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SINTESI IN PRIMO PIANO – 28 settembre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Tridico, la rabbia e la decisione: «Nulla da chiarire, non mi dimetto»;
– La scelta di Conte: cambia il reddito di cittadinanza, stretta su chi rifiuta il lavoro;
– Visco: dal Mes vantaggi economici. Ma no al cattivo utilizzo dei fondi;
– Piano verde da 75 miliardi. Bonus ad aziende e manager “ecologici”;
– Covid-19: la curva sale. 5 mila decessi al giorno. Il mondo ha un milione di vittime;
– Vaticano, sette uomini sotto accusa. Francesco non arretra «L’unica scelta è quella della verità»;
– Armenia-Azerbaigian, brucia il Caucaso. Si riaccende la «guerra dei 30 anni».

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Tridico resiste: «Nulla da chiarire e non mi dimetto» – Tridico, la rabbia e la decisione: «Nulla da chiarire, non mi dimetto»
Tema: Inps – Caso Tridico

Per il presidente dell’Inps Pasquale Tridico non c’è nulla da chiarire, ha già detto tutto il comunicato della direzione del personale dell’Inps: nessun arretrato gli è stato corrisposto in seguito all’aumento di stipendio da 62 mila a 150 mila euro lordi. Nessuna intenzione di dimettersi. L’aumento di stipendio, dice Tridico, decorre, come ha chiarito una nota dello stesso ministero del Lavoro, dall’insediamento del consiglio di amministrazione, di cui lo stesso Tridico è presidente, cioè dal 15 aprile 2020, e non è interpretabile come decorrente dalla nomina a presidente dell’Inps il 22 maggio 2019, cioè ben prima della riforma della governance che ha reintrodotto il cda nell’istituto. Un punto, questo della data di decorrenza dell’aumento di stipendio, sul quale aveva chiesto formali chiarimenti il collegio sindacale dello stesso Inps, poiché il decreto interministeriale firmato da Nunzia Catalfo (M5S) e Roberto Gualtieri (Pd) parlava di decorrenza dalla «data di nomina». Sulla base di queste due note, della direzione del personale Inps e del ministero del Lavoro, Tridico ritiene appunto che il caso non ci sia. «Mancano i fatti», dice. Primo, non c’è mai stata retroattività in quanto, sostiene, con la costituzione del consiglio di amministrazione lui è diventato presidente del consiglio di quest’organo il 15 aprile scorso. Secondo, aggiunge, nessuno nell’Inps ha mai disposto il pagamento di arretrati a suo favore (che nel caso fossero scattati dal maggio 2019, sarebbero ammontati a circa 100 mila euro). Tanto basta a Tridico per ritenere chiusa la questione. Anche se sa benissimo che non sarà così. Perché non ci sono solo gli attacchi scontati dell’opposizione, ma anche le critiche che vengono dall’interno della maggioranza (Italia viva) e «l’approfondimento» sull’intera vicenda avviato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Enr. Ma. 
Titolo: Maxi stipendio, in aprile l’Inps si rivolse al governo
Tema: Inps – Caso Tridico

Adesso si guarderanno le carte. Lo stanno già facendo i ministeri interessati, primo fra tutti quello del Lavoro guidato da Nunzia Catalfo. E lo faranno gli uffici del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha promosso una «verifica» sulla procedura che ha determinato, con un decreto interministeriale (Lavoro-Economia) del 7 agosto scorso, l’aumento di stipendio del presidente dell’Inps da 62 mila a 150 mila euro lordi l’anno, con un pasticcio sulla decorrenza dello stesso (dalla data di nomina o da quella di insediamento?) che avrebbe potuto far scattare il rimborso di pesanti arretrati, visto che Tridico è presidente dal 22 maggio 2019. Pasticcio chiarito l’altro ieri, dopo lo scoppio del caso, da una nota del Lavoro, ma che va approfondito, appunto. Si partirà così dalla riunione dello stesso cda lnps del 22 aprile che ha deliberato i nuovi emolumenti. Può sembrare strano che il cda decida sui compensi dei propri componenti, ma è la legge che lo richiede, perché gli stessi devono essere finanziati con risparmi dal bilancio dell’Inps. Il fatto è che il cda, pur facendo questo, cioè recependo le indicazioni che il ministero del Lavoro aveva dato sugli emolumenti (15o mila euro per il presidente) e trovando le necessarie coperture, parla anche della decorrenza dei compensi, rinviandone la fissazione al successivo decreto interministeriale che doveva chiudere la procedura. Per le opposizioni non c’è dubbio: Tridico deve lasciare e il governo è complice. «Si deve dimettere. C’è ancora gente che aspetta la cassa integrazione», insiste il leader della Lega, Matteo Salvini.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Legge elettorale, Di Maio apre: giusta la soglia del 3 per cento
Tema: M5S – Legge elettorale

Luigi Di Maio interrompe il suo tour nazionale a sostegno dei candidati dei 5 Stelle per un’apparizione televisiva da Fabio Fazio, nella quale parla da ministro degli Esteri ma, di fatto, anche da leader «naturale» del Movimento. Di Maio rivendica i risultati del referendum e spiega che «gli italiani sono riusciti a dettare l’agenda delle riforme dei prossimi mesi. Ora siamo costretti a fare una legge elettorale, a riformare i regolamenti e possiamo superare le pluricandidature». Dice anche, cambiando passo rispetto al passato, che è il momento di «affrontare il tema del bicameralismo». Il modello inevitabile, spiega, è il proporzionale, sia pure corretto con una soglia di sbarramento per la governabilità. Il 3 per cento, gradito anche a Matteo Renzi, «è una soglia sana». Poi chiede di «abolire paracadutati» e introdurre le preferenze. La tappa successiva della lotta «anticasta» sarà il taglio degli stipendi dei parlamentari: «Bisogna dare un segnale, per mantenere un rapporto di fiducia con i cittadini».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso 
Titolo: L’agenda di Conte Via i decreti Salvini entro dieci giorni ma sul Mes frena
Tema: L’agenda di Conte

Una road map, con alcuni paletti già fissati e qualche pericoloso vicolo cieco. Ecco come Giuseppe Conte prepara l’autunno caldo. Convinto di dover concedere molto al Pd, ma intenzionato anche a lasciar sbollire le tensioni nel Movimento. Per questo, il premier porterà presto i decreti sicurezza in consiglio dei ministri – dice così da tempo, ma stavolta sembra quella buona – in modo da offrire un primo segnale al Nazareno. Presto quando? Nicola Zingaretti lo ha pregato di fare in fretta, pur dicendosi certo che alla fine l’avvocato esaudirà la richiesta, «è passata solo una settimana dalle Regionali, questa è la volta buona». L’avvocato gli ha chiesto quindici giorni al massimo, quindi i testi saranno licenziati entro la fine della prima decade di ottobre. È un primo passo. O meglio, sarebbe un primo passo, perché i 5S continuano a resistere: «Recepiremo le osservazioni di Mattarella – fa sapere Luigi Di Maio – C’è una discussione in corso su una modifica, dialogando troveremo una soluzione». Serve comunque un compromesso, anche per “ammorbidire” il Pd nell’altra partita che conta veramente: il Mes. II tempo passa e il premier continua a frenare, spostare l’attenzione, ritardare. Non perché non sia convinto della necessità del fondo – lo è, da tempo – ma perché ritiene che non esistano le condizioni politiche nella maggioranza – cioè nei Cinquestelle – per attivare il meccanismo. L’ha fatto sapere al Nazareno, «non reggiamo al Senato, non adesso», attende condizioni politiche favorevoli. Zingaretti, però, ne ha fatto una bandiera del Pd. Da governatore continua a chiedere un segnale per la sanità. Per uscire dall’incastro, il premier gli ha suggerito una soluzione “mediatica” da sfruttare nel breve periodo: il Recovery Fund.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Caro Paola 
Titolo: Conte: sull’uso dei fondi europei ci giochiamo la credibilità
Tema: L’agenda di Conte

Sull’utilizzo delle risorse messe a disposizione dal Recovery Fund, «si gioca la credibilità, non solo del governo, ma dell’intero sistema-Paese: non possiamo fallire su questo progetto». Sa benissimo Giuseppe Conte che il futuro del suo governo, ma soprattutto dell’Italia, è legato a doppio filo a quello che si riuscirà a fare con i fondi che l’Europa assicurerà per rispondere all’emergenza Covid. E lo ribadisce chiudendo, in collegamento via web, il Festival Nazionale dell’Economia Civile di Firenze. «Siamo nella fase più acuta di una crisi globale, economica e sanitaria. L’antico modello di economia civile ci può salvare e può diventare il fulcro ideale. Non possiamo tornare alla normalità, questo è tempo di rinnovamento. La rigenerazione dell’economia è un fil rouge come auspicio perché si realizzi una più autentica forma dei rapporti tra pubblico e privato che collochi nuovamente al centro il cittadino e la persona umana», ha detto il presidente del Consiglio. A partire dalla «biodiversità»: «Ritengo occorra una riforma costituzionale per valorizzare sempre più la tutela dell’ambiente. Con tutte le forze, senza distinzione tra maggioranza e opposizione, bisogna inserire anche un riferimento allo sviluppo sostenibile». Ma soprattutto, bisogna cambiare prospettiva. «Il lavoro non può essere ridotto a mera occasione di produzione e mera fonte di reddito, ma è lo strumento con il quale il cittadino contribuisce al progresso morale e materiale della società», dice il premier citando Giorgio La Pira.
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Testata:  Giornale 
Autore:  de Feo Fabrizio 
Titolo: L’analisi – Salvini vuole la Lega del «buon senso» E sui poteri speciali non chiude al premier
Tema: Lega

Lega è sempre più in movimento. Il risultato delle Regionali ha confermato che il Carroccio resta la prima forza politica italiana. Questo non significa, però, che Matteo Salvini non percepisca la necessità di avviare una profonda riflessione su come migliorare la Lega, rafforzare la sua percezione pubblica e la sua considerazione internazionale. L’obiettivo è fare ogni sforzo per recuperare i voti persi in un anno, dal boom delle Europee del maggio 2019 alle Amministrative di pochi giorni fa, senza nascondersi che il risultato elettorale avrebbe potuto essere migliore. Di «svolta moderata» nella Lega non si vuole sentir parlare, anche perché, spiegano, «sarà almeno la quinta o sesta volta che viene annunciata dai media una svolta moderata». Certo ieri Salvini, interpellato da Lucia Annunziata sul prolungamento dello stato di emergenza ha usato toni quasi bipartisan: «Se ci sono motivi fondati, che ce li portino in Parlamento e noi agiremo di conseguenza. Non diciamo no solo per il gusto di dire no». In realtà i leghisti sono convinti che anche questa volta da parte del governo Conte non ci sarà alcuna reale volontà di collaborare. Nessuno nella Lega nasconde che il partito vada migliorato affinando e rafforzando la struttura, ma anche riflettendo sui contenuti attraverso la «ricerca di una politica del buon senso». La Lega è comunque stufa di essere etichettata come schiacciata su posizioni filorusse. Salvini da mesi sta rafforzando, complice il lavoro di Giancarlo Giorgetti e Guglielmo Picchi, le relazioni con gli Stati Uniti, anche con prese di posizione importanti, come in occasione dell’ultima crisi Usa-Iran. Senza dimenticare che in Commissione Esteri dell’Eurocamera siedono Cinzia Bonfrisco e Susanna Ceccardi che dall’inizio della legislatura portano avanti il loro lavoro poggiandosi su solide fondamenta filo-atlantiste.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sasso Michele 
Titolo: I morti per Covid a quota un milione Ricciardi: a rischio Lazio e Campania – Covid, un milione di morti nel mondo In Italia gli stessi positivi di aprile
Tema: Emergenza Covid-19

I positivi aumentano per l’ottavasettimana di fila in tutta la Penisola, spingendo verso l’alto il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva (254) e quelli nei reparti Covid (2.846). Incremento anomalo soprattutto in Campania che superala Lombardia. I nuovi casi registrati dal bollettino del ministero della Salute sono 1.766 nelle ultime 24 ore, a fronte dei 1.869 del giorno precedente, ma con quasi 20 mila tamponi in meno. Le vittime sono 17 per un totale di 35.835. Il numero complessivo dei contagiati sale a 309.870. Solo la Valle d’Aosta è ferma a zero mentre al Sud a preoccupare è la Campania, la regione con il maggior numero di pazienti da Sars-cov-2 in Italia: +245 per un totale di 11.874. Napoli si conferma anche ieri la provincia epicentro del fenomeno. Ed anche le altre regioni si attrezzano: uso obbligatorio delle mascherine fuori rasa se si è tra estranei, registrazione e tamponi rapidi per chi proviene dall’estero, controlli periodici sul personale sanitario e sui soggetti fragili, oltre ai divieti di assembramento. Sono le misure di prevenzione della Regione Siciliana appena varate.  Dati che fanno preoccupare anche gli scienziati come Giuseppe Ippolito, direttore del’istituto per le malattie infettive Spallanzani: «Il mondo è sotto scacco, i Paesi vicini a noi anche, l’Italia molto meno ma l’aumento dei ricoverati e delle terapie intensive indica che il virus non è andato via. Dobbiamo essere attenti perché possiamo avere un autunno come la scorsa primavera».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Finizio Michela – Melis Valentina 
Titolo: Il reddito di cittadinanza scade per metà delle famiglie – Sul reddito di cittadinanza un mese di alt per metà beneficiani
Tema: Reddito di cittadinanza

Reddito di cittadinanza in scadenza per 635mila famiglie da qui a fine anno, oltre la metà degli attuali beneficiari. Il 30 settembre, infatti, finiscono i primi 18 mesi di applicazione della misura antipovertà introdotta nel 2019 dal primo Governo Conte. Chi ha chiesto subito l’assegno, a marzo dell’anno scorso, e ha iniziato a incassarlo da aprile, vede scadere questo mese la prima tranche del beneficio. I beneficiari devono sottoscrivere un Patto per il lavoro con il centro per l’impiego, cioè un impegno ad attivarsi nella ricerca di un’occupazione. Mentre su eventuali bisogni della famiglia diversi dal lavoro, entrano in gioco i servizi sociali dei Comuni, con i quali i percettori del sussidio devono sottoscrivere un Patto per l’inclusione sociale. Fatto sta che, a inizio settembre, in base alle comunicazioni obbligatorie arrivate al ministero del Lavoro, i beneficiari che avevano sottoscritto almeno un contratto di lavoro erano 196mila: un piccolo numero rispetto alla platea degli interessati. Da aprile 2019 ad agosto 2020 il reddito di cittadinanza ha raggiunto 1168.364 famiglie, in pratica quasi tre milioni di persone. Sono quasi 136mila, invece, i nuclei beneficiari della pensione di cittadinanza (Pdc), che può essere richiesta sopra i 67 annidi età, se la famiglia ha un Isee sotto 9360 euro e un reddito annuo entro 7.560 euro. Da gennaio 2020 ad oggi il numero dei richiedenti è cresciuto del 25,8%. Nel solo mese di agosto si sono aggiunti 37mila nuovi nuclei beneficiari. Secondo Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, «in questa fase, come si fa a pensare di stare fermi un mese? L’assegno – ricorda – va anche a tanti senza dimora, soggetti in condizioni di estrema povertà e, spesso, di esclusione sociale. Abbiamo suggerito di prolungarne la durata a 22-24 mesi e presenteremo uno studio con proposte migliorative dello strumento».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: La scelta di Conte: cambia il reddito di cittadinanza – Reddito di cittadinanza, stretta su chi rifiuta il lavoro
Tema: Reddito di cittadinanza

Svolta per il reddito di cittadinanza. La disposizione, perentoria, di Giuseppe Conte è avvenuta al termine di tre riunioni riservate avute negli ultimi giorni con il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, con il ministro dell’Innovazione digitale Paola Pisano e con il presidente dell’Anpal (l’Agenzia nazionale delle politiche attive sul lavoro), Domenico Parisi, l’esperto di big data che ha lavorato con successo negli Stati Uniti. Insomma è con taglio molto decisionista che il presidente del Consiglio ha chiesto alla Catalfo e a Parisi di collaborare invece di litigare e ha stigmatizzato che a distanza di un anno e mezzo dall’introduzione del reddito non esista traccia di un sistema unico e nazionale informatico che dovrebbe aiutare i disoccupati a trovare un lavoro e le aziende a trovare le persone che lo cercano. Pur essendo stati stanziati decine di milioni di euro non sono stati finora spesi e il reddito di cittadinanza rischia di restare una misura non a termine o prologo di un inserimento nel mondo professionale, ma puramente assistenziale. Insomma Conte ha negli ultimi giorni prima messo nel mirino Quota 100, ribadendo che non verrà confermata, ventilando anche un nuovo sistema pensionistico che distingua per la prima volta fra lavori usuranti e non. Andrà sicuramente fatta una gara, cambiare alcune norme della legge che ha introdotto il reddito di cittadinanza, forse anche alcune deleghe, ma su questo punto Conte è stato categorico, entro sei mesi non vuole una risposta ma un sistema che funzioni, anche introducendo incentivi per le imprese, che dovranno iscriversi al sistema stesso. L’indicazione del premier è di renderlo inaccessibile a chi rifiuta il posto di lavoro proposto.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Noto Antonio 
Titolo: Il 55% degli italiani diffida della Borsa Fondi troppo costosi – Risparmio congelato dal virus: è crisi di fiducia
Tema: Risparmio gestito

Liquidità e sicurezza degli investimenti sono le due stelle polari dei risparmiatori italiani. Comportamenti e tendenze che sono addirittura aumentati durante il lockdown anche se non è da sottovalutare che al contempo più di un cittadino su tre (il 37%) ha visto diminuire il saldo del proprio conto corrente. Più della metà invece, il 51%, è riuscito a lasciare intatto il proprio patrimonio liquido anche perché – nonostante le difficoltà lavorative e le conseguenze sulle entrate – ha dovuto necessariamente ridurre spese e consumi. Infine, per un ulteriore 8% il risparmio è aumentato in questi mesi per le ristrettezze dovute al lockdown. Come documenta l’indagine di Noto Sondaggi per Il Sole 24 Ore, l’aumento della liquidità è correlato all’età. Infatti tra i più giovani e gli adulti si è registrato un incremento del 10%, mentre tra i più maturi si scende all’8%. Però, è proprio la fascia 18/34 anni quella che ha ridotto maggiormente i consumi (77%) ed ha risparmiato senza intaccare o addirittura aumentando (10%) la liquidità I giovani si confermano risparmiatori prudenti. Fatti i conti in tasca agil italiani, Banca d’Italia stima la ricchezza complessiva in 4.445 miliardi di euro, quasi tre volte il prodotto interno lordo dell’intero Paese. Soldi però in gran parte immobilizzati, considerati un paracadute per il futuro, semmai arrivassero tempi ancor più bui. Infatti, ben 1.019 miliardi sono congelati in conti correnti, 441 in depositi vincolati con basso rendimento e 1.122 miliardi tra fondi pensione e polizze: il resto è destinato ad altre forme di risparmio, anche gestito. Gran parte di queste risorse hanno dunque nell’immediato ricadute quasi nulle sull’economia reale e solo se investite potrebbero dare un forte impulso alla crescita.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Luise Claudia 
Titolo: Il Coronavirus affossa i redditi delle famiglie Fuga dai nuovi negozi: aperture giù del 40%
Tema: Covid-19, le ricadute sulle imprese

In un Paese che ha visto schiantare il suo potere d’acquisto, la prima conseguenza è che non aprono nuove attività commerciali. Fino a giugno, infatti, l’effetto di riduzione del tessuto commerciale è stato anestetizzato, perché se è vero che una percentuale vicina al 20% di serrande è rimasta abbassata, non c’è stata ancora la cessazione delle attività al registro imprese delle Camere di Commercio. «Il fattore preponderante non è la mortalità ma il deficit di natalità – spiega il direttore del centro studi di Confcommercio, Mariano Bella – perché provocherà effetti a lungo termine. Questo è l’aspetto più grave perché la generazione di occupazione dipende proprio dalle nuove attività. Invece nel terzo trimestre 2020, rispetto al 2019, sono stati aperti il 40% di negozi in meno». Si parla di 20319 imprese del commercio mai nate confrontando il primo semestre del 2020 (sono state 51.094) con lo stesso arco temporale del 2019 (erano state 71.413). Questo provoca uri effetto a lungo termine oltre che sull’occupazione anche sul mercato immobiliare. Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, dopo un picco negativo del 2013 quando le compravendite di immobili per il settore commerciale in Italia erano state poco più di 21 mila” c’è stata una netta ripresa che ha portato nel 2019 a chiudere 31.435 contratti. La stima per il 2020 è di un nuovo brusco crollo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Pica Paola 
Titolo: Visco: «Il Mes dà vantaggi economici» – Visco: dal Mes vantaggi economici Ma no al cattivo utilizzo dei fondi
Tema: Mes

L’Europa, con gli accordi di luglio e le scelte che hanno portato allo stanziamento eccezionale di risorse per sostenere l’uscita dalla crisi pandemica, è paragonabile per «potenza» anche comunicativa al celebre whatever it takes pronunciato da Mario Draghi in piena tempesta sull’euro nel 2012. «Faremo tutto ciò che è necessario» annunciò (e mantenne) l’allora presidente della Bce, con un «impatto straordinario sui mercati». Così ieri al Festival dell’Economia di Trento il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. «Si tratta di una decisione storica» ha affermato, ricordando la «determinazione» mostrata dai capi di Stato e di governo. Certo, si tratta di fondi messi in moto per un evento specifico come il Covid-19, «ma la forza di reagire è stata una dimostrazione di unità e consapevolezza». Il governatore si è soffermato sulla questione del Mes, il nuovo meccanismo del Fondo salva Stati che potrebbe attribuire circa 37 miliardi all’Italia per spese vincolate al settore della salute e nei confronti del quale resta alta la diffidenza di una parte della politica. «Dal punto di vista economico – ha detto Visco – il Mes dà solo vantaggi». Tra questi, il fatto di non dover rivolgersi ai mercato a costi più alti. E poi la lunga scadenza del prestito, 10 anni. «La sola condizionalità è spendere bene i soldi nell’ambito della sanità», ha sottolineato citando il rafforzamento dei presidi territoriali, l’assunzione di medici e infermieri, gli investimenti in infrastrutture. «L’unico problema potrebbe essere lo stigma legato a un cattivo utilizzo dei fondi o a una cattiva comunicazione». In sede di Consiglio europeo può essere trovato il modo di non penalizzare l’eventuale ricorso al Mes di un singolo Paese. E non sembra scontato a questo punto ribadire che «la Troika non c’è, non esiste».
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Testata:  Repubblica Affari&Finanza 
Autore:  Occorsio Eugenio 
Titolo: Intervista a Nicola Giammarioli – “Il Mes è cambiato e servirà all’Italia per risparmiare cinque miliardi”
Tema: Mes

“I primi di marzo, quando si cominciava a intravvedere la portata catastrofica della crisi Covid, ci riunimmo in una stanza qui nella sede del Mes nel Lussemburgo, e ci chiedemmo: cosa possiamo fare per aiutare i Paesi europei? Così è nato il Pandemic Crisis Support, approvato dai ministri finanziari in maggio: fin dall’inizio era chiaro che non avrebbe avuto nulla a che fare con i nostri Interventi passati”. Nicola Giammarioli, segretario generale del Mes, il Fondo salva-Stati al centro della bufera politica, dal 18 settembre è stato cooptato nel management board dell’istituzione e investito della cruciale doppia responsabilità di completare la riforma interna e sviluppare i nuovi strumenti finanziari a partire dalla linea di credito pandemica. «La linea di credito sanitaria vale 36 miliardi per l’Italia e si distingue nettamente dalle nostre attività tradizionali: l’unica condizione è che venga usata per gli interventi nella sanità resi necessari da questa sciagurata pandemia», conferma Giammarioli. Lei dice “spese dirette o indirette”: per I banchi di scuola si potevano usare i fondi del Mes? Senza il Covid non ci sarebbe stato bisogno di comprarne di nuovi. «Beh, proprio i banchi forse no. Ma per nuovi reparti sanitari compresi i medici da assumere, per le attrezzature delle rianimazioni, per il ripristino degli ospedali e degli altri presidi territoriali, insomma per tutto quanto necessario a far fronte a possibili nuove emergenze, si può usare il fondo. E se un Paese lo utilizza, fino al 2% del Pil del 2019, potrà utilizzare le risorse proprie che si liberano per altre emergenze come le scuole: visto che i fondi saranno a interessi negativi vista la tripla A di cui gode il Mes, si determinerebbe un risparmio per le casse italiane valutato in circa 4-5 miliardi in 10 anni».
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Testata:  Stampa 
Autore:  De Stefani Gabriele 
Titolo: Piano verde da 75 miliardi – Bonus ad aziende e manager “ecologici” Un piano da 75 miliardi per la svolta verde
Tema: Recovery Fund

Un Green Deal italiano in quattro assi con cui convincere la Commissione europea e portare a casa quel 37% di risorse del Recovery Fund destinate alla rivoluzione verde: per l’Italia si tratta di oltre 75 miliardi di euro. Il piano, declinato in una lunga serie di provvedimenti che fanno capo a diversi ministeri, è pronto e la maggior parte dei documenti è già in movimento verso le commissioni parlamentari che dovranno avviare l’esame. Obiettivo: incassare il via libera del Parlamento alle linee guida entro poche settimane, per poi lanciarsi nella trattativa a Bruxelles e vedere i progetti operativi all’inizio del prossimo anno (al netto dei problemi emersi negli ultimi giorni per l’approvazione del Recovery Plan, con la nuova frenata dei Paesi frugali). Per raggiungere gli obiettivi del Green Deal di Ursula von der Leyen, il governo punta dunque a correre lungo quattro binari: fondi di garanzia per investimenti verdi ed ecobonus; sgravi fiscali per le aziende e per i manager che centrano obiettivi di riconversione ecologica (nasce una sorta di “bonus green” per i dirigenti); finanziamento dei progetti per l’economia circolare, anche con investimenti pubblici; valorizzazione dei parchi naturali, in chiave turistica, sanitaria e naturalmente ambientale, per mettere a reddito un patrimonio ancora poco sfruttato. L’altra grande leva per lo sviluppo che il governo punta ad azionare è quella delle infrastrutture. Anche qui il Recovery Plan è la cornice di un’ampia quota degli investimenti. Non rientrerà nel Recovery Plan il tunnel sotto lo Stretto, che però resta caldo nell’agenda del premier e della ministra dei Trasporti Paola De Micheli: si lavora allo studio di fattibilità.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Barbera Alessandro 
Titolo: Autostrade, ultimatum del governo: risposta in 3 giorni o revoca immediata – Il governo ad Autostrade “Risposta in tre giorni o sarà revoca immediata”
Tema: Dossier Autostrade
I Benetton rifiutano la transazione e denunciano «un esproprio di Stato». L’esecutivo prepara le carte e un piano di gestione della rete senza Anas. La rottura potrebbe costare ad Aspi un default da 16 miliardi. Da un lato il governo che da due anni – da quel maledetto 14 agosto del crollo di Ponte Morandi – minaccia un atto di revoca mai formalizzato. Dall’altra Autostrade la quale, forte della minaccia di una richiesta miliardaria di risarcimento, tenta di minimizzare il costo dell’uscita da una delle più vantaggiose concessioni della storia. La scena cult si ripete ormai alla noia, prima con la maggioranza giallo-verde, ora con quella giallo-rossa. I protagonisti sono sempre gli stessi: da un lato Giuseppe Conte, per ironia della sorte un avvocato amministrativista, dall’altra la famiglia Benetton, i suoi sedici eredi e i molti investitori internazionali azionisti di Autostrade e della capogruppo Atlantia. Difficile dire se siamo all’ultimo atto, di certo ci siamo molto vicini. Sabato, in un vertice a tre fra Conte, il ministro del Tesoro Gualtieri (azionista di Cdp) e la collega dei Trasporti Paola De Micheli (titolare della concessione) si è deciso che se entro fine mese (mercoledì) Autostrade non scenderà a patti stavolta sarà davvero revoca. Occorrono un atto amministrativo – firmato dal direttore generale del Mit e controfirmato da Gualtieri e De Micheli – più un decreto per restituire allo Stato la gestione della rete, e senza il coinvolgimento di Anas. Quei due atti potrebbero valere un default da sedici miliardi. Ma siamo al punto del film in cui si spara solo per mancanza di lucidità. Sui titoli di coda quel punto apparirebbe un giudice del Tar del Lazio, con promessa di sequel.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Foschini Giuliano 
Titolo: Così la Cina si sta prendendo il porto di Taranto – Taranto sulla via della Seta il porto in mani cinesi Ma è allarme sicurezza
Tema: Taranto

Taranto è una città che sta su due bordi, l’Adriatico e lo Jonio. Eppure ha la capacità di essere sempre al centro delle cose. Lo è con le ciminiere dell’Ilva, il più grande Impianto siderurgico d’Europa, e ora anche uno dei più grandi guai del Continente: che fare? Continuare, chiudere, riconvertire, all’infinito arrivano soluzioni che poi vengono puntualmente disattese. Fatto sta che oggi cinquemila dipendenti su 8.200 sono in cassa integrazione. Ma il nuovo centro di Taranto è il mare, il suo porto, tra i più importanti del Mediterraneo, che si trova oggi a essere centro della partita geopolitica più importante, quella tra l’Occidente e la Cina. Come ha raccontato ieri Repubblica – con un articolo del direttore, Maurizio Molinari – i porti sono uno dei due tasselli (con il 5G) attorno al quale si gioca in Italia la partita fra Cina e Stati Uniti. E lo sono perché il porto di Taranto sta finendo sotto l’influenza cinese. Tutto è cominciato lo scorso anno quando è stata affidata, per i prossimi 49 anni, la gestione del terminal contenitori ai turchi di Yilport Holding. Un’informativa dell’Aise, il nostro servizio di intelligence estera, ricostruisce come Yilport sia socia della Cosco, compagnia di Stato cinese. Sempre a Taranto sta per chiudersi poi l’operazione per l’affidamento dell’area dell’ex yard Belelli, una delle più grandi del porto (220mila metri quadrati), al Ferretti group, oggi controllato per l’85 per cento dai cinesi del Weichai Group. Dovranno costruire scafi e realizzare un centro di ricerca. «Sono occasioni importantissime per il nostro porto e per il futuro di Taranto», dice il presidente dell’Autorità portuale, Sergio Prete. «Investimenti e lavoro». La sola operazione Belelli mette sul tavolo un centinaio di milioni e 400 posti di lavoro, per cominciare. Ma, la questione, come Prete sa, è molto più complessa. Taranto rappresenta storicamente, però, uno snodo fondamentale per i Paesi Nato, oltre a essere una dei porti principali della Marina militare italiana.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Giambertone Francesco 
Titolo: La curva sale: 5 mila decessi al giorno Il mondo ha un milione di vittime
Tema: Emergenza Coronavirus

Duecentosessanta giorni dopo l’11 gennaio, quando la Cina registrò il primo decesso ufficiale a causa dello sconosciuto Sars-Cov-2, un mondo trasformato raggiunge oggi la terribile quota di un milione di morti. In 8 mesi e mezzo, le vittime del coronavirus sono già molte più delle 690 mila dell’Aids nel 2019, e oltre il doppio delle 400 mila della malaria nello stesso periodo; entro qualche mese – ha ipotizzato Michael Ryan, dirigente dell’Oms – questo numero «potrebbe crescere fino a raddoppiare», superando gli 1,5 milioni di decessi per tubercolosi dello scorso anno. Un’ecatombe così non era immaginabile. Eppure c’è chi ancora, da Londra a Madrid, grida in piazza teorie cospirazioniste che reputa più credibili di una realtà così dura. Ma la fase acuta della pandemia è tutt’altro che superata. Tra agosto e settembre le vite perse nel pianeta hanno continuato ad aumentare, assestandosi su una media di 5 mila ogni 24 ore nell’ultima settimana. Con l’India che conta 7.700 vittime ogni 7 giorni, e si avvia a inizio ottobre a superare i 200 mila morti. Nemmeno la metà di quelli degli Stati Uniti, il Paese più colpito sia in termini di casi (7,1 milioni sui 33 globali) sia per vittime, con 205 mila americani che hanno perso la vita da marzo, e continuano a morire a 5 mila alla settimana, con un tasso di fatalità (decessi tra i positivi) sceso dal 5 al 3%.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Scuderi Raffaella 
Titolo: Un milione
Tema: Emergenza Coronavirus

Oggi stiamo per superare la soglia di un milione di morti in 188 Paesi. Due giorni dopo l’avviso dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) sul fatto che potremmo arrivare a due milioni prima che funzioni un vaccino. Ci stiamo avvicinando alle cifre dell’influenza asiatica del 1957-58 che fece 1,1 milioni di morti e siamo molto lontani dai 50 milioni dell’influenza spagnola del 1918-19. Di questo milione di vittime da coronavirus, quasi un terzo sono in Nord America: circa 307 mila. Con oltre 247 mila morti, segue il Sudamerica in cui il Brasile è il Paese più colpito con più di mille morti al giorno. L’Europa ne conta 220 mila e sta affrontando ora l’inizio della seconda ondata. Dopo i viaggi estivi, l’attenzione è adesso tutta puntata sugli effetti della riapertura delle scuole e l’arrivo del primo freddo. In Francia un terzo dei cluster riguarda proprio gli istituti di vari gradi e le università, dove si contano 285 focolai. Anche nel Regno Unito i numeri sono risaliti: più di cinquemila contagi e 17 morti al giorno. La comunità scientifica lancia l’allarme. «Passeremo a 100 decessi al giorno nel giro di tre o quattro settimane», ha detto il professor Graham Medley, esperto di modellizzazione delle malattie infettive. Dopo le Americhe e l’Europa, l’Asia è l’area più colpita con quasi 190 mila morti. L’India ha il bilancio più drammatico: stando agli ultimi numeri del ministero della Salute , sono più di 88 mila i nuovi casi confermati nelle ultime 24 ore e 1.124 i morti. Penultime nella triste classifica, l’Africa con 35 mila decessi e l’Oceania con 910.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ginori Anais 
Titolo: Il fallimento francese tutti gli errori contro il Covid e il lockdown non è più tabù
Tema: Emergenza Coronavirus – Francia

A colpi di record, con una media di nuovi contagi compresa tra i 12 e 16mila quotidiani, le terapie intensive che si riempiono, il governo costretto a mettere in conto possibili lockdown locali, la Francia rischia di diventare il malato d’Europa. Com’è possibile che un Paese del G7, potenza nucleare, uno Stato con una delle spese pubbliche più alte d’Occidente, governato non da un populista come Donald Trump o Boris Johnson, non sia riuscito ad arginare il virus? «Saremo pronti», aveva promesso a luglio Macron in caso di rimbalzo dell’epidemia. Oggi invece il governo naviga a vista, dai milioni di tamponi che servono a poco quando i risultati arrivano troppo in ritardo, agli ospedali in affanno, all’applicazione StopCovid che doveva tracciare i contagi e neanche il premier Jean Castex ha scaricato. La parola lockdown non è più tabù in Francia. Tanto che due economisti premio Nobel, Esther Duflo e Abhllit Banerjee, propongono addirittura su Le Monde di chiudere il Paese per tre settimane prima di Natale. «La seconda ondata rischia di essere peggio della prima», è l’allarme di Frédéric Valletoux, presidente della federazione degli ospedali francesi. I posti in terapia intensiva sono 5mila, di cui 1000 già occupati da pazienti Covid. La capacità non è aumentata rispetto alla primavera, anzi. «Molti medici e infermieri si sono messi in malattia o hanno deciso di cambiare lavoro dopo il tour de force di marzo», spiega Valletoux, aggiungendo: «Negli ospedali c’è un 30% di incarichi vacanti, era già così prima del Covid».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Vecchi Gian_Guido 
Titolo: Il rigore del Papa «Non si cede alla menzogna» – Caso Becciu, Francesco non arretra «L’unica scelta è quella della verità»
Tema: Città del Vaticano – Caso Becciu

Angelo Becciu lamenta di essere stato «già condannato» dal Papa senza un processo, ma il punto non è l’eventuale responsabilità penale. Per Francesco, evidentemente, le cose erano già abbastanza chiare da dirgli «non ho più fiducia in lei» e imporre al cardinale, oltre alle dimissioni, la rinuncia ai «diritti e le prerogative» della porpora. Bergoglio, spiegano Oltretevere, è determinato ad andare «fino in fondo» a un percorso avviato da tempo. Quelle operazioni «sospette», spiegava Francesco, «mal si conciliano con la natura e le finalità della Chiesa» e questo «al di là della eventuale illiceità». Becciu ha raccontato che il Papa gli ha parlato di sospetti di «peculato» per aver favorito i fratelli: 100 mila euro della Segreteria e pressioni sulla Cei per finanziare la coop di uno, lavori di falegnameria affidati a un altro, promozione della birra prodotta dalla società di un terzo, Mario, che parla di «un progetto di inserimento di ragazzi autistici». Angelo Becciu ha smentito le accuse: i soldi sono andati alla Caritas, nessun favore. Ma intanto è saltata fuori un’altra vicenda, pubblicata da Domani: il finanziere e petroliere angolano Antonio Mosquito, amico di Becciu – lo stesso che nel 2012 propose all’allora Sostituto di investire 200 milioni di dollari in una piattaforma petrolifera in Angola: poi non se ne fece nulla – ha finanziato l’anno scorso per 1,5 milioni di euro il «progetto birra» del fratello Mario, il quale ha replicato che sono arrivati 800 milioni ed è «tutto regolare». Anche questo, a Francesco, non è piaciuto affatto.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Foschini Giuliano 
Titolo: Con il cardinale ci sono altri sei accusati. Ecco le rivelazioni decisive – Vaticano, sette uomini sotto accusa Il Papa: Gesù non diceva menzogne
Tema: Città del Vaticano – Caso Becciu

Sono sette, compreso l’ormai ex cardinale, Angelo Becciu. Sono accusati, a vario titolo, di peculato, abuso di autorità e corruzione. E presto finiranno a processo. Il Vaticano ha deciso di accelerare nel procedimento sulla gestione dei fondi dell’Obolo di San Pietro che parte dall’acquisto spregiudicato tra il 2013 e i12018 di un palazzo nel centro di Londra, con un investimento di circa 300 milioni. Il palazzo a Kensington, al 60 di Sloane Avenue, era la parte più importante di un investimento più complesso, con capitali che la Santa Sede aveva in conti svizzeri: un investimento, quello londinese, che si è rivelato svantaggioso per il Vaticano ma che ha permesso al finanziere Raffaele Mincione e al broker Gianluigi Torzi di intascare 16 e 10 milioni come commissioni per la transazione. L’indagine è stata delicata. E ha avuto una svolta nelle ultime settimane quando sono accadute due cose. Il nucleo di Polizia tributaria della guardia di Finanza di Roma ha dato una prima risposta alla rogatoria vaticana mettendo in fila movimenti e transazioni, anche all’estero che certificherebbero come almeno 500 dei 650 milioni di euro, «derivanti in massima parte dalle donazioni ricevute dal Santo Padre per opere di carità e per il sostentamento della Curia Romana» si legge nei documenti, sarebbero finiti in investimenti finanziari spregiudicati, alcuni in paradisi fiscali, con «vistose irregolarità» che aprono «scenari inquietanti». Il broker Torzi, che era stato fermato dalla Gendarmeria Vaticana, ha collaborato alle indagini. Parlando per tre giorni, fornendo una ricostruzione dei fatti precisa, e riscontrata. Che ha convinto definitivamente Papa Francesco a licenziare il cardinale Becciu.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rodari Paolo 
Titolo: Il retroscena – Vaticano, svolta nelle finanze adesso il Papa cambia tutto – Il terremoto di Bergoglio La Segreteria di Stato resta senza portafoglio
Tema: Città del Vaticano – Caso Becciu

Il progetto è stato definitivamente avviato circa 10 giorni fa. Francesco, in seguito allo scandalo del palazzo di Londra e alla destituzione del cardinale Angelo Becciu dai suoi incarichi, ha deciso di togliere qualsiasi risorsa economica alla Segreteria di Stato, compreso il fondo che fino a ora era a disposizione del Sostituto e nel quale confluivano anche parte dei soldi dell’Obolo di San Pietro. Di fatto, a breve, il dicastero della Santa Sede diverrà a tutti gli effetti senza portafoglio. Ogni competenza passerà nelle mani dell’Apsa con il controllo della Segreteria per l’Economia, così la liquidità sarà a disposizione di due uomini di fiducia di Francesco, rispettivamente monsignor Nunzio Galantino e il gesuita padre Juan Antonio Guerrero Alves. La mossa non è solo per dare uno scossone alla riforma delle finanze interne, ma anche per sollevare la figura del Sostituto – oggi è il venezuelano Edgar Peña Parra – da qualsiasi pressione esterna. Come ha evidenziato l’indagine promossa dalla magistratura vaticana sull’immobile di Londra acquistato nel 2014 dalla Segreteria di Stato – un antico magazzino di Harrods nell’esclusivo quartiere di Chelsea, non lontano da Sloane Avenue – le pressioni su Becciu da parte di faccendieri esterni sono state importanti. Per il futuro Francesco non vuole più che il Sostituto le subisca. Per il Papa, nonostante gli errori, Becciu resta una persona che ha fatto del bene. Non a caso, nonostante lo attenda un processo, non solo gli ha lasciato l’appartamento nel palazzo apostolico, ma anche per intero lo stipendio.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Battistini Francesco 
Titolo: Armeni e azeri, brucia il Caucaso Si riaccende la «guerra dei 30 anni»
Tema: Caucaso

Riecco la guerra dei trent’anni. Armeni contro azeri. Cristiani contro musulmani. Filorussi contro filotúrchi. Torna il più lungo conflitto ereditato dalla fine dell’Urss. Il più dimenticato. Che apparve al mondo nel 1988, quando non era ancora caduto il Muro e il Nagorno-Karabakh, 143 mila abitanti armeni, grande meno di mezza Sardegna, rifiutava «l’azerificazione imposta fin da Stalin» per unirsi alla madre Armenia. Che è proseguito prima con 30mila morti, poi nella piccola pace del ’94 e in quest’ultimo trentennio, mentre tutt’intorno s’accendevano i fuochi di Cecenia e Georgia, Dagestan e Ucraina. Fino alla crisi dei 200 ammazzati nel 2016. Fino all’alba di ieri, con la provincia riprecipitata in uno scontro aperto: 16 morti e un centinaio di feriti, donne e bimbi compresi, legge marziale e coprifuoco ovunque, mobilitazione generale dei 18enni, Erevan ad accusare gli azeri d’aver bombardato a freddo e a rivendicare la distruzione di due elicotteri e di tre tank, Baku a replicare che è stata una ritorsione alle provocazioni armene, ad avvertire che non accetterà comportamenti aggressivi, a elencare un elicottero abbattuto e dodici basi missilistiche polverizzate… Col Papa, l’Ue, la Russia, l’Iran, tutti a chiedere che si torni ai negoziati. Già, i negoziati. Per anni, ogni mese, azeri e armeni si sono incontrati in una tenda dell’Osce montata e smontata al confine. A discutere, rompere, riaggiustare. Sempre inutilmente.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ansaldo Marco 
Titolo: Armenia-Azerbaigian i nuovi venti di guerra incubo per l’Europa
Tema: Caucaso

Legge marziale a Erevan, coprifuoco a Baku, stato di guerra a Stepanakert, capitale del Nagorno-Karabakh. Armenia e Azerbaigian fanno risuonare le armi nel Caucaso, proprio mentre la Turchia, riportando in rada le sue navi nel Mediterraneo orientale, sembrava calmare le tensioni dell’intera area aspettando negoziati con l’Europa e con la Grecia. Ma l’irrisolta questione del Nagorno-Karabakh, l’enclave armena in territorio azero, rimette ora tutto per aria, mentre la Russia spalleggiando l’Armenia chiede «un immediato cessate il fuoco». I venti di guerra sono tornati a soffiare ieri mattina, quando nella regione autonoma contesa del Nagorno, bombardamenti e scontri tra i separatisti sostenuti da Erevan e l’esercito di Baku hanno causato decine di vittime, anche tra I civili. Le due repubbliche ex sovietiche si criticano reciprocamente per avere riaperto le ostilità, in una guerra cominciata all’inizio degli anni ’90 che ha lasciato 30 mila morti sul terreno. L’Azerbaigian accusa l’Armenia di avere violato il cessate il fuoco del 1994 negoziato da Mosca, Washington e Parigi, bombardando le postazioni avversarie. Erevan invece accusa Baku di avere lanciato missili contro insediamenti civili a Stepanakert. I separatisti armeni parlano di “perdite inflitte” all’esercito azero e di avere abbattuto due elicotteri. Baku ha confermato che un suo elicottero è stato colpito, ma con l’equipaggio riuscito a mettersi in salvo, e rivendica di aver distrutto 12 batterie antiaeree conquistando sei villaggi lungo il confine. I soldati separatisti armeni uccisi sono almeno 16. E 5 i civili, appartenenti tutti a una stessa famiglia.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Affondi, invettive, colpi da ko così Trump e Biden preparano il duello tv che vale l’elezione
Tema: Usa

Domani sera è sfida all’ultimo sangue fra Donald Trump e Joe Biden. Alle tre del mattino di mercoledì sul fuso orario italiano, i due candidati alla Casa Bianca si affrontano per la prima volta. I sondaggi continuano a dare il democratico in vantaggio; anche se permane una forbice tra la media nazionale dove Biden infligge all’avversario circa nove punti, e i risultati negli”Stati contesi” dove il margine scende sotto i quattro punti. È comunque il presidente in carica che deve fare una rimonta in extremis. Trump ostenta sicurezza, al punto che il suo entourage confessa candidamente: il presidente non si sta preparando neanche un po’. L’unica pre-tattica che Trump adora, e continua a praticare nelle ultime ore, è il dileggio: «Facciamo l’anti-doping a Biden». Trump sbeffeggia la presunta senilità di Biden, si chiede quali sostanze prenderà. Trump non si allena perché si considera un animale televisivo. Il suo unico successo vero – prima dell’elezione – era stato il concorso reality-tv The Apprentice, che lo aveva consacrato come uomo di spettacolo. L’esatto opposto accade in campo democratico. Biden si prepara scrupolosamente, con sedute di simulazione dove a recitare la parte di Trump c’è Bob Bauer, uno dei suoi consiglieri più fidati. L’unico dettaglio di cui Bauer fa a meno è il travestimento, la parrucca gialla, il fondo tinta arancione (in passato si arrivava anche a quello). Per il resto cerca di replicare ogni possibile attacco, insulti compresi.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Semprini Francesco 
Titolo: Corte Suprema, Biden all’attacco di Trump “La nomina di Barrett è un abuso di potere”
Tema: Usa

Parte l’offensiva democratica contro la nomina di Donald Trump alla Corte suprema della giudice Amy Coney Barrett tacciata di voler distruggere i diritti di milioni di americani, a partire dall’Obamacare. Una decisione cheJoe Biden ha definito un vero e proprio «abuso di potere», invitando l’America a «porre fine al caos in cui Trump ha gettato il Paese». «Spero che il Senato faccia la cosa giusta e si schieri dalla parte della democrazia», l’appello del candidato democratico alla Casa Bianca. «II Senato non dovrebbe votare fino a che non votano gli americani. Non dovrebbe agire fino a che gli americani non hanno scelto il loro prossimo presidente e il loro prossimo Congresso», ha ammonito l’ex vicepresidente, rinnovando cose l’invito a rinviare tutto a dopo le elezioni del 3 novembre: «Se sarò eletto, la nomina fatta dal presidente Trump dovrebbe essere revocata». Per “SleepyJoe”, come lo ha definito Trump, l’obiettivo immediato è quello di cancellare definitivamente la riforma sanitaria varata nel 2010 da Barack Obama, un sogno a lungo coltivato dai repubblicani e che ora con la Corte sbilanciata a favore dei conservatori può diventare realtà. Trump in effetti non fa nulla per nascondere le sue mire, e il giorno dopo la nomina di Barrett indica quella che per lui deve essere la prima mossa della Corte: abolire proprio l’Obamacare. «La sostituiremo con qualcosa di migliore e di molto più economico. E sarà una grande vittoria per gli Usa!», ha twittato il presidente. Per la candidata democratica alla vicepresidenza, Kamala Harris, «la scelta fatta da Trump è chiara»: «Vuole distruggere l’Affordable Care Act e rovesciare la Roe», ha affermato, riferendosi all’Obamacare e alla storica sentenza che nel 1973 ha legalizzato l’aborto negli Usa e che Trump ha detto di voler modificare.
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Testata:  Stampa 
Titolo: Svizzera, bocciato il referendum anti immigrati
Tema: Svizzera

Con quasi il 62% di voti contrari, gli svizzeri hannobocciato l’iniziativa della destra sovranista contro l’immigrazione che avrebbe condotto il Paese, benché non membro deil’Ue, ad una sorta di Breait in salsa elvetica. II referendum chiedeva di porre fine all’accordo libere circolazione delle persone tra Svizzera ed Unione europea.
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Testata:  Messaggero 
Titolo: Salta l’udienza, Zaki resta in carcere
Tema: Caso Zaki

Dopo i cinque mesi dell’incubo coronavirus, ora pure una tentata evasione di condannati a morte contribuisce a prolungare – stavolta di altri dieci giorni – la custodia cautelare in carcere in cui la giustizia egiziana tiene dal febbraio scorso Patrick Zaki a causa di una decina di post scritti su Facebook forse da altri ma considerati propaganda sovversiva punibile con 25 anni di prigione. Il suo caso è monitorato con attenzione dall’ambasciata italiana al Cairo, che coinvolge nell’iniziativa le rappresentanze diplomatiche dei più importanti Paesi europei. Ma Amnesty International lo vorrebbe più alto nell’agenda del governo italiano. Sabato si è tenuta una nuova udienza, ma lo studente dell’Alma Mater bolognese non era stato portato davanti alla Corte di assise.
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