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SINTESI IN PRIMO PIANO – 26 aprile 2021

In evidenza sui principali quotidiani:

– Recovery: frenata Ue, interviene Draghi. Superbonus, proroga in manovra;
– La spinta del nuovo Recovery, 46 miliardi in più da investire;
– Più vaccini, il diktat di Figliuolo alle Regioni. De Luca lo sfida: via al piano per le isole;
– Conte sfida Rousseau: “Vogliamo i dati degli iscritti al M5S”;
– Dal 2022 in pensione non prima dei 67 anni. Sindacati in allarme;
– Voto tedesco: declino della Cdu, dopo Merkel ora rischia la sconfitta;
– Biden sfida Erdogan: “Il massacro armeno è stato un genocidio”.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Breda Marzio 
Titolo: Da Mattarella un richiamo a unità e coesione che permisero di ricostruire
Tema: 25 Aprile – Il messaggio di Mattarella

“Ora più che mai è necessario rimanere uniti in uno sforzo congiunto che ci permetta di rendere sempre più forti e riaffermare i valori e gli ideali che sono alla base del nostro vivere civile, quel filo conduttore che, dal Risorgimento alla Resistenza, ha portato alla rinascita dell’Italia”. Sergio Mattarella non ama piegare le riflessioni sulla pandemia alle metafore di guerra, perché il rischio è che suonino enfatiche e fuorvianti. Certo, il bilancio di lutti e disastri economici provocati dal Covid sono quelli di un conflitto. Lo sa bene anche lui. Ma il virus è «un nemico comune», che colpisce tutti senza distinzioni e in ogni angolo del pianeta. E questo impone di andare oltre la falle retorica bellicista, proponendo semmai un richiamo al senso di comunità. Se non altro per emanciparci dalla paura e cominciare a ricostruire. E’ ciò che il presidente della Repubblica si è sforzato di fare ieri,  anticipando l’annuo della Liberazione con un messaggio alle associazioni combattentistiche e partigiane. L’anno scorso, al culmine del lockdown, capo dello Stato si ritrovò solo in una piazza Venezia deserta a salire la scalinata che porta all’altare della Patria. Un’immagine iconica di questa interminabile e dura stagione. Stavolta, invece, pur nel limiti imposti dal distanziamento, lo accompagneranno i vertici delle istituzioni (da Draghi al presidenti delle Camere). Un primo segno di normalizzazione, per un 25 Aprile nel quale ricorda sacrificio di migliaia di connazionali che hanno lottato nelle fila della Resistenza e combattuto nelle truppe del Corpo Italiano di liberazione, di quanti furono deportati, internati, sterminati nel campi di concentramento e delle donne e degli uomini di ogni ceto ed estrazione che non hanno fatto mancare il loro sostegno, pagando spesso duramente la loro scelta». Questo il preambolo della nota diffusa ieri dal Quirinale. Nota che diventa poi un appello, in bilico tra passato e presente.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Grignetti Francesco 
Titolo: Più vaccini, il diktat di Figliuolo alle Regioni De Luca lo sfida: via al piano per le isole
Tema: Emergenza Covid-19

È il giorno in cui fa il suo esordio il nuovo vaccino Johnson&Johnson. Una buona notizia quando siamo prossimi a raggiungere i 4 milioni di contagiati (ieri erano 3.949.517) e i morti sono vicini alla soglia dei 120 mila (119.021). Siccome Johnson&Johnson tra i vaccini è l’unico monodose, c’è chi, come il Lazio, ha inaugurato due hub specifici, tra cui quello di Valmontone dove nemmeno si esce dalla macchina, oppure c’è l’Emilia-Romagna che preferisce utilizzarlo per le vaccinazioni a domicilio. La macchina delle inoculazioni sembra lentamente accelerare. I dati dicono che la soglia annunciata delle 500 mila iniezioni al giorno è a portata di mano entro una settimana. Secondo il commissario straordinario, il generale Francesco Paolo Figliuolo, ci si potrebbe arrivare se tutte le Regioni rispetteranno la sua tabellina che fissa gli obiettivi per ciascuna di loro. Secondo il prospetto, «se saranno rispettati i target giornalieri crescent i», già domani si dovrebbero superare le 400 mila dosi e il 29 aprile in Italia dovranno essere inoculati 504.484 vaccini. Da parte sua, il commissario fa sapere che la prossima settimana sono in arrivo 5 milioni di dosi; quindi non dovrebbero esserci intoppi. Già domani possibile quota 400 mila mentre debutta il siero Johnson&Johnson nelle forniture. I primi risultati dell’incremento delle vaccinazioni, sommati al lockdown di aprile, si vedono dai numeri del bollettino sanitario quotidiano. Sembra che la terza ondata si stia sgonfiando: sono stati 13.817 i nuovi casi di coronavirus registrati, calano i posti di terapia intensiva occupati da pazienti Covid (2.894, con 143 nuovi ingressi), 322 i nuovi decessi. Si sta allargando l’area degli immunizzati: il 23 aprile è stata oltrepassata la soglia dei 17 milioni di italiani che hanno avuto almeno un’iniezione.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Conti Marco 
Titolo: Intervista a Mariastella Gelmini – «Nei locali fino alle 22, si può» – «Al ristorante fino alle 22 e nessuno sarà multato»
Tema: Emergenza Covid-19

Domani gran parte dell’ltalia torna in zona gialla. «Voglio chiarire un punto: chi andrà a cena fuori potrà stare tranquillamente seduto al tavolo fino alle 22 e poi, una volta uscito dal locale, far ritorno a casa senza alcun rischio di ricevere sanzioni». Così il ministro per gli Affari regionali Mariastella Gelmini prova a spegnere le polemiche dei ristoratori che chiedono l’estensione del coprifuoco oltre le 22. Ministro, domani molte regioni riaprono ma ancora in molti contestano l’ultimo decreto del governo. Era il massimo che si poteva fare? «Si poteva fare di più, ma qualcuno voleva fare molto di meno. Le riaperture sono una vittoria per gli italiani. Quasi tutta Italia è in zona gialla, i nostri ragazzi tornano a scuola, ripartono tante attività economiche. C’è stata qualche polemica sul coprifuoco e sulla difficoltà per i ristoratori ad erogare i propri servizi la sera. Ma voglio chiarire un punto: ch i va a cena fuori può stare tranquillamente seduto al tavolo fino alle 22 e poi, una volta uscito dal locale, far ritorno a casa senza alcun rischio di ricevere sanzioni». Lei ha detto che tra quindici giorni si farà una verifica delle misure. C’è quindi da attendersi un nuovo decreto? «I dati dei contagi stanno migliorando costantemente e la campagna vaccinale è entrata ormai nel vivo: ormai siamo quasi a 400mila inoculazioni al giorno. Se continua il trend positivo a metà maggio si cambia il coprifuoco, e il nostro obiettivo è quello di abolirlo, e si riaprono nuove attività». Chi potrà giovarsene? «Dal primo giugno vogliamo i ristoranti al chiuso aperti anche a cena, vogliamo che riparta il settore del wedding e va risolto l’incidente sui centri commerciali che devono poter aprire anche durante i week end».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Buzzi Emanuele 
Titolo: Il retroscena – Scontro aperto sui militanti Le manovre per il «partito» di Casaleggio e dei fuoriusciti Di Battista: decido a settembre
Tema: M5S

Nessuna ansia di bruciare i tempi per «non ripetere gli errori del passato». I fedelissimi di Rousseau aspettano le prossime mosse. Davide Casaleggio ha annunciato la nascita di «un percorso diverso», ma i tempi, i volti e i modi del progetto sono ancora nebulosi. Sappiamo che prima della presentazione del Manifesto Controvento qualcuno aveva registrato già il sito movimentocontrovento.it. I big storici M5S espulsi di recente (per il no al governo Draghi) – da Barbara Lezzi a Nicola Morra – hanno contatti continui con l’associazione milanese: facile immaginare che possano essere coinvolti nello sviluppo di una nuova avventura. Anche i fuoriusciti del gruppo «L’alternativa c’è» hanno aperto al dialogo: un vantaggio competitivo nel caso in cui si voglia dar vita a un nuovo soggetto prima della fine dell’anno come appare probabile. Al momento però le priorità per Casaleggio riguardano la necessità di mettere in sicurezza (economica) la piattaforma. L’apertura di Conte al pagamento del debito sembra poter evitare le vie legali, ma la cifra che il M5S verserà sarà fondamentale per escludere l’intervento di giudici e avvocati. Nell’ombra, intanto, si lavora al progetto politico che vuole essere «civico», quindi dal basso, dai territori come era stato quindici anni fa con i primi meet up. Soprattutto con nuovi volti. In questo senso è facile immaginare che i contatti allacciati con la base negli ultimi mesi possano fare da volano per strappare già degli iscritti al Movimento.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Pucciarelli Matteo 
Titolo: Conte sfida Rousseau “Vogliamo i dati degli iscritti al M5S”
Tema: M5S

Il giorno dopo l’addio dell’associazione Rousseau al M5S – un addio che tra le righe lasciava aperto qualche spiraglio – Giuseppe Conte ratifica, anche da par suo e senza particolari rimpianti, la separazione. Nel contempo il capo in pectore del Movimento annuncia che la sua rifondazione, con nuove regole, carta dei valori e organi dirigenti, verrà presentata «nel corso di un grande evento online, aperto e partecipato» ai primi giorni di maggio. Il post social dell’ex presidente del Consiglio mette dei paletti chiari ed era molto atteso dentro i 5 Stelle, provati da una vacatio che ormai dura da mesi. Rispetto alla rottura con la piattaforma gestita da Davide Casaleggio, Conte dice che «una forza politica che ha un ruolo di primo piano nello scenario della vita democratica del Paese deve garantire ai propri iscritti e a tutti i cittadini che la gestione tecnica della piattaforma digitale e di tutti i servizi connessi sia assolutamente distinta dalla direzione politica». Distinzione che in verità nel M5S non c’era mai stata. Così non resta che chiudere anche formalmente i rapporti. «Prima di presentare il nuovo statuto e la Carta dei principi e dei valori, manca pero un passaggio fondamentale: il trasferimento dei dati degli iscritti da Rousseau al MSS, che è l’unico ed esclusivo titolare del trattamento di questi dati», spiega il due volte premier. L’elenco è definito «fondamentale» perché i cambiamenti statutari devono essere approvati dall’assemblea degli iscritti, da convocare con un preavviso di almeno 15 giorni. Le decisioni dell’assemblea non dovranno per forza passare da Rousseau: «Possono essere adottate anche mediante consultazione scritta di tipo referendario, anche telematica online, ovvero mediante consenso espresso per iscritto, anche in via telematica online», è il passaggio dell’attuale statuto che consentirebbe ai 5 Stelle di bypassare una volta per tutte la ormai vecchia piattaforma.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Casadio Giovanna 
Titolo: Nelle città intese difficili col Pd Letta: ostacoli superabili
Tema: Pd

«Considero fisiologico il fatto che ci siano degli ostacoli sulle amministrative, giacché a Roma e Torino le sindache uscenti sono dei 5Stelle». Enrico Letta, il segretario del Pd, colpisce di fioretto. Risponde a Luigi Di Maio, il ministro grillino, il quale ha ammesso in un colloquio con Repubblica i suoi timori per l’alleanza giallo-rossa, che non decolla in vista del voto nelle città. Le amministrative d’autunno sono un test cruciale. Riguardano le città metropolitane. Centrosinistra e grillini finora non riescono a trovare l’accordo, rischiando di regalare la vittoria a Salvini e alla destra. A Torino, a Bologna, a Napoli e a Roma il cantiere dell’alleanza Pd-5Stelle è in alto mare. A Milano c’è Beppe Sala, che si ripresenta: l’accordo con i grillini – ha detto – non è indispensabile. Ma neppure escluso. Sulle amministrative il segretario Letta evita il muro contro muro: non è certo con le prove di forza che si costruiscono le alleanze, per le quali – fanno sapere dal Nazareno – «ci vuole tempo, e Letta ne ha convenuto con Giuseppe Conte quando si sono incontrati». Però al Pd non piace che i 5Stelle gettino ora la palla nella metà campo dem. Il vice segretario Peppe Provenzano esprime lo stato d’animo del partito: «L’avviso di Di Maio è diretto a Conte, non al Pd. Sono loro a dover decidere, a loro manca la guida». Stesso concetto che dal Nazareno ribadiscono: «Noi Dem rispettiamo la gestazione della leadership di Conte, in cui confidiamo, così i 5Stelle abbiano la pazienza di rispettare i percorsi avviati in tutte le realtà coinvolte. Una alleanza per durare deve essere solida».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Morosi Silvia 
Titolo: Nove italiani su dieci: i diritti degli animali come arte e paesaggio Entrino nella Carta
Tema: Reati nei confronti degli animali

È tempo di inserire la protezione di ambiente e animali nella Costituzione Italiana, affiancando alla «tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione» – citata nell’articolo 9 – anche quella di ecosistemi, biodiversità e fauna in senso stretto. A chiederlo non è solo un testo in discussione al Senato, ma anche la maggioranza degli italiani interpellata da un’indagine demoscopica di Ipsos per conto della Lega italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente. Come emerge dal sondaggio, il 91 per cento della popolazione si dice favorevole all’aggiornamento della Carta costituzionale. Agli intervistati è stato chiesto, prima di tutto, il grado di conoscenza del tema sostenibilità: la maggioranza ha risposto di conoscere bene l’argomento, mentre solo l’8 per cento dice di non averne mai sentito parlare. II restante 52 per cento, infine, ha affermato di essere a conoscenza delle problematiche legate al te ma, ma di non essere abbastanza informato. In secondo luogo è stato chiesto quanto il tema della sostenibilità sia importante in relazione alle proprie scelte alimentari: l’85 per cento degli intervistati lo ha ritenuto molto importante, mentre solo il 15 per cento ha confessato di non riconoscerne il valore. In ultimo, poi, gli italiani sono stati chiamati a rispondere sul molo che la politica deve, o dovrebbe, avere sue questi argomenti: nello specifico, per il 93 per cento del campione esaminato, la politica dovrebbe occuparsi di ambiente e transizione ecologica, e per l’88 per cento dovrebbe anche preoccuparsi della tutela degli animali. Quello che emerge dal sondaggio, insomma, e «un messaggio chiaro rivolto al Parlamento, e a quella parte politica che cerca di osteggiare le nostre riforme e non vuole che si approvi in fretta il decreto per inasprire le pene verso chi commette reati nei confronti degli animali», commenta Michela Vittoria Brambilla.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine – Trovati Gianni 
Titolo: Recovery: frenata Ue, interviene Draghi Superbonus, proroga in manovra – Draghi: così cambia il Recovery Superbonus, proroga in manovra
Tema: Recovery

Più riforme, più spinta al Pil e una clausola di spesa per l’occupazione femminile e giovanile. Sono le novità del Pnrr rispetto alla versione del Conte-2 riassunte in un documento preparato da Palazzo Chigi per la riunione del consiglio dei ministri. Riunione arrivata dopo una giornata intera di trattative fra Roma e Bruxelles chiuse da un confronto diretto fra il premier Draghi e la presidente della Commissione Ue Von Der Leyen. Anche se la riunione di ieri sera, aperta dall’annuncio del ministro dell’Economia Franco sul «disco verde» della commissione, come da attese ha visto solo un’informativa sul Piano da 221,5 miliardi, perché l’approvazione arriverà la prossima settimana dopo i passaggi in Parlamento e in Conferenza Unificata. Nella nuova riunione dovrebbe arrivare anche il decreto legge sulla governance del Piano. In realtà le ultime 48 ore del Pnrr prima del consiglio dei ministri si sono scaldate su un doppio fronte. Qu ello domestico si è concentrato soprattutto sul super-bonus (oltre che sulle pensioni), e ha visto via via coalizzarsi i partiti della maggioranza alla richiesta della proroga al 2023. Proroga che non entra nel Recovery, dove avrebbe dovuto recuperare oltre 10 miliardi da altri progetti e superare le obiezioni comunitarie, ma che è stata messa nel programma della prossima legge di bilancio. Questo è l’impegno chiesto dai partiti e sottoscritto dal governo, anche nell’ottica di una valutazione d’impatto della misura che potrebbe portare ad aggiustamenti di stime e meccanismi.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Prova di forza con l’Europa – Draghi alza il telefono e avverte von der Leyen «Basta così, per l’Italia ci vuole rispetto»
Tema: Recovery

Ad un certo punto del pomeriggio Mario Draghi alza il telefono per la seconda volta in due giorni, richiama la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non alza la voce, ma manda un messaggio che chiude una trattativa estenuante, ruvida, segnata dalla diffidenza degli uffici tecnici di Bruxelles: «Non credo che dobbiamo fornire ulteriori spiegazioni, basta così. Cì vuole rispetto per l’Italia. Non si può chiedere tutto e subito ad un Paese con un’economia in ginocchio». Dopo 48 ore filate di videoconferenze e telefonate fra il governo italiano e gli uffici della Commissione, la trattativa si conclude con l’accettazione delle garanzie che Draghi offre in prima persona. Nel Piano predisposto dal precedente governo c’era una sola pagina dedicata alle riforme di attuazione del Recovery, «oggi ce ne sono 40», mettono nero su bianco a Palazzo Chigi. Come dire: la Commissione apprezzi lo sforzo di riscrittura del Piano fat to dal governo Draghi, che «è stato molto profondo» rispetto a quello che si è ritrovato in mano quando si è insediato. È stata anche una corsa contro il tempo: domani il Recovery sarà presentato al Parlamento, poi spedito a Bruxelles nella sua ultima versione. Fonti della Commissione coinvolte nella trattativa finale in qualche modo smentiscono la sfiducia nei confronti del nostro Paese, giustificano la grande richiesta di chiarimenti rivolta al governo italiano in questo modo: «In una settimana abbiamo dovuto fare con l’Italia quello che con altri Paesi europei abbiamo fatto in un mese, ma abbiamo appiccato le stesse regole».
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Testata:  Repubblica
Autore:  Lauria Emanuele – Vitale Giovanna 
Titolo: Recovery, i dubbi della Ue Ma Draghi: garantisco io – Primo sì al Recovery dopo un braccio di ferro con Ue e partiti
Tema: Recovery
Paletti di Bruxelles su fisco e concorrenza, il via libera solo dopo un lungo confronto tra premier e Von der Leyen. In serata il Consiglio dei ministri approva il piano da 191 miliardi, per superbonus e Quota 100 si decide in autunno. Il sofferto sì al piano più atteso arriva nella notte, come ai tempi del Conte II, quando riunirsi con il favore delle tenebre era la regola. Di rinvio in rinvio, il Recovery plan è scivolato nel limbo di una lunga attesa, da venerdì mattina fino alla tarda serata di ieri. Ma, a sentire Mario Draghi, ne valeva la pena: quando il premier entra in Consiglio dei ministri fatica a trattenere l’emozione. Annuncia, finalmente, la “green light” di Bruxelles («Ci sono solo aspetti marginali da definire») e dice: «sono molto soddisfatto». Non esitando a definire «un passaggio storico» il documento che domani verrà illustrato in Parlamento. Nonostante le proteste delle opposizioni, Fdi e Sini stra italiana, che lamentano il poco tempo per esaminarlo. Di certo, non si aspettava, l’ex presidente della Bce, un finale così travagliato per l’atto fondamentale della sua esperienza di governo, l’impiego dei 221,5 miliardi stanziati dall’Europa per far ripartire il Paese piegato dalla pandemia.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: «Economia del mare priorità del piano Ue, il settore è strategico» – «L’economia del mare nel Pnrr, progetto strategico per il Paese»
Tema: Pnrr, la proposta di Confindustria

Il Pnrr è l’occasione per avviare il primo pezzo di una politica organica nazionale per l’economia del mare che finora è mancata, nonostante il peso economico del settore allargato (34,3 miliardi di valore aggiunto e 185mila unità lavorative dirette nell’ultimo Rapporto del mare del 2019) e l’idea più volte riproposta dell’Italia «piattaforma logistica del Mediterraneo». A scommettere su un progetto strategico complessivo per valorizzare al meglio la «risorsa mare» in tutte le sue articolazioni economiche e tradurla in una occasione di sviluppo per il Paese e per il Sud è Confindustria che, con la presidenza di Carlo Bonomi, ha affidato sul tema una delega specifica a un vicepresidente, Natale Mazzuca, e ha avviato dal giugno 2020 un lavoro che sta coinvolgendo le rappresentanze settoriali e territoriali. Il progetto – che ha prodotto una prima proposta in occasione del Pnrr e sarà completato entro il 2021- vuole affer mare l’importanza strategica dell’economia del mare e mettere in fila politiche e misure necessarie per dare concretezza al disegno. Il Piano strategico nazionale di Confindustria affronterà, in una visione organica, le criticità che frenano lo sviluppo del mare e proverà a piantare i pilastri di una politica di settore: la pianificazione infrastrutturale; le riforme istituzionali; una politica industriale che dia prospettiva alla sostenibilità e all’innovazione tecnologica; una fiscalità capace di attrarre e stimolare investimenti. Il Pnrr può essere l’anticipazione di un programma lungo, puntando proprio a fondare una politica industriale per la sostenibilità e l’innovazione della navigazione e della logistica portuale.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubini Federico 
Titolo: Gli investimenti aggiuntivi – La spinta del nuovo Recovery, 46 miliardi in più da investire
Tema: Pnrr, risorse aggiuntive

Il Pnrr viene presentato come l’ultima occasione per correggere mali che hanno origine ben prima della pandemia. Conte non era stato così trasparente. Ne deriva una differenza del nuovo piano: ci sono più investimenti addizionali, rispetto a quelli che l’Italia programmava già da prima. Nel piano di Conte valevano circa 120 miliardi. Nel piano di Draghi valgono invece circa 166 miliardi, dei quali 31 localizzati in un “fondo complementare” di risorse tutte italiane (non europee) varato essenzialmente per finanziare vari progetti presentati dai ministeri che non sono riusciti a entrare nel Recovery. Chiaramente il nuovo governo ha costruito sulla base del lavoro del vecchio. Ma c’è un maggior livello di dettaglio – riconosciuto anche dalla Commissione Ue – e si notano importanti deviazioni, In particolare nel lavoro dei ministri Roberto Cingolani (Transizione ecologica) e Vittorio Colao (Innovazione e digitale). Non solo per il fatto che il g rosso degli aumenti di investimenti addizionali addizionali – circa venti miliardi – vanno nei loro progetti. Solo l’area del digitale, dalla banda larga alla cybersecurity, passa da sei a 13 miliardi. Ma in realtà l’area verde e tecnologica cambiano anche nel merito. Colao ha imposto una novità in una delle partite più delicate: nella banda ultra-larga, si passa da un’unica gara nazionale con una sola azienda vincitrice a varie gare (forse fra dieci e 15) per i diversi territori. Permette più concorrenza, il formarsi di diversi consorzi, stime più precise sulla fattibilità e aggira il problema di un blocco dell’appalto su tutto il Paese in caso di contenziosi. C’è poi molta più enfasi sui progetti dell’industria spaziale. Anche Cingolani incide molto sulle somme: il portafoglio degli investimenti “verdi” passa dal 31% al 38% del totale, anche perché prima per Bruxelles era insufficiente. Ci sono poi alcuni cambiamenti nel merito. Si riduce da quattro a 0,5 miliardi la dotazione per i parchi solari galleggianti off-shore, per rafforzare invece un progetto che dovrebbe favorire il ripopolamento rurale e una maggiore creazione di posti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: Partita aperta su come suddividere 40 miliardi di fondi aggiuntivi
Tema: Pnrr, risorse aggiuntive

Dopo il primo assenso informale al Recovery, l’attenzione di ministri e partiti comincia a spostarsi su altri due tasselli della complessa partita del Next Generation Eu italiano: il decreto semplificazioni e la ripartizione dei 40 miliardi di investimenti aggiuntivi finanziati con l’ulteriore scostamento dal Def. E’ la «terza gamba», come la chiamano dentro il governo, aggiuntiva rispetto ai fondi europei (191,5 miliardi) del Pnrr e al fondo nazionale da 30 miliardi. A sentire alcune voci dentro il governo, i 40 miliardi dell’ulteriore scostamento disponibili per spese aggiuntive sarebbero stati già in larga parte programmati. Alla terza gamba faranno appello comunque tutti gli insoddisfatti per l’esclusione dalle prime due gambe e anche quelle partite politiche che, per ragioni tecniche, non hanno potuto trovare le risorse, nonostante fossero state concordate ai massimi livelli. Difficile che ci rientri la proroga del Superbonus, dirottato dall’intesa di ier i verso la legge di bilancio 2022. Un esempio eclatante è invece l’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria: è stato lo stesso premier Mario Draghi, nel corso dell’ultima conferenza stampa, a spiegare che nell’ambito del piano del governo è una priorità assoluta. Quindi non si discute. Al momento è finanziata per soli 1,8 miliardi nel Pnrr e nient’altro. Ne servono 9,6 per fare le tre tratte prioritarie individuate (Battipaglia-Praja, PraiaTarsia e Galleria Santomarco). Nel fondone da trenta miliardi c’è zero. La ragione è che i tempi di realizzazione andranno oltre il 2026 e si preferisce quindi finanziarla con lo scostamento più lungo (che arriva fino al 2033).
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dominelli Celestina 
Titolo: Decreto Cingolani ad hoc, snellimenti (senza Via) per energia e ambiente
Tema: Transzione green

Un decreto legge ad hoc per la transizione ecologica con l’obiettivo di accelerare la realizzazione delle opere giudicate cruciali per la “rivoluzione verde” annunciata nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Lo schema di Dl porta la firma del ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che avrebbe trasmesso in queste ore il provvedimento alla presidenza del Consiglio per i necessari raccordi a livello interministeriale prima che il testo arrivi sul tavolo di Palazzo Chigi. L’obiettivo del titolare del Mite è chiaro: tradurre nero su bianco le scelte di politica del nuovo dicastero e accelerare il permitting ambientale, come peraltro richiesto, qualche settimana fa, con una missiva indirizzata al premier Mario Draghi, dai presi 2 miliare denti delle commissioni parlamentari Industria e Ambiente di Camera e Senato, in cui si sollecitava un provvedimento specifico sulla transizione green per non diluire l’efficacia di misure sul tema in un nuovo decreto “omnibus”. Un auspicio in linea con le intenzioni del ministro che, fin dalle sue prime audizioni in Parlamento, ha sempre sottolineato la necessità di accompagnare la svolta green con una vera e propria “transizione burocratica”. Nello schema di Dl, dunque, sarebbe contenuta un’accelerazione degli iter autorizzativi con una “commissione prioritaria”, che si occuperà di agevolare l’attuazione del tassello “green” del Pnrr. Ma, sul tema, il confronto sarebbe ancora aperto. D’altronde, la nuova bozza di Recovery Plan indica un consistente pacchetto di riforme necessarie per la transizione green, soprattutto per incrementare le i nstallazioni rinnovabili, cruciali per il raggiungimento dei target fissati dall’Europa e recepiti dal Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), che procedono al ralenti, come le aste per le energie verdi con l’Italia che ha aggiudicato finora meno di un quarto della capacità messa a gara.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Conte Valentina 
Titolo: Dal 2022 in pensione non prima dei 67 anni Sindacati in allarme
Tema: Recovery – Pensioni

Il governo scopre le carte sulle pensioni. E lo fa con una frase inserita nella bozza del Recovery Plan (o Pnrr) diffusa venerdì. Dal primo gennaio 2022, finita Quota 100, si torna al regime Fornero: fuori a 67 anni di età, limite che ricomincia a crescere con l’aspettativa di vita, o con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 per le donne). Unica eccezione: «Misure mirate a categorie con mansioni logoranti». Una doccia gelata in casa Cgil, Cisl e Uil che da giorni chiedevano al ministro Andrea Orlando (Pd) di convocare un tavolo sulla previdenza, ricevendo solo rimandi a quando saranno risolte le altre emergenze: licenziamenti, ammortizzatori, politiche attive. Partiti silenti. Si esprime solo la Lega che rilancia Quota 41, l’uscita per chi ha 41 anni di contributi. Lo sconcerto in casa sindacale non riguarda la fine di Quota 100: l’anticipo a 62 anni con 38 di contributi, introdotto nel 2019 da M5S-Lega, è una sperimentazione triennale che cesser&agrav e; il 31 dicembre. Preoccupa piuttosto la sua sostituzione – infilata nel Pnrr di Draghi, nel Recovery di Conte non c’era nulla – solo con un’Ape sociale per «le mansioni logoranti». E niente per lo scalone di 5 anni che scatta a gennaio (il passaggio dai 62 anni di Quota 100 ai 67 anni standard).
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Testata:  Repubblica 
Autore:  v.co
Titolo: Intervista a Claudio Durigon – Durigon “Uscite precoci nelle imprese che ristrutturano Non si torna alla Fornero”
Tema: Recovery – Pensioni

Sottosegretario Durigon, avete ammainato, come Lega, la bandiera di Quota 100? «Quota 100 scade il 31 dicembre, ma non è una novità: lo prevede la legge», dice Claudio Durigon, ora all’Economia, che quella legge ha contribuito a scrivere nel 2019, quando era al ministero del Lavoro guidato da Di Maio. «Su quello che sarà dopo, ancora non c’è una linea». Nel Recovery c’è scritto che sarà “sostituita da misure mirate alle mansioni logoranti”. SI torna quindi alla legge Fornero che dicevate di aver abolito… «Nella mia bozza questa frase non c’è. Non potrebbe essere altrimenti: la riforma delle pensioni non si fa nel Pnrr. Quota 100 è stata un ristoro all’iniqua legge Fornero. Lo abbiamo detto in ogni modo che era una sperimentazione». All’inizio no. La frase l’avete fatta togliere voi dal Pnrr? «Diciamo che le bozze circolate erano sbagliate, forse un residuo del Recovery di Conte. In ogn i caso, sarà urgente aprire un tavolo sul post-Covid. Serve uno strumento di flessibilità in uscita ancora più forte di Quota 100». A cosa pensate? «A uno scivolo per le imprese private che dovranno ristrutturare. Con la fine del blocco, si prevedono tra 500 mila e un milione di licenziamenti. Il modello è quello del mondo bancario: uscire sei anni prima. Bisogna trovare la formula migliore». Ma così non evitate lo scalone di 5 anni a gennaio, 67 anni per tutti. «C’è tempo per fare una riforma completa. L’emergenza lavoro ci impone di agire subito». Caso per caso? Il solito cerotto. «Settore per settore. Se cerotto significa dare una possibilità di scelta in più ai lavoratori, come con Quota 100, ben venga».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dragoni Gianni 
Titolo: Leonardo acquista il 25% di Hensoldt – Leonardo, colpo in Germania: soffia il 25% di Hensoldt a Thales
Tema: Gruppo Leonardo
Il gruppo Leonardo rileva il 25,1% della società per l’elettronica nella difesa tedesca Hensoldt al prezzo di circa 606 milioni (23 euro per azione). L’accordo è con Square Lux Holding II, indirettamente di Kkr. Hensoldt è la società leader in Germania nel campo dei sensori per applicazioni in ambito difesa e sicurezza, con un portafoglio in continua espansione nella cyber security, gestione dei dati e robotica. Chiusa l’operazione, nella seconda metà del 2021, Leonardo diventerà il maggior azionista di Hensoldt.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fabbrini Sergio 
Titolo: Voto tedesco e nuovi equilibri in Europa – Il voto tedesco e i nuovi equilibri in Europa
Tema: Elezioni in Germania

II prossimo 26 settembre si terranno le elezioni federali in Germania. Si tratta di elezioni importanti perché ciò che avviene in quel Paese ha conseguenze inevitabili sugli altri Paesi e soprattutto sull’Unione europea. Ma sono importanti anche perché Angela Merkel ha deciso di non ricandidarsi al ruolo di cancelliera, ruolo che ha assolto per ben quattro mandati consecutivi (dal 2005). Di qui, l’incertezza su come la nuova leadership intenderà esercitare il potere tedesco in Europa. Meno incertezza c’è invece su come quel potere è stato esercitato finora. Non vi nessuno che possa mettere in discussione la statura e l’integrità di Angela Merkel. In passaggi cruciali e critici della recente storia tedesca ed europea, Angela Merkel ha esercitato un ruolo fondamentale. Dovrebbe essere interesse della Germania, per preservare sé stessa, favorire la riforma del contesto europeo in cui il suo potere asimmetrico viene esercitato separ ando (e non fondendo) Berlino (e le altre capitali) e Bruxelles. Un potere asimmetrico senza giustificazione egemonica finisce prima o poi per distruggere sé stesso e gli altri. Questa è la sfida che la leadership che emergerà dalle elezioni tedesche del prossimo settembre dovrebbe affrontare. Gli spitzenkandidaten che sono stati scelti in questi giorni (Armin Laschet per i Cristiano-democratici e Annalena Baerback per i Verdi) o che verranno presto indicati (Olaf Scholz peri socialdemocratici) dovrebbero ricordarsi che ancora non è stata trovata una soluzione stabile alla “questione tedesca”. Ovvero, come riconoscere alla Germania il suo potere senza che l’Europa ne venga dominata.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bufacchi Isabella 
Titolo: Il declino della Cdu, dopo Merkel ora rischia la sconfitta – Il declino della Cdu, rischio sconfitta dopo 16 anni
Tema: Elezioni in Germania

La Cdu rischia, e grosso. L’Unione cristianodemocratica, al governo con la Csu da 16 anni e la cancelliera Angela Merkel, il Volkspartei di Helmut Kohl e Konrad Adenauer, tra i partiti più solidi e più potenti in Germania e in Europa, rischia di perdere le elezioni del 26 settembre. In due modi: ritrovandosi junior partner in un governo di coalizione guidato dai Bündnis 90/Die Grünen e da una cancelliera verde. O, peggio ancora, finendo all’opposizione di un governo “semaforo” verde, giallo, rosso (Die Grünen, Fdp, Spd). La crisi della Cdu, forse l’inizio di un declino cronico e strutturale come quello dell’Spd, è un terremoto per la Germania e per l’Europa. Eppure, è proprio nei momenti più cupi che esce fuori il campione, messo al tappeto si rialza stordito per assestare il colpo del knock-out e buttare giù l’avversario. Ed è questa l’aria che tira nella Cdu, c’è lo spirito di chi non si arrende e ce la met te tutta Archiviata la controversa nomina a candidato cancelliere del leader Armin Laschet, la punta dell’iceberg di forti turbolenze interne, il partito si sta stabilizzando e riunificando. Uno per tutti e tutti per uno. Dove quell'”uno” è per l’appunto Laschet, l’erede di Angela Merkel, moderato centrista e navigato ministro-presidente della Renania settentrionale Vestfalia. Sulle sue spalle ricadono orale grandi sfide: domare la pandemia, formare la squadra per la campagna elettorale e disegnare un programma elettorale che piacda a chi vuole innovazione e novità e a chi cerca la conferma dei vecchi valori tradizionali del partito.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Genocidio armeno Biden sfida Erdogan – «Genocidio armeno». Biden sfida Erdogan
Tema: Sconto Usa-Turchia

La parola terribile, «genocidio», compare nella prima e nell’ultima riga di una dichiarazione ufficiale di Joe Biden, pubblicata ieri, 24 aprile, sul sito della Casa Bianca. E’un passaggio storico, evitato per almeno quarant’anni dai presidenti americani: «Il popolo degli Stati Uniti onora la memoria di tutti quelli armeni che perirono nel genocidio iniziato 106 anni fa». Biden ripercorre quegli eventi, con una ricostruzione duramente contestata dalla Turchia: «Ogni anno in questo giorno, noi ricordiamo le vite di tutti coloro che morirono nel genocidio armeno, nell’era dell’impero Ottomano. Questo ci spinge a impegnarci perché quelle atrocità non si ripetano più. Immediata la reazione turca. Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha scritto su Twitter: «Noi respingiamo In toto queste affermazioni. E una volgare distorsione della storia. Non abbiamo nulla da imparare sul nostro passato. Chiediamo al presidente Biden di corre ggere questo grave errore, che serve solo a soddisfare alcuni circoli politici. L’opportunismo rappresenta il più grande tradimento verso la pace e la giustizia». Il 23 aprile Biden aveva parlato al telefono con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ma nel resoconto della chiamata diffuso dalla Casa Bianca non c’è alcun riferimento all’Armenia. E anche da Ankara hanno fatto sapere che i due leader hanno discusso di relazioni bilaterali e di Nato. In ogni caso Biden cd Erdogan si sono messi d’accordo per incontrarsi a margine del summit della Nato, in programma il 14 giugno a Bruxelles. Le relazioni tra i due Paesi, già complicate, ora possono diventare un problema anche per l’Alleanza Atlantica. A Washington cresce l’irritazione per l’attivismo di Erdogan nel «grande Medio Oriente», dalla Siria alla Libia, e non piace l’ambiguità dei rapporti con Vladimir Putin, ostentata dal presidente turco.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Biden sfida Erdogan “Il massacro armeno è stato un genocidio”
Tema: Sconto Usa-Turchia

Joe Biden sfida Recep Tayyp Erdogan chiamando «genocidio» lo sterminio degli armeni, un gesto che la Turchia ha sempre considerato come un’offesa al suo passato. La scelta di Biden di ignorare le convenzioni diplomatiche è un indice di degrado nelle relazioni tra Washington e Ankara. È la vittoria di una lunga campagna condotta da parlamentari americani, su pressione della forte diaspora armena negli Stati Uniti. Un solo presidente, il repubblicano Ronald Reagan, aveva usato il termine «genocidio» negli anni Ottanta. Dopo di lui, i successivi leader avevano preferito non offendere i governi turchi. Il genocidio a cui si riferisce Biden è quello perpetrato dall’impero ottomano nel 1915 quando un milione e mezzo di armeni morirono durante esecuzioni di massa e marce forzate. All’epoca la motivazione dei turchi era il timore che gli armeni cristiani appoggiassero la Russia durante la prima guerra mondiale. In seguito la Turchia moderna non ha mai accettato un bilancio così elevato di vittime e considera l’accusa di genocidio come un insulto alla memoria del suo fondatore Mustafa Kemal Ataturk. Biden ha chiamato Erdogan venerdì sera, alla vigilia dell’annuncio. La trascrizione ufficiale della telefonata fra i due non fa menzione del genocidio armeno. Da parte americana un comunicato parla di «relazione bilaterale costruttiva, cooperazione in aumento» ma evoca anche la necessità di «gestire in modo efficace i disaccordi». Il comunicato di Ankara ignora la questione armena ma è più specifico sui disaccordi: cita le obiezioni turche contro l’appoggio americano alle forze curde in Siria, che Erdogan considera terroristi, nonché l’asilo politico concesso negli Stati Uniti al principale oppositore di Erdogan, il leader religioso Fetullah Gulen.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Salom Paolo 
Titolo: Fine delle speranze in fondo al mare «I 53 del sommergibile sono morti»
Tema: L’incidente del sottomarino Nanggala

Le speranze sono svanite man mano che dal mare turchese al largo di Bali, forse l’isola internazionalmente più nota (e amata) dell’Indonesia, venivano recuperati oggetti e parti del sottomarino Nanggala, scomparso dai radar mercoledì scorso. Un ultimo dialogo via radio, «ci stiamo immergendo: a risentirci presto». Poi il silenzio. Un’interruzione dei contatti prevista e parte dell’esercitazione: durante la navigazione subacquea solo i sommergibili più sofisticati sono in grado di comunicare con il proprio comando. Il Nanggala, costruito nel 1981 in Germania, 53 uomini di equipaggio, propulsione mista diesel-elettrica, non aveva questa facoltà. Avrebbe invece dovuto tornare in superficie a un’ora precisa per riferire posizione e dati di viaggio. Ma l’appuntamento per la trasmissione non è stato rispettato. E iI silenzio si è trasformato in un’attesa angosciosa, nella speranza che si trattasse soltanto di un guasto, forse un inciden te risolvibile con un po’ di fortuna e di aiuto. Ieri, l’ammiraglio Yudo Margono, comandante in capo della Marina di Giacarta, ha raccontato una storia più adatta al tempo di guerra. «II sottomarino – ha detto – è affondato. Non abbiamo più alcuna speranza di ritrovare superstiti. Anche se lo scafo avesse retto, le riserve di ossigeno si sono ormai esaurite. Sono tutti morti». Margono ha anche raccontato quanto può essere accaduto, una tragedia che ha precipitato nella disperazione le famiglie dei 53 che si trovavano a bordo, ancora aggrappate a quel filo che ti impedisce di credere all’inevitabile.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ziniti Alessandra 
Titolo: Allarme Mediterraneo triplicate le vittime Le Ong: facciamo da soli
Tema: Immigrazione

Dei 42 a bordo del terzo gommone partito martedì sera dalle coste libiche non c’è più traccia. E ormai a tre giorni dall’ultimo contatto telefonico con Alarm Phone si pensa al peggio. Se così fosse, il bilancio dell’ultima traversata del Mediterraneo in tempesta tentata da tre imbarcazioni fatte partire nonostante il mare mosso sarebbe molto più pesante: circa 170 persone, una decina delle quali avvistate ormai senza vita a galleggiare dagli equipaggi della Ocean Viking e dei tre mercantili arrivati troppo tardi, dopo 24 ore di allarmi inascoltati dalle autorità marittime. I numeri dei primi quattro mesi dell’anno sono terribili: sbarchi quasi triplicati in Italia, 8.600 contro i 3.300 dello stesso periodo dell’anno scorso, e soprattutto vittime triplicate, 450 (cifra per difetto fornita dall’Oim) contro i 150 contati ad aprile 2020. Già più di 6100 i migranti intercettati dalla guardia costiera libica e riportati indietro, la p iù parte di loro nuovamente finiti nelle mani dei trafficanti e non nei centri di detenzione controllati dal governo. E le previsioni per l’estate sono pessime. «Abbiamo evidenti segnali dal territorio di un consistente aumento dei flussi migratori. La pandemia e l’aggravarsi della situazione socio-economica in Africa sta facendo muovere migliaia e migliaia di persone. Etiopia e Sahel soprattutto sono in una situazione estremamente grave – dice Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l’Italia – noi ci aspettiamo numeri molto preoccupanti e ci auguriamo che questa preoccupazione sia condivisa anche dall’Europa. Auspichiamo che, in attesa della ripresa del negoziato europeo per il nuovo patto per l’asilo, si riesca almeno a mettere in piedi un meccanismo provvisorio che garantisca il tempestivo soccorso in mare. Diversamente staremo qui a contare i morti».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Buccini Goffredo 
Titolo: Intervista a Claudio Graziano – «Migranti, i diritti umani non sono negoziabili» – Il comandante italiano della Ue: «I diritti umani non si negoziano»
Tema: Immigrazione
«Il rispetto dei diritti umani «è un valore che non è negoziabile» dice il generale Claudio Graziano, al comando del comitato militare Ue. Migranti, «nuova strategia in Libia»… «Noi vogliamo veramente dipendere da qualcuno. Il generale, da novembre 2018 presidente del Comitato militare dell’Unione europea, va avanti senza attendere la risposta, scontata: «Eccole spiegato cosa sia l’autonomia strategica per l’Europa: il contrario di autonomia è dipendenza. Un punto colto appena qualche settimana fa dal premier Draghi. Come per la produzione dei vaccini, anche nella difesa occorre autonomia. Ovvero capacità di agire da soli se necessario, con i partner se è possibile. Nel quadro dell’ambizione che l’Europa si è data». Un esempio? «Be’, l’operazione Irini nel Mediterraneo centrale: esclusivamente europea, lanciata l’anno scorso per l’embargo delle armi sulla Libia». Ma la Nato &egrave ; al tramonto? «No. Continua a essere il pilastro della difesa collettiva. Ma dopo il 2011 in Libia ha deciso dl partecipare meno alle operazioni di sicurezza, di pace. Questo ha lasciato uno spazio. Ma non c’è contrapposizione, anzi: un’Europa piu forte rende la Nato più forte». Cos’è la sovranità tecnologica oggi? «Stabilita un’ambizione, si cercano metodo e strumenti finanziari fondamentali per non restare schiacciati dagli sviluppi tecnologici di Usa e Cina. Primato tecnologico significa anche egemonia geopolitica e militare». Il Covid cosa ha cambiato? «Tutto, e in peggio. Già eravamo molto preoccupati per gli interventi della Turchia in Siria e Libia e per l’attività russa. II Covid ha aggravato le minacce tradizionali con una nuova minaccia cyber: siamo sempre più dipendenti da spazi elettromagnetici per comunicare».
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Testata:  Messaggero
Autore:  Orsini Alessandro 
Titolo: Atlante – L’Afghanistan e l’addio degli Usa
Tema: Afghanistan – Terrorismo

iden ha deciso di ritirare i soldati americani dall’Afghanistan senza condizioni, ovvero senza chiedere niente in cambio ai talebani. Non aveva osato tanto nemmeno Trump, che aveva chiesto ai talebani di rompere i rapporti con al Qaeda: rottura mai avvenuta. Sull’Afghanistan, Biden rischia grosso. Ed è sorprendente che rischi così tanto dopo avere visto l’Iraq sprofondare in seguito al ritiro delle truppe americane deciso da Obama nel 2011. Dopo quella fuoriuscita, si innescarono meccanismi complessi, che, evento dopo evento, permisero allo Stato Islamico di stabilirsi in Iraq e poi in Siria nel 2014. Biden sta sbagliando per la seconda volta? E appena il caso di ricordare che l’Isis combatte ancora, anche se l’Europa ha smesso di parlarne. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha partecipato a una videoconferenza, il 31 marzo scorso, insieme con i 32 membri del gruppo ristretto della coalizione anti-Isis, presieduto dal segretario di Stato americano, Anthony Blinken . L’incendio jihadista in Iraq non si è mai spento; l’Occidente ha soltanto domato le flamme più alte. Secondo i dati del Global Terrorism Index 2020, l’Iraq è il secondo Paese più colpito al mondo dal terrorismo. Al primo posto, manco a dirlo, c’è l’Afghanistan, che, sotto il profilo della sicurezza internazionale, è rilevante anche per l’Europa. In quel Paese martoriato stazionano anche soldati della Nato, inclusi 800 italiani, il cui ritiro diamo per scontato. L’invasione dell’Afghanistan è stato il primo caso in cui la Nato ha invocato l’articolo 5 del trattato di Washington, che prevede la difesa collettiva di uno Stato membro attaccato da un nemico esterno. Siccome a essere attaccati erano gli Stati Uniti, non si capisce come le truppe Nato possano rimanere in Afghanistan con gli americani a casa.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: Così la Cina si è comprata il Montenegro – Nel piccolo Montenegro strangolato dai debiti per l’autostrada “cinese”
Tema: Montenegro

È proprio qui, nel cuore di roccia dei Balcani, che i cinesi sono venuti a costruire quella che in Europa tanti già chiamano l’autostrada nel nulla. Un’opera di ingegneria e di ingegno superbo. Che però è soprattutto una superlativa mossa di geopolitica, un bastone fra le ruote della Ue. Una zeppa che potrebbe mandare in tilt Bruxelles e anche Paesi importanti come Francia e Germania. Il Montenegro dal 1° luglio deve iniziare a ripagare un debito di quasi 1 miliardo di dollari con la Cina. Sarà una prima rata di 61 milioni. Non ha i soldi. E non li avrà per costruire gli altri 80 chilometri. La “China Road and Bridges Corporation” cinese deve ancora terminare i primi 41 chilometri di strada; mancano altri due tratti per unire Bar al confine serbo, non finanziati. E poi servirà il tratto che dal confine serbo porterà fino a Belgrado. Ma soprattutto non ci saranno le automobili e i camion che dovrebbero pagare i pedaggi: ci vo rrebbero 12 milioni di auto all’anno, 32.800 al giorno. Un debito di quasi 1 miliardi di dollari, per solo un terzo di un’autostrada, è un quarto del debito di tutto il Paese. Per cui la Cina di fatto si è “comprata” il Montenegro: ci sono clausole segrete nel contratto, se il Paese non paga sarà costretto a cedere qualcosa a Pechino. L’ex ambasciatore jugoslavo in Italia: “Quest’opera è un cavallo di Troia. Nel contratto segreto ogni controversia verrà decisa in Cina”
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