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SINTESI IN PRIMO PIANO – 28 novembre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Meno restrizioni al Nord. Lombardia in zona arancione
– Rimpasto di governo, ora si tratta
– Asta record del Tesoro
– Conte: Piano Recovery in arrivo
– Cdp rinvia l’offerta per Autostrade
– Ucciso il capo del programma nucleare iraniano. Accuse a Israele

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Rossi Giampiero 
Titolo: Meno restrizioni al Nord – Libertà di uscire e negozi aperti Fontana: premiata la nostra serietà
Tema: Covid, Lombardia in zona arancione

«Il comportamento serio dei lombardi tenuto in queste settimane ha consentito di ottenere oggi che la Lombardia entrasse nella zona arancione». Quando il presidente della Regione Attilio Fontana annuncia la buona notizia, il provvedimento non è ancora stato firmato. E lui stesso a precisare, infatti, che «il ministro Roberto Speranza oggi firmerà l’ordinanza che verrà pubblicata domani in Gazzetta Ufficiale, per entrare in vigore il giorno successivo». Ma dopo l’ennesimo braccio di ferro digitale tra Milano e Roma sulla data dell’effettiva «promozione» della Lombardia, Fontana preferisce sgombrare il campo dai dubbi e non appena ha raggiunto la certezza della decisione sceglie di accelerare i tempi della comunicazione. In sostanza, dunque, per la Lombardia c’è da scontare ancora una giornata (oggi) di austerity e soltanto da domani saranno effettivi i benefici della fascia arancione. «I negozi da domenica possono riaprire, le seconde e terze classi della scuola media da lunedì torneranno a fare lezione in presenza, all’interno del Comune di residenza si potrà circolare senza autocertificazione», riassume il governatore. Accanto a queste novità, tuttavia, resta il coprifuoco dalle 22 alle 5 e anche il divieto di spostarsi al di fuori del proprio comune e della propria regione, salvo i consueti motivi di lavoro, necessità e salute. Nessun cambiamento, inoltre, per bar e ristoranti: restano chiusi sette giorni su sette, con la possibilità di svolgere fino alle 22 servizio d’asporto. Da domani, invece, saracinesche aperte per i negozi di tutti i tipi (non più soltanto quelli alimentari), compresi quelli di estetica e i centri commerciali, che però devono chiudere nei giorni festivi e prefestivi. Sul fronte scuola, rimane la didattica a distanza per le superiori e le università.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica – Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Messe e scuole: le novità – Ecco dove si cambia fascia Natale sarà senza deroghe
Tema: Covid

La «liberazione» dalle restrizioni della zona rossa per Lombardia, Piemonte e Calabria è la «buona notizia» che il governo e i presidenti delle Regioni aspettavano da giorni. Da domani nei territori che entrano in fascia arancione i negozi potranno riaprire e i ragazzi di seconda e terza media torneranno a scuola. Ma se la Liguria e la Sicilia diventano gialle e la geografia nazionale del rischio da Covid-19 cambia ancora, per gli studiosi la situazione epidemiologica del Paese non consente allentamenti. Il consiglio è di tenere duro, costi quel che costi, perché l’impatto del virus sui sistemi sanitari regionali è ancora troppo forte e troppo alto il rischio di una pericolosa «inversione di tendenza» rispetto al lieve miglioramento dei dati. Con la relazione del Comitato tecnico scientifico sul tavolo i ministri del governo Conte hanno discusso per ore, nel tentativo di trovare un accordo sulle regole chiave del Dpcm che il premier spera di firmare entro il 2 dicembre.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Ricoveri e nuovi malati in calo In 10 regioni l’Rt è sotto quota 1
Tema: Covid

L’epidemia rallenta, lentamente ma rallenta. L’ultimo monitoraggio settimanale del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità certifica l’abbassamento dell’Rt, l’indice di contagiosità, arrivato a quota 1,08, quindi vicino alla soglia che porterebbe a un superamento del plateau di contagi e a un decremento dei casi. L’andamento è complessivo, con 10 regioni che hanno già un indice inferiore a 1 e quindi sono ufficialmente in discesa. Naturalmente non è ancora superata l’emergenza, perché il sistema sanitario è ancora in sovraccarico, ma la tendenza fa uscire dalla zona rossa tre regioni — Lombardia, Calabria e Piemonte — che passano alla zona arancione e fa declassificare in zona gialla Liguria e Sicilia. I dati giornalieri, invece, vedono 28.352 nuovi casi (ieri erano +29.003), con un numero di tamponi leggermente inferiore (222.803, 9.908 in meno del giorno precedente) e un numero di decessi ancora altissimo: 827 (contro gli 822 di giovedì). Segnali positivi (nella grave sofferenza che continua) arrivano dagli ospedali, dove diminuisce per il secondo giorno consecutivo la pressione: i pazienti ricoverati con sintomi sono 33.684 (-354, giovedì-275), mentre i malati in terapia intensiva sono 3.782 (-64, gioved’1-2). L’analisi del monitoraggio è a due facce. Ci sono ancora dieci regioni «classificate a rischio alto di trasmissione» del Covid. Sono Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Provincia di Bolzano, Puglia, Sardegna e Toscana. L’ultima è la Calabria, che è stata giudicata «non valutabile» e quindi equiparata a rischio alto, perché non ha trasmesso i dati, a dimostrazione del caos che regna in Regione.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Pagnoncelli Nando 
Titolo: Consensi in calo per governo e Cinque Stelle La Lega è prima – Cala ancora il gradimento per Conte Giù i 5 Stelle, diventano quarto partito
Tema: sondaggio

La seconda ondata del Covid ha riportato le divisioni nel Paese, facendo archiviare (provvisoriamente?) la stagione della concordia che aveva caratterizzato la scorsa primavera. Pur in presenza di una diffusa preoccupazione per la situazione sanitaria, le opinioni si dividono riguardo alla pericolosità del virus rispetto alla prima fase: il 45% lo considera meno aggressivo mentre il 46% non lo ritiene diverso. Si acuisce il senso di insofferenza tra i primi e di fatica tra i secondi. Nemmeno la prospettiva che presto sarà disponibile il vaccino favorisce il miglioramento del clima sociale: infatti solo un italiano su tre intende vaccinarsi non appena possibile, uno su sei si dichiara contrario al vaccino e la maggioranza relativa (41%) esprime cautela e preferisce attendere di conoscere l’efficacia e i rischi connessi ai possibili effetti collaterali. Inoltre, aumenta il pessimismo riguardo alla situazione economica del Paese: il 61% si aspetta un peggioramento, mentre due mesi fa i pessimisti erano il 42%. Alla luce di questo scenario non stupisce che in novembre siano diminuiti gli indici di gradimento per l’operato del governo e del presidente Conte che oggi si attestano rispettivamente a 52 (-2 punti) e a 55 (-3 punti), ossia il livello più basso dal conclamarsi della pandemia. La Lega – secondo il sondaggio Ipsos – si conferma il primo partito con il 25,5% e aumenta di un punto. A seguire il Pd con il 20,6%, sui livelli di fine ottobre, poi Fratelli d’Italia (15,5%) che, sebbene in flessione di 0,4%, scavalca il M5S (15%, in calo di 0,9%).
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Diamanti Ilvo 
Titolo: Mappe – Un italiano su tre spera nelle imprese – Imprese e governo motori del rilancio gli italiani bocciano politica e sindacati
Tema: sondaggio

Al tempo del virus si affermano alcune certezze. Amare. Alcune paure. Riguardano, in particolare, l’economia e il lavoro. Se è difficile immaginare il futuro attraverso la lente del virus, assai più facile è osservarlo dalla prospettiva economica. Ed è un futuro certamente oscuro. Come annuncia il presente. Scandito da dati e statistiche che lasciano pochi dubbi. Pochi motivi di speranza. Anche perché riflettono la condizione e la vita delle persone e delle famiglie. Tuttavia, proprio per questo, è necessario, oltre che utile, reagire. Osservare i segnali e gli attori di una ripresa che occorre sostenere. È il senso – l’obiettivo – dell’indagine realizzata da Demos per Libera, nelle scorse settimane. Attraverso un sondaggio, condotto su un campione rappresentativo, per capire quali siano, secondo gli italiani, I soggetti che possono contribuire maggiormente alla “ripresa” economica. I risultati sono interessanti e significativi. Vedono protagonisti, per primi, imprese e Imprenditori. Per usare una formula e una metafora linguistica: I ri-prenditori. Gli “imprenditori della ripresa”. Considerati, da quasi 4 italiani su 10 (38%), i primi attori che possono spingere l’economia del Paese. Soprattutto se affiancati dalle istituzioni di governo, valutate come importanti soggetti dello sviluppo economico da un terzo dei cittadini. La crisi pandemica, d’altronde, ha spinto i cittadini a stringersi intorno al governo, garantendogli un consenso sconosciuto, da tempo. In molti guardano, inoltre, al mondo della ricerca. E all’università. Dunque, per la ripresa, gli Italiani puntano su imprese, governo e università. Con alcune differenze dettate dall’area di residenza e, ancor più, dall’orientamento politico. Il governo, infatti, viene indicato, in particolare, da chi risiede nel Mezzogiorno. Ma, soprattutto, dagli elettori dei partiti “di governo”, appunto. Mentre chi è vicino all’opposizione di Centro-destra si rivolge piuttosto alle imprese. Soprattutto la base di Forza Italia. Per definizione: il “partito impresa”. Tuttavia, molti intervistati guardano con fiducia anche “se stessi”. Pensano, cioè, che un contributo importante alla ripresa economica possa venire dai cittadini.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Rimpasto, ora si tratta – Rimpasto di governo Conte adesso tratta Incontro con Renzi
Tema: governo
Per la seconda volta in un mese, Matteo Renzi varca la soglia di Palazzo Chigi dopo che per anni non ci aveva più messo piede. Ad attenderlo, giovedì mattina, c’era il presidente del Consiglio. Non si tratta di un vertice ufficiale, com’è successo il 5 novembre, ma di un incontro riservato, privatissimo. Il premier ha capito che non sono un bluff, le voci costruite e lasciate circolare dai principali partiti della maggioranza: la voglia di un rimpasto nell’esecutivo accomuna Pd, Movimento 5 Stelle, renziani. Certo, non subito, non prima dell’approvazione della manovra. Subito dopo però sì. E senza aspettare un giorno. «Questa cosa o la anticipiamo o la subiamo», è la frase che risuona più spesso ai vertici dei 5 stelle. E quindi, sono tutti della partita: il ministro degli Esteri Di Maio, il segretario dem Zingaretti, il leader di Italia Viva. Cosa può fare Conte, davanti a un fronte così compatto? Può solo cercare di capire fin dove sono pronti a spingersi gli “alleati per caso” che hanno dato vita al suo secondo governo. E soprattutto, quanto sia possibile arginarli. Così, per ora, quello che trapela sono solo i paletti: il capo del governo di vicepremier non vuole neanche sentire parlare. L’era giallo-verde, con Luigi Di Maio e Matteo Salvini a prendersi tutta la scena e Conte in mezzo, un po’ mediatore, un po’ pungiball, è una cosa di cui l’avvocato del popolo non vuole neanche sentir parlare. A nessun costo, secondo chi lo conosce. Anche per questo ha fatto ridisegnare i collegi elettorali per rendere il voto praticabile anche con la legge attuale, nonostante il referendum. Serve un’arma anche a lui. È questa. Ma non c’è aria di sfida nei suoi occhi, in giorni in cui appare piuttosto farsi avanti una sorta di rassegnazione: se rimpasto dev’essere, che sia una cosa chirurgica, «pulita», non il preludio di uno scontro o di operazioni per ridare un ruolo agli esclusi del primo giro.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Verderami Francesco 
Titolo: Settegiorni – Gli avvertimenti nella maggioranza – Il colloquio di Renzi per convincere il premier a fare subito il rimpasto
Tema: rimpasto di governo

Al Senato, al momento delle dichiarazioni di voto sulla legge di Stabilità, Renzi prenderebbe la parola per dire a Conte che si impone un «atto di discontinuità», che «è arrivato il momento di scrivere una pagina nuova». Se così fosse, è certo che nessuno nella maggioranza lo additerebbe come «irresponsabile», vista la sequenza di incoraggiamenti che il leader di Iv sta ricevendo da esponenti di spicco del Pd e dei Cinquestelle, che in previsione di quel momento gli sussurrano «bravo, se non lo fai tu non lo fa nessuno». «Se è il coraggio che serve — risponde sempre Renzi — posso regalarvene un po’». E comunque il «coraggio» verrebbe offerto solo previo accordo: «Non sono tipo da Papeete». Com’è cambiato il mondo (politico) attorno all’ex premier: oggi Di Maio si perde a discutere con lui di scenari futuri, Zingaretti conclude spesso le sue conversazioni dicendo «informate Matteo», e persino D’Alema tramite Bettini lo invita alla Fondazione Italianieuropei per parlare con Amato del «cantiere della sinistra». C’è la corsa al Colle e bisogna prepararsi. Ma nel frattempo vanno superate le colonne d’Ercole del Conte 2, perché la rotta dell’esecutivo sta portando la maggioranza sulle secche. Così l’assunto in base al quale non si poteva pensare a una crisi di governo con il Paese in emergenza, è stato ribaltato: proprio perché il Paese è in emergenza, serve un governo capace di affrontare la crisi. Ecco com’è iniziata la pressione su Palazzo Chigi. Non è solo un problema di assetti di potere, che pure è un aspetto della vicenda. E la minaccia di affrontare in Parlamento la questione, è uno strumento di deterrenza per far capire a Conte che è in tempo, se vuole continuare a reggere il timone.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – L’avviso dem al premier e i rischi del rimpasto
Tema: rimpasto di governo

È dopo la legge di bilancio, infatti, che si riaprirà il tormentone del rimpasto e per una ragione ovvia: i principali esponenti dei partiti sanno che non c’è il voto anticipato e quindi mettere sul tavolo un ricambio nella squadra non produrrebbe il rischio più temuto di andare a elezioni. Sulla necessità di new entry nel Conte II si sarebbe convinto anche Zingaretti al quale, però, resterebbero dei dubbi. E cioè che aprire un tavolo in cui soddisfare gli appetiti di tanti è come infilarsi in un labirinto in cui sai come entri ma non sai come e se ne uscirai. Un tema delicato in casa Pd e nei 5 Stelle, più facile per Renzi che ha in Italia Viva il suo partito personale. Uno dei rumors più diffusi è quello che vede come vicepremier Andrea Orlando per arginare il potere di Conte. Il nome del vice-segretario è il più gettonato riconoscendo all’ex ministro della Giustizia la capacità di muoversi tra i dossier più complicati come sono le prossime nomine o la gestione della cabina di regia del Recovery. Per ora si stanno solo preparando le mosse visto che la sessione di bilancio richiede il passo felpato e non un affondo sulle poltrone ma non è detto che a gennaio vada tutto in porto. Le preoccupazioni di non saper gestire un rimpasto sono forti e i prudenti – tra questi raccontano ci siano Franceschini e Guerini – stanno crescendo.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Greco Anna_Maria 
Titolo: L’ora del dibattito nel centrodestra «Ma no al governo di unità nazionale»
Tema: centrodestra
Dopo il giorno della grande unità sullo scostamento di bilancio è il momento nel centrodestra per sottolineare le differenze, con avversari e alleati. Così, Matteo Salvini prova a rilanciare l’idea della federazione con gruppi unici in parlamento e Antonio Tajani risponde che non se ne fa niente. II leghista ribadisce il suo no al Mes e il vicepresidente azzurro conferma che Fi è per il sì. Ma, al di là di queste scaramucce, il Capitano e il braccio destro di Silvio Berlusconi, come la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, fanno fronte comune quando si tratta di respingere il tentativo di esponenti della maggioranza di spaccare la coalizione e spiegano che il voto favorevole di giovedì non vuol dire che sia ridimensionata l’avversità al governo Conte. Per Salvini, il Pd da mesi cerca di «scegliersi un pezzo dell’opposizione con cui lavorare». Ma, afferma in un’intervista al Corriere della Sera, «il centrodestra non è a disposizione di nessuno», è maggioranza nel Paese, governa in 14 regioni su 20 e per lo scostamento di bilancio ha fatto un semplice ragionamento: «Se fosse andato in ordine sparso non avrebbe incassato alcun successo». Insomma, i dem «dovrebbero mettersi l’anima in pace» e non immaginare future maggioranze Ursula anche in vista dell’elezione del presidente della Repubblica. Questo per gli avversari. Quanto all’unità del centrodestra, chiarisce, «si deve dimostrare ogni giorno», a cominciare dai temi della sicurezza. «Sono sicuro che i 250 parlamentari del centrodestra e non solo i 130 leghisti, lavoreranno insieme». E qui insiste sul «gruppone di 250 deputati e 150 senatori», per avere più forza e peso. «Un gruppo unico sarebbe una bella risposta a Pd e 5 Stelle e ai loro tentativi di dividerci. Poi, è chiaro che ogni gruppo ha i suoi presidenti, le sue dinamiche Fi e Fdi, però, non sembrano d’accordo, gelosi della loro identità e preoccupati di finire sotto le direttive salviniane.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Caro Paola 
Titolo: Intervista a Giorgia Meloni – «Berlusconi? Non va a sinistra» – «Fondere i gruppi parlamentari? La forza dei partiti ora è diversa»
Tema: centrodestra

«Se i media mainstream, il governo, il Pd ci tengono tanto a raccontare la storia di un Berlusconi vincente e di Salvini e Meloni all’angolo, facciano pure. Peccato che la realtà sia un’altra». Quale, onorevole Giorgia Meloni? «Il centrodestra ha votato insieme sì ai primi due scostamenti di Bilancio per 80 miliardi. Poi, avendo il governo dilapidato queste enormi risorse senza mai chiederci nulla e senza considerare affatto le nostre proposte, alla terza richiesta ci siamo astenuti. Non ci siamo arresi e abbiamo continuato a dare il nostro contributo. Ma al governo — per coprire una debolezza drammatica — serviva dividerci. Serviva, soprattutto al Pd, trattare solo con una parte del centrodestra, Forza Italia, anche per dare un avvertimento ai Cinque Stelle». Però FI ha trattato, e poi cantato vittoria. «No guardi, hanno fatto esattamente quello che abbiamo fatto noi di FdI: elaborato e presentato al governo proposte. Alla fine noi tre leader abbiamo messo tutto per iscritto pretendendo risposte chiare. Quando sono arrivate, con il recepimento di una serie di richieste, tra le quali almeno due questioni che da tempo poneva FdI (i ristori dati non solo in base ai Codici Ateco e gli interventi sui costi fissi delle aziende e non solo una tantum), tutti insieme abbiamo votato sì. Volevano spaccarci, non ci sono riusciti. Questa è la verità».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cellino Maximilian 
Titolo: Asta record del Tesoro: BTp cinque anni sul mercato a tasso zero – Asta BTp record: il titolo a cinque anni piazzato a tasso zero
Tema: titoli di Stato

La tre giorni di aste sul debito pubblico si conclude con una nuova serie di primati per il Tesoro. Per la prima volta un titolo a cinque anni viene infatti assegnato a tasso zero, o quasi, visto che il rendimento lordo del BTp con scadenza febbraio 2026 collocato ieri per un importo di 2,5 miliardi di euro è stato appena di un centesimo, in una giornata in cui hanno fatto registrare minimi storici anche i titoli a 10 anni (3 miliardi allo 0,59%) e i CcTeu (2,5 miliardi a -0,02% per il tasso variabile con scadenza aprile 2026). Non c’è da stupirsi per risultati del genere, dato che ormai da settimane la «carta» italiana sta registrando minimi a ripetizione sul mercato secondario, dove sempre ieri il BTp decennale quotava 0,56% a distanza di 115 punti base dal rendimento del corrispettivo titolo tedesco. Un risultato, questo, che si ricollega al clima favorevole al rischio che si respira tra gli investitori e che in Borsa si traduce con le performance di un novembre da record per Piazza Affari. E che ovviamente non può prescindere dal sostegno garantito dalla Bce, che secondo la maggior parte degli economisti potrebbe decidere di estendere propri riacquisti già nella riunione del 10 dicembre e che in un mondo ormai popolato per la maggior parte da tassi negativi spinge gli operatori sul mercato a cercare i rendimenti dove ancora si possono trovare. C’è invece da osservare con favore il «risparmio» che il Tesoro sta ottenendo proprio in virtù della riduzione dei tassi in fase di collocamento. Gli analisti stimano infatti che con l’operazione di ieri il costo medio all’emissione dei titoli di Stato italiani (compresi quelli a breve termine, come i BoT) sia sceso da inizio anno sotto lo 0,6 per cento: un valore sostanzialmente inferiore allo 0,93% registrato nel 2019 e a un passo da quello 0,56% del 2016 che rappresenta un minimo storico.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cherchi Antonello – Martini Andrea – Paris Marta 
Titolo: Decreti attuativi, sono 268 i provvedimenti necessari per i Dl Covid e la manovra – La manovra parte con un carico record di 83 decreti attuativi
Tema: manovra
Presentato alla Camera il 18 novembre il disegno di legge di bilancio inizia a muovere i primi passi. Gli  emendamenti andranno presentati entro questa sera e il testo è atteso in aula il 18. Dopo il via libera, il provvedimento passera al Senato”blindato” per l’ok definitivo (sotto Natale o subito dopo), in modo da evitare il ricorso all’esercizio provvisorio. Tuttavia, già si allunga sul testo l’ombra dei tempi supplementari. Il disegno di legge approvato dal govemo prevede infatti già 83 provvedimenti attuativi, di cui 37 hanno anche una scadenza, in alcuni casi serrata, ovvero tra la fine di gennaio e gli inizi di marzo 2021. In generale però, senza quegli 83 provvedimenti molte misure portanti non potranno essere pienamente operative.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: L’analisi – Il grande caos tra Dl, Dpcm, decreti attuativi e piani segreti
Tema: manovra
Quattro decreti legge Ristori che il Parlamento accorperà in unico provvedimento di conversione con una manovra tanto spericolata e inedita, quanto inevitabile per restituire qualche certezza a chi ha subito danni dalla pandemia. Una sorta di testo unico dei ristori, messo a punto a base di emendamenti e subemendamenti, in attesa del quinto decreto Ristori, postnatalizio, già annunciato. Nove decreti legge all’esame del Parlamento, in contemporanea con la sessione di bilancio. Una sessione di bilancio che dovrà esaurirsi con una sola lettura sostanziale della Camera in meno di venti giorni. Una primizia. Un carico di 83 decreti attuativi previsti dalla sola legge di bilancio che vanno a sommarsi ai 185 provvedimenti attuativi già previsti dai decreti Covid non ancora varati, per un totale monstre di 268 provvedimenti da emanare, caricati sulle spalle degli uffici legislativi dei ministeri già largamente sotto stress. Una sfilza di Dpcm per gestire l’emergenza sanitaria, sfornati a ritmi di uno ogni 10-15 giorni, con relative comunicazioni parlamentari preventive e un’attuazione a base di carte rosse, arancioni e gialle e ordinanze del ministro della Sanità, della Protezione civile e del commissario per l’emergenza. Questo grande caos normativo è la fotografia della risposta italiana all’emergenza sanitaria ed economica.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Trovati Gianni 
Titolo: Acconti fiscali rinviati al 10 dicembre – Acconti fiscali, rinvio al 10 dicembre
Tema: fisco e tasse

E alla fine comunicato legge fu, con mini-rinvio generalizzato al 10 dicembre degli acconti Ires, Irpef, Irap del 3o novembre per dare a tutti il tempo di ricalcolare la propria situazione e capire se si rientra nei parametri che danno diritto alla proroga più lunga, al 30 aprile in rata unica. Proroga che, come confermato dopo la lunga riunione di ieri fra il ministro dell’Economia Gualtieri e i capidelegazione della maggioranza, sarà riservata alle imprese fino a 50 milioni di fatturato che nel primo semestre di quest’anno hanno registrato una perdita di volume d’affari di almeno il 33% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il comunicato è stato diffuso ieri pomeriggio dal ministero dell’Economia. Perché il decreto Ristori-quater arriverà solo nel fine settimana, probabilmente domenica. La coperta degli 8 miliardi dello scostamento approvato giovedì alle Camere si è rivelata subito tirata per le tante misure sul tavolo. E alla Ragioneria serve un supplemento di lavoro per chiudere i conti e bollinare il provvedimento.  Questo calendario detetmina però un intreccio singolare con l’ordinanza del ministero della Salute che proprio da domenica trasformerà da rosse ad arancioni Piemonte, Lombardia e Calabria, e da arancioni a gialle Liguria e Sicilia. Intreccio problematico.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Baroni Paolo 
Titolo: Intervista ad Antonio Misiani – Misiani: stop alle tasse e indennizzi per tutti – “L’operazione sarà in due tempi nel 2021 gli indennizzi per tutti”
Tema: fisco e tasse

Subito il rinvio delle tasse, operazione che assorbirà quasi tutti gli 8 miliardi dell’ultimo scostamento di bilancio, e col 2021 via agli indennizzi a favore di tutte le attività maggiormente danneggiate dalle restrizioni, a prescindere dai codici Ateco e dalle fasce di classificazione delle Regioni, ma calcolando i cali di fatturato dell’ultima parte del 2020. È crisi una operazione «in due step» quella del governo, spiega il viceministro dell’Economia Antonio Misiani. Che a proposito del Mes sostiene che la riforma del Salvastati «è importante e va approvata», e soprattutto «va tenuta separata dall’eventuale utilizzo della linea di credito per gli investimenti in sanità su cui sia nella maggioranza che nell’opposizione ci sono disparità di vedute».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bini Smaghi Lorenzo 
Titolo: Meccanismo di stabilità, la riforma non va bloccata
Tema: Mes
Nel dibattito che si è svolto in Italia negli ultimi due anni, l’opposizione al MES si è basata sul timore che una riforma del meccanismo avrebbe introdotto condizioni più stringenti di accesso. Questa tesi non è coerente con i testi di base del trattato e pertanto non è capita dagli altri partner europei. Innanzitutto, la richiesta di far ricorso ai finanziamenti del MES è una libera scelta degli stati membri. Non vi è alcun obbligo. Ciascun membro sceglie sulla base di una sua valutazione economica e politica dei vantaggi di usare tali fondi. Ciò si applica anche alla linea di credito sanitaria introdotta di recente. II MES ha messo a disposizione dell’Italia 37 miliardi da spendere nel settore sanitario, a un tasso vantaggioso, che comporta un risparmio di circa 300 milioni all’anno. Nonostante il possibile risparmio, il governo italiano ha deciso, per motivi politici, di non farvi ricorso. In nessun modo si può tuttavia sostenere, come avevano fatto a suo tempo gli oppositori al MES, che l’esistenza di tale linea di credito abbia rappresentato un vincolo o un danno per il nostro paese. Il danno, per i contribuenti, è semmai quello di non averlo usato. Lo stesso principio si applica alla riforma più generale del MES che deve essere varata dal Consiglio europeo a fine anno.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Marroni Carlo – Patta Emilia 
Titolo: Conte: Piano Recovery in arrivo, scelte green vincolanti per il futuro
Tema: Recovery plan

«Stiamo perfezionando in questi giorni il piano» di Rilancio per l’utilizzo delle risorse del Recovery fund, «che in coerenza con gli indirizzi europei ci consentirà di destinare a obiettivi di sostenibilità ambientale almeno il 37% dell’ammontare delle risorse che riusciremo a ottenere dall’Unione europea». Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, parlando a “Generazione energia” inizia a dare qualche anticipazione su alcuni contenuti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che dovrà essere presentato alla Ue entro il prossimo febbraio. Quasi a smentire le voci sui ritardi del governo italiano e a tranquillizzare gli alleati, soprattutto Pd e Italia viva, sul piede di guerra in Parlamento per una gestione del Recovery plan ritenuta troppo accentrata a Palazzo Chigi. Conte assicura dunque che «il piano di transizione 4.0 già potenziato con la manovra e ancora di più con le cospicue risorse del Recovery plan include un ampio spettro di incentivi per dare impulso alla transizione verde e digitale, costituirà uno dei pilastri degli indirizzi politici attuativi che il governo perseguirà nei prossimi anni». Intanto continua il braccio di ferro a Bruxelles. Ieri la Commissione Ue ha ribadito che la posizione sulla condizionalità del Recovery rispetto allo stato di diritto «non cambia». Una prerisazione rivolta alle posizioni di Polonia e Ungheria, che hanno ribadito il loro veto su bilancio Ue e Recovery fund. Come la presidente Ursula von der Leyen ha spiegato alla plenaria del Parlamento europeo – ha aggiunto un portavoce – «il meccanismo corrisponde all’accordo di luglio. Crediamo sia un meccanismo che si concentra sulla protezione del budget europeo, e che garantisca un’applicazione equa e giusta». Intanto sul nodo spinoso del Mes il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, terrà comunicazioni sulla revisione del Meccanismo di Stabilità nelle Commissioni competenti di Camera e Senato lunedì mattina prossimo in vista dell’Eurogruppo del pomeriggio.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Tria Giovanni 
Titolo: Bussola & timone – Un vero piano bipartisan sui fondi Ue – Un Recovery Plan credibile solo se bipartisan
Tema: Recovery plan

Unità nazionale sul Recovery plan significa condivisione nel processo di elaborazione, nelle scelte relative alle strutture chiamate a gestirlo tecnicamente e nelle decisioni finali. Il motivo per cui non si può accettare un’altra strada non sta nell’osservazione più o meno polemica sui ritardi di presentazione, ma nel fatto che si tratta di impegnare il Paese su un piano di investimenti strutturali che si dovrà svolgere in un arco di tempo che supera la competenza del governo attuale. Assumiamo che ciò che si sta facendo e che i più in Italia ancora ignorano, compresi molti di coloro che fanno parte delle forze politiche che sorreggono il governo, porti alla pronta elaborazione di piani e progetti coerenti tra loro e ben costruiti. Questi piani verrebbero presentati a Bruxelles e, se ben fatti sulla carta, saranno approvati. Tuttavia, l’implementazione inizierà in gran parte non dal prossimo anno, ma dall’anno successivo e proseguirà almeno fino al 2027, considerando la fase di impegno dei fondi e poi di spesa effettiva. Poi vi sarà la fase in cui si dovranno restituire i prestiti. Ebbene il governo attuale sta impegnando quelli futuri, che potrebbero essere sorretti da maggioranze parlamentari diverse, a meno che l’esecutivo in carica si senta sicuro di restare in sella per i prossimi decenni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Spini Francesco 
Titolo: Cdp rinvia l’offerta per Autostrade dubbi per il prezzo e gelo su Laghi
Tema: Autostrade
Come nella migliore tradizione italiana, si prospetta l’ennesimo rinvio nella saga di Autostrade per l’Italia. La scadenza che il cda di Atlantia aveva posto per lunedì 30 novembre riguardo le offerte vincolanti sull’88% della concessionaria in mano ad Atlantia cadrà nel vuoto. Alle viste non ci sono proposte in arrivo. Di certo non si concretizzerà quella della Cassa depositi e prestiti che, insieme con i fondi suoi alleati Macquarie e Blackstone: prenderanno altro tempo. La recente riacutizzazione del clamore giudiziario sulle vicende di Aspi e le relative intercettazioni hanno complicato il quadro. E la designazione di Enrico Laghi al posto di Gianni Mion alla presidenza di Edizione, la finanziaria dei Benetton che proprio lunedì riunirà l’assemblea per la nomina, anziché fluidificare il tutto, ha reso la situazione ancora più tesa. In Cdp, infatti, non hanno per nulla gradito ritrovarsi come controparte, peraltro senza preavviso, un proprio ex consulente sullo stesso dossier Autostrade e con un curriculum costellato di molteplici incarichi nell’ambito di aziende pubbliche in difficoltà come Alitalia e Ilva. Dal governo, idem: grande freddezza. Di qui la decisione di prendere tempo. Anzi, fonti finanziarie della cordata sostengono che resti del tutto valido quanto scritto nel comunicato del 28 ottobre, laddove si indica con chiarezza che per formulare una proposta definitiva sarebbero servite 10 settimane di due diligence, di esami approfonditi. Il 2 di dicembre, mercoledì, il cda di Atlantia si ritroverà così a decidere il da farsi. Ma è probabile che nel caso una proposta dovesse giungere solo con l’anno nuovo, a questo punto potrebbe essere posta direttamente al giudizio dei soci, in occasione dell’assemblea che sarà convocata entro il 15 di gennaio.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bongiorni Roberto 
Titolo: Ucciso il capo del programma nucleare iraniano Accuse a Israele – Ucciso il padre dell’atomica iraniana, Teheran accusa Israele
Tema: Medio Oriente
Mohsen Fakhrizadeh-Mahabadi, considerato il capo del programma nucleare iraniano, è stato ucciso ad Absard, nei pressi di Damavand, a nordest della capitale Teheran. Lo scienziato era stato accusato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu di gestire un programma per lo sviluppo di armi atomiche e sarebbe stato nella lista degli obiettivi del Mossad. Per questo il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, nel confermare la notizia, ha lanciato pesanti accuse a Israele. L’auto dello scienziato sarebbe stata prima centrata da un ordigno e poi crivellata di colpi d’arma da fuoco.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Olimpio Guido 
Titolo: Agguato a Teheran: ucciso il «padre» del piano atomico L’Iran: «Vendetta»
Tema: Medio Oriente
L’alto funzionario è stato portato con un elicottero in ospedale ma i tentativi di salvarlo si sono rivelati inutili. Possibile che con lui siano morte altre persone, forse dei parenti. Hossein Dehghan, stretto consigliere della Guida suprema Khamenei, ha promesso vendetta ed ha accusato l’asse Israele-Usa, tesi sostenuta anche dal ministro degli Esteri Javad Zarif: sono le ultime mosse di Trump insieme ai «sionisti». Sul New York Times tre fonti dell’intelligence confermano il coinvolgimento israeliano. Da parte sua il presidente si è limitato a rilanciare la notizia su Twitter. Senza commenti. Tanto è consapevole dell’impatto. Personaggio schivo, riservato, 59 anni, lo scienziato è stato considerato il motore del piano atomico. Ha iniziato a occuparsene nel 1998 e ne ha portato avanti lo sviluppo, noto come Progetto Amad. Significativamente, nell’aprile del 2018, il premier israeliano Netanyahu aveva esortato, citando Fakhrizadeh, «a ricordarsi questo nome». Siamo dunque nel mezzo della campagna per ostacolare le ambizioni del regime. Prima di lui sono stati assassinati altri 4 scienziati, due dei precedenti attacchi sono avvenuti sempre il 29 novembre (del 2010). Eliminazioni attribuite al Mossad israeliano e condotte con tecniche analoghe. Bombe magnetiche applicate all’auto, sicari in moto con pistole, moto usate come trappola esplosiva. Modus operandi che abbiamo visto anche nell’attacco a Teheran del 7 agosto contro il dirigente di Al Qaeda Abdullah Abdullah, nell’anniversario degli attentati contro le ambasciate Usa in Africa. Un conto chiuso a distanza di tempo solo per indebolire le certezze degli ayatollah, già scossi da quanto avvenuto nei mesi scorsi.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Tocci Nathalie 
Titolo: Ma l’ira di Rouhani non scoppierà ora
Tema: Medio Oriente
 A due mesi dall’arrivo di Biden alla Casa Bianca, la visione trumpiana, eterodiretta da Bibi Netanyahu e in parte anche da Mohammed bin Zayed e Mohammed bin Salman, è agli sgoccioli. Il Presidente eletto, così come Antony Blinken al Dipartimento di Stato, Jake Sullivan al Consiglio Nazionale per la Sicurezza, per non parlare di John Kerry, architetto dell’accordo sul nucleare iraniano, riecheggiano quella visione obamiana, fatta di equilibri regionali e di consapevolezza che in Medio oriente, così come altrove, pace e stabilità richiedono diplomazia, dialogo e compromesso. Trump ha già iniziato a usare le settimane che gli restano per rendere più complesso e costoso un ritorno a quel passato. La settimana scorsa ha approvato una nuova ondata di sanzioni contro l’Iran per violazioni dei diritti umani. E ieri l’assassinio di Fakhrizadeh. La pistola fumante non c’è, eppure non stupirebbe se venisse trovata in Israele o negli Stati Uniti. L’obiettivo dell’assassinio, chiariamo, non è quello di rallentare o ostacolare il programma nucleare iraniano. Sappiamo bene che quel programma non è più in mano a uno o due scienziati. L’obiettivo è quello di scatenare le piazze e indurre il governo iraniano a compiere una sventata vendetta. Il regime iraniano ha molti difetti, mala pazienza strategica non gli manca.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Trump: «Lascerò la Casa Bianca»
Tema: Usa
Per la prima volta Donald Trump fissa un termine per la sua «battaglia contro le elezioni truccate». Giovedì, giorno del Ringraziamento, si e rivolto ai militari per gli auguri e ha risposto a qualche domanda. Evidentemente la convinzione di poter ribaltare il risultato non è più così solida, considerando queste parole: «Se il Collegio elettorale nominerà ufficialmente Joe Biden, lascerò la Casa Bianca». I 538 rappresentanti nominati dagli Stati si riuniranno il 14 dicembre. Nessuno, ormai, dubita sull’esito: Biden diventerà il 46° presidente degli Stati Uniti. Ciò non significa che Trump abbia intenzione di disarmare il team legale guidato da Giuliani. Né che sia pronto ad accelerare il passaggio di poteri invitando il successore nello Studio Ovale. In ogni caso la transizione è iniziata ufficialmente. The Donald è stato costretto a scalare dal sabotaggio all’ostruzionismo. Per esempio, sarà presente alla cerimonia di inaugurazione della nuova presidenza, il prossimo 20 gennaio? Risposta: «So già che cosa farò quel giorno, ma non ve lo dico». Secondo il suo ex avvocato Michael Cohen si rinchiuderà nel resort di Mar-a-Lago. Trump, infine ha annunciato che sabato 5 dicembre sarà in Georgia per fare campagna a favore di Kelly Loeffler e David Perdue, i candidati repubblicani in corsa nei ballottaggi del 5 gennaio, decisivi per gli equilibri in Senato. Secondo il Washington Post questa decisione mette in imbarazzo i conservatori che stanno chiedendo agli elettori di presentarsi in massa alle urne, anche se da tre settimane la propaganda trumpiana insiste: «voto truccato al 100%». In questa atmosfera crepuscolare, Trump deve subire anche gli sfottò della Rete. Tra giovedì e ieri ha tenuto banco su Twitter l’hashtag «Diaper Don», cioè Don con il pannolone. Lo scherzo feroce nasce da un’inquadratura di tre quarti del presidente seduto davanti a un minuscolo tavolino, nella Diplomatic Room. Gli utenti hanno notato un rigonfiamento all’altezza delle terga presidenziali.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Robecco Valeria 
Titolo: Trump accetta la resa «Sono pronto a lasciare ma il voto è truccato»
Tema: Usa

Trump è pronto ad abbandonare la residenza presidenziale il 20 gennaio se verrà certificata la vittoria del rivale: «Certamente lo farò, e lo sapete, ma penso che succederanno molte cose da qui al 20 gennaio». Su Twitter, però, ha leggermente corretto il tiro, precisando che «Biden può entrare alla Casa Bianca come presidente solo se dimostra che i suoi ridicoli 80 milioni di voti non sono stati ottenuti in modo fraudolento o illegale». «Quando vedete quello che è accaduto a Detroit, Atlanta, Philadelphia e Milwaukee… – ha proseguito – Una massiccia frode elettorale, ha un grande problema, irrisolvibile». In realtà è in capo a lui e alla sua campagna l’onere di dimostrare l’eventuale esistenza dei brogli. «L’amministrazione Biden vuole sbarazzarsi dell’America First» ha affermato ancora il presidente. Il Comandante in Capo ha definito «impossibile» che il democratico abbia ottenuto 80 milioni di voti. The Donald, invece, si è rifiutato di rispondere alla domanda se parteciperà alla cerimonia di insediamento di Biden, limitandosi a dire di «avere già una risposta» sulla sua presenza o meno all’Inauguration Day. E sull’eventualità di ripresentarsi per la corsa alla Casa Bianca tra quattro anni, non ha sciolto le riserve: «Non voglio ancora parlare del 2024». Nel frattempo, Trump è pronto a tornare in campagna elettorale, questa volta per sostenere i due candidati repubblicani in Georgia (i senatori in carica Kelly Loeffler e David Perdue) in vista del ballottaggio del prossimo 5 gennaio. Il tycoon si recherà nello stato del sud sabato 5 dicembre, e «forse anche una seconda volta». La corsa per i due seggi del Senato, infatti, è fondamentale per gli equilibri politici dei prossimi quattro anni. Ad ora il Grand Old Party ha 50 seggi nella Camera Alta contro i 48 dei democratici, e deve vincere almeno uno dei due ballottaggi in Georgia per aggiudicarsi la maggioranza di 51 poltrone.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galli Andrea 
Titolo: La Svizzera apre le piste da sci «Nessun focolaio, italiani benvenuti»
Tema: Covid

Oltre settemila chilometri di piste, quasi duemila impianti di risalita. «Sarà una grossa sfida» dicono le voci ufficiali del governo. In direzione contraria e forse un po’ ostinata, la Svizzera apre la stagione dello sci. Le nazioni confinanti nicchiano, dubitano, temporeggiano? Problemi loro. Problemi nostri: dall’ufficio turistico di Saint Moritz, nel Cantone dei Grigioni, ci dicono che siamo ben accetti, a patto di accontentarci della neve artificiale, e aggiungono che non servono protocolli di sorta per entrare. Liberi tutti. Semmai, ma proprio semmai, sarà in uscita l’autorità doganale a consigliare un’eventuale quarantena una volta tornati a casa propria. Fine, buona serata. Eppure gli svizzeri non tengono conto delle parole dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, che identifica nella zona di Ginevra uno dei principali, se non il principale focolaio d’Europa, come confermano le drammatiche situazioni degli ospedali, ai livelli, per dire, di Varese e di Como, se non pure peggio. Ovvero ambulanze in coda fuori dal pronto soccorso, posti letto carenti, reparti trasferiti, medici e infermieri malati a decine e decine, le terapie intensive piene, una quotidianità di nuovi casi che non concede tregua. Su quest’ultima voce, le autorità svizzere hanno al contrario costruito la benedizione di discese e slalom che, va da sé, in un’impellente necessità di sciare ora e subito, nemmeno fosse il capriccio di un bimbo, potrebbero provocare emigrazioni da oltre confine. A cominciare dall’Italia, ovvio. I dati, viene ripetuto, non hanno mai superato le cinquemila unità giornaliere. Vero. Ma vero che nella Confederazione abitano appena in otto milioni e mezzo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Montefiori Stefano 
Titolo: Le bolle al produttore nero inguaiano la polizia francese Macron: via quegli agenti
Tema: Francia
Potrebbero esserci e un prima e un dopo. Il violento pestaggio a Parigi di Michel Zeder, 41 anni, produttore di rap, da parte di tre poliziotti assistiti da un’altra decina di agenti potrebbe essere lo spartiacque: prima, il governo poteva ancora difendere la teoria delle poche «mele marce» a proposito degli abusi della polizia; dopo che milioni di francesi hanno visto i due video dell’aggressione di gruppo a Zecler, a soli tre giorni da altre violenze contro migranti inermi, in Francia si pone la questione dell’uso della forza pubblica e quindi di una riforma della polizia. La società francese è sotto choc, il governo prende le distanze dagli agenti «che hanno perso la testa», dice il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, il presidente Emmanuel Macron chiede che i responsabili vengano espulsi dalla polizia e, per la prima volta, anche star del calcio come i campioni del mondo Kylian Mbappé e Antoine Griezmann esprimono il loro disgusto. Sabato 21 novembre, intorno alle 20, Michel Zeder è in strada nel XVII arrondissement di Parigi e sta entrando nel suo studio di registrazione Black Gold Studios, dove lo attendono alcuni giovani artisti. Non porta la mascherina, benché sia obbligatoria. Gli agenti lo seguono dentro lo studio e cominciano a spingerlo e a colpirlo. Per 13 minuti si abbattono sull’uomo decine di pugni, calci e colpi di manganello. «Mentre colpivano mi insultavano, gridavano “sporco negro”», dice Michel Zeder, che grida «chiamate la polizia», pensando che quelli siano malviventi travestiti da poliziotti.
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