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SINTESI IN PRIMO PIANO – 28 giugno 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Il Mes, tensione nel Pd con Conte e 5 Stelle. Conte: «Prevalgono le ragioni del no»;
– È scontro sui fondi alle scuole paritarie. M5S: “No all’aumento”;
– Rai, nella maggioranza è lite su Salini;
– Ustica, Mattarella ai Paesi alleati: “Cerchiamo insieme la verità”;
– Conte riceve Serraj: si riapre alle imprese italiane in Libia;
– Debiti Pa: 6.482 gli enti «fuorilegge», 3,8 miliardi scaduti da oltre un anno;
– Da luglio la Germania assume la leadership europea;
– Coronavirus: troppi casi, la Ue pronta a mantenere chiuse le frontiere con gli Usa.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Baccaro Antonella 
Titolo: Rai, nella maggioranza è lite su Salini
Tema: Governance Rai

Divide la maggioranza l’incontro Conte e l’ad della Rai Fabrizio Salini, tenutosi venerdì scorso e fatto filtrare ieri dall’agenzia Ansa. Secondo la ricostruzione, tra i temi affrontati ci sarebbe stata «la certezza delle risorse derivanti dal canone» e «il sostegno all’industria dell’audiovisivo». Ma è un altro il punto che ha scatenato le critiche del Partito democratico e di Italia Viva: l’ipotesi che sia stato avviato «un confronto sulla riforma della governance, nell’ambito del quale si è discussa l’ipotesi di ampliare la durata del mandato» dell’ad. Per il Pd, che da mesi piccona la poltrona di Salini, sarebbe inaccettabile: «II Partito democratico – commenta il vicepresidente del gruppo alla Camera, Michele Bordo – giudica altamente fallimentare la gestione di Salini, sia in termini economici ma soprattutto di garanzie sul pluralismo. La Rai è tutt’ora a trazione sovranista e ribadiamo che il Pd non vede l’ora che l’ad termini il suo incarico». «Se un episodio del genere fosse successo con Berlusconi, sarebbe successo il finimondo – rincara la dose Michele Anzaldi (Italia viva), segretario della commissione di Vigilanza Rai -. L’eventuale riforma della governance è una competenza del Parlamento». A smentire il merito dell’incontro non sono né Palazzo Chigi né la Rai, ma un altro membro della Vigilanza, Emilio Carelli (M5S), secondo cui «è certo che Salini non abbia mai chiesto alcuna estensione del suo mandato ma abbia espresso la necessità di una riforma della governance», una richiesta sostenuta da tempo dal presidente della Camera, Roberto Fico. Carelli inoltre difende l’operato di Salini, la cui indipendenza darebbe fastidio «a qualcuno». Si stupisce che Carelli conosca i termini dell’incontro Giorgio Mulè (Forza Italia), membro della Vigilanza. Di certo l’incontro di Salini con il premier rafforza la posizione dell’ad. I due avrebbero convenuto di convocare presto un incontro pubblico con tutti i soggetti dell’industria tv, tra cui broadcaster, produttori, artisti, lavoratori e giornalisti.
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Testata:  Repubblica
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Dem contro Salini: “Va dal premier per farsi confermare” – Rai, la rivolta dem contro Salini “Ha fallito, vada via”
Tema: Governance Rai

La versione semiufficiale è che Fabrizio Salini sia rimasto male per il mancato invito agli Stati generali dell’Economia. Dove c’è stato posto per tutti, categorie produttive e superospiti, industriali e sindacati, ma non per l’ad della tv pubblica italiana. Quel che trapela però, dall’incontro “riparatore” di venerdì tra il premier Giuseppe Conte e il direttore generale della Rai, è che Salini ha davanti due ordini di problemi. Che nel giro di poche ore diventano tre. Il primo, è il suo personale futuro. I corridoi di viale Mazzini raccontano come l’ad si sia accorto tardi della clausola che gli impedirebbe, a fine mandato, di lavorare per un’azienda concorrente della Rai. Con Conte, Salini avrebbe quindi parlato della necessaria riforma di governance della tv pubblica e di una proroga degli attuali organi di almeno un anno. La seconda questione è economica: l’ad chiede certezze sulle risorse del canone. Chiede, in realtà, un aiuto per il calo della pubblicità che sta mettendo l’azienda in serie difficoltà. Il terzo problema arriva quando la notizia dell’incontro si diffonde, e prende la forma di un attacco frontale del Pd: il vicecapogruppo alla Camera Michele Bordo definisce quella di Salini «una gestione fallimentare, sia in termini economici che di garanzie sul pluralismo». Parla di una Rai «tutt’ora a trazione sovranista» e conclude: «Il Pd non vede l’ora che l’ad termini il suo incarico per far uscire l’azienda dalla palude di questi mesi». L’elenco delle critiche è talmente lungo che il tentativo di difesa da parte dei 5 stelle suscita più di un’ironia. Emilio Carelli arriva a dire che probabilmente Salini dà fastidio per l’«indipendenza» dimostrata. Ma l’indipendenza, a detta di tutti gli osservatori in campo, è in realtà quello che più manca alla gestione attuale della Rai. Da sempre soggetta alle ingerenze dei partiti, ma forse mai in modo così incontrollato
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Testata:  Stampa 
Titolo: Ustica Mattarella ai Paesi alleati “Cerchiamo insieme la verità” – Mattarella: “Gli alleati collaborino su Ustica”
Tema: Strage di Ustica

Il presidente della Repubblica chiede una mano ai Paesi alleati per far luce sulla strage del Dc9 Itavia precipitato nei cieli italiani. E Conte annuncia che sta lavorando «a una nuova direttiva che consenta di allargare il perimetro delle ricerche sulla strage di Ustica». A quarant’anni da questo tragico evento, le istituzioni fanno sentire la propria voce. E fa discutere l’ipotesi di una pista palestinese svelata da La Stampa ieri con documenti inediti. «La strage avvenuta nel cielo di Ustica la sera del 27 giugno 1980 è impressa nella memoria della Repubblica con caratteri che non si potranno cancellare», dice Sergio Mattarella nel suo messaggio alla commemorazione di Bologna, omaggiando la memoria delle 81 persone scomparse in quel disastro aereo che ancora oggi è rimasto senza colpevoli. «Il quadro delle responsabilità e le circostanze che provocarono l’immane tragedia – ricorda il Presidente – tuttora non risulta ancora ricomposto in modo pieno e unitario». Tanto da richiedere un appello: «Trovare risposte risolutive, giungere a una loro ricostruzione piena e univoca richiede l’impegno delle istituzioni e l’aperta collaborazione di Paesi alleati con i quali condividiamo comuni valori». Ora, non è che Mattarella abbia informazioni particolari o sospetti su qualcuno, non si può parlare di indice puntato verso gli alleati. Chi ha accesso al Colle è convinto che il riferimento sia una frase che va letta in maniera amichevole. In sostanza Mattarella si rivolge a Francia, Nato e agli Usa, convinto che la nostra magistratura da sola, pur avendo fatto un grande lavoro, più di tanto non possa ottenere se i nostri alleati non aprono i loro archivi e non fanno uno sforzo. Anche il presidente della Camera Fico invoca «una risposta sostanziale alle rogatorie internazionali. E un lavoro diplomatico molto più forte, più incessante, andando in Francia e in America a chiedere chiarimenti».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Di Matteo Alessandro 
Titolo: È scontro sui fondi alle scuole paritarie M5S: “No all’aumento”
Tema: Scuola

La scuola riparte a settembre, ma c’è ancora una grana da risolvere nella maggioranza. I fondi per le paritarie fanno litigare gli alleati di governo e gli “schieramenti” sono quelli soliti: Pd e iv che chiedono di raddoppiare le risorse, con l’ok anche del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, e i 5 stelle che fanno resistenza. Già domani o dopodomani Gualtieri potrebbe presiedere un tavolo con capigruppo di maggioranza, per provare a trovare una soluzione, e per il M5s sarebbe comunque difficile stoppare l’aumento dei fondi, perché a favore c’è anche tutto il centrodestra. Di fatto, i numeri in Parlamento sono a favore delle paritarie. All’indomani della presentazione delle linee guida per settembre, con il ministero che si affretta a chiarire che il tentativo sarà di garantire l’ingresso in aula a tutti gli studenti, evitando che il distanziamento ne lasci fuori il 15%, si pone il tema delle paritarie. Allo stato, nel Decreto rilancio sono previsti 150 milioni, 80 per le scuole dell’infanzia da zero a sei anni e 70 per elementari, medie e superiori. Troppo pochi per Italia viva e per il Pd, che chiedono di raddoppiare a 300 milioni. Matteo Renzi nei giorni scorsi si è scagliato contro i «profeti dell’ideologia», ovvero i 5 stelle, avvertendo che «se salta il sistema delle paritarie il prossimo anno la scuola pubblica non ha le risorse per aprire». Gabriele Toccafondi, capogruppo del partito in commissione Cultura alla Camera, spiega le dimensioni del problema: «Complessivamente ci sono circa 900mila bambini e ragazzi che frequentano le paritarie». La maggior parte sono nelle scuole dell’infanzia, bambini che rischiano di «trovare gli istituti chiusi se non facciamo qualcosa». Senza contare i circa 200mi1a dipendenti, tra docenti e non docenti, che vedono il posto di lavoro a rischio.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Evangelisti Mauro 
Titolo: Intervista a Roberto Speranza – «Scuole sotto controllo medico» – «Mascherine sopra i 6 anni e controlli medici a scuola»
Tema: Scuola

«Per noi la riapertura delle scuole è fondamentale. Ma in piena sicurezza. Abbiamo fatto un primo passo importante con l’accordo sulle linee guida con Regioni, Province e Comuni, guai a immaginare divisioni su un tema che interessa milioni di famiglie». Roberto Speranza, ministro della Salute, guarda al 14 settembre, alla ripartenza delle scuole, alla sfida al coronavirus fatta di reperimento di nuovi locali per garantire le distanze, ingressi scaglionati ove necessari e mascherine sopra i sei anni («un uso appropriato a seconda del quadro epidemiologico»). I Dipartimenti di prevenzione delle Asl seguiranno gruppi di scuole, ci sarà un controllo medico costante, sul vecchio modello della “medicina scolastica”. Cosa ci aspetta? «E’ fondamentale riaprire in sicurezza, e possiamo farlo solo monitorando costantemente il quadro epidemiologico. L’epidemia ci ha colpito molto seriamente, non possiamo dimenticare ciò che è successo a marzo e aprile». Se l’epidemia dovesse avere un’impennata le scuole potrebbero non riaprire? «No. Le scuole riapriranno. Sono fiducioso, lavoreremo per garantire da una parte il ritorno alle lezioni, dall’altra la sicurezza. Abbiamo previsto un altro miliardo di euro per la scuola per trasformare questa crisi in una opportunità. Bisogna recuperare ciò che di buono c’era in passato e che si è perso negli anni Novanta: un rapporto sistemico tra le scuole e i dipartimenti di prevenzione delle Asl. Scuola e Sanità devono lavorare insieme».  Che tipo di misure dovranno aspettarsi le famiglie? «Sarà garantita, come richiesto dal Comitato tecnico scientifico, la distanza di un metro tra gli studenti. Gli investimenti serviranno per il personale e anche a reperire locali laddove siano insufficienti. Dovremo evitare gli assembramenti anche con ingressi scaglionati se necessario».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Borgia Pier_Francesco 
Titolo: Il retroscena – Berlusconi si smarca: «Il candidato premier? Chi prenderà più voti»
Tema: Fi

a prossima tappa elettorale, quel D-day nel quale verranno riunite le scelte di sei governatori e di una decina di capoluoghi importanti, rappresenta un tassello strategico per vagliare la tenuta e la consistenza dell’alleanza di centrodestra. E questo perché due dei tre partiti optano per il sistema maggioritario e per cementare con uri amalgama più robusta l’alleanza, mentre il terzo partito pensa da tempo a distinguersi soprattutto nella scelta del sistema elettorale. Forza Italia sta infatti definendo meglio la propria identità proprio smarcandosi dal sovranismo più urlato dei compagni di viaggio e questa scelta sembra avere ricadute anche nelle preferenze sul sistema elettorale prossimo venturo. Berlusconi, in buona sostanza, continua la sua marcia. Non in solitaria, però cercando ogni occasione per rimarcare differenze e caratteristiche. Ancora ieri ripeteva sulle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno che il suo è un partito a forte tradizione cristiana, liberale, garantista ed europeista. Cosa che ovviamente non possono dire i suoi alleati. Epperò lo stesso leader azzurro continua a rigettare ogni ipotesi di inciucio o di governissimo. Se il governo cade si torna al voto e la coalizione di cui fa parte è già pronta ai nastri di partenza. Coesa, dice, e ben determinata a tornare a Palazzo Chigi. «A differenza della sinistra – spiega Berlusconi – noi pensiamo a far ripartire l’Italia. Non abbiamo conti da regolare tra di noi. Quando avremo vinto le elezioni politiche quella delle tre forze che avrà ottenuto più voti proporrà al Capo dello Stato il nome del Presidente del Consiglio». I rapporti con il governo sono sempre alla luce del sole, spiega Antonio Tajani, in Puglia per incontrare il candidato governatore Raffaele Fitto. «Noi di Forza Italia siamo alternativi al governo delle 4 sinistre, come siamo alternativi in Puglia a Emiliano e agli altri candidati della sinistra».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: Debiti Pa: 6.482 gli enti «fuorilegge», 3,8 miliardi scaduti da oltre un anno – Debiti Pa, 6.482 enti «fuorilegge» 3,8 miliardi scaduti da un anno
Tema: Pagamenti PA

Il ministero dell’Economia ha pubblicato ieri il monitoraggio sui pagamenti 2019 della Pubblica amministrazione. La lista dei ritardatari comprende 6482 amministrazioni. Fra i pesi massimi più lenti si incontra per esempio l’Inps, che nel 2019 ha pagato solo il 63% dei propri debiti (780 milioni su 1,229 miliardi) con un ritardo medio di quasi 22 giorni, e conta fatture non pagate e vecchie di almeno 12 mesi per 131 milioni, il ministero dell’Interno (29 giorni di ritardo) o quello della Giustizia (23), mentre il Mef in genere impiega quasi 15 giorni in meno rispetto alle scadenze di legge. Anche fra i grandi Comuni il panorama si divide fra chi come Napoli ha onorato solo il 44% delle fatture o Roma che impiega in media 13 giorni più del dovuto, mentre Milano ce la fa in 5 giorni meno di quelli concessi dalle norme. Spulciando i file excel relativi ai primi tre mesi di quest’anno si incontrano poi fatture per almeno 3,8 miliardi di euro ferme nei cassetti degli enti pubblici da oltre 12 mesi: un dato parziale, perché il monitoraggio ministeriale funziona ad ampio raggio ma sono le singole amministrazioni ad alimentarlo, e una quota di queste sfugge inevitabilmente a qualsiasi censimento. In genere si tratta degli enti più problematici sul piano amministrativo: che spesso sono anche i peggiori pagatori. Insomma, è un fenomeno complesso. Quella diffusa ieri dal ministero dell’Economia parla per il 2019 di un tempo medio da 48 giorni, in riduzione rispetto ai 55 giorni dell’anno prima. E dipinge una “pubblica amministrazione tipo” sostanzialmente puntuale nell’onorare i propri debiti commerciali, con un ritardo medio da un giorno che si confronta con i 7 giorni di attesa extra imposti l’anno prima. Ma si tratta, appunto, di una media.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Pagamenti pubblici, lite sui tempi
Tema: Pagamenti PA

Botta e risposta tra il ministero dell’Economia e la Cgia di Mestre sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese fornitrici. Il dicastero guidato da Roberto Gualtieri ha diffuso un comunicato per vantare il «progressivo miglioramento» dei tempi di pagamento delle fatture. Nel 2019 esse sono state 29,1 milioni, per un importo dovuto di 148,2 miliardi. Quelle pagate risultano essere 24,5 milioni per 140,4 miliardi, pari al 94,8% dell’importo totale. Le fatture, prosegue il Mef, sono state saldate in media in 48 giorni, «con un ritardo medio di un giorno rispetto alla scadenza» prevista. Negli ultimi 4 anni il tempo medio dei pagamenti è sceso da 74 giorni a 48 giorni e il ritardo medio da 27 giorni al, appunto. Di conseguenza, sottolinea il ministero, «risulta in costante crescita la quota delle fatture pagate entro i termini previsti dalla normativa comunitaria»: 30 giorni di regola, 60 giorni nel settore della sanità. Siamo infatti al 69% di pagamento entro i termini. Ma l’associazione degli artigiani di Mestre ribatte che, «se si va a vedere i dati puntuali, si scopre che le Amministrazioni centrali hanno pagato dopo 60 giorni (30 di ritardo rispetto alle norme), le Regioni e province dopo 33 (3 giorni dopo) e gli enti locali dopo 50 (20 di ritardo )». Ha fatto bene solo la sanità, pagando in 50 giorni, con io di anticipo sulle prescrizioni, contribuendo ad abbassare la media finale. La Cgia attacca anche sui prestiti alle pmi: il governo spiega di aver erogato 41 miliardi a circa 716 mila imprese, ma si tratta di un flop rispetto alla platea potenziale di 5,4 milioni di aziende, perché «9 su 10 hanno chiesto prestiti» e avrebbero bisogno di soldi «a fondo perduto».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: Semplificazioni, ecco il piano Valutazioni ambientali più veloci – Tempi certi per le autorizzazioni ambientali
Tema: Decreto legge semplificazioni

Il testo base del decreto legge semplificazioni è pronto: 50 articoli messi a punto da Palazzo Chigi e divisi in sette capitoli, che andranno al vaglio di un vertice politico di maggioranza martedì e, se non ci saranno intoppi, in Cdm alla fine della settimana. Ieri lo ha confermato lo stesso Conte, parlando di una «bozza» da portare in Cdm per favorire il confronto nella maggioranza. Il testo prevede riforme importanti (a partire dall’abuso di ufficio e dalla responsabilità erariale limitata al dolo) e accelerazioni delle procedure per le opere pubbliche ma senza la mitragliata di supercommissari «modello Genova». Il modello che sceglie Palazzo Chigi è piuttosto di affidare direttamente alle amministrazioni committenti (senza commissari) poteri straordinari in deroga alle procedure ordinarie. La chiave per farlo è un ricorso ampio all’articolo 63 del codice appalti, che già consente procedure veloci in casi eccezionali: nel decreto legge sarà inserita una norma che generalizzi l’accessò a questa corsia veloce per le stazioni appaltanti allargando il perimetro di emergenza da sanitaria a economica. Per le opere fino a 5 milioni di euro, inoltre, facendo riferimento alle direttive Ue, si consente l’affidamento senza gara. In questo modo Palazzo Chigi conta di tenere insieme la maggioranza e di far partire davvero i cantieri, superando la spaccatura plateale fra fautori dei commissari (M5s e Iv) e contrari (Pd) e proponendo un modello “turbo senza strappi”, velocizzazioni ma senza smantellare (o congelare) il codice appalti. La novità più consistente delle ultime ore rispetto all’impianto, ma anche il nodo politico più complicato da districare definitivamente, riguarda la Valutazione di impatto ambientale (Via) e i pareri delle Sovrintendenze, da venti anni i due poteri di veto più forti sulla via crucis delle autorizzazioni per un’opera pubblica. In entrambi i casi la parola chiave della proposta di Palazzo Chigi è «devolvere».
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Bassi Andrea 
Titolo: Piano taglia debito in 10 anni sforbiciata a spesa e detrazioni – Taglia-debito in 10 anni: sforbiciata alla spesa e alle detrazioni fiscali
Tema: Debito pubblico

Roberto Gualtieri lo mette nero su bianco fin dalle premesse del Programma Nazionale di Riforma che il governo si prepara ad approvare e a inviare a Bruxelles. «Sebbene», scrive il ministro dell’Economia, «le risorse europee che si renderanno disponibili per il rilancio dell’economia siano imponenti, le compatibilità finanziarie non dovranno essere trascurate». Dunque, aggiunge Gualtieri, «il governo elaborerà una strategia di rientro dall’elevato debito pubblico». Che la questione del debito pubblico, stimato dal Fondo monetario internazionale in crescita quest’anno fino al 166 per cento del Pil, fosse solo accantonata grazie ai massicci interventi della Banca centrale europea, ma non dimenticata, perché prima o poi anche i programmi avviati da Francoforte finiranno, era chiaro. Ma adesso che il debito tornerà ad essere una priorità per il governo, Gualtieri lo indica chiaramente nel Programma nazionale di riforma, il primo tassello di quel piano di Rilancio che il governo dovrà preparare entro settembre. Nel documento limato nelle riunioni tecniche che si sono tenute fino a ieri, è scritto che a settembre, oltre al piano di Rilancio, il governo consegnerà alla Commissione europea anche un programma di rientro dal debito in eccesso prodotto durante l’emergenza Covid che avrà una durata di 10 anni. «L’elevato debito pubblico dell’Italia rappresenta un freno alla crescita dell’economia oltre che un pesante fardello per la finanza pubblica. Il programma di Rilancio», prosegue il testo, «sarà pertanto accompagnato da un aggiornamento del Programma di Stabilità che presenterà non solo nuove proiezioni fino al 2023, ma anche un piano di rientro del rapporto debito/Pil su un orizzonte decennale». Nel Piano nazionale di riforma è delineata anche la strategia che il governo intende seguire per la riduzione del debito: «il miglioramento del saldo primario deriverà dalla razionalizzazione della spesa pubblica e dall’aumento dei proventi da imposizione ambientale».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  M. Gal. 
Titolo: Il Mes e i tanti rinvii Tensione nel Pd con Conte e 5 Stelle – Conte prende tempo sul Mes: «Prevalgono le ragioni del no»
Tema: Mes

A Palazzo Chigi non ne fanno mistero: «Una decisione non è stata presa, ma in questo momento prevalgono le ragioni del no». Nonostante il dibattito, il pressing del Pd e quello di Renzi, il capo dell’esecutivo Giuseppe Conte sembra dunque aver «congelato» la questione del Mes, almeno sino a settembre, quando l’Italia presenterà il suo piano di riforme all’Unione europea. Sembrano dunque fare premio al momento le resistenze trasversali del Movimento Cinque Stelle all’uso del Mes, quei 36 miliardi di euro che l’Italia potrebbe chiedere e spendere per le spese sanitarie dirette e indirette: «Se lo chiedessero prima altri Paesi, che pure si sono battuti per averlo nel ventaglio delle misure europee, dal Portogallo alla Spagna sino alla Francia, allora forse anche noi – proseguono a Palazzo Chigi – potremmo farci un pensiero, ma sino a quel momento non ci sono le condizioni; non solo il Movimento è più compatto di quanto sembri nel rifiuto del Meccanismo, ma ci sono anche problemi di immagine internazionale, non possiamo essere noi gli apripista». E questo è un concetto che appare scontare le stesse paure che ha una parte del centrodestra, lo stigma di una Troika di organismi internazionali che poi intervengono sulla nostra politica economica, il contrario di quanto ha sostenuto Angela Merkel appena due giorni fa, invitando l’Italia ad utilizzare tutti gli strumenti messi a disposizione dall’Unione europea per la ripresa economica dopo la pandemia del Covid. Eppure sono argomenti che non fanno al momento premio su Palazzo Chigi, Conte appare con le mani legate e il massimo che sembra disposto a concedere è quello di portare in Parlamento, per un voto, il Piano nazionale di riforme che come ogni anno va girato alla Ue. Per il resto non è previsto nessun voto sul Mes prima del prossimo Consiglio europeo, il governo sceglierà una risoluzione volutamente vaga senza impegnare direttamente le forze politiche.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubini Federico 
Titolo: L’Italia può incassare fino a 40 miliardi dalla Ue Quali sono le condizioni
Tema: Mes

Angela Merkel ha tradito il suo stupore per il fatto che nessun Paese abbia ancora chiesto di attingere al Pandemic Crisis Support. Quest’ultimo è il nuovo strumento con cui il Meccanismo europeo di stabilità mette a disposizione prestiti ai Paesi colpiti dalla recessione da coronavirus. «Non lo abbiamo attivato perché rimanga inutilizzato», ha detto la cancelliera tedesca. Le sue parole sono state accolte con freddezza dal suo collega italiano Giuseppe Conte. Ma cosa è il Mes e cosa fa? E un’organizzazione la cui base legale è un trattato fra i Paesi dell’area euro, che ne sono azionisti in quote più o meno pari al loro peso economico. Il Mes prende quasi tutte le decisioni all’unanimità. Esiste dal 2012 e fu creato per prestare ai Paesi europei colpiti dalla crisi del debito. In aprile i governi dell’area euro si sono messi d’accordo sul Pandemic Crisis Support: uno strumento di prestiti fino a circa il 2% del prodotto lordo del 2019 di ciascun Paese. Per l’Italia quel 2% vale 35,7 miliardi, ma può salire verso i 40 miliardi di euro perché la soglia non è rigida. Il Pandemic Crisis Support ha condizioni più favorevoli rispetto ai prestiti ordinari del Mes. Il tasso d’interesse sarebbe leggermente negativo (l’Italia rimborserebbe un po’ meno di quanto ha preso in prestito) su scadenze a sette anni; sarebbe di 0,08% su scadenza a dieci anni. Ai rendimenti attuali dei titoli di Stato italiani, un prestito a dieci anni del Mes farebbe dunque risparmiare all’Italia 4,8 miliardi rispetto a un prestito che l’Italia dovesse cercare sul mercato. Questo o futuri governi potrebbero dunque investire nella scuola, in grandi opere o nella riduzione del debito pubblico 4,8 miliardi in più. Perché alcune forze politiche continuano a nutrire dubbi? Forse perché fra il 2010 e il 2012 il Mes (e il suo predecessore Efsf) hanno concesso prestiti a Portogallo, Grecia, Spagna, Irlanda e Cipro dietro rigide condizioni di bilancio. Ma il nuovo strumento non le prevede.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Il retroscena – La forte irritazione pd con premier e 5 Stelle: sono stop ideologici, datevi una mossa
Tema: Mes

Quel che il presidente della Toscana Enrico Rossi scolpisce su Facebook, riguardo alla «linea demenziale» e alle «sciocchezze antieuropeiste» dei Cinque Stelle sul Mes, lo pensano quasi tutti nel Pd. Ed è solo per non inasprire ulteriormente gli animi se Nicola Zingaretti evita di esprimere pubblicamente la profonda insoddisfazione del Nazareno. Uno stato d’animo che non riguarda soltanto i rapporti con il Movimento, ma investe anche il presidente del Consiglio. Nell’ultima riunione con i capi delegazione, Dario Franceschini ha rimproverato a Conte questioni di metodo e problemi di comunicazione e ieri è stata la Rai a innescare la «forte irritazione» del Pd. Ma più in generale è l’arte del rinvio, di cui Giuseppe Conte sta diventando un maestro agli occhi del Nazareno, a logorare la pazienza del segretario e dei suoi ministri. «Il travaglio dei Cinque Stelle va rispettato, ma si diano una mossa», è l’efficace sintesi con cui la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa invita gli alleati ad affidare i loro tormenti alla piattaforma di Davide Casaleggio: «Facciano subito una consultazione su Rousseau, perché il popolo italiano vuole i 36 miliardi del Mes». E l’ex parlamentare europeo Goffredo Bettini, uno dei consiglieri più ascoltati da Zingaretti, su Tpi osserva come «un prestito a interessi zero e senza condizionalità venga mal digerito per una questione prettamente ideologica». Giorno dopo giorno e rinvio dopo rinvio, i democratici sembrano non poterne più dell’indecisione del premier, che ai loro occhi appare come «paralizzato» dalla lacerazione interna al M5S. Il decreto Semplificazione, annunciato giorni fa, è slittato a metà luglio. Il Recovery plan è scivolato a settembre. Le alleanze alle Regionali non decollano. «Dovremmo almeno provarci», geme Zingaretti, che rimprovera al governo (anche) un eccesso di timidezza.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fabbrini Sergio 
Titolo: Da luglio la Ue diventa a trazione tedesca
Tema: Ue – Turno di Presidenza

Il 1° luglio inizierà la presidenza semestrale tedesca dell’Unione europea. Una grande aspettativa si è creata su questa presidenza. La presidenza semestrale dell’Ue, a rotazione tra i suoi Stati membri, è una pratica prevista sin dai Trattati di Roma del 1957. Con tale pratica si volle affermare il principio che l’Ue è un’organizzazione internazionale o interstatale. Essa è rimasta, nonostante gli allargamenti successivi. Tuttavia, tale pratica ha creato non pochi problemi, con l’evoluzione sovra nazionale dell’Ue. Ad esempio, non ha potuto garantire la continuità dell’agenda strategica dell’Ue, nonostante i correttivi introdotti con il cosiddetto Trio. Di qui, la progressiva istituzionalizzazione del Consiglio europeo dei capi di governo nazionali (divenuto un’istituzione formale dell’Ue a partire dal Trattato di Lisbona del 2009), con un presidente eletto per 5 anni dai membri di quel Consiglio. Con l’ascesa del Consiglio europeo, la presidenza semestrale si è limitata a coordinare le attività dei Consigli dei ministri nazionali, lasciando al Consiglio europeo la gestione dell’agenda strategica europea. Tuttavia, con la presidenza tedesca, tale divisione del lavoro appare improbabile. A fronte di una crisi senza precedenti dell’economia europea (si prevede un calo superiore al 7,5% del Pil dell’Eurozona nel 2020) e ad un deterioramento inarrestabile del contesto internazionale, l’Ue abbisogna di una leadership che Charles Michel non può fornirle. Ed è qui che arriva Angela Merkel. Nel programma di presidenza semestrale, la cancelliera ha messo in gioco il peso del suo governo per promuovere alcune priorità dell’agenda strategica europea. Innanzitutto, la costruzione di una sovranità sanitaria dell’Ue.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: La Germania assume la leadership europea
Tema: Ue – Turno di Presidenza

Per la tredicesima volta dal 1958, la Germania assumerà in luglio la presidenza di turno dell’Unione Europea. Mai come oggi il momento è tumultuoso. Per decenni, il Paese è stato riluttante ad assumere un ruolo di guida in Europa, preferendo giocare di rimessa e coltivare i suoi interessi. Oggi, lo sconquasso provocato dall’epidemia di questi mesi così come l’incerto panorama internazionale stanno inducendo la diplomazia tedesca a mettere in mostra una nuova leadership. Poco importa se dal 2010 a presiedere il Consiglio europeo, ossia il consesso che raggruppa i capi di Stato e di governo dell’Unione, sia un presidente permanente, oggi l’ex premier belga Charles Michel. È vero che il presidente di turno dell’Unione è spesso costretto al ruolo di notaio, ma la Germania non può permetterselo, neppure se lo volesse. Il peso del Paese è tale per cui la sua influenza nelle riunioni ministeriali è inevitabile, tanto più che la sua presidenza giunge in un momento particolare. «A parte Angela Merkel, già cancelliera allora, siamo in tutto un altro mondo – nota da Firenze -. La crisi finanziaria non era ancora scoppiata, Brexit non era un pericolo che si profilava all’orizzonte, non c’era naturalmente la pandemia influenzale e neppure Donald Trump alla Casa Bianca, la Cina c’era già ma non così forte come oggi. Allora nessuno metteva in discussione l’Unione», a differenza di oggi, nota Vincenzo Grassi, segretario generale dell’Istituto universitario europeo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: Coronavirus: troppi casi, la Ue pronta a mantenere chiuse le frontiere con gli Usa – Covid, la Ue punta a mantenere le frontiere chiuse con gli Usa
Tema: Pandemia – Confini esterni dell’Unione

Manca una manciata di giorni al 1° luglio, data entro la quale i Ventisette devono decidere se riaprire le frontiere esterne dell’Unione europea o rinnovare ulteriormente le restrizioni ai viaggi non essenziali in provenienza da paesi terzi.  L’epidemia che sta colpendo in giro per il mondo complica non poco una selezione di paesi non banale da un punto di vista politico. Tra le altre cose i paesi membri devono decidere se aprire i confini ai cinesi, ma non agli americani. Diplomatici qui a Bruxelles hanno negoziato in questi giorni un criterio epidemiologico con cui stabilire se aprire o meno le frontiere esterne a singoli paesi terzi. Il parametro prevede che si possano aprire i confini con i paesi che contino in media meno di 16 nuovi malati ogni 100mila abitanti negli ultimi 14 giorni. Ne è emersa una lista di 14 paesi: Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova-Zelanda, Ruanda, Serbia, Corea del Sud, Thailandia, Tunisia e Uruguay. A questa lista si aggiungerebbe la Cina, nel caso dal paese asiatico ci fosse reciprocità nei confronti dei cittadini comunitari. Esclusi sarebbero gli Stati Uniti, il Brasile e la Russia. Secondo il compromesso ancora da approvare definitivamente, i Ventisette sarebbero chiamati a verificare la lista ogni 14 giorni, sulla base delle indicazioni sanitarie.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Valentino Paolo 
Titolo: L’Europa fa due liste separate: americani fuori, sì a 14 Paesi
Tema: Pandemia – Confini esterni dell’Unione

Come alle scuole elementari di una volta, le liste sono due: quella dei «buoni» e quella dei «cattivi». Quella dei Paesi i cui cittadini verranno accettati alle frontiere dell’Unione europea a partire dal 1° luglio. E quella dei Paesi i cui residenti non potranno entrarci. Ma come alle elementari, le due liste continuano a cambiare perché gli ambasciatori dei 27 dopo due giorni di trattative non sono ancora d’accordo su chi sia «buono» (cioè non potenziale portatore di contagio) e chi sia «cattivo» e rischia di trasmettere il Covid-19. Così, l’Australia, il Canada o il Giappone sono nell’elenco dei «buoni». Ma gli Stati Uniti, la Russia, Israele, il Brasile, l’Arabia Saudita e la Turchia sono in quello dei «cattivi». La Cina, che ufficialmente dichiara tasso di contagio o, è un caso speciale: i suoi «national» potranno entrare in Europa ma solo a condizione che anche le autorità di Pechino facciano altrettanto con gli europei a casa loro, il che al momento non succede. Da notare che il Regno Unito, dove la pandemia continua purtroppo a registrare alti tassi di contagio, non è in alcuna lista: nonostante la Brexit infatti, durante il periodo di transizione Londra fa ancora formalmente parte dell’Ue e viene trattata come Paese membro. Ergo, niente blocco, siamo inglesi. I due elenchi non sono definitivi. L’Italia, che ha chiesto un maggior coordinamento da parte della Commissione, ha avuto un atteggiamento più prudente, che poi ha prevalso. I criteri sui quali è stata trovata l’intesa si sono così fatti più severi. Tre sono quelli decisivi: un tasso di nuovi contagi ogni 100mila persone nelle ultime due settimane non superiore a 16,1 che è la media europea; un trend di questi decrescente o almeno non in aumento, e soprattutto un indice di «affidabilità» del sistema sanitario di un dato Paese superiore a 57. È questo il criterio più controverso perché anche il più politico.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  D’Argenio Alberto 
Titolo: Frontiere, pasticcio europeo – “Si alla Cina, no agli Usa” l’impasse dell’Ue sui confini
Tema: Pandemia – Confini esterni dell’Unione

L’Ue non sa decidere sulla riapertura delle sue frontiere esterne. Dopo settimane di negoziati, i partner europei non hanno ancora trovato un accordo sulla lista dei Paesi ai quali aprire le porte dal primo luglio dopo la serrata dei confini causa pandemia che si protrae dal 17 marzo. La decisione deve dunque essere presa entro mercoledì e al momento non è chiaro se la bozza di lista verde con 15 Paesi sarà approvata dalle capitali. L’elenco lascerebbe fuori Stati Uniti, Russia e Brasile. Ma il vero problema è la Cina. Gli europei hanno definito una serie di criteri per decidere le nazioni con le quali riattivare i collegamenti. Il principale è un tasso epidemiologico simile a quello del Continente: meno di 16 contagiati ogni 100mila abitanti. Vi rientrano Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova. Zelanda, Ruanda, Serbia, Corea del Sud, Tailandia, Tunisia e Uruguay. A questi si aggiunge la Cina, inserita in fondo alla lista con un asterisco: Pechino entrerà a pieno titolo nell’elenco solo se garantirà la reciprocità all’Europa. Una condizione dal sapore politico: mira ad allungare i tempi per la ripresa dei viaggi dalla Repubblica popolare. Molti governi Ue temono infatti una dura reazione di Donald Trump per il diverso trattamento tra Cina e Usa. Inoltre gli europei nutrono il sospetto che i dati cinesi sui contagi siano poco affidabili. Per non dire di peggio. Un vulnus che oltre a mostrare il fianco agli attacchi mediatici e politici di Washington, rappresenta un rischio sanitario: turisti e businessman cinesi potrebbero riattivare la catena del contagio da noi.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Pierantozzi Francesca 
Titolo: Parigi, Hidalgo favorita per la conferma Il voto nelle città mette pressione a Macron
Tema: Francia – Parigi, elezioni comunali

Troppe bici per la macronana Agnès Buzyn, troppi topi per la conservatrice Rachida Dati, ma alla fine, è la Parigi rosa-rosso-verde della socialista Anne Hidalgo che dovrebbe essere confermata oggi dalle urne del ballottaggio per scegliere la nuova sindaca. Il secondo turno delle comunali era fissato per il 22 marzo. Il primo turno sembra appartenere a un’altra epoca: si svolse, in un clima di massima allerta sanitaria, il 15 marzo. Due giorni dopo Macron confinava la Francia. La tornata elettorale – che per molti avrebbe dovuto essere annullata – registrò un’astensione record: solo il 40 per cento andò a votare, già con le mascherine e il gel idroalcolico. Parigi, il risultato è comunque apparso subito poco sfumato. Tre si contendono la poltrona all’Hotel de Ville, tre donne: la sindaca uscente Hidalgo, con il 29,3%, la candidata della destra dei Républicains Rachida Dati, con il 22,7 e, per En Marche, l’ex ministra della Sanità di Macron, Agnès Buzyn, con un fiacco 17,2%. I sondaggi danno tutti Hidalgo come la vincitrice di stasera: le sue liste raccoglierebbero tra il 44 e il 45%. Un risultato certo inferiore al trionfale 53,3 che la portò alla guida della capitale nel 2014, ma comunque blindato dall’accordo fatto con la lista dei verdi parigini di David Belliard, che al primo turno avevano ottenuto un bel 10,8%. La vera sorpresa di queste elezioni è stata la performance di Rachida Dati. L’ex ministra della Giustizia di Nicolas Sarkozy – sindaca dell’elegante settimo arrondissement, dove il 15 marzo ha ottenuto la maggioranza assoluta – è riuscita a tirare fuori dalla naftalina la destra e si è imposta come la vera possibile sfidante di Hidalgo. Ha invece confermato tutti i cattivi presagi Agnès Buzyn, chiamata a salvare il salvabile a un mese dal primo turno, quando il candidato di En marche Benjamin Griveaux era stato costretto ad abbandonare la corsa, travolto da uno scandalo hard.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Macioce Vittorio 
Titolo: Se la Polonia diventa uno schiaffo alla Merkel di Vittorio Macioce – Presidenziali in Polonia decisive per gli equilibri: si decide il futuro dell’Ue
Tema: Elezioni presidenziali in Polonia

La Polonia torna centrale sulla mappa dell’Europa. Quello che accade qui non è mai marginale. E come se fosse un indice delle svolte della storia. Qui oggi ci sono le elezioni presidenziali, magari non accade nulla di straordinario, ma vale la pena darci uno sguardo. E il primo turno, i primi due andranno al ballottagio. Andrzej Duda si gioca la riconferma. Il suo partito, Diritto e Giustizia, fondato da Jaroslaw Kaczynski, è favorito. Duda è al governo dal 2015 e sta portando avanti la sua rivoluzione conservatrice. Messa così non ci sarebbe nulla di male. La sua azione politica, di fatto, presenta più di qualche ombra, su tutti il controllo governativo della stampa e la tendenza a non riconoscere alcuni diritti civili. Il «conservatorismo» di Duda non sempre si muove nel solco della tradizione liberal-democratica dell’Occidente. È un difetto che, in forma opposta, hanno anche a sinistra. La realtà è che l’Europa si ritrovano a fare i conti con la doppia pressione contro i principi della «vecchia» civiltà, da una parte il sovranismo, dall’altra il globalismo, tutte e due impegnati a rivedere il canone occidentale. A sfidare il presidente in carica c’è Rafal Trzaskowski, il sindaco di Varsavia, candidato di Piattaforma civica. Quante possibilità ha davvero? Non molte, secondo i sondaggi. Tutto dipende dal secondo turno. Duda è dato al 40 per cento. Non dovrebbe vincere al primo colpo. Il suo governo sconta anche il malcontento per una gestione incerta durante l’epidemia. La Polonia non è certo tra i Paesi che hanno sofferto di più, ma proprio in questa situazione Duda ha mostrato di non essere un leader di grande carisma.
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Testata:  Sole 24 Ore  
Titolo: Sarraj da Conte, si lavora al ritorno delle imprese italiane
Tema: Italia – Libia

L’Italia stringe ulteriormente i rapporti con il governo di Tripoli, marcando il ruolo da protagonista in Libia: il premier Giuseppe Conte ha ricevuto Fayez al Sarraj a Roma rafforzando il pressing per una soluzione politica della crisi. Ed incassando un punto a favore per il rilancio delle relazioni economiche: la costituzione di un tavolo per un ritorno delle imprese italiane nel paese nordafricano.
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Testata:  Messaggero
Titolo: Conte riceve Serraj: si riapre alle imprese italiane in Libia
Tema: Italia – Libia

L’Italia prova a rientrare nella partita libica stringendo i rapporti con il governo di Tripoli. Giuseppe Conte ha ricevuto ieri Fayez al Serraj a Roma nel tentativo di spingere per una soluzione politica della crisi. Al termine dell’incontro incassa un punto a favore per il rilancio delle relazioni economiche con la costituzione di un tavolo per un ritorno delle imprese italiane nel paese nordafricano. Al termine dell’incontro è stato il governo libico a riferire che «è stato convenuto di formare un comitato per seguire il ritorno delle imprese italiane al fine di riprendere le loro attività in Libia». Il ruolo di primo piano dell’Italia nel tessuto produttivo libico, a partire dalla ramificata presenza dell’Eni nel settore energetico, non è stato messo in discussione neanche dopo la fine del regime di Gheddafi. Nel testo diffuso via social dai libici si legge anche che Conte e Serraj si sono detti d’accordo che «tutti devono seguire una via politica che assicuri stabilità conformemente alla risoluzione del Consiglio di sicurezza e ai risultati (della conferenza) di Berlino».
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Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  Colombo Furio 
Titolo: Trio Roma-Tripoli-Cairo – Italia, Libia ed Egitto: triangolo denso di nubi
Tema: Caso Regeni

C’è un rapporto fra l’Egitto, che non presta alcuna attenzione all’assassinio del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, ma onora costosissimi prodotti italiani (navi da guerra) pronta cassa, e la Libia di Al-Serrai, che riceve paterne visite, paterni inviti a Roma e pagamenti abbondanti dall’Italia, mentre lo stesso Al-Serraj intreccia, alla luce del sole, legami capestro con potentissimi partner (la Russia) per affrontare costosi progetti di cui non si lasciano sfuggire una parola? La domanda riguarda naturalmente l’Italia, che va in giro con questi amici, in modo da ridurre la sua immagine a quella di un privato abile e attivo, senza un’ombra di preoccupazione per gli interessi nazionali del Paese e un minimo di prestigio dello Stato italiano. In Egitto, l’Italia è un venditore che si affida al prodotto. Vende bene e non vuole dissapori con il cliente. Agenti segreti, ambasciatori e Farnesina non vedono perché proprio loro dovrebbero bloccare buoni affari, che probabilmente non sono che l’anello di una catena di altri buoni affari. C’è chi vi dice: pensate alla occupazione, e chi vi ammonisce: attenzione alla concorrenza. E così il caso Regeni e la sua fine barbara di cittadino italiano senza un Paese amico al suo fianco, da vivo o da morto, scende parecchio al di sotto della sua inevitabile natura di principale, ostinata richiesta italiana di verità. Se in Egitto c’è il selvaggio e inspiegato assassinio di Giulio Regeni, la parte di Investigazione italiana si trasforma in una educata passività, incline alla distrazione. In Libia, l’Italia, che come potenza risulta perdente sia sul versante di Tripoli sia su quello di Haftar, è brutalmente offesa dalle passeggiate turche e russe sulle terre che l’Italia credeva di guidare, controllare o almeno influenzare, resta però complice attiva della caccia ai profughi, compresi i bambini e le donne che affogano a decine di fronte alle coste di Malta o di Lampedusa.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Stabile Giordano 
Titolo: L’Egitto libera 530 detenuti, pressing per Zaki
Tema: Egitto, caso Patrick Zaki

L’Egitto libera 530 detenuti per il rischio di contagio da coronavirus e l’Italia chiede al presidente Abdel Fatah al-Sisi di includere nella lista Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna arrestato il 7 febbraio e tenuto in carcere senza un processo, con la detenzione prolungata in automatico di 15 giorni in 15 giorni. Tanto più che il 29enne dottorando è un soggetto a rischio, soffre di asma, e se dovesse ammalarsi nella sovraffollata prigione di massima sicurezza di Tora, dove sono stati già registrati casi di Covid-19, le conseguenze potrebbero essere serie. Appena si è diffusa la notizia delle intenzioni del governo del Cairo, che intende allentare la pressione sulla popolazione carceraria dopo il riesplodere dell’epidemia nelle ultime settimane, a Bologna si è riaccesa la speranza. Zaki è accusato di «propaganda sovversiva», per un post su Facebook in difesa dei diritti degli omosessuali, non è implicato in nulla di grave e in un regime carcerario duro come quello di Tora, dove sono detenuti oppositori e sospetti terroristi, è per lui insostenibile. Il rettore dell’Università, Francesco Ubertini, si è appellato al governo italiano, alla Commissione europea e «alle numerosissime istituzioni che hanno aderito alla nostra mozione e a tutte le università del mondo che hanno sottoscritto i principi della Magna Charta affinché facciano sentire la propria voce: è l’occasione per mettere fine a questa assurda vicenda e poter restituire Patrick alla sua vita e ai suoi studi, spero di poterlo riabbracciare presto qui a Bologna».
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