco – I passaggi necessari di una politica fiscale
Tema: Riforma della tassazione

Gli annunci in materia fiscale del presidente del Consiglio, la settimana scorsa una riduzione dell’Iva, pochi giorni dopo una riduzione delle imposte sul lavoro, sembrano dettati dall’esigenza di salvare il suo governo, accontentando oggi un partito, domani un altro, più che da una visione coerente del nostro sistema tributario. Non è una novità. Accadde con le modifiche delle aliquote Irpef dal secondo governo Berlusconi. Mostra Paola Profeta su Public Choice, 2006 che esse furono calibrate in modo da attrarre elettori incerti. Accadde anche per le modifiche alla tassazione degli immobili attuate negli ultimi due decenni, dettate talora dall’esigenza di convincere alcuni elettori la settimana prima delle elezioni (Berlusconi 2006), altre volte dall’esigenza, certamente più nobile e più giustificata, di arrestare un attacco speculativo contro il nostro debito pubblico (Monti 2011), mai da una riflessione su quanto si debba tassare il consumo, quanto il lavoro e quanto il capitale, case incluse. Il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Modificare un ingranaggio senza tener conto degli effetti che quella modifica può avere su altri punti del sistema può introdurre distorsioni che vanificano l’apparente riduzione della pressione fiscale. Possono anche aumentare la diseguaglianza colpendo alcuni cittadini più di altri. Un esempio è l’idea di usare la tassazione per incentivare la partecipazione al mercato del lavoro di individui oggi disoccupati e che vivono di sussidi, come il reddito di cittadinanza. Un’idea apparentemente buona, ma che può avere effetti indesiderati. Se si riduce l’imposta sul reddito, o i contributi previdenziali per i lavoratori a basso reddito, essi saranno più incentivati a cercare un lavoro: proprio quello che si voleva ottenere.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Baldassarri Mario 
Titolo: Partire da Irpef e cuneo per un sistema più equo – Occorre partire da Irpef e taglio del cuneo
Tema: Riforma della tassazione

Quasi tutti parlano di abbassamento delle tasse. Pochi però dimostrano di conoscere ciò di cui parlano. Spesso vengono lanciati titoli e slogan o proposte isolate e strampalate come quella di abbassare, a tempo determinato, le aliquote Iva. Al contrario abbassare le tasse significa: 1) fare una riforma strutturale, permanente e complessiva (come ribadito dal Governatore Visco) con in testa l’Irpef per lavoratori e famiglie e l’irap/cuneo fiscale perle imprese; 2) se deve essere strutturale e permanente, il minor gettito non può essere coperto con maggiore deficit e debito, né, tantomeno, con i fondi europei. Ne consegue che qualunque riforma fiscale con riduzione di gettito, peressere credibile, deve essere “in pareggio”e quindi finanziata con risorse ricavate all’interno del bilancio pubblico. Il coraggio cioè non sta nel tagliare le tasse, ma nel reperire le risorse, tagliando sprechi e ruberie di spesa pubblica, le mille agevolazione e bonus fiscali e recuperando risorse dalla lotta all’evasione, non annunciate, ma incassate. Nella nostra Costituzione sono scolpiti due principi fondamentali: “l’equità verticale”, cioè le imposte devonc essere progressive e quindi persone con maggiore reddito pagano proporzionalmente più tasse; “l’equità orizzontale”, cioè persone con le stesse condizioni economiche pagano la stessa imposta. La nostra attuale Irpef ha cinque scaglioni e cinque aliquote. Poi ci sono deduzioni e detrazioni fiscali a pioggia (Tax expenditure) che ammontano a 80 miliardi di euro certificati dalla Commissione Marè del ministero dell’Economia, escludendo quelle sociali-sacrosante percarichi di famiglia, per redditi da lavoro dipendente, per mutui prima casa ecc. che vanno confermate e forse rafforzate.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: Appalti pubblici, un anno senza gare – Semplificazioni, la riforma taglia i tempi morti della Pa
Tema: Dl Semplificazioni

Arrivano dettagli importanti sul Dl semplificazioni dopo le anticipazioni date domenica scorsa dal Sole 24 Ore. La riforma – con le sue sette aree di interventi e gli articoli limati da 50 a 48 – si conferma potente, anzitutto per la spallata sulle opere pubbliche. Il segretario generale della presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, uomo vicinissimo al premier Conte, ha messo a punto la bozza del decreto con un lavoro di oltre due mesi e ha definito una cura shock per le infrastrutture con corsie veloci, riduzione dei tempi ordinari e largo accesso a procedure eccezionali; senza però demolire (o sospendere) formalmente il codice appalti caro al Pd e senza fare ricorso massiccio ai commissari straordinari «modello Genova», bensì investendo di poteri straordinari le stesse stazioni appaltanti. Accelerazione fortissima ma senza strappi: l’alchimia che si conta possa tenere insieme la maggioranza rissosa. Già arrivano richieste di integrazione e correzione ma il lavoro traccia una via mediana. Da oggi si capirà se regge al confronto politico e se arriverà in Cdm giovedì. Per le opere pubbliche si vara un anno bianco antiburocrazia: un regime straordinario, fino al 31 luglio 2021, con affidamenti senza gare per tutte le opere sotto i 5 milioni di euro e per quelle sopra che saranno considerate urgenti ai fini dell’emergenza non solo sanitaria ma economica. La lista delle opere prioritarie, che arriverà con Dpcm, avrà la corsia veloce che riguarderà non solo gli affidamenti ma anche liter autorizzativo dei progetti. Una corsia ultraveloce (fast track) è riservata alle due grandi priorità del green e della bandalarga. Nel caso del Piano nazionale integrato energia e clima addirittura una commissione Via ad hoc euna procedura speciale snella. Scure anche sui tempi morti causati dai ricorsi giurisdizionali. Le amministrazioni dovranno aggiudicare l’appalto e procedere coni lavori se non ci sono decisioni contrarie del giudice. Così si smonta l’atteggiamento dilatorio delle Pa che hanno paura di aggiudicare e procedere con il cantiere anche se la sentenza del Tar è di rigetto del ricorso. I commissari per le opere pubbliche resteranno invece quelli tiepidi dello sblocca-cantieri, leggermente modificato: la ministra De Micheli ne ha pronta una trentina ma agiranno in fase esecutiva del contratto.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Appalti veloci per i cantieri, limiti all’abuso d’ufficio E spunta un condono edilizio
Tema: Dl Semplificazioni

Si attribuisce grande importanza al decreto legge Semplificazioni, la cui bozza è ormai pronta e che potrebbe andare questa settimana o la prossima all’approvazione del Consiglio dei ministri. Si tratta di una settantina di articoli che affrontano i diversi aspetti del problema, conciliando approcci diversi presenti nella maggioranza: i 5 Stelle che puntavano sul modello Genova dei commissariamenti a raffica, il Pd più prudente e contrario allo smantellamento del codice degli appalti. Alla fine la proposta messa a punto dal governo, tra innovazioni interessanti e riproposizione di vecchi schemi già risultati inutili, potrebbe smuovere le acque. Tra le novità potenzialmente più capaci di sbloccare la situazione ci sono senza dubbio le norme sulle quali ha insistito il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per il superamento della cosiddetta sindrome della firma, che trattiene i funzionari pubblici dal dare il via libera a qualsiasi opera per il timore di finire sotto inchiesta da parte di qualche Procura della Repubblica sempre pronta a contestare l’abuso d’ufficio, col rischio di dover rispondere anche di danno erariale alla Corte dei Conti. In questo senso gli articoli della bozza che circoscrivono l’abuso d’ufficio ai casi in cui dalle regole «non residuino margini di discrezionalità» per il funzionario e quelle che limitano la responsabilità erariale ai comportamenti dolosi vanno nella direzione giusta. Così come le norme che velocizzano le procedure in materia di Valutazione di impatto ambientale (Via) e di autorizzazioni da parte degli enti locali.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rizzo Sergio 
Titolo: L’analisi – La legge scorciatoia – Scorciatoie, non semplificazioni E mancano i controlli rigorosi
Tema: Dl Semplificazioni

Funzionari pubblici che non firmano le pratiche, nella migliore delle ipotesi perché impauriti dal rischio dell’avviso di garanzia. Appalti con procedure bizantine che costringono le imprese a presentare tre volte gli stessi documenti: al punto che per aggiudicare una gara ci vuole più che a realizzare l’opera. E poi tempo morti biblici, valanghe di ricorsi sui formalismi, conferenze dei servizi che durano anni, in un continuo conflitto di poteri e scaricabarile di responsabilità. Risultato: nonostante sia disponibile per le infrastrutture che potrebbero essere il motore della ripartenza una somma enorme, valutata dal Cresme in 199 miliardi (miliardi!), la maggior parte di quei soldi dorme placidamente nel pantano della burocrazia. Ben 109 miliardi riguardano opere che sono attualmente in fase di progettazione. Se c’è quindi un Paese che ha un disperato bisogno di semplificazioni è il nostro. Ma di semplificazioni vere, che affrontino e risolvano problema alla radice. Non invece, come quasi sempre accade, di semplici scorciatoie. Ebbene il decreto semplificazioni, che starebbe finalmente per vedere la luce dopo una gestazione di lunghezza incomprensibile, partorito dopo il di Sergio Rizzo piano Colao e la cerimonia degli Stati generali dell’economia potrebbe essere meglio battezzato decreto “scorciatoie”. Intendiamoci, velocizzare certi meccanismi in un momento così grave ha sicuramente un senso. Il problema è che cosa accadrà dopo il 31 luglio del prossimo anno, quando le misure contenute in quel decreto scadranno.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bufacchi Isabella 
Titolo: Merkel-Macron: a luglio l’accordo su Recovery fund – Asse Merkel-Macron: Recovery Fund subito
Tema: Asse Merkel-Macron sul Recovery Fund

Un’Europa «più solidale», che emetterà per la prima volta debito comune per finanziare la ripresa post-Covid con 500 miliardi disponibili in sussidi a fondo perduto, con «più sovranità» industriale ed economica,«più indipendenza dal resto del mondo nella produzione di medicinali e vaccini», «più verde» per proteggere i propri cittadini dal cambiamento climatico, «più digitale», con una voce più forte nei confronti di Cina e Usa, «più unita» per affrontare qualsiasi sfida, prima tra tutte quella della crisi «inimmaginabile» della pandemia. È questa la visione dell’Europa declinata al futuro dalla cancelliera Angela Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron, così come è stata rilanciata ieri dai due leader in una conferenza stampa congiunta al termine di un costruttivo incontro al castello di Meseberg, stesso luogo dove due anni fa avevano siglato una nuova intesa di collaborazione per rinvigorire l’asse Berlino-Parigi. Un asse comunque sbilanciato. Angela Merkel è ora molto forte perché è tornata al picco della sua leggendaria Popolarità, in casa e all’estero, per la gestione della crisi pandemica in Germania che va presa, ha detto Macron, come «modello al quale mi sono ispirato». Il presidente francese è per contro debole: le elezioni comunali in Francia che si sono tenute nel fine settimana hanno avuto un esito sorprendente con i Verdi che hanno conquistato grandi città come Lione, Marsiglia, Strasburgo e Bordeaux e con una pesante sconfitta per Macron. Alla vigilia del semestre tedesco al Consiglio europeo, che inizia il 1°luglio, Merkel e Macron hanno voluto enfatizzare ieri in maniera solenne «la resilienza» dell’alleanza tra Germania e Francia perchè è solo rafforzando l’unione tra i due Paesi e tra tutti e la solidarietà tra tutti gli Stati della Ue che l’Europa sarà in grado di affrontare la crisi economica, sociale, sanitaria della pandemia, la più grande dalla seconda guerra mondiale e «inimmaginabile».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bresolin Marco 
Titolo: Merkel-Macron, pressing sul Recovery Fund: 500 miliardi a fondo perduto
Tema: Asse Merkel-Macron sul Recovery Fund

Emmanuel Macron e Angela Merkel sono pronti a sacrificare la quota di prestiti del Recovery Fund targato Ursula von der Leyen per difendere i 500 miliardi di sovvenzioni che erano il cuore della proposta franco-tedesca. È questa l’offerta di Berlino e Parigi ai Paesi frugali: ridurre considerevolmente il volume del piano Next Generation Eu, che sulla carta oggi vale 750 miliardi, a patto che non si tocchino i trasferimenti a fondo perduto. Per compensare la parte relativa ai prestiti – questo il ragionamento del Presidente e della Cancelliera – ci sono già le risorse messe a disposizione dalla Bei, dal programma Sureesoprattutto dal Mes. Dunque, secondo loro, si può tranquillamente rinunciare ai 250 miliardi di crediti proposti dalla Commissione (di cui 91 destinati all’Italia) . I due hanno definito la strategia negoziale nel corso di un bilaterale al castello di Meseberg, il primo faccia a faccia da quando è scoppiata la pandemia. Per Macron l’accordo sul Recovery «deve arrivare entro luglio, è la priorità». Per questo farà «di tutto per convincere i nostri partner» al summit Ue del 17-18 luglio. Merkel è consapevole delle «difficoltà» e delle «resistenze da superare». Dice che «il cammino per un accordo è ancora lungo» e usa termini meno perentori del collega francese. Ma i due sono sulla stessa linea. Macron ha spiegato in modo molto chiaro perché si può fare a meno dei 250 miliardi di prestiti del Recovery Fund: «Questi prestiti si aggiungerebbero a un debito già esistente e avrebbero un impatto ridotto sul bilancio (dei singoli Stati, ndr). Che interesse abbiamo ad aumentare il nostro debito comune per concedere prestiti ai Paesi Ue se i loro tassi d’interesse sono ridotti grazie all’efficace politica monetaria della Bce?». Per il leader francese «se dobbiamo fare debito comune, meglio usarlo per finanziare le sovvenzioni».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: La Ue sui confini: aperture a 15 Stati, esclusi Usa e Russia
Tema: Ue sui confini

Salvo sorprese, i Ventisette dovrebbero approvare oggi il compromesso raggiunto la settimana scorsa e relativo alla riapertura delle frontiere esterne dell’Unione europea a una decina di Paesi terzi, sulla scia dello scemarsi dell’epidemia influenzale. Il negoziato diplomatico è stato lungo e accidentato, tante sono le variabili che i governi hanno dovuto prendere in conto. Una volta approvata la raccomandazione, l’impegno è vincolante da un punto di vista politico. La lista comprende 14 paesi: Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova-Zelanda, Rwanda, Serbia, Corea del Sud, Thailandia, Tunisia e Uruguay. A questi si aggiunge la Cina, nel caso dal Paese asiatico ci fosse reciprocità nei confronti dei cittadini comunitari. Esclusi sono gli Stati Uniti, il Brasile e la Russia. Secondo il compromesso, i Ventisette sarebbero chiamati a verificare la lista ogni 14 giorni. Diplomatici a Bruxelles hanno negoziato in questi giorni un criterio epidemiologico con cui stabilire se aprire o meno le frontiere esterne a singoli Paesi terzi. Il parametro prevede che si possano aprire i confini con i Paesi che negli ultimi 14 giorni abbiano livelli epidemiologici simili a quelli europei. L’approvazione per procedura scritta, lanciata ieri, deve concludersi oggi. Le attese sono perché ci sia una maggioranza qualificata a favore del provvedimento.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca 
Titolo: Frontiere aperte, ma non agli Usa Sì di Germania, Francia e Spagna
Tema: Ue sui confini

Le capitali europee hanno tempo fino a mezzogiorno per decidere sulla lista dei Paesi extra Ue ai quali aprire da domani i confini esterni. Nel mondo sono ormai 500 mila i morti a causa del coronavirus e oltre 10 milioni i contagi totali. In alcuni Paesi terzi l’emergenza non è ancora passata. La decisione è delicata per i timori di una seconda ondata della pandemia, ma il ritorno parziale alla normalità pre lockdown vuol dire anche far ripartire l’economia legata al turismo, che è in ginocchio in tutta Europa. Francia e Germania sono favorevoli all’elenco stilato venerdì scorso dagli ambasciatori Ue: si tratta di 14 Paesi terzi – non ne fanno parte gli Stati Uniti, la Russia, il Brasile e l’India per l’alto numero di contagi – più la Cina qualora rispetti il criterio di reciprocità, cioè elimini a sua volta la quarantena nei confronti dei cittadini europei. La Spagna, inizialmente scettica (preoccupata per l’apertura al Marocco), dovrebbe votare a favore. L’Italia scioglie oggi la sua riserva però presumibilmente sarà un sì. L’astensione vale voto contrario. La lista è una raccomandazione che ha l’obiettivo di coordinare le azioni delle capitali ma non è vincolante: gli Stati membri hanno competenza esclusiva sui confini, però l’area Schengen prevede al suo interno la libera circolazione delle persone, di qui la necessità di un coordinamento. Si tratta quindi di un elenco di massima: un Paese può decidere anche di adottare misure più restrittive e di ridurre il numero di Paesi extra Ue a cui aprire i confini. Il contrario, invece, potrebbe fare riscattare all’interno dell’area Schengen la chiusura delle frontiere nei confronti del Paese Ue più permissivo. Perché la lista ottenga il via libera serve la maggioranza qualificata: il 55% degli Stati membri deve essere a favore e devono anche rappresentare almeno il 65% della popolazione totale dell’Unione.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Tagliaferri Patricia 
Titolo: Confini, braccio di ferro nell’Ue L’Italia: «La quarantena rimane»
Tema: Ue sui confini

L’Europa è spaccata sull’apertura dei confini ai cittadini extra Ue da mercoledì. Sono giorni che gli Stati membri discutono sulla lista dei Paesi a cui concedere il via libera. Un elenco che potrebbe aprire le porte ai cinesi, ma escludere statunitensi e russi. E stata fatta circolare una bozza, ma oltre non si è andati. La discussione si è arenata anche a causa dell’Italia, che non ha ancora preso una posizione, divisa tra la paura di una ripresa incontrollata dei contagi e la necessita di far ripartire il turismo. Idem Polonia, Spagna, Grecia, Portogallo e Malta, ancora più scettici. A preoccupare, oltre alle diverse situazione epidemiologiche dei vari Paesi, sono le ripercussioni a livello diplomatico con gli Stati esclusi, in particolare con gli Usa se venissero aperte le porte alla Cina (a patto che conceda piena reciprocita). Per uscire dalla situazione di stallo che si è creata, la presidenza del Consiglio Ue ha lanciato una procedura scritta, che scade oggi a mezzogiorno, sulla raccomandazione approvata venerdì scorso sulla riapertura delle frontiere. Una extrema ratio, nella speranza che il pressing diplomatico già avviato faccia leva sui governi più reticenti sbloccando la situazione in modo da impedire che in assenza di criteri comuni ogni Paese si muova in ordine sparso decidendo chi far entrare e chi no. Per approvare la raccomandazione occorre la maggioranza qualificata, almeno 15 governi, che rappresentano il 65 per cento della popolazione europea, devono essere a favore.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Mazza Viviana 
Titolo: Sfida dell’Iran Un mandato d’arresto per Trump – La sfida iraniana: arrestiamo Trump
Tema: Caso Soleimani

L’Iran ha emesso un mandato d’arresto internazionale «per omicidio e terrorismo» nei confronti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e di altre 35 persone non specificate (militari e civili), per l’uccisione del generale Qassem Soleimani, chiedendo all’Interpol di spiccare una «red notice». Lo ha annunciato ieri il procuratore capo di Teheran Ali Alqasimehr, sottolineando che il suo Paese continuerà a perseguire Trump «anche dopo la fine della sua presidenza». L’inviato speciale statunitense per l’Iran Brian Hook gli ha risposto con una conferenza stampa dall’Arabia Saudita, grande rivale dell’Iran nella regione: «E’ una mossa propagandistica che nessuno prende sul serio». Gli stessi media americani hanno dato scarso spazio alla notizia. La «red notice» è il sistema con cui l’Interpol invia richiesta alle forze di polizia mondiali di localizzare e mettere in fermo una persona (in vista dell’estradizione o di azioni simili), ma l’organizzazione ha precisato ieri con un comunicato che nella sua costituzione c’è «il divieto di intraprendere interventi di natura politica, militare, religiosa o razziale»: «Quando riceviamo richieste di questo tipo, non vengono considerate». L’iniziativa della Repubblica Islamica è, pertanto, simbolica. Vuole proiettare forza all’interno, in un momento di problemi economici e legati alla pandemia, dice al Corriere da Washington lo studioso iraniano Vali Nasr, già consigliere dell’amministrazione Obama. «È inoltre una conferma che gli iraniani non negozieranno con Trump, e forse è anche legata alla lettura dei sondaggi elettorali americani che li portano a ritenere che potrebbe non essere rieletto».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Colarusso Gabriella 
Titolo: La sfida degli ayatollah “Uccise Soleimani Trump va arrestato”
Tema: Caso Soleimani

Sei mesi dopo il raid di Bagdad in cui fu ucciso il suo comandante militare più influente, l’Iran sfida gli Stati Uniti. La procura di Teheran ha emesso un ordine di arresto nei confronti del presidente americano, Donald Trump, e di altre 35 persone, tra cui funzionari dell’amministrazione Usa e cittadini di altri Paesi, per l’omicidio del generale Qassem Soleimani, ucciso in un raid americano all’aeroporto di Bagdad il 3 gennaio scorso. Ali Alqasimehr, il procuratore generale di Teheran. ha spiegato che le accuse sono di «omicidio e terrorismo» e che il processo contro Trump andrà avanti anche dopo la fine della sua presidenza. Non ha rivelato i nomi degli altri ricercati, ma ha detto che l’Iran ha chiesto la collaborazione dell’Interpol e una “red notice”, un’allerta rossa, il livello di allarme più alto. L’agenzia non darà seguito alle richieste iraniane, l’ha già chiarito in una nota, perché lo statuto vieta qualsiasi «intervento di natura politica, militare, religiosa o razziale». La decisione di Teheran appare dunque una mossa strategica, finalizzata a ridisegnare l’equilibrio di forza nel Golfo in un momento in cui il presidente Trump appare in difficoltà sul fronte interno. Ieri Brian Hook, il rappresentate speciale della Casa Bianca per l’Iran, ha definito l’ordine di arresto una «trovata propagandistica». Hook era a Riad per discutere dell’embargo sulle armi all’Iran, previsto dall’accordo sul nucleare del 2015 e che scadrà a ottobre. Gli americani vorrebbero che venisse prorogato sine die, l’Iran si appella al fatto che sono usciti dall’intesa sul nucleare nel 2018 e non hanno diritto a rinegoziarne i termini, la Russia e la Cina sostengono Teheran. Oggi se ne palerà al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Pompetti Flavio 
Titolo: Uccisione di Soleimani, l’Iran: mandato d’arresto per Trump
Tema: Caso Soleimani

Ordine di arresto per Donald Trump. Il procuratore generale di Tehran Ali Alqasi Nehr ha spiccato un mandato di cattura per il presidente degli Usa e per altre 35 persone, responsabili dell’attacco missilistico che il 3 di gennaio scorso ha ucciso il generale iraniano comandante delle Forze rivoluzionarie Qasem Soleimani, nelle prossimità dell’aeroporto di Baghdad. L’accusa à di “omicidio” e di “azioni terroristiche”. La procura dichiara che Trump sarà giudicato una volta che avrà lasciato la Casa Bianca, ma nel frattempo chiede all’Interpol di emettere un “codice rosso”, il provvedimento di maggior gravità nell’arsenale dell’agenzia internazionale, che sollecita le polizie di tutti gli stati associati ad arrestare la persona oggetto della richiesta, qualora si trovasse nella loro giurisdizione. Il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Iran, Brian Hook, ha definito l’iniziativa una «boutade politica», e la stessa Interpol ha già risposto che non intende esporsi in un caso che ha connotazioni politiche più che criminali. La stessa motivazione è servita all’agenzia per rifiutare di agire alla fine gennaio sulla base un altro mandato di cattura emesso dalla procura boliviana nei confronti dell’ex presidente Evo Morales, oggi profugo in Argentina. Le autorità iraniane hanno già condannato a morte poche settimane fa un loro cittadino per aver collaborato con l’intelligence estera. L’uomo: Sayed Mahmoud Mousavi, è probabilmente l’informatore che ha reso possibile l’attacco a base di droni che ha ucciso Soleimani e altri cinque negoziatori del Quds in missione in Iraq.Trump non ha risposto personalmente finora alla provocazione, e i suoi collaboratori sono impegnati a districare un altro caso internazionale di ben più grave portata.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Sorrentino Riccardo 
Titolo: Macron investe 15 miliardi per rispondere all’onda verde
Tema: Macron, onda verde

Un brutto risveglio, per Emmanuel Macron. Nessuna grande città è stata conquistata dalla sua forza politica, che si conferma quindi un “partito del leader”, forte per la debolezza delle formazionipolitiche tradizionali e perla presenza di un partito, il Rassemblement national di Marine Le Pen, che si è autosegregato in posizioni troppo radicali per rappresentare tutti i francese e la Francia. L’unica eccezione, Le Havre, ha visto l’elezione di Edouard Philippe: il primo ministro – che ora presumibilmente dovrà scegliere tra le due cariche – gode però oggi di una popolarità superiore, sia pure marginalmente, a quella del presidente. È già stato, inoltre, sindaco della città portuale normanna dal dicembre 2010 al maggio 2017 il suo successore, il repubblicano Luc Lemonnier, non ha dato buona prova di sé: è stato costretto alle dimissioni per aver mandato sue foto nude donne non consenzienti. ALrem è soprattutto sfuggita Parigi, dove è stata rieletta Anne Hidalgo con il 48,49% deivoti. La candidata di Macron Agnés Buzyn, l’ematologa ex ministra della Salute, è risultata terza con il 14,87% dietro Rachida Dati, discussa ex ministra sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, che ha ottenuto il 34,31% dei voti. Hidalgo, socialista, è stata probabilmente premiata anche per le sue posizioni ecologiste. Se i repubblicani e i socialisti, malgrado Parigi, appaiono ancora privi di rotta, sono infatti i Verdi che, dopo l’exploit delle europee, hanno vinto e clamorosamente.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cerati Francesca 
Titolo: Stati Uniti, Russia e Cina: gara a tre per lo sviluppo del vaccino
Tema: Vaccino Covid-19
I soldati cinesi saranno i primi a ricevere uno dei candidati vaccini per Covid-19. La Commissione militare centrale cinese ha dato il via libera grazie agli sviluppi messi a punto da una propria unità di ricerca e da CanSino Biologics, società biotech quotata a Hong Kong, che ha più che triplicato la sua capitalizzazione dall’inizio della pandemia a oggi: il 2 gennaio, il prezzo delle azioni della società era di 59 HKD e lunedì ha chiuso a 219 HKD. Il candidato Ad5-nCoV di CanSino è stato tra l’altro anche il primo al mondo a essere testato in studi clinici di fase 1 e Ha Wuhan, il 16 marzo scorso, e i risultati sono stati pubblicati su The Lancet. Metodo accelerato e simile per arrivare a completare gli studi clinici entro fine luglio è l’approccio che sta portando avanti anche la Russia,terzo Paese più colpito al mondo dall’inizio dello scoppio della pandemia, ai primi di marzo. Come in Cina, sono stati coinvolti 5o militari “volontari” (tra cui 5 donne) per testare la sicurezza e l’efficacia del vaccino, che è simile a quello cinese, impiega cioè un virus inattivato come vettore. In maniera poco ortodossa, però, per arrivare per primi a un vaccino gli stessi ricercatori dell’Istituto di ricerca di Gamaleya di Mosca si sono auto-somministrati campioni vaccinali, e a livello politico si pensa di coinvolgere anche i detenuti.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Santevecchi Guido 
Titolo: Il vaccino cinese testato sui soldati La generale Chen guida i volontari
Tema: Vaccino Covid-19

L’Esercito popolare di liberazione cinese sarebbe orgoglioso di liberare il mondo dall’incubo del Covid-19. L’unica strategia definitiva di uscita dal nuovo coronavirus che infuria da gennaio sembra il vaccino. E Pechino annuncia che le sue forze annate saranno le prime a usare un preparato che dovrebbe immunizzare dall’aggressione virale. Il vaccino, identificato come Ad5-nCoV, è stato sviluppato da un’équipe dell’Accademia militare delle scienze mediche guidata dalla generale dell’Esercito Chen Wei e dall’azienda civile di Tianjin CanSino Biologics. I primi risultati sono promettenti, il prodotto candidato all’uso di massa ha già superato le due prime fasi di test, che hanno anzitutto indicato la sua sicurezza (vale a dire che non avrebbe effetti collaterali dannosi per il corpo umano) e poi la risposta immunitaria «relativamente alta». Nella Fase i il vaccino è stato provato su un piccolissimo numero di volontari, per studiare la sua tollerabilità. Nella Fase 2 sono stati selezionati 500 volontari da sottoporre a studi clinici di efficacia. Nella Fase 3 i test debbono essere allargati a un vasto numero di soggetti. Ma Pechino non ha ancora autorizzato l’uso sui civili, mentre il comando supremo ha approvato la sperimentazione sui militari, per un anno.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: Imprese e migranti, l’Italia riprende l’iniziativa in Libia
Tema: Libia

Con una rapidità davvero insolita per i tempi mediorientali, giovedì prossimo a Roma si riunirà la commissione mista per modificare il memorandum su immigrazione e guardia costiera tenendo presenti le richieste italiane volte a tutelare i diritti umani. Lo ha confermato sabato scorso a Roma lo stesso Serraj in un incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. I due leader «hanno ribadito la convinzione che la soluzione non può essere affidata al piano militare, ma esclusivamente a un impegno comune per il rilancio del processo politico perla stabilizzazione del Paese». Serra] ha apprezzato il ruolo dell’Italia che ha inviato un primo gruppo di artificieri del Genio (altri ne arriveranno a breve) per bonificare le aree intorno a Tripoli dalle mine lasciate dalle truppe di Haftar. C’è, in altre parole, «molta voglia di Italia a Tripoli» anche in funzione di alternativa a un’egemonia turca che con molta rapidità sta sostituendo le forniture militari (che hanno consentito di avere ragione sull’assedio di Haftar) con ruspe e trivelle per il business del futuro. Ma dopo l’incontro di Roma fra Conte e Serraj, il Governo di accordo nazionale ha informato che i due capi di Governo «hanno concordato di formare una commissione incaricata di seguire la ripresa delle attività delle imprese italiane in Libia».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rodari Paolo 
Titolo: Il Papa ai polacchi “I preti pedofili saranno puniti”
Tema: Bergoglio risponde ai fedeli

Sono mesi difficili per la Chiesa polacca. Da tempo l’intero Paese è sconvolto dalle notizie di coperture che alcuni vescovi hanno concesso a sacerdoti che hanno commesso abusi sessuali su minori. Il presidente del presuli, Wojciech Polak, ha reclamato aiuto un mese fa in Vaticano denunciando gli stessi abusi. Mentre ieri, in un appello, 600 fedeli hanno chiesto direttamente al Papa un intervento affinché possa «riparare la Chiesa dalle ferite della pedofilla in Polonia dove la lealtà verso l’istituzione è cieca e sorda, più importante del bene delle vittime». E Francesco, tramite parole raccolte da Repubblica col portavoce vaticano Matteo Bruni, ha fatto sentire la sua voce mettendosi ancora una volta dalla parte delle vittime: «Il Santo Padre è informato dell’appello, prega per coloro che lo hanno rivolto», ha detto. E ancora: «La Chiesa tutta deve fare il possibile perché venga applicata la normativa canonica, i casi di abuso vengano allo scoperto e i colpevoli di questi gravi delitti siano puniti». Delle coperture sono accusati diversi vescovi.
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