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SINTESI IN PRIMO PIANO – 25 giugno 2021

In evidenza sui principali quotidiani:
– M5S, accordo lontano
– Ddl Zan, il Vaticano è pronto a trattare
– S&P rivede le stime della ripresa italiana
– Diritti, l’Europa contro l’Ungheria
–  Dialogo con Putin, l’Unione si spacca

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Repubblica 
Autore:  Pucciarelli Matteo 
Titolo: Grillo: il capo sono io Conte va allo scontro – Grillo umilia Conte “Ha bisogno di me” I 5 Stelle nel pallone
Tema: M5S

Sempre a metà tra comizio e spettacolo teatrale, ieri Beppe Grillo alla Camera ha salutato i “suoi” deputati con sotto il braccio i 32 fogli della bozza di Statuto a cui ha lavorato Giuseppe Conte, uscendo di scena come di soppiato, furtivamente, tra le risate e gli applausi. Nei due suoi discorsi ai gruppi parlamentari il comico genovese è andato di bastone e carota, anzi più bastone che carota, verso il leader in pectore. Dicendo sì che è «persona straordinaria», un «integerrimo», «voglio rafforzarlo», ma poi aggiungendo che «deve studiare», «deve capire che posso aiutarlo», «non conosce la nostra storia», «non può fare tutto da solo» perché «sono il garante, mica un coglione». Già: l’Elevato” vuole restare tale, non accetta di non avere l’ultima parola e così a Conte offre lo show che sa di avvertimento: i parlamentari che ancora lo amano, i media che lo inseguono, il peso delle sue sortite che rimane enorme. Una prova di una forza, come minimo; una «umiliazione» per Conte, per dirla con un parlamentare presente.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: L’ex premier va allo scontro “Non accetto la diarchia”
Tema: M5S

Chi conosce bene Giuseppe Conte pensa che a questo punto abbia solo due scelte: mollare o andare allo scontro. Cedere no, cedere a questo punto non sarebbe possibile. L’ex premier aveva provato fino alla fine a convincere Beppe Grillo della bontà delle sue intenzioni. Aveva — nelle ultime due telefonate — aperto ad alcune delle modifiche allo Statuto richieste. Restava un nodo: quello delle scelte politiche e di comunicazione, ma l’avvocato sperava di poterlo risolvere con calma. Magari a cena, magari nel faccia a faccia che nelle ultime ore gli è stato negato. Così come gli è stato negato di essere presente durante l’incontro del Garante con i deputati M5S prima e con i senatori poi. Già questo poteva aiutare a prefigurare la tempesta. Ma quel che è venuto dopo, le parole sulla scarsa conoscenza del Movimento, le frasi come: «È Conte che ha bisogno di me perché lui è razionale e io sono visionario», no, davvero non se le aspettava. Così, agenzia dopo agenzia, la sua rabbia non ha fatto che aumentare. E i suoi fedelissimi hanno cominciato a scriversi messaggi come: «Domani se ne va in ferie e ci dice addio». È l’ipotesi di una diarchia a essere considerata inaccettabile. E non per una questione di superbia, ma perché così il Movimento che aveva in mente non può reggere. Aveva chiesto carta bianca, l’ex premier, aveva creduto di averla avuta davvero e invece ha subito una sconfessione in piena regola.  Accettare l’incarico in queste condizioni, con il Garante che per chiarire chi comanda pretende di fare una foto col nuovo simbolo in mano con tutti i senatori che Conte aveva incontrato il giorno prima, tentando di portarli dalla sua parte, sarebbe secondo chi gli è vicino folle. Perché significherebbe cominciare un percorso già difficile con sopra la testa la spada di Damode del fondatore.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Imarisio Marco 
Titolo: IIl retroscena – Uno non vale (per tutti) uno Quella dozzina di eletti che il M5S vuole «salvare»
Tema: M5S

L’ultima sconfitta dell’Atene elettronica è definitiva. Gianroberto Casalegglo ha perso la guerra che aveva dichiarato in un libro del 2011, quando con Beppe Grillo scrisse un volume che aveva come sottotitolo La Rete contra i partiti, e quella precisazione sembrava un modo per dire che in realtà era solo farina del suo sacco, era lui che sapeva di Internet, non l’altra metà del Movimento. Ma allora tutto sembrava ancora così incerto. Quei due, considerati visionari o matti o entrambi, teorizzavano che in attesa dell’avvento della democrazia digitale e diretta ispirata all’età d’oro di Pericle, per meglio rispondere al popolo e servirlo, ai cittadini eletti sarebbe stato più conveniente lasciare la catena corta. Che non si sa mai. E così l’anno seguente, quando apparve il Codice etico del Movimento 5 Stelle, all’articolo 2, sotto la voce «Obblighi per i soggetti candidati», si leggeva che ciascun associato doveva obbligarsi, in particolare, «a non presentare la propria candidatura per una carica elettiva, qualora siano già stati esperiti dall’iscritto n. 2 mandati elettivi», di ogni ordine e grado. Il Codice etico, più ancora del Non Statuto che ne era la traduzione, rappresentava le tavole della legge, ideate e redatte da Casaleggio in persona. Basta leggere questo per capire quanto debba essere costata all’ex comico genovese la sua sostanziale astensione sul tema della regola dei due mandati, decretata ieri a malincuore con l’affidamento della parola definitiva sul tema a un referendum tra gli iscritti, che però potrebbe anche rivelarsi una tagliola sul cammino di Giuseppe Conte. Nel ripudio dell’ultimo lascito di Casaleggio padre, uno non vale più uno, anzi ce n’è almeno una dozzina che conta molto più degli altri. Salvo qualche rara eccezione titolare di carica istituzionale come Roberto Fico, sono tutti fedelissimi di Luigi Di Maio, destinati a formare la nomenclatura del nuovo Movimento, visto che l’ex presidente del Consiglio è sprovvisto di truppe proprie.ì
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Conte: “Non farò il prestanome No alla diarchia”
Tema: M5S

«E io non farò di certo il prestanome». Quando pronuncia questa frase Giuseppe Conte è sul punto di far collassare l’intero progetto a cui ha lavorato negli ultimi tre mesi. Gli hanno appena girato le agenzie che riportano in presa diretta le frasi pronunciate da Beppe Grillo di fronte all’assemblea dei deputati, dove teorizza la diarchia, dove sminuisce l’apporto dell’ex premier alla storia del M5S. Per tutto il giorno si parlano a distanza, usano parlamentari, ministri, collaboratori. Solo la sera viene fatta trapelare una telefonata diretta tra i due. Tutti nel M5S pregano che serva a ricucire. Ma non è così: ancora alle undici nessuno era in grado di confermare se oggi ci sarà meno il tanto atteso faccia a faccia. Le frasi lasciate filtrare nel pomeriggio dissimulano poco o nulla delle frizioni e suonano colme di ingratitudine alle orecchie di Conte. Soprattutto perché in una il comico sembra respingere l’avvocato come un corpo estraneo, che si aggrappa al M5S per sopravvivere politicamente. «Il Movimento siamo noi- sostiene Grillo -Conte non andava in piazza». Il comico non può non sapere che qualunque cosa dice un attimo dopo sarà nota a tutti. Ma non sembra esserne troppo preoccupato, anche se nel confronto successivo, con i senatori, si sforza di smorzare i toni. Nel frattempo, sono intervenuti i mediatori, per scongiurare la rottura finale: la senatrice Paola Taverna, l’ex braccio destro di Grillo e di Davide Casaleggio Pietro Dettori, il portavoce di Conte Rocco Casalino, l’ex capo politico Luigi Di Maio, il reggente Vito Crimi. Chiedono a Grillo di smussare le pretese e tentano qualche compromesso mentre sull’altro fronte Conte, offeso, sembra già proiettato a sfoderare il piano B di un partito tutto suo, alternativo al M5S.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  P. Rod. 
Titolo: Parolin: il Vaticano non vuole fermare la legge Zan ma rimodularla – Il Vaticano ora frena Parolin: “Non vogliamo bloccare la legge Zan”
Tema: ddl Zan

Di ritorno da una visita in Messico, il cardinale Pietro Parolin si trova a fare i conti con la pubblicazione della Nota Verbale della sua Segreteria di Stato sul ddl Zan e decide di abbassare i toni. Con una intervista rilasciata al direttore editoriale dei media vaticani Andrea Tornielli, il porporato vicentino si assume la responsabilità della Nota stessa e, insieme, attua una sorta di marcia indietro: non c’è da parte della Santa Sede alcuna volontà di bloccare il ddl. Le principali preoccupazioni riguardano «i problemi interpretativi» di un testo giudicato «troppo vago» sul concetto di discriminazione. Le parole di Draghi dell’altro ieri, con la rivendicazione della laicità dello Stato e la sua non confessionalità, spingono il diplomatico vaticano ad intervenire per gettare acqua sul fuoco delle polemiche: da parte della Santa Sede, dice il porporato, non c’è alcuna richiesta di fermare la legge contro l’omotransfobia né ci sono indebite pressioni sul lavoro del Parlamento italiano. L’intento della Nota Verbale, insomma, è quello di portare all’attenzione dell’Italia alcune preoccupazioni riguardanti l’interpretazione di alcuni passaggi del testo stesso. Ma «concordo pienamente con il presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità del Parlamento». La Nota è stata spedita utilizzando gli usuali canali diplomatici, dice Parolin. Che rivendica questo fatto e fa capire che la pubblicazione di alcuni stralci è stata vissuta Oltretevere come un tradimento: il testo, spiega, non è stato scritto e pensato «per essere pubblicato». Dicendo così il segretario di Stato lascia anche intendere che la responsabilità della pubblicazione sui media non è della Santa Sede: chi ha fatto uscire la Nota non risiede entro le Mura Leonine.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: Il retroscena – Zan, il Vaticano è pronto a trattare E i partiti litigano – Il Vaticano non trova sponde E spera che (alla fine) il governo possa mediare
Tema: ddl Zan
«Mario Draghi non poteva che dire quanto ha detto in Parlamento. Sa che il Vaticano vuole una mediazione, e credo sia la stessa intenzione del governo…». Il messaggio che arriva dai vertici della Santa Sede è di chi ritiene di avere compiuto una mossa obbligata, e di avere ricevuto una risposta. E adesso si prepara a una trattativa lunga e difficile, avendo di fronte non Palazzo Chigi ma un Parlamento percorso da fremiti ideologici che al momento sembrano non dare spazio al dialogo; e soprattutto mostrano uno schieramento che va dal M5S al Pd, aggrappato in apparenza alla bandiera della legge Zan sull’omofobia così com’è, quasi fosse una sorta di confine invalicabile tra progresso e reazione. L’ostacolo più serio sono «le due tifoserie che si combattono a colpi di ideologia», impedendo qualunque passo avanti. Il primo effetto è che si incrina la collaborazione stretta, perfino la subalternità della Chiesa cattolica allo Stato italiano nei mesi della pandemia. E la paura è che questo faccia riemergere un fronte ostile al Concordato. Il paradosso politico è ché a difendere il Vaticano sono Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia: partiti considerati non in sintonia con l’attuale pontificato su temi dirimenti come l’immigrazione, il sovranismo, e il modo di intendere l’identità e i valori cristiani. L’imbarazzo delle gerarchie ecclesiastiche è palpabile.  Il modo in cui ieri il cardinale Pietro Parolin, «primo ministro» di Francesco, ha rivendicato con Vatican News l’iniziativa, conferma la divisione dei compiti con una Cei accusata di eccessiva timidezza. L’idea di un Papa defilato, quasi neutrale, è goffa e strumentale; e riceve smentite a tutto tondo. «Il principio è che di tutto quello che si fa si informano sempre i superiori», ha detto Parolin.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Milella Liana 
Titolo: Intervista a Giovanni Maria Flick – Flick “Quella norma può essere criticata ma non da un altro Stato”
Tema: ddl Zan

Professor Flick ha letto la nota del segretario di Stato Vaticano Parolin? La giudica come una marcia indietro? «Non userei quest’espressione a proposito del rapporto tra due entità sovrane come lo Stato italiano e la Chiesa cattolica…». E perché? A leggerla pare proprio una lettera di scuse. «Ho difficoltà, non essendo né un diplomatico, né un esperto di relazioni internazionali, a qualificare quel documento in questo modo. Certamente segnala una volontà di superare il contrasto che si è creato. E ciò è positivo. Rimane pero la perplessità di fronte a un’iniziativa di intervento nei lavori parlamentari e nella loro sovranità attraverso suggerimenti e un’anticipazione di preoccupazioni come quelli contenuti nella nota verbale». Sarà una reazione alla ferma risposta del premier Draghi che ha ribadito non solo la laicità dello Stato italiano, ma anche la piena libertà di legiferare del nostro Parlamento. «Rimane comunque, al di là della buona volontà del gesto del segretario di Stato, e della bontà di alcune sue osservazioni nel merito, la forte perplessità di fronte a un’iniziativa di questo genere».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Folli Stefano 
Titolo: Il punto – Quante incertezze sul sentiero del Pd
Tema: Pd

Un giorno dopo l’altro, il Partito Democratico sembra appesantito da questioni irrisolte che non costituiscono una minaccia per il governo Draghi, ma incombono sul percorso del centrosinistra. I sondaggi non sono negativi e anzi hanno persino visto una puntata in alto, per quanto poi non confermata. Nel complesso il partito di Enrico Letta appare stabile, con un ceto politico rassicurato dalle scelte interne – le candidature – in vista delle amministrative. Nei giorni scorsi il segretario è stato rapido a congratularsi con Palazzo Chigi – e in fondo con se stesso – per il via libera dell’Unione al Pnrr. È il grande progetto di investimenti, nonché sulla carta di riforme, per il quale Giuseppe Conte avrebbe voluto essere ringraziato dal suo successore. Ma ovviamente Draghi ha taciuto e per la verità anche Letta si è tenuto alla larga dalla trappola, evitando di citare l’ex premier. Al quale un riconoscimento esplicito è venuto da Bersani che formalmente non è del Pd e tuttavia ne rappresenta una sorta di corrente esterna. In pratica un settore del partito lettiano e una forza contigua non irrilevante condividono l’amarezza, diciamo così, di Conte nei confronti di Draghi, da cui si è sentito defraudato. Non è questione irrilevante. Può rientrare, prima o poi; oppure può restare minacciosa sullo sfondo.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Barberis Gabriele 
Titolo: Intervista a Luca Ricolfi – «La federazione di centrodestra spiazza il Pd» – «Utile una federazione di tutto il centrodestra A sinistra nascerà un fronte giustizialista»
Tema: centrodestra

«Si voterà nel 2023». Il sociologo Luca Ricolfi, studioso di sinistra fuori dal coro del conformismo anti destra, si è fatto un’idea precisa di come sta mutando il quadro politico dopo il Covid e sotto la guida di un governo di unità nazionale che ingloba tutte le forze politiche, tranne Fdi. Professor Ricolfi, gli ultimi sondaggi indicano che la maggioranza degli italiani torna a fidarsi dei partiti dopo anni di “vaffa” e pulsioni anti casta. È un miracolo di Draghi? «A me sembrano i miracoli di tre anni di governi Cinque Stelle, che alla fine hanno aperto gli occhi un po’ a tutti. Certo, Draghi ha completato l’opera, ma il grosso del lavoro pro-partiti tradizionali l’avevano fatto i disastri dei grillini, dal reddito di cittadinanza allo sprofondamento di Roma sotto il regno di Virginia Raggi». Le grandi manovre nel centrodestra sulla federazione Lega-Fi preludono a una semplificazione del quadro politico? «Forse sarebbe un bene, ma non mi pare probabile, a meno che la legge elettorale tagli le ali ai partiti sotto il 5%, e renda molto convenienti le aggregazioni. Sul piano tecnico, però, il punto è che una semplificazione è elettoralmente neutrale solo se avviene in entrambi i campi. Se a compattarsi fosse solo il centro-destra, i voti raccolti dal partito unico della destra sarebbero di meno della somma dei consensi ai singoli partiti. E comunque Fratelli d’Italia non ci starebbe».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Pa.Ru. 
Titolo: Allarme varianti, parte la caccia alla Delta il governo chiede più controlli alle Regioni
Tema: Covid

Di tamponi se ne fanno sempre meno, la campagna di vaccinazione decelera e i risultati dei laboratori sul sequenziamento del virus procedono a passo di lumaca. Così mentre la variante Delta continua a correre e a spaventare il vecchio Continente, l’Italia si scopre impreparata a contrastarla. Soprattutto perché non sappiamo dove sia. Intanto in Gran Bretagna per il secondo giorno consecutivo i contagi hanno superato quota 16 mila, fortunatamente con pochi ricoveri e ancor meno decessi, appena 21. Ma Oltremanica metà della popolazione ha già completato il ciclo vaccinale, da noi solo un terzo e l’esperienza dei paesi dove la Delta è dilagata ci insegnano che gli anticorpi prodotti dalla sola prima dose, con la quale sono immunizzati metà degli italiani, è facilmente aggirabile dall’ex indiana.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Trovati Gianni 
Titolo: Fisco e lavoro, decreto da 3 miliardi – Cartelle, lavoro e Sabatini: decreto da almeno 3 miliardi
Tema: aiuti all’economia
Le spese mancate per gli aiuti a fondo perduto portano il governo a sdoppiare il decreto sostegni-bis. La prossima settimana è infatti atteso in consiglio dei ministri un provvedimento ad hoc che si occuperà dell’ennesima estensione di due mesi per il blocco della riscossione, del rifinanziamento alla nuova Sabatini e di un capitolo lavoro che spazierà dalla decontribuzione per i settori più in difficoltà (a partire dal turismo) al nuovo intervento selettivo sullo stop ai licenziamenti accompagnato da un allungamento della cassa Covid. A dettare l’esigenza di un nuovo decreto legge è il calendario fiscale, che per fermare ancora una volta le notifiche delle cartelle ha bisogno di una norma in vigore entro il 30 di giugno. il finanziamento, quantificato per ora in 24 miliardi (ma potrebbe anche andare oltre i 3 miliardi), arriverà da una parte delle risorse che non sono state assorbite dagli aiuti a fondo perduto per l’assottigliarsi delIa platea a 1,8 milioni di partite Iva dai 3,3 stimati inizialmente dal governo. Ma i cosiddetti”risparmi” sono di più: il governo per ora ne certifica 4,2 miliardi, ma a consuntivo il dato potrebbe salire ancora come mostra il fatto che anche il secondo giro di bonifici (e crediti d’imposta) automatici non è andato oltre i 5,2 miliardi di euro, contro gli 8 stimati dal ministero dell’Economia quando si è trattato di scrivere la norma. In ogni caso, il nuovo decreto dovrebbe assorbire solo la metà della mancata spesa certificata dal governo. Il resto sarà utilizzato per coprire gli emendamenti al decreto sostegni bis oggi In discussione alla Camera.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Rogari Marco – Tucci Claudio 
Titolo: Riforma degli ammortizzatori: Cig anche alle aziende con meno di 15 dipendenti Durata sussidi da 12 a 30 mesi – Cig anche con meno di 15 addetti e durata sussidi da 12 a 30 mesi
Tema: occupazione

L’obiettivo dichiarato del ministro Andrea Orlando resta quello di consegnare al Parlamento il nuovo assetto degli ammortizzatori sociali entro la fine di luglio. Anche perché la riforma è Inserita, pur senza una scadenza precisa, nel cronoprogramma del Pnrr concordato da palazzo Chigi con Bruxelles, anche se non fa parte di quelle considerate “abilitanti”. Un cronoprogramma che, ha ribadito Mario Draghi npercoledi nel suo intervento alla Camera, va assolutamente rispettato. Ed è per questo motivo che, dopo alcuni rallentamenti, II governo ora sta provando a stringere i tempi concentrando il confronto sul merito della bozza su cui stanno lavorando I tecnici del ministero del Lavoro, assieme a quelli dl palazzo Chigi e del Mef. Un articolato già abbastanza definito e costruito attorno all’allargamento dei sussidi anche ai lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti, che viaggia di pari passo con il rafforzamento del Fis e il superamento della Cig in deroga (a carico totale dello Stato). Lo schema abbozzato apre poi a una rimodulazione delle causali della Cigs che, oltre a riorganizzazione, crisi aziendale, contratto solidarietà, ricomprendono anche le fattispecie di cessazione d’attività (che viene quindi riassorbita nello strumento generale), e la voce “crisi locale o settoriale”.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Petrini Roberto 
Titolo: La riforma fiscale parte in salita su patrimoniale e mini flat tax
Tema: fisco
Parte in salita la riforma del fisco chiesta dal Recovery Plan e che il governo si è impegnato a varare, sotto forma di legge delega, entro il 31 luglio. Le prime bozze della Commissione “bicamerale” D’Alfonso-Marattin, circolate ieri, che dovranno essere completate e votate entro fine mese, segnano punti di intesa tra tutti i partiti, ma anche differenze, al momento inconciliabili, su tassa patrimoniale e mini-flat tax: cioè tra una parte del Pd più Leu e il centrodestra capeggiato dalla Lega. Mentre sulla riduzione delle aliquote Irpef, in particolare quella del 38 per cento (circa 7 milioni di contribuenti tra i 28 e i 55 mila euro di reddito), c’è convergenza, come pure c’è intesa sull’abbandono dell’Irap, sui due temi che maggiormente animano il dibattito fiscale da tempo non c’è accordo. Tant’è che tra le ventuno pagine del documento elaborato dalla “Bicamerale” del Fisco il paragrafo «Regime forfettario» e quello «Riordino della tassazione patrimoniale» sono rimasti in bianco con la dicitura «nodo politico da sciogliere». Nel documento non figura neanche la proposta del segretario del Pd Enrico Letta formulata nei giorni scorsi, scatenando un vasto dibattito, sul rafforzamento della tassa di successione, che incide sui patrimoni, per finanziare un grant per i giovani. Tema sensibile quello della patrimoniale sul quale lo scontro continuerà: ieri Sinistra Italiana per tutta risposta ha dato avvio ad una raccolta di firme per introdurre il nuovo prelievo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: Spunta l’ipotesi della bicamerale per vigilare sul Recovery – Una bicamerale per il Recovery
Tema: Recovery

Sono 2.803 gli emendamenti presentati dai gruppi parlamentari al decreto governance Pnrr e semplificazioni alla Camera. Forza Italia ne ha presentati 525, 457 M5S, 360 il Pd, 338 la Lega, 200 Italia Viva. Solo 289 Fratelli d’Italia, a conferma che sarà una partita soprattutto nella maggioranza. Fra i temi più gettonati c’è il rafforzamento del ruolo del Parlamento nella governance del Pnrr: in particolare in più proposte torna l’ipotesi di una commissione bicamerale che vigili sull’attuazione del piano. Ma anche sugli appalti e sulla velocizzazione delle procedure c’è una pioggia di proposte: pressing per allungare l’elenco delle opere (allegato IV) che potranno usufruire della «corsia ultraveloce» dell’articolo 44, molto diffuse anche le proposte per garantire più trasparenza negli affidamenti diretti e nelle procedure negoziate, almeno con forme di pubblicità minima e di rotazione. Gli emendamenti saranno sottoposti la prossima settimana alla valutazione di ammissibilità e poi a una scrematura da parte dei gruppi per arrivare a 400 “segnalati” da votare. Positiva la valutazione dei due relatori, Annagrazia Calabria (Forza Italia) per la commissione Affari costituzionali, e Roberto Morassut (Pd) per la commissione Ambiente. «Sono convinta che lavoreremo in armonia con tutti i gruppi parlamentari e con il governo – dice Calabria – per migliorare un testo che è già un ottimo punto di partenza. Un provvedimento ambizioso che segna un cambio di passo anche rispetto ad altri tentativi di semplificare fatti in passato e soprattutto garantisce l’attuazione del Pnrr». Entra in alcuni dettagli Morassut «Il decreto – dice – sarà approvato con le integrazioni del Parlamento badando che mantenga la forza di accelerazione e sveltimento delle procedure che lo motiva. Il Parlamento darà il suo contributo alla proposta del Governo. Bisogna correre ma garantire al contempo trasparenza e lotta alla corruzione».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ducci Andrea 
Titolo: Dalle reti tlc a trasporti ed energia, il Recovery parte dalla concorrenza
Tema: Recovery
Negli interventi pubblici di Mario Draghi è un tema ricorrente. Riformare e promuovere la concorrenza è una delle leve che il premier intende utilizzare per dare solidità alla ripresa economica. Non è un caso che tra le riforme del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) uno dei pilastri (gli altri sono giustizia, pubblica amministrazione, semplificazione) su cui poggiare la ricostruzione del sistema Paese sia l’intervento sulla concorrenza. Per questo lo scorso febbraio nel suo discorso al Senato per chiedere la fiducia, Draghi ha sollecitato all’Antitrust le proposte per il disegno di legge per la concorrenza. Proposte arrivate nelle mani del premier alla fine del mese di marzo e da quel momento messe a servizio sia del Pnrr, da inviare a Bruxelles, sia dell’articolato della legge sulla concorrenza. Provvedimento quest’ultimo atteso in Consiglio dei ministri per metà luglio. A confermarlo è stato lo stesso presidente del Consiglio, indicandolo due giorni fa tra i prossimi «step» del governo insieme alla legge sugli appalti e le concessioni. Il dettaglio delle misure ancora non è definitivo, ma l’impianto del provvedimento è costituito dalla sintesi delle proposte formulate dall’Antitrust e suddivise in diverse aree tematiche: sviluppo delle infrastrutture per la crescita e la competitività, riforma del settore degli appalti pubblici, interventi per assicurare efficienza e qualità dei servizi pubblici locali, rimozione delle barriere all’entrata nei mercati, promozione di un’economia sostenibile, interventi nel servizio sanitario e settore farmaceutico. Tra i suggerimenti dell’Autorità guidata da Roberto Rustichelli anche la sospensione del codice appalti durante gli investimenti del Recovery plan e la creazione di una task force per vigilare sulle grandi opere finanziate con le risorse in arrivo dalla Ue, indicazioni in parte recepite nel decreto Semplificazioni.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ducci Andrea 
Titolo: S&P rivede le stime della ripresa: l’Italia crescerà più della Germania
Tema: ripresa
Il premier Mario Draghi nelle ultime ore ha preconizzato uno scenario di crescita economica, ricorrendo all’immagine di «un’alba della ripresa». Un contesto che trova riscontro nei dati della Bce e nelle analisi dell’agenzia di rating Standard&Poor’s. Quest’utima ha aggiornato le stime sulle previsioni del Pil (Prodotto interno lordo) italiano al 4,9% sia nel 2021, sia per l’anno prossimo. La stima al rialzo è nella tabella elaborata dall’agenzia americana sulle previsioni di crescita dell’Europa nel terzo trimestre. Per l’Italia si tratta di una valutazione migliorativa: le previsioni precedenti si fermavano al 4,7% per l’anno in corso e al 4,2% nel 2022. Dati che rendono l’aspettativa di crescita economica italiana superiore a quella della Germania, dove nel 2021 il Pil salirà del 3,5%. Un quadro più confortante di quello dei mesi scorsi che si riflette, non a caso, nelle valutazioni del bollettino economico mensile della Bce. Gli economisti della Banca centrale europea si attendono un «netto miglioramento dell’economia nella seconda metà del 2021, man mano che i progressi nelle campagne di vaccinazione consentono di allentare ulteriormente le misure di contenimento». Sebbene con qualche cautela, per il diffondersi delle varianti del virus, che potrebbero rivelarsi «una fonte di rischi al ribasso», dall’analisi di Francoforte emerge uno scenario positivo.
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Testata:  Mf 
Autore:  Capponi Marco 
Titolo: S&P: pil Italia +4,9% nel 2021
Tema: ripresa
Se nel primo trimestre a trainare la ripresa ci aveva pensato la ripartenza del comparto industriale, spiegano gli analisti di S&P, nel secondo semestre si assisterà a un forte rimbalzo del settore dei servizi, che potranno beneficiare della riapertura delle attività e dei progressi nelle campagne vaccinali. Fenomeni che contribuiranno a un massiccio incremento dei consumi, agevolati anche dal fatto che lo scorso anno le famiglie europee hanno accumulato risparmi in eccesso pari a circa il 12% dei redditi disponibili: 300 miliardi, il 2,7% del pil dell’area. L’industria, in questo contesto, continuerà a dare il suo contributo: soprattutto quella orientata alle esportazioni ed esposta al mercato Usa. Le pressioni sulla domanda si convertiranno in maggiori investimenti nel momento in cui verranno recuperati i margini di profitto. Lato lavoro, questo dovrebbe tornare sui livelli pre-pandemici entro la seconda metà del 2022, un semestre prima delle precedenti stime. L’Italia dovrebbe chiudere il 2021 con un tasso di disoccupazione del 10%, molto vicino al 9,9% del 2019. A destare ottimismo rispetto al precedente outlook c’è, secondo S&P, una maggiore chiarezza circa l’implementazione dei piani di ripresa continentali: grazie alla portata degli stimoli, l’Eurozona dovrebbe riuscire a colmare il gap che si è venuto a creare rispetto allo scenario di crescita pre-pandemico alla fine del 2024.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Meneghello Matteo 
Titolo: Acciaio, scontro nella filiera sui nuovi tetti europei all’import
Tema: industria

II rinnovo del meccanismo di Salvaguardia europeo spacca la filiera dell’acciaio italiano. Il provvedimento – adottato in questi anni per arginare i flussi crescenti di importazione di acciaio dai paesi extraeuropei dopo i dazi Usa dell’amministrazione Trump – scadrà il 30 giugno ma sarà esteso, salvo sorprese, fino al 2024: per la pubblicazione in Gazzetta ufficiale è questione di giorni. Confermati, quindi, i tetti all’import dai singoli stati extraeuropei. La decisione punta a tutelare le imprese europee in una fase di ripresa dopo le difficoltà dell’ultimo anno, e per questo è stata salutata positivamente dai produttori. Lo «scudo» della Salvaguardia sarà strategico anche per l’ex Ilva, che dopo il parere positivo del Consiglio di Stato sulla legittimità della prosecuzione dell’attività dell’area a caldo, può provare a mettere a terra il piano di ripartenza cercando di cogliere le opportunità offerte dal mercato. Ma la scelta della Commissione sulla Salvaguardia delude gli altri portatori di interesse nella filiera, come gli utilizzatori finali (tra questi per esempio i produttori di auto) o i distributori, una cinghia di trasmissione che teme il logoramento in una fase di mercato particolarmente vivace, trainata dall’aumento del costo delle materie prime e di conseguenza dei prodotti finiti. «Avevamo offerto alla Commissione europea, attraverso i nostri rappresentanti, una piena disponibilità a un ragionamento comune sullo strumento, nell’ottica di salvaguardare il mercato a valle, ma le nostre ragioni non sono state ascoltate – spiega Paolo Sangoi, neoeletto alla guida di Assofermet Acciai, l’associazione che rappresenta i distributori -. Come se non bastasse, è stato addirittura ridotto al 3% l’incremento periodico dei volumi assegnati, contro il 5% previsto in precedenza».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca 
Titolo: Diritti, l’Europa contro Orbán – Ultimatum Ue all’Ungheria «Ritirate la legge omofoba»
Tema: Ungheria
Già dalle mosse della vigilia era evidente che non sarebbe stato un Consiglio europeo semplice. Germania e Francia hanno chiesto di valutare l’ipotesi di un summit Ue-Russia. Il premier olandese Mark Rutte ha fatto sapere che avrebbero sollevato la questione della legge ungherese che vieta la rappresentazione dell’omosessualità ai minori. Inoltre 17 leader Ue si sono presentati con una lettera pubblica in difesa dei diritti della comunità Lgbti. L’ordine del giorno ha subito uno stravolgimento. Le discussioni sono state lunghe e il Consiglio si è protratto nella serata. Per avere un’idea del clima bastano le parole di Rutte a margine del Consiglio europeo: «Secondo me, non c’è più posto nell’Ue per l’Ungheria». E durante la discussione, definita «emotiva» da una fonte Ue, avrebbe invitato il premier magiaro Viktor Orbán a usare l’articolo 50, quello per l’uscita dall’Unione. Orbán ha sostenuto che quella approvata «non è una legge contro gli omosessuali, è in difesa dei genitori e dei bambini», e ha aggiunto che «è già in vigore». Il premier Mario Draghi ha ricordato che «spetta alla Commissione stabilire se l’Ungheria viola o no il trattato». La Commissione ha già ha inviato una lettera a Budapest, che ha tempo sino a fine giugno per rispondere, per segnalare diverse violazioni delle direttive sui servizi dei media audio-visivi, dell’ecommerce e della Carta dei diritti fondamentali, che potrebbero portare a una procedura d’infrazione. Altro dossier di scontro le relazioni tra Ue e Russia. La cancelliera tedesca Angela Merkel, prima di partire per Bruxelles, ha spiegato al Bundestag che l’Ue dovrebbe avere un rapporto indipendente con Mosca, anche se complementare a quello degli Usa: «Serve un contatto diretto dell’Ue con la Russia», ha detto, aggiungendo che «non basta che lo abbia fatto Joe Biden».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tito Claudio 
Titolo: Ue, la battaglia sui diritti – L’Europa contro l’Ungheria “Ritiri le misure anti Lgbtq” Orbán però va avanti: ipocriti
Tema: Ungheria

In gioco, a questo punto, non c’è solo la schermaglia dialettica. Ma una procedura d’infrazione con tanto di sanzione economica o addirittura, come vorrebbe l’Europarlamento, la sospensione dei finanziamenti del Recovery Fund. La vera arma fine di mondo. Il fuoco di fila di tutti i presenti non lascia spazio a interpretazioni. Nella mattinata di ieri il nocciolo duro dell’Europa si era già mosso con una lettera firmata da 16 leader, tra cui Draghi, Merkel e Macron. Una missiva durissima. «Continueremo a combattere la discriminazione nei confronti della comunità Lgbtq – si legge -, riaffermando la nostra difesa dei loro diritti fondamentali. Il rispetto e la tolleranza sono al centro del progetto europeo». Nel pomeriggio un’altra stoccata. La Commissione spedisce una missiva al governo sovranista di Orbän. I commissari Reynders e Breton ammoniscono i magiari. Quella legge viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Europa. Utilizzando «un metodo discriminatorio contro le persone in base al loro sesso e orientamento sessuale». L’articolo 21 della Carta dei diritti vieta proprio «qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle o le tendenze sessuali». Dunque chiariscano, la ritirino oppure partirà una procedura d’infrazione. Certo, l’iter in questo caso sarebbe molto farriginoso e sopratutto lungo. La sanzione sarebbe pecuniaria. Un impianto che per il momento non impressiona Orbän. Anche perché le nuove elezioni in quel Paese si terranno tra meno di un anno e il sovranista magiaro ha bisogno di tenere il punto almeno fino a quella data. E infatti in campo c’è un’alternativa: quella che riguarda la violazione dello Stato di diritto. Regola in vigore dal primo gennaio scorso. Secondo cui, la violazione comporta la sospensione di tutti i fondi europei, compreso il Recovery Plan.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca 
Titolo: Il retroscena – La lettera dei 17 leader: «Non si cede sui diritti» Così il lussemburghese ha convinto i colleghi
Tema: Ungheria
C’è voluto il premier del Lussemburgo ‘ Xavier Bettel per scuotere i leader Ue e spingerli a un gesto irrituale in corrispondenza di un Consiglio europeo che si sapeva avrebbe trattato l’argomento, anche se non in agenda, e che sarebbe stato divisivo: una lettera pubblica contro le discriminazioni verso la comunità Lgbti e in difesa dei «comuni valori fondamentali» alla luce «delle minacce contro i diritti fondamentali e in particolare del principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale». La lettera firmata da 17 su 27 leader Ue (l’austriaco Sebastian Ktuz si e aggiunto all’ultimo a cose fatte e non compare in calce alla missiva) è indirizzata ai presidenti del Consiglio europeo Charles Michel, della Commissione Ue Ursula von der Leyen e della presidenza di turno portoghese António Costa in vista della giornata dell’orgoglio Lgbti del 28 giugno. Ma di fatto è un modo per prendere in maniera forte una posizione nei confronti dell’Ungheria di Victor Orbán e della legge contro l’omossesualità approvata da Budapest la scorsa settimana, anche se non vengono menzionati espressamente nella lettera. Non hanno firmato Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Romania, Bulgaria, Croazia e Lituania. II documento, il secondo in una settimana dopo quello dei ministri degli Affari europei, alza lo scontro e ribadisce i valori non negoziabili dell’Ue. Ieri mattina Bettel in contemporanea con gli altri firmatari, tra cui Emmanuel Macron e Mark Rutte (Angela Merkel e Mario Draghi non hanno un account Twitter personale), ha pubblicato il testo della lettera spiegando che «l’odio, l’intolleranza e la discriminazione non hanno posto nella nostra Unione. Ecco perché, oggi e ogni giorno, sosteniamo la diversità e l’uguaglianza Lgbti in modo che le nostre generazioni future possano crescere in un’Europa di uguaglianza e rispetto».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Taino Danilo 
Titolo: I muscoli della Ue – La realpolitik di Draghi e i muscoli dell’Europa
Tema: Draghi e la politica estera

Mario Draghi è un maestro di Realpolitik. Si spiegano così alcune sue recenti iniziative inattese, addirittura sorprendenti. E, in fondo, la guida stessa della Banca centrale europea, tra il 2011 e il 2019, è un caso di costruzione di un nuovo equilibrio tra poteri, finalizzato a un risultato. Obiettivi più che idealismo. II presidente del Consiglio non è un politico improvvisato, sa bene che Recep Tayyip Erdogan non è formalmente un dittatore: il leader turco è un «uomo forte», illiberale, autoritario e mette in pericolo la democrazia; ma è stato eletto in elezioni; certo condotte soffocando le opposizioni, e nonostante la repressione la Turchia non è una classica dittatura. Eppure, Draghi ha consapevolmente strappato i veli della diplomazia e lo ha definito «un dittatore»: un calcio negli stinchi a nome di molti governi dell’Unione europea. Allo stesso modo, anche l’impegno a portare da Londra a Roma la finale degli Europei, annunciato lunedì scorso, è un calcio agli stinchi di Boris Johnson: pure questo inaspettato e poco ortodosso e portato a un leader vissuto come avversario (ben diverso da Erdogan) della Ue. Si può discutere nel merito il suo approccio a Erdogan e a Johnson. Ma non è questo il problema nella logica della Realpolitik. Dopo le elezioni amministrative francesi di domenica e la disaffezione mostrata dagli elettori, è difficile attendersi iniziative di respiro europeista che nascano a Parigi. Detto in modo brusco ma, appunto, realista: Francia e Germania sono bloccate, faticano a tenere unita la Ue e cade su Draghi l’onere di fare sapere al mondo che l’Europa c’è, in una fase internazionale confusa tra le più delicate. Non scontato per un Paese che negli ultimi decenni ha mostrato poca capacità di politica estera e scarso impegno serio in Europa.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Valsania Marco 
Titolo: Ora gli Stati Uniti cercano di avviare il dialogo con la Cina
Tema: Usa-Cina

Il palcoscenico potrebbe essere quello di Roma. Ai margini del G20 in programma a ottobre. Il Presidente americano Joe Biden, reduce dal meeting a Ginevra con l’uomo forte del Cremlino Vladimir Putin, intende preparare un faccia a faccia con un altro difficile leader internazionale, rivale delle democrazie occidentali, il cinese Xi Jinping. E potrebbe avvenire a Roma, anche se non mancano alternative per colloqui bilaterali ai massimi livelli, da un incontro separato dal G20 a scambi telefonici di vedute. Se il vertice però rimane incerto, un elemento è sicuro: il bilaterale tra i due presidenti è considerato un “must” dalla Casa Bianca. Attestato da contatti per nuovi dialoghi tra delegazioni e, appunto, dalle grandi manovre su tempi e modi del summit Biden-Xi. Sono manovre che portano alla ribalta una strategia della Casa Bianca mirata a tessere un dialogo nonostante il clima di alta tensione e le critiche a Pechino, alle sue pratiche economiche e commerciali condannate come scorrette come alla sua aggressività militare, a cominciare da Taiwan. Fino alle violazioni dei diritti umani di minoranze etniche e religiose e alle svolte repressive a Hong Kong. «È solo questione di quando e come», ha indicato il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan riferendosi al meeting. Gli scontri che non accennano a diminuire alzano soltanto la posta in gioco. Nelle ultime ore l’amministrazione Usa ha reso nota una intensificazione della campagna contro il lavoro forzato nella regione cinese di Xinjiang, colpendo aziende di materiali usati nei pannelli solari. Al bando verrà messo, in particolare, il silicio della Hoshine Silicon Industry, in assenza di prove che non sia prodotto senza abusi.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mastrobuoni Tonia 
Titolo: E sul dialogo con Putin l’Unione si spacca Polonia e Baltici: “Sente solo la forza”
Tema: Ue e Russia

I termini con cui gli sherpa europei hanno discusso nei giorni scorsi la possibilità di una revisione dei rapporti con Vladimir Putin, sembrano innocui: «impegno selettivo». La traduzione pop potrebbe essere “bastone e carota”. Ma l’impulso di Angela Merkel, sostenuto da Emmanuel Macron e Mario Draghi, di riavviare con un vertice Ue-Russia un canale di dialogo con Putin, riservandosi la possibilità di picchiare duro, se necessario, ha spaccato l’Europa prima ancora che cominciasse il vertice a Bruxelles. I Paesi che per ragioni storiche hanno una lunga tradizione di rapporti tesi con la Russia, ossia i Baltici, l’Ungheria e la Polonia, si sono scagliati per primi contro l’idea di un summit Ue-Russia. Il primo ministro della Lettonia Krisjanis Karins ha obiettato che «il Cremlino capisce solo la politica della forza». Gli ha fatto eco il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis: la proposta di un vertice è «irresponsabile e storicamente miope». Mentre il premier polacco Mateusz Morawiecki ha posto la condizione che il dialogo avvenga «se c’è una fattiva de-escalation». Peraltro serpeggiano dubbi anche tra qualche Paese nordeuropeo: il premier olandese Mark Rutte ha proposto di limitare l’eventuale incontro ai vertici Ue, senza coinvolgere i Paesi membri. E secondo una fonte diplomatica, anche la Svezia avrebbe storto la bocca. Da Mosca è già arrivata invece una risposta immediata: «Valutiamo positivamente l’iniziativa», ha fatto sapere il portavoce di Putin, Dimitri Peskov. Dall’invasione della Crimea nel 2014, i rapporti tra Ue e Russia sono progressivamente peggiorati, gli inviti a Putin congelati e Mosca è stata esclusa dal G8. Ma se dovesse passare il vaglio del Consiglio Ue, la nuova strategia del “bastone e carota” europeo ricalcherebbe da vicino quella adottata negli ultimi anni da Merkel. La cancelliera ha sempre mantenuto un filo con Putin e ha difeso, anche contro il muro bipartisan americano, il gasdotto NordStream 2.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Scott Antonella 
Titolo: L’analisi – La voce di Biden, in attesa dell’Unione
Tema: Ue e Russia
Quando lascerà la guida della Germania, in settembre, Angela Merkel vorrebbe lasciare all’Europa un meccanismo formale in grado di rilanciare il legame con Mosca. In sintonia con il tentativo avviato dall’amministrazione Biden. Il nuovo approccio unirebbe la consapevolezza delle divergenze – e la determinazione a irrigidire le sanzioni, se necessario – alla volontà di tentare un cambio di passo in modo da uscire dalla spirale negativa avviata nel 2014, anno dell’annessione della Crimea alla Russia. Su questo Stati Uniti ed Europa desiderano presentare ai russi un fronte unito. All’interno del quale, la cancelliera tedesca auspica un’unica voce europea. Ma quale? La sua è quella della persona più vicina a Vladimir Putin, tra i leader europei. È ad Angela Merkel che il 22 giugno il presidente russo ha fatto il resoconto del summit di Ginevra con Joe Biden. Quel giorno, l’80° anniversario dell’attacco nazista all’Urss, il settimanale tedesco Die Zeit ha pubblicato un commento in cui Putin invita gli europei a ristabilire una partnership: «Non possiamo permetterci di portare il carico delle incomprensiónl; Ie ostilltà, i conflitti, gli errori del passato», scrive Putin. L’Europa non è in grado di rispondergli con una voce sola. Agli occhi della Russia l’Europa – soprattutto a più voci – e gli Stati Uniti non hanno lo stesso peso. A Ginevra Putin e Biden sembrano essere riusciti ad annodare un filo, ma solo un giorno sapremo se quel summit darà i risultati che i primi segnali fanno sperare. «Vogliamo un dialogo per difendere i nostri Interessi», dice Macron, e in gran parte quegli interessi sono gli stessi di Washington. Che sia quella la voce sola: Impegnata a riportare la Russia là dove ogni europeo sarà pronto a incontrarla.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Simoni Alberto 
Titolo: L’analisi – Il filo rosso Merkel-Biden – La spinta di Angela per la sovranità europea
Tema: Ue e Russia
L’iniziativa – concordata con Macron e di cui anche Draghi era a conoscenza – di un summit ad “alto livello” fra Putin e la Ue, spiazzai Paesi baltici e la Polonia. Reazioni prevedibili in quelle capitali che sentono il fiato sul collo russo fra esercitazioni militari ai confini, cyber-spionaggio e riflessi della storia del ‘900. Ma sarebbe puerile pensare che Merkel non avesse previsto l’alzata di scudi. La mossa ha radici più profonde e ha la benedizione da Washington. Non è un caso che l’annuncio – filtrato mercoledì nell’incontro degli ambasciatori Ue – avvenga mentre a Berlino il segretario di Stato Usa Tony Blinken incontra l’omologo Heiko Maas. È lì che gli americani sdoganano il Nord Stream 2 dietro la promessa che Berlino vigilerà affinché il gasdotto che taglia l’Ucraina e consegna il gas russo direttamente all’Europa «non diventi un’arma in mano a Putin». Fonti diplomatiche Usa spiegano che Washington era a conoscenza della mossa della coppia Merkel-Macron e che «si può recapitare a Mosca un messaggio condiviso». Certo tocca all’Europa «mostrarsi unita, su questo gli Usa non possono fare nulla».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  G.Sar. 
Titolo: L’America violenta spaventa Biden: controlli sulle armi e fondi agli agenti
Tema: piano anticimine di Biden
Un’ondata di violenza sta avvelenando il risveglio delle grandi città, dopo i mesi della pandemia. Nei primi cinque mesi dei 2021, sono state uccise 8.100 persone, circa 54 al giorno secondo i dati di «The Gun violence archive», un’organizzazione senza scopo di lucro. Altre statistiche indicano che nel primo trimestre del 2021 gli omicidi sono aumentati del 24% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 49% se rapportato al 2019. Joe Biden, forse per la prima volta dall’inizio del mandato, si trova a inseguire la cronaca e a fronteggiare l’offensiva politica subito lanciata dai repubblicani che, usando toni trumpiani, lo accusano di essere «debole» contro il crimine. Tuttavia il leader degli Stati Uniti vuole mantenere aperto il dialogo con l’opposizione. La risposta di Biden è una «strategia in cinque punti contro l’epidemia di violenza». Il progetto, diffuso giovedì, cerca di tenere insieme misure strettamente di ordine pubblico e programmi socioassistenziali. II primo passaggio prevede controlli più stretti sulla vendita delle armi. I commercianti saranno incriminati, tra l’altro, se non verificheranno che l’acquirente di un fucile o di una pistola non abbia avuto precedenti penali o problemi mentali. Secondo: ci saranno più fondi per assumere altri agenti. Inoltre l’ Fbi, la Dea (l’Agenzia federale anti droga) e il Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives fornirà assistenza alle «unità omicidi» nelle diverse polizie statali. Terzo: saranno sviluppati progetti di prevenzione sociale e di assistenza psicologica sui soggetti considerati potenzialmente criminali. Secondo l’Amministrazione questi interventi hanno già dimostrato di poter ridurre del 60% gli episodi di violenza. Quarto: offrire lavori estivi ai giovani nei quartieri più difficili, in modo da toglierli dalla strada. Quinto e ultimo: incentivare le imprese, anche con crediti di imposta; ad assumere detenuti scarcerati negli ultimi dodici mesi.
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***gica/

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