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SINTESI IN PRIMO PIANO – 24 dicembre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Virus, la variante inglese un pericolo per i bambini
– Conte sfida Pd e renziani: nessuna delega sull’intelligence
– Fiducia alla Camera sulla manovra
– Scuola si torna il 7 gennaio con il 50 per cento in presenza
– Usa, Trump chiede modifiche al pacchetto da 900 miliardi
– Svolta di Natale, Brexit verso l’intesa

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Repubblica 
Autore:  Bocci Michele 
Titolo: Covid, dalla variante inglese un pericolo per i bambini – “Il virus inglese attacca i bambini” Risale l’Rt, preoccupa il Veneto
Tema: covid-19

Un ceppo che «sembra essere più trasmissibile da giovani e bambini». E che probabilmente in Europa, quindi anche in Italia, circola già da un po’ di tempo. leri l’Oms ha parlato di nuovo della variante di coronavirus scoperta in Inghilterra. Mentre l’Italia decide di far passare, a patto che eseguano un doppio tampone e facciano la quarantena, i residenti nel nostro Paese che rientrano dal Regno Unito, o coloro che abbiamo motivi di “assoluta necessità” certificati, l’Organizzazione mondiale della sanità annuncia nuove ricerche. ll virologo dell’Università di Leed, Mark Harris, aggiunge che se la variante «si sta davvero replicando o crescendo meglio nei bambini, potrebbe avere un effetto a catena sulla diffusione del virus nell’intera popolazione britannica». Se ci sono alcune caratteristiche di quella tipologia del coronavirus, in particolare la sua alta contagiosità, che preoccupano, aumentano gli esperti che sostengono come sia certamente presente anche nel nostro Paese già da settimane. I suoi effetti sull’andamento dell’epidemia probabilmente si sarebbero dovuti vedere. E se l’Italia cerca tra coloro che sono rientrati dal 6 al 20 gennaio dall’Inghilterra, circa 27 mila, spuntano fuori casi precedenti a quel periodo. Ad Ancona è stato processato il tampone di una donna di Loreto positiva alla variante inglese che non ha avuto contatti col Regno Unito. Del resto, il modo stesso, praticamente casuale, in cui è stata trovato il virus mutato, spinge a interrogarsi sulla possibilità che ormai sia diffuso da tempo in Italia. «Il sospetto che sia così c’è», commenta Menzo. Ieri anche Massimo Ciccozzi, ordinario di epidemiologia molecolare all’Università Campus bio-medico di Roma, ha spiegato che «è possibile che questa variante circoli da tempo in Italia, ma non ce ne siamo accorti perché non abbiamo fatto una sorveglianza molecolare».
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Mangani Cristiana 
Titolo: Intervista a Luciana Lamorgese – Lamorgese: «Controlli, saremo severi E ingressi contingentati nelle metro» – «Nessun cedimento sui controlli ingressi contingentati in metro»
Tema: covid-19

Non solo festività natalizie: il rischio di altre strette nel mese di gennaio è preso seriamente in considerazione dal governo, qualora la curva del contagio continuasse a salire. Ed è per questo che i prossimi 14 giorni saranno ipercontrollati, proprio per evitare che la situazione possa peggiorare. Ma come contenere la voglia di socializzazione tipica degli italiani? Secondo la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese vanno calibrate tutte le esigenze, partendo dal principio che il desiderio di normalità non deve far dimenticare le regole. «La curva dei contagi – dice – evidenzia un andamento ancora sostenuto per cui non ci possiamo permettere cedimenti nel rispetto delle regole. Un adeguato livello di attenzione al distanziamento e all’uso della mascherina si ottiene con i controlli, ma va ricordato a tutti che la tutela della salute degli altri e dei nostri cari è affidata soprattutto a noi stessi. Per questo non mi stanco di far leva sul senso di responsabilità, per evitare che anche in queste feste di Natale si ripetano quei comportamenti disinvolti che si sono verificati la scorsa estate». Gli appelli del governo al senso di responsabilità non sembrano avere avuto effetti, a giudicare dalle immagini riprese nelle strade dello shopping. Perché gli italiani non collaborano? «Mi rendo conto che ci sia una gran voglia di tornare alla normalità, superando restrizioni e divieti. Comprendo anche il desiderio di ritrovarsi a Natale con amici e parenti. Ma, pur riconoscendo il grande senso di responsabilità dimostrato dalla maggior parte degli italiani, dobbiamo ricordarci che siamo all’apice di una pandemia, per di più con un nuovo ceppo in circolazione, e per questo è prevedibile che per alcuni mesi ancora non sarà possibile abbassare la guardia».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Conte: vado avanti se c’è fiducia La crisi non è nelle mie mani
Tema: tenuta governo
Dei rischi è ben consapevole ma, spiega, «la crisi non è nelle mie mani»: tutto dipende dai partiti della maggioranza, «se confermano la fiducia». I vicepremier ipotizzati sono «un chiacchiericcio», il rimpasto «non ci sarà perché tutti i partiti si sono sfilati», quanto a lui è «fungibile, sostituibilissimo». Certo, aggiunge Giuseppe Conte a «Porta a Porta», se questo governo fallisce «va a casa con ignominia». Non usa mezzi termini il premier, in una lunga intervista nella quale si dimostra disponibile al dialogo, «ma solo nell’interesse del Paese non delle singole forze», conferma che non ci sarà una task force centralizzata sul Recovery plan e ribadisce il punto sul no al Mes e sulla volontà di tenersi le deleghe sui servizi segreti. «La task force, come struttura centralizzata che avrebbe prevaricato i ministeri, è stata superata perché non è mai esistita», spiega. Ma aggiunge anche, e questa parte è già vista come un espediente semantico da Italia Viva, «una struttura di monitoragglo ce la chiede l’Europa, è prevista dalle linee guida dell’Ue per aggiornare l’Europa. Avremo migliaia di cantieri: pensare che non ci sia un monitoraggio è impensabile». L’obiettivo è chiudere entro l’anno la bozza sul Recovery plan, «altrimenti si potrebbero accumulare ritardi, che oggi non ci sono». il piano di ricostruzione, però, sarà più ampio, oltre 300 miliardi e arriverà fino al 2026, quindi «riguarderà anche il prossimo governo».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Conte sfida Pd e renziani: nessuna delega sull’intelligence – Servizi e Mes, la verifica si complica Conte: su alcuni temi decido io
Tema: tenuta governo
Non ha alcuna Intenzione di restare fermo, Giuseppe Conte, di farsi rosolare a fuoco lento dai leader della sua maggioranza. Non è andata giù, all’avvocato, la campagna orchestrata (pubblicamente) da Renzi e (sottotraccia) da Di Maio e Zingaretti per costringerlo a ripiegare sul Recovery Plan, addirittura a rinunciare alla cabina di regia a piramide così come era stata pensata: il presidente del Consiglio in cima e sei manager cui delegare l’attuazione dei progetti sotto. Avverte il rumore di fondo che sale dalle segreterie dei partiti. E ha capito che la tregua di Natale, siglata lunedl, potrebbe non reggere fino alla Befana. Perciò ieri si è accomodato nel salotto di Porta a Porta e ha fissato paletti — su Mes, fondi Ue, servizi segreti, rimpasto — per far capire chi è che comanda. Anche a costo di infilare le dita negli occhi degli alleati. Finché c’è lui alla guida del governo, questo il messaggio, si farà a modo suo. Perché «io sono disponibile a discutere di tutto, ma nel segno della funzionalità degli interessi generali e non delle singole forze di maggioranza». Come a dire che la politica risponde a logiche di bottega a lui estranee. E infatti: «Io sono sempre alla ricerca di soluzioni, ma qualsiasi altra soluzione che non sia nell’interesse del Paese non mi riguarda». Per cui se qualcuno vuole buttarlo giù, deve farlo a viso aperto: «Ho sempre detto che si va avanti, ma solo se c’è la fiducia di tutti. Ne rispondo al Parlamento e al Paese», lancia la sfida il premier. Non accetterà di essere ridimensionato, Conte. La golden share dell’esecutivo è in mano sua ed è deciso a giocarsela, al tavolo della verifica, su tutte le ruote. A partire dal Recovery: la task force che avrebbe «prevaricato I ministeri è stata superata perché non è mai esistita», taglia corto, spiegando però che «una struttura di monitoraggio serve», ce lo chiede l’Europa, così come i manager, avendo l’Italia «una capacità amministrativa di spendere risorse pubbliche molto modesta». Seconda ruota: la delega sui Servizi. «Va affidata a un tecnico», è tornato a insistere Renzi. Ma la legge attribuisce al presidente del Consiglio «la responsabilità giuridica, operativa e politica» sull’Intelligence e, anche volendo, «non mi potrei sottrarre», puntualizza l’avvocato. Per poi avvertire: «Varie forze politiche vorrebbero l’autorità delegata. Ma in passato questa autorità era dello stesso partito del presidente, una persona di sua fiducia. Costituire perla prima volta una struttura bicefala sarebbe un’anomalia».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bertini Carlo 
Titolo: Conte considera la crisi chiusa Ma Renzi non molla: “Così cade”
Tema: tenuta governo
Entro il 10 gennaio si capirà se ci sarà questa resa dei conti: lunedì Italia Viva presenterà il documento con la sfilza di istanze sui miliardi del Recovery e non solo poi aspetterà di leggere le risposte. Renzi è sicuro che il premier cercherà in zona Cesarini un accordo per non affrontare una crisi al buio: «Conte si accorgerà la settimana prossima che facciamo sul serio e che da parte nostra tutto sarà trasparente e pubblico, senza agguati o trabocchetti», dice ai suoi parlamentari.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: Anche Renzi sale al Colle – Anche Renzi sale al Colle Ma resta ancora incerta la stabilità del governo
Tema: tenuta governo

Non c’è stato nessun comunicato ufficiale del Quirinale. Il colloquio viene classificato come uno dei tanti che il presidente della Repubblica ha riservatamente ogni giorno. Ma il ritorno del leader di Italia viva in udienza da Sergio Mattarella, a metà dicembre, è una novità e un piccolo evento. Erano mesi che i due non si vedevano, né avevano contatti. In privato, l’ex premier non nascondeva un’irritazione sorda nei confronti del capo dello Stato che pure aveva contribuito in modo decisivo a fare eleggere nel febbraio del 2015. Mattarella, però, ha deciso che la piccola formazione guidata dall’ex segretario del Pd andava sondata in una fase di passaggio decisiva. Non voleva trascurare nessuna delle voci che compongono la maggioranza, nonostante la scarsa consistenza di Iv nei sondaggi. Più che un disgelo, si è trattato solo di una ripresa guardinga del dialogo tra esponenti di una stessa area politica divisi dalle convulsioni della sinistra. Il capo dello Stato non sperava di distogliere Renzi dai suoi obiettivi bellicosi nei confronti del premier in carica, Giuseppe Conte. Voleva solo cercare di capire le vere intenzioni del suo interlocutore. Esercizio non facile, eppure necessario per tentare di decifrare e pilotare la situazione di qui all’inizio del prossimo anno. Da quanto si capisce, il capo del manipolo di Iv ritiene che entro il 10 gennaio Conte debba dare risposte alle richieste del suo partito: altrimenti aprirà la crisi. La mano tesa di Mattarella a un leader che pure giura a tutti di non volere rivotare l’attuale capo dello Stato, se tra un anno si registrasse uno stallo sul successore, è stata una mossa distensiva ritenuta opportuna, anche se non risolutiva. Al Quirinale cominciano a temere che la situazione sia peggiorata al punto da non lasciare prevedere un recupero facile tra Iv e governo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: Intervista a Giorgia Meloni – Meloni “Salvini lo sa, non farò mai un governo con i voti dei transfughi”
Tema: centrodestra

Renzi torna a fare il volto feroce. Giorgia Meloni, ma lei scommetterebbe sulla crisi? «Io ci credo poco. Tifo perché questi signori vadano a casa prima possibile. Ma le crisi in favore di telecamera non sono credibili». Pensa che Conte se la caverà col rimpasto? «Trovo surreale che nel pieno dell’emergenza pandemica passino la giornata a parlare di poltrone, verifiche, servizi segreti, posti di sottogoverno, tutta una paccottiglia da Prima Repubblica che poi, riguardando il “rottamatore”, rende tutto ancora più ridicolo. I governi tenuti su solo perché devono occupare posizioni e potere non fanno il bene della nazione». A proposito del rottamatore, lei in un governo magari di centrodestra con Renzi ci andrebbe? «Io non sono disponibile a fare un governo con qualsivoglia partito di sinistra. Sia esso Pd, M5S o Italia Viva. L’Italia ha bisogno di una visione, che oggi drammaticamente manca. Da gennaio a oggi sono stati spesi 108 miliardi per la crisi, altri 38 stanziati in manovra. Questi soldi hanno prodotto risultati significativi? Qualcuno ricorda come sono stati spesi? No. Dilapidati nel tentativo di accontentare partiti e correnti della maggioranza». Pure Salvini pensa sia difficile andare a elezioni e rilancia il governo di centrodestra con “aiutini”, dopo aver accantonato l’ipotesi di un esecutivo di transizione. «Matteo sa che non ho condiviso questo ragionamento perché ritengo sia un errore accreditare una tesi, quella che non si potrebbe votare, che la sinistra porta avanti per interessi strumentali. Ma lo dice anche lui, del resto, che le elezioni sono la priorità, per dare alla nazione un governo coeso, con una chiara visione, con un forte mandato popolare e con cinque anni davanti per lavorare. Le alchimie di palazzo non funzionano». Dunque, esclude del tutto un governo, fosse pure di centrodestra, come ipotizza lui? «Sarei sempre disponibile a dar vita a un governo di centrodestra, trovo tuttavia difficile che possa nascere in questa legislatura. E non sono certa che l’orizzonte della nostra coalizione debba essere un esecutivo sorretto da due o tre transfughi che lo farebbero ballare a ogni passaggio parlamentare».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fregonara Gianna 
Titolo: Intervista a Stefano Bonaccini – «È un buon punto di partenza Ma ai ragazzi serve stare tutti in classe»
Tema: scuola
Se fosse stato per lui, Stefano Bonaccini il 7 gennaio avrebbe voluto riportare tutti gli studenti delle superiori in classe. E comunque, già da giorni aveva fatto sapere che l’Emilia-Romagna, di cui è presidente, era pronta a far rientrare il 75% degli studenti come previsto dal Dpem del 3 dicembre. Ma come presidente della conferenza Stato-Regioni è toccato a lui fare la proposta al ribasso, che riporterà in aula soltanto la metà dei ragazzi e delle ragazze delle scuole secondarie il giorno dopo l’Epifania. Presidente, è deluso dal compromesso chiesto dal suoi colleghi governatori? Si poteva fare di più per gli studenti delle scuole secondarie? «L’accordo che abbiamo trovato con il governo è un punto di partenza positivo e promettente. Un segnale di speranza per tutte le famiglie e per i giovani. E molto importante che dal 7 gennaio le superiori, come le chiamavano quelli della mia generazione, riaprano. La scuola non è solo apprendimento, è anche socialità, relazione. Per quanto mi riguarda è tale solo con l’insegnante e gli alunni di fronte».  La ministra Azzolina ha resistito fino all’ultimo perché voleva che si mantenesse la misura del 75% degli studenti già dal 7 gennaio. Come l’avete convinta? «La ministra Azzolina cornprensibilmente si batte per la riapertura delle scuole, ma la ringrazio di aver accettato la nostra proposta. lo capisco le obiezioni dei miei colleghi presidenti di Regione che preferiscono partire con il 50% in presenza, in maniera più graduale, anche considerando il fatto che il 7 gennaio usciamo da due settimane di zona praticamente quasi sempre rossa. Per questo alla fine la proposta della conferenza delle Regioni è stata quella di procedere prendendo tutte le precauzioni. Ma ci siamo presi l’impegno di passare successivamente al 75%».
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Economia e finanza

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ducci Andrea 
Titolo: Primo sì alla Manovra E arriva il nuovo 730 – Sì alla Manovra da 40 miliardi. Nuovo 730
Tema: manovra
Il governo ottiene la fiducia sulla manovra. Alla Camera l’esecutivo incassa 314 voti favorevoli, mentre i contrari sono 230. I lavori alla legge di bilancio riprenderanno domenica mattina per concludersi con la votazione finale dell’aula nel pomeriggio. Ultimato il passaggio a Montecitorio il provvedimento approderà al Senato, per l’approvazione definitiva senza modifiche, e la successiva conversione in legge entro il 31 dicembre. L’esecutivo Conte archivia così le ultime ore di fibrillazione a causa dei numerosi correttivi, richiesti dalla Ragioneria generale dello Stato, al pacchetto di emendamenti che ha corredato il testo originario. In tutto oltre 250 proposte di modifica e più di mille commi finiti martedì sera sotto la lente dei tecnici della Ragioneria, imponendo l’ennesimo passaggio in commissione Bilancio per aggiustare il testo e rispedirlo al volo in aula per la fiducia. Ecco il perché la manovra, complici la discussione sul Recovery plan e il protrarsi dell’emergenza sanitaria, arriverà al Senato solo all’indomani del 27 dicembre, escludendo margini di intervento per non sforare i termini di conversione in legge. A Palazzo Madama viene dunque trasferita una manovra da 40 miliardi, dove la somma degli interventi frutto dell’intesa tra maggioranza e opposizione vale 4,6 miliardi.
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Testata:  Sole 24 Ore 

Autore:  Mobili Marco – Rogari Marco 
Titolo: Fisco, lavoro, bonus: fiducia della Camera sulla manovra chie vale 40 miliardi – Superbonus, imprese, partite Iva: la manovra incassa la fiducia
Tema: manovra

Si della Camera alla fiducia sul maxiemendamento con oltre 1.100 commi alla manovra da quasi 40 miliardi. Che imbarca la proroga del superbonus fino al 30 giugno 2021 ma valida anche sui lavori completati entro la fine del prossimo anno, un pacchetto per le partite Iva con un fondo da un miliardo per la decontribuzione, l’estensione dei contratti di espansione, la proroga del bonus auto, il piano vaccini, l’esenzione dalla prima rata Imu per i settori del turismo e dello spettacolo, lo stop di 12 mesi della sugar tax. E una pioggia battente di mini-finanziamenti e micronorme sgorgata da un vasto e un po’ caotico restyling da 4,6 miliardi, con “gettoni”, anche di poche centinaia di migliaia di euro, che vanno dalle celebrazioni per i presepi, ai cargo bike, alle bande e al jazz. «Alcuni emendamenti non li avrei fatti, sono troppo settoriali e specifici, ma il Parlamento ha aiutato il governo con grandi operazioni», come quelle «sugli autonomi e sull’automotive», ha detto lo stesso stesso ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, difendendo la legge di bilancio.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Boeri Tito – Perotti Roberto 
Titolo: L’analisi – Il virus e l’assalto alla diligenza – Esodati, vini e rubinetti L’assalto alla Manovra nel segno del “liberi tutti”
Tema: manovra
Il 2020 verrà ricordato come l’anno delle cinque leggi di bilancio. Oltre alla manovra varata a dicembre, ci sono stati infatti ben quattro scostamenti al bilancio 2020 in corso d’anno per far fronte all’emergenza Covid. Gran parte di queste manovre erano giustificate dalla peggiore recessione del dopoguerra. Ma l’impressione dalla legge di bilancio per il 2021 e dagli . emendamenti che saranno votati (con la fiducia) il 27 dicembre è che l’emergenza Covid abbia fornito ai parlamentari la scusa per un “liberi tutti”: ogni percezione dei vincoli di bilancio sembra scomparsa. Come sempre il passaggio parlamentare della Legge di Bilancio comporta un assalto alla diligenza, è normale che sia così e avviene in tutti i paesi del mondo: ma raramente si era vista una diligenza così poco presidiata. Ogni anno il governo in carica lascia un margine – in genere si tratta di circa 300 milioni – ai parlamentari per prebende e mancette varie al loro elettorato di riferimento. Quest’anno la dote era di 800 milioni, cui si sono aggiunti i 3,8 miliardi del fondo per il sostegno alle categorie maggiormente colpite dal Covid. Avrebbero dovuto essere destinati a misure di emergenza nel caso di una terza ondata. Ci avrebbero messo al riparo da nuovi insidiosi passaggi parlamentari in caso di una recrudescenza del virus a gennaio, senza dover ricorrere a nuovi scostamenti di bilancio. Invece sono stati tutti già impegnati con l’avvallo del Governo. Gli emendamenti confluiti nel testo definitivo approdato ieri alla Camera valgono almeno 4 miliardi e mezzo per il solo 2021. Scriviamo “almeno” perché su molte misure non c’è ancora una quantificazione dei costi, mentre su altre le relazioni tecniche non hanno avuto la bollinatura della Ragioneria dello Stato. Un terzo degli emendamenti (41 su 127) sono stati presentati dall’opposizione o con il concorso dell’opposizione, e valgono poco meno di due miliardi. Ma i maggiori emendamenti (quasi 4 miliardi su 4,5) sono stati approvati all’unanimità. In termine pro-capite, i parlamentari del Pd sono stati i più prolifici nel presentare emendamenti, per 18 milioni a testa, seguiti da Lega e Fratelli d’Italia con quasi 10 milioni a testa.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: Debito 2021, servono almeno 367 miliardi – Debito, il piano 2021 parte da 367 miliardi
Tema: conti pubblici
Il contatore delle emissioni nell’anno dei record per il debito pubblico si è fermato a 551 miliardi, divisi fra 369 a medio e lungo termine e 182 a breve. Quello dell’anno prossimo parte da una base di 367 miliardi di titoli a medio-lungo, a cui si affiancherà la raccolta a breve che il Tesoro non stima perché legat aa più variabili ma che potrebbe replicare le cifre 2020. In ogni caso anche i numeri di base si muoveranno presto: già a gennaio, quando il governo dovrebbe finanziare con almeno 20 miliardi di nuovo indebitamento il quinto decreto sui «ristori». Mai numeri ciclopici rimessi in fila ieri dal Tesoro alla presentazione delle Linee guida sulla gestione del debito pubblico 2021 nascondono anche un’occasione. Quella di “mettere sotto chiave”i tassi piatti di questa fase concentrandosi sulla parte lunga della curva, per allungare ancora la vita media dei titoli italiani che ormai sfiora i 7 anni e costruire  un’assicurazione contro i rialzi dei tas-si che prima o poi arriveranno.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cottarelli Carlo 
Titolo: Il commento – Fare tesoro del debito record – Fare tesoro del debito
Tema: conti pubblici

Il deficit pubblico, ossia la differenza tra spese ed entrate pubbliche e quindi il netto che lo Stato mette nell’economia, quest’anno raggiunge l’11 per cento del Pil, circa 180 miliardi, contro i 30 del 2019. Per trovare un rapporto tra deficit e Pil di simile dimensione occorre risalire all’inizio degli anni ’90. Ma c’è un’importante differenza. In quegli anni il deficit includeva una spesa per interessi che compensava i detentori di titoli di stato per l’erosione del valore di tali titoli dovuta all’alta inflazione. Ora l’inflazione è bassa e tutto il deficit è vero deficit. Non ho fatto i calcoli, ma mi azzardo a dire che, probabilmente, il rapporto tra deficit e PII al netto di questo effetto-inflazione è ora il più alto dalla seconda guerra mondiale. Quindi gli italiani tornano ad apprezzare uno stato mamma, ma una mamma che ti fa ristrutturare la casa gratis, che ti compra la bicicletta, che ti dà il cashback per le spese di Natale, che contribuisce al costo delle tue vacanze, che ti assume, che ti taglia i contributi sociali (al Sud) e che ti aiuta a cambiare i rubinetti. Certo, i soldi non arrivano a tutti e magari. non arrivano proprio a chi ha avuto perdite elevate. Ma i benefici arrivano anche a tanti che di perdite non ne hanno avute (pensiamo ai dipendenti pubblici, ma non solo). Insomma 180 miliardi sono pur sempre 180 miliardi e ti fanno guardare allo Stato con più fiducia. Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo viene pagato a debito, cadendo sulle generazioni future. Ma all’italiano medio è mai importato molto del debito pubblico? E, poi questo debito costa poco. Abbiamo tassi di interesse ai livelli più bassi dall’unità d’Italia, grazie ai soldi che arrivano dall’Europa. Quindi, per ora, è un debito poco pesante. Se non ci importava del debito quando i tassi di interesse erano alti, figuriamoci ora. E che male c’è allora se lo Stato ci sussidia? Niente di male, nell’immediato. Dal punto di vista macroeconomiso, siamo nel mezzo della peggiore crisi dell’ultimo secolo. Il settore privato ha poche risorse e spende poco quelle che ha. È il momento di un’azione fiscale espansiva, con un deficit elevato. Se poi questo migliora l’opinione del pubblico verso lo Stato, tanto meglio.  Ma occorre capire che dobbiamo utilizzare bene le risorse gentilmente fornite dalle istituzioni europee, magari con meno bonus e più spese produttive.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pesole Dino 
Titolo: L’analisi – Regole più flessibili per il nuovo Patto di Stabilità Ma la vigilanza sul debito deve restare alta
Tema: conti pubblici e Patto di Stabilità
Il 2020 sta per chiudersi con un deficit nei dintorni del 10,8% del Pil e un debito al 158 per cento. Dopo il via libera ai decreti-ristori, che pesano per 13,4 miliardi sull’indebitamento, e una volta approvata in via definitiva la legge di Bilancio (che per 24,6 miliardi è finanziata in deficit), l’inizio del 2021 vedrà il Governo impegnato nella richiesta al Parlamento di un nuovo scostamento di bilancio per circa 20 miliardi, che va ad aggiungersi ai 108,2 miliardi in deficit messi in campo da aprile in poi per far fronte alle conseguenze della pandemia. Prima o poi – di questo il Governo e il Parlamento dovranno essere ben consapevoli – il ricorso esponenziale all’indebitamento dovrà arrestarsi, per almeno due motivi che si intrecciano tra loro: mettere in sicurezza i conti pubblici è la precondizione fondamentale per prevenire nuove, possibili crisi finanziarie che colpirebbero soprattutto i paesi maggiormente indebitati. E lo è anche in previsione delle nuove regole di bilancio che la Commissione europea comincerà a definire a partire dalla seconda metà del 2021. L’istruttoria a livello tecnico è già avviata, con un timing al momento non ancora definito nel dettaglio. Dipenderà dall’evolvere della pandemia con l’arrivo dei vaccini. Stando a quanto ha fatto sapere il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni la sospensione dei vincoli del Patto di stabilità verrà estesa a tutto il 2021. Dal 2022 (ma non è esclusa un’ulteriore proroga) dovrebbero fare il loro esordio una serie di nuovi indicatori che affiancheranno i vecchi parametri, in attesa di mettere mano alla revisione dei Trattati. Un primo restyling, dunque che spedirà in soffitta parametri come il deficit strutturale (calcolato al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum), il percorso di avvicinamento all'”obiettivo di medio termine” (con annesso il calcolo dell’output gap) su cui nel periodo pre-Covid si calibravano i giudizi e le “pagelle” della Commissione europea.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Trovati Gianni 
Titolo: Lotteria degli scontrini rinviata al 1° febbraio Sfratti, blocco per sei mesi – Altri sei mesi di stop agli sfratti Lotteria degli scontrini a febbraio
Tema: decreto milleproroghe
Nel decreto Milieproroghe esaminato ieri dal consiglio dei ministri entrano anche altri sei mesi di blocco degli sfratti. Un blocco che si applica ai casi di mancato pagamento degli affitti e di trasferimento di immobili pignorati, e che fa andare su tutte le furie Confedilizia. Nulla da fare, invece, per lo stop alle trivelle, che nonostante la pressione dei Cinque Stelle è stato stralciato dal decreto definitivo. Entra invece il minislittamento della lotteria degli scontrini, che viene spostata al 1° febbraio. Gli esercenti che non rilasciano il documento saranno oggetto di segnalazione solo dal 1° marzo. Con questa mossa, insomma, il governo conferma la volontà di partire con la lotteria, ma offre qualche settimana in più ai commercianti per adeguarsi. Nonostante la contemporaneità con le fasi cruciali della legge di bilancio alla Camera, anche il classico decreto di fine anno ha rappresentato un’occasione per accendere più di un confronto nella maggioranza. Occasione moltiplicata dall’impianto omnibus del provvedimento, che fra l’altro interviene su tutti i principali dossier incastrati nella politica industriale del Paese: autostrade, con sei mesi in più per la definizione dei piani tariffari, Alitalia, con uno slittamento dei termini per la restituzione del prestito da 900 milioni alla compagnia di bandiera, e ora anche Ilva, con la proroga a tutto il 2021 per l’integrazione della Cigs (19 milioni). Tra gli ingressi dell’ultima ora c’è l’allungamento fino al 31 marzo delle norme emergenziali del diritto societario per la gestione delle assemblee in tempi di Covid.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Perrone Manuela 
Titolo: Recovery plan, Conte: «Sfoltire i 52 progetti» Ecco la mappa dei saldi – Recovery, ecco i saldi dei progetti Conte: «Troppi 52, vanno sfoltiti»
Tema: Recovery plan
«Ho dimostrato in mille occasioni che sono qui a lavorare per l’interesse del Paese: è l’unico mio obiettivo. Mi siedo attorno al tavolo di proposte migliorative di tutto, sulla manovra, sul Recovery Fund. Qualsiasi altra proposta che non sia nell’interesse del Paese non mi riguarda». All’indomani del giro di “consultazioni” con i partiti di maggioranza sul piano nazionale di ripresa e resilienza, con lo spettro della crisi congelato, Giuseppe Conte sceglie il salotto di Porta a Porta per fissare i suoi paletti. Con una strategia precisa: ergersi a difensore dell’interesse nazionale contro le pressioni “particolari” delle stesse forze politiche che lo sostengono_ i renziani di Italia Viva, ma non solo. Il primo obiettivo da non mancare, per il premier, è «correre» sul Recovery Plan da 196 miliardi, tassello cruciale di una ricostruzione che insieme agli altri fondi europei e a quelli appostati nella manovra varrà «circa 300 miliardi». «Tra Natale e Capodanno», esorta Conte, bisogna «trovare la necessaria sintesi, non dobbiamo indugiare oltre». La bozza consegnata a M5S, Pd, Ive Leu dettaglia 152 progetti del piano con le relative risorse. «Sono proposte tutte da discutere», rassicura il premier: «Le scelte politiche sifanno insieme». E i progetti vanno ancora sfoltiti, «altrimenti si fa troppo e male». Conte tranquillizza soprattutto il ministrodella Salute Roberto Speranza, che ha chiesto di rafforzare la dote di 9 miliardi per la missione “salute”, ritenuta troppo esigua: «Ho chiesto a tutti di ragionare sul fatto che molti progetti sono trasversali: in realtà per la sanità stiamo parlando di più di 15 miliardi di partenza e siamo disponibili a rafforzare gli investimenti .Sul Mes sanitario invocato da Matteo Renzi e dai suoi e definito «utile» ieri dal ministrodemdell’EconomiaRoberto Gualtieri, però, chiude di nuovo. Decidere di attivare il prestito, scandisce il premier, «è prerogativa del Parlamento, ma i 36 miliardi del Mes ci farebbero accumulare debito e lasceremmo alle generazioni future un fardello non da poco».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Salvia Lorenzo 
Titolo: Intervista a Nunzia Catalfo – «Il Recovery? Per il lavoro servono 2 miliardi in più Un coordinamento è utile»
Tema: Recovery plan

Ministro Nunzia Catalfo, sbaglio o nel progetti del Recovery plan alla voce lavoro c’è poco o nulla? «Nel capitolo sull’equità sociale ci sono 2,5 miliardi di euro effettivamente spendibili per le politiche attive. A cui si somma un altro miliardo e mezzo dei fondi React. Ma certo, non basta. Servono almeno altri due miliardi». E a cosa servirebbero? «A finanziare un piano per l’occupabilità dei lavoratori, un intervento fondamentale in vista della fine, a marzo, del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione a carico dello Stato». Cosa intende con piano per l’occupabilità? «Si tratta di un intervento per superare quel paradosso che gli esperti chiamano mismatch: il fatto che ci siano allo stesso tempo persone che non trovano lavoro e aziende che non trovano lavoratori. E questo perché la loro formazione e le loro competenze non sono quelle che servono alle imprese. Già oggi siamo al ventesimo posto in Europa in questa graduatoria. Senza un piano per l’occupabilità, il Recovery fund rischierebbe di peggiorare la situazione». Peggiorare? E perché? «Perché, giustamente, il Recovery punta molto sul digitale e sul green. Ma spingere su questi settori senza investire nel rispettivo capitale umano rafforzerebbe quel paradosso di cui parlavamo: mancanza di lavoro e mancanza di lavoratori». A quale capitolo di spesa toglierebbe quei due miliardi che chiede? «Non sta a me dirlo. II goyerno sta facendo un lavoro di limatura e troveremo la soluzione. Certo, i progetti di riforma sulle politiche attive e il piano straordinario sulle nuove competenze sono perfettamente in linea con gli obiettivi che la commissione europea ha fissato quando ha lanciato il piano di aiuti. Così come ritengo fondamentale la riforma degli ammortizzatori sociali che ha necessità di risorse dedicate».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Valsania Marco 
Titolo: Trump chiede modifiche al pacchetto da 900 miliardi – Il colpo di coda di Trump: Congresso bocciato sugli aiuti
Tema: scontro Trump-Congresso

Donald Trump getta nello scompiglio i piani di nuovi soccorsi economici varati dal Congresso statunitense contro la crisi da coronavirus. Con un video dalla Casa Bianca che ha lasciato di stucco anche i suoi collaboratori, ha bocciato l’accordo bipartisan da 900 miliardi di dollari come una «vergogna», che offre briciole agli americani mentre spalanca le porte agli sprechi. Camera e Senato, al fine di accelerare i tempi, hanno passato il pacchetto assieme alla finanziaria annuale, che prevede 1.400 miliardi per le regolari operazioni del governo, da aiuti all’estero a fondi per istituzioni culturali. Trump ha ora in particolare chiesto che gli assegni di sostegno ai redditi siano alzati a 2mila dollari a persona, 4mila per le coppie, dai 600 previsti. L’offensiva di Trump ha reso la partita politica sul pacchetto economico complessa e confusa. Se l’impasse si trascinerà, la prima conseguenza sarà un ritardo di giorni o settimane nel varo di ogni soccorso nonostante l’economia dia segni di pericoloso indebolimento: i redditi familiari sono caduti dell’1,1% e la spesa al consumo dello 0,4% a novembre; le nuove richieste di sussidi settimanali di disoccupazione superano le 800mila e salgono a 1,3 milioni con i programmi straordinari. Quel che Trump ha fatto, in questo clima, è annunciare il rifiuto ad apporre la sua firma sull’intera legislazione. Per decidere su un veto ha in realtà tempo fino a lunedì prossimo a mezzanotte senza rischiare shutdown del governo, che rimane aperto grazie a provvedimenti temporanei di budget. Il veto non sarebbe l’ultima parola. Il Congresso ha approvato gli aiuti con super-maggioranze a prova di barricate della Casa Bianca. Ma davanti a uno sgambetto del presidente dovrebbe esprimersi nuovamente per superarlo. Deputati e senatori dovrebbero cioè riunirsi durante le pause di Capodanno e i Repubblicani dovrebbero votare esplicitamente contro un presidente molto popolare nella base del partito. D’altra parte sono stati proprio loro a insistere su compromessi al ribasso, invocando prudenza fiscale.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Perdoni e veti, le mosse di Trump prima dell’addio alla Casa Bianca
Tema: scontro Trump-Congresso
Non è mai stato un bello spettacolo lo tsunami di perdoni presidenziali a fine mandato; Trump non fa eccezione. Per adesso tra i suoi ultimi beneficiati compaiono l’ex consigliere di politica estera George Papadopoulos che fu condannato per falsa testimonianza davanti al super-inquirente Robert Mueller (Russiagate); ci sono dei militari-mercenari accusati di una strage di civili in Iraq; tre politici repubblicani condannati per vari reati. Ma poiché gli americani sono abituati a turarsi il naso quando arrivano questi perdoni, lo spettacolo più destabilizzante sono gli ultimi veti su leggi importanti. La prima che viene bloccata da Trump è la legge di bilancio che contiene tutti gli stanziamenti per la Difesa. Secondo lui questa legge ha un mucchio di difetti: «E’ un regalo alla Russia e alla Cina». Più complicata è la situazione che sta creando sull’altra legge che minaccia di non firmare: la nuova manovra di aiuti anti-recessione. Rischia di far deragliare una manovra bipartisan su cui era stato raggiunto un accordo faticosissimo. 900 miliardi di dollari di aiuti, più altri 1.400 miliardi di spese ordinarie, è una legge di bilanclo da 2,3 trilioni quella su cui Trump fa pendere all’improvviso la spada di Damocle del veto presidenziale. Minaccia di non firmare quella legge, se non viene più che triplicato l’assegno di aiuto al cittadini: da 600 a 2000 dollari. La manovra nella versione più austera è stata appena votata, dopo mesi di negoziati tra democratici e repubblicani. Trump l’ha definita «una vergogna». Erano stati i repubblicani a imporne la versione più austera. Dunque Trump sconfessa anzitutto i suoi, e qualcuno vuole vederci una ripicca perché in tanti hanno riconosciuto la vittoria di Joe Baden. Il presidente uscente mette in difficoltà il Congresso che si ritrova nella parte dell'”avaro” sotto Natale. Lo fa scegliendo il terreno a lui più congeniale: quegli assegni portano la sua firma e vuole uscire di scena come il “difensore del popolo”. Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  G.Sar.
Titolo: Blitz di Trump: grazia 20 alleati (e lancia la sfida al Congresso)
Tema: scontro Trump-Congresso
Donald Trump concede il «perdono presidenziale» a 20 fedelissimi. Tra loro George Papadopoulos, condannato a 14 giorni di prigione per aver mentito all’Fbi nell’ambito del Russiagate. Nella lista dei «graziati» figurano anche 4 contractor della società Blackwater e due ex deputati: Chris Collins, colpevole insider trading; Duncan Hunter, appropriazione indebita di fondi. Nello stesso tempo il presidente rimanda al mittente la manovra antiCovid da 908 miliardi, approvata il 21 dicembre dal Congresso. Martedì sera Trump ha postato un video su Twitter. Pochi minuti per demolire le misure faticosamente negoziate da repubblicani e democratici. A cominciare dalla più attesa: il versamento «una tantum» di 600 dollari al contribuenti con un reddito inferiore a 75 mila dollari all’anno. L’assegno è cumulabile tra i coniugi e comprende altri 600 dollari per figlio. Una famiglia di 4 persone, quindi, incasserà 2.400 dollari. Per Trump «è una somma ridicola»: chiede a Camera e Senato di arrivare a «2.000 dollari a testa».Il Congresso ha approvato il piano con un quorum sufficiente per superare l’eventuale veto della Casa Bianca. La leadership repubblicana, pero, è in imbarazzo. I democratici invece oggi potrebbero presentare un altro progetto di legge solo sull’assegno.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: Brexit, Europa e Gran Bretagna a un soffio dall’accordo di divorzio – Brexit, accordo all’ultimo miglio
Tema: Brexit
Dopo 10 mesi di aspro negoziato, la Gran Bretagna e l’Unione Europea erano ieri sera vicinissime a un accordo su un futuro trattato di partenariato. Le parti stavano finalizzando una bozza di intesa perché potesse ottenere il benestare politico del primo ministro britannico, Boris Johnson, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: «Siamo nella fase finale», spiegava un funzionario europeo. In queste settimane, a complicare il negoziato sono stati tre aspetti: l’accesso del Regno Unito al mercato unico, nel rispetto delle regole sugli aiuti di Stato, il meccanismo di soluzione delle controversie, e la regolamentazione della pesca nel Mare del Nord. Su quest’ultimo fronte, il nodo si è rivelato particolarmente complesso, tenuto conto del desiderio. inglese di riprendere possesso delle acque costiere. Cruciali in questi giorni sono stati i ripetuti contatti tra la Ursula von der Leyen e il premier Johnson. In buona sostanza, negli ultimi mesi la ricerca di un compromesso ha riguardato il delicato equilibrio tra la richiesta inglese di poter accedere senza quote e senza dazi al mercato unico, e l’esigenza comunitaria di poter continuare a pescare nelle acque britanniche. Londra doveva accettare di rispettare le regole sugli aiuti di Stato, mentre Bruxelles doveva arrendersi all’idea che il pescato comunitario nelle acque britanniche dovesse diminuire. «C’è il grande desiderio di chiudere prima di Natale», commentava ieri un diplomatico, speranzoso. Una volta approvato, il trattato di partenariato deve servire a regolare il rapporto tra i due blocchi dopo che il Regno Unito avrà lasciato il mercato unico e l’unione doganale il prossimo 31 dicembre.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Ippolito Luigi 

Titolo: Svolta di Natale, Brexit verso l’intesa
Tema: Brexit
L’annuncio dovrebbe arrivare già oggi: l’accordo sul dopo-Brexit fra Gran Bretagna e Unione europea. I negoziati si sono conclusi ieri sera e le ultime ore sono state trascorse a limare i dettagli finali del testo: ma l’intesa è cosa fatta ed è stato scongiurato in questo modo il temuto «no deal», un divorzio traumatico che si sarebbe concretizzato il 31 dicembre con pesanti ricadute economiche e politiche. La svolta l’hanno impressa direttamente Boris Johnson e Ursula von der Leyen: negli ultimi giorni il premier britannico e la presidente della Commissione Ue hanno preso personalmente in mano le trattative e sono stati in costante contatto telefonico, riuscendo così a imprimere la spinta politica finale. Boris aveva bisogno di un accordo. La pessima gestione della pandemia ha devastato la sua popolarità e la più recente emergenza provocata dalla nuova variante del coronavirus gli ha tolto ogni spazio di manovra. Ora ha qualcosa di concreto da mostrare e farà di tutto per vendere l’intesa come una vittoria di Londra e un pieno recupero della sovranità nazionale. Ma anche Bruxelles era consapevole dei rischi di una rottura carica di rancori: oltre alle ricadute economiche, si sarebbe aperta una frattura geopolitica importante nel momento in cui l’Europa deve fronteggiare le sfide di Cina e Russia. Meglio dunque evitare di scoprire altri fronti. L’accordo raggiunto è comunque ridotto all’osso: in sostanza evita il ritorno ai dazi sulle merci e mantiene aperta la cooperazione in tema di criminalità e sicurezza, ma lascia fuori i servizi, che costituiscono la quota più rilevante di ciò che la Gran Bretagna «vende» all’Unione. Tuttavia costituisce una base importante sulla quale costruire ulteriori intese.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bresolin Marco 
Titolo: Brexit, l’accordo fra Ue e Londra è all’ultimo miglio
Tema: Brexit

Un eventuale via libera nella notte o nelle prossime ore (che richiede un altro step nel gruppo Articolo 50) dovrà poi essere approvato dal Coreper, l’organismo che riunisce gli ambasciatori dei 27 presso l’Ue. A quel punto l’accordo sulla futura partnership entrerebbe in vigore a partire dal 1 gennaio, ma soltanto in via provvisoria, visto che poi dovrà essere ratificato dai rispettivi parlamenti. Gli eurodeputati avevano fissato nei giorni scorsi una scadenza per poter votare il testo entro la fine di quest’anno: domenica 20 settembre. Ma quella data è stata superata senza un’intesa e a questo punto sembra dunque inevitabile un voto in Aula non prima del 2021. Teoricamente potrebbero esserci ancora occasioni di inciampo, ma in pochi sono disposti a scommettere che il Parlamento Ue si metterà di traverso. I cittadini britannici avevano votato l’uscita dall’Unione europea con un referendum il 23 giugno del 2016, ma la volontà di abbandonare l’Ue era stata notificata a Bruxelles soltanto il 29 marzo del 2017. I negoziati per definire i termini dell’accordo di recesso sono andati avanti per quasi tre anni e il 31 gennaio del 2020, dopo una serie di proroghe, il divorzio è diventato realtà.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Grignetti Francesco – Semprini Francesco 
Titolo: Le lacrime al telefono: “Ditemi che è vero” Dopo vent’anni Chico Forti torna in Italia
Tema: il caso Chicco Forti

Venti anni trascorsi in un carcere di massima sicurezza in Florida, con la prospettiva di morirci. E la convinzione di essere vittima di un clamoroso errore giudiziario. Ma ora è finita, quantomeno con le celle statunitensi. Enrico “Chico” Forti, da Trento, 61 anni, torna in Italia. Lo ha annunciato il ministro Luigi Di Maio un attimo dopo avere informato il Capo della Stato e il presidente del Consiglio. E ora la mamma Maria, novantunenne, non trova le parole per esprimere la sua gioia: «Sono emozionatissima, non riesco neanche a parlare. Faremo una bella festa appena possibile». Forti, condannato all’ergastolo nel 2000, torna in Italia grazie alla convenzione di Strasburgo, che permette a un detenuto di scontare la pena nel proprio Paese. Non un obbligo per lo Stato che l’ha condannato, e infatti finora ogni richiesta di riportarlo in Italia si era infranta contro un muro, sia in Florida, sia a Washington. In Italia aveva un bel dannarsi lo zio Gianni, che non s’arrendeva, e pressava i politici di turno. Tutto inutile. «Finalmente – dice – dopo 21 anni di battaglie. La mamma di Chico aveva quasi perso le speranze, quindi ho avuto il piacere di farle questo regalo di Natale». Tutto è andato a posto perché negli Stati Uniti si è creata un’opportunità quasi irripetibile: a livello di opinione pubblica è maturata la convinzione che la condanna era discutibile, a livello politico l’amministrazione Trump ha ritenuto di non opporsi. Il detenuto Chico Forti ha così potuto presentare la domanda e con sua somma sorpresa gli hanno detto di sì.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Torna in Italia Chico Forti – Forti torna in Italia dopo vent’anni di carcere in Florida
Tema: il caso Chicco Forti

«Il Governatore della Florida ha accolto l’istanza di Chico di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo e di essere trasferito in Italia. Grazie a tutta la Farnesina e all’ambasciatore Armando Varricchio per il grande lavoro diplomatico» scrve in un tweet il ministor degli Esteri Di Maio. Si chiude, così, uno dei casi giudiziari e poi anche politico-diplomatici, più controversi nelle relazioni tra Italia e Stati Uniti. Enrico «Chico» Forti fu arrestato nel 1998 con l’accusa di omicidio premeditato. Gli investigatori erano convinti che avesse assassinato l’australiano Dale Pike, trovato il 16 febbraio 1998 su una spiaggia di Miami senza vestiti, ucciso dai colpi di una pistola calibro 22. Dale era il figlio di Antony Pike, proprietario di un noto hotel di Ibiza. Tony e Chico stavano trattando da diverso tempo la cessione dell’albergo. Il 15 febbraio Dale arrivò all’aeroporto di Fort Lauderdale, in Florida, dove lo stava aspettando Forti. L’accusa passò al vaglio le ultime ore che i due trascorsero insieme. Arrestò Forti sulla base di indizi piuttosto labili, tanto che il pubblico ministero sigillò con queste parole la requisitoria al processo: «Non è necessario stabilire che sia stato lui a sparare per concludere che è colpevole».
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