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SINTESI IN PRIMO PIANO – 23 luglio 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Proroga della stato d’emergenza: a decidere sarà il Parlamento
– Conte vuole gestire gli aiuti Ue. Braccio di ferro col Tesoro
– Ripartenza: il governo chiede altri 25 miliardi di deficit
– Piccole imprese, un terzo è a rischio
– Piacenza, inchiesta sui Carabinieri: sequestrata la caserma
– Vaccino, Trump dà 2 miliardi alla Pfizer
– Texas, gli Usa chiudono il consolato cinese

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Proroga dello stato d’emergenza A decidere sarà il Parlamento
Tema: fase 3 e ripartenza

Giuseppe Conte, tornato vittorioso da Bruxelles, ieri ha proposto di prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 ottobre. «È un atto necessario al fine di snellire le procedure per l’acquisto per il materiale indispensabile per far ripartire le scuole, come i banchi e le mascherine. Le scuole non possono non ripartire in sicurezza», ha spiegato nel corso del vertice serale con i capidelegazione della maggioranza, che ha preceduto la riunione del Consiglio dei ministri. All’incontro erano presenti, il titolare del dicastero dell’Economia Roberto Gualtieri, il ministro della Cultura Dario Franceschini, della Giustizia Alfonso Bonafede, dell’Agricoltura Teresa Bellanova, della Salute Roberto Speranza e il sottosegretario Riccardo Fraccaro. Ma alla fine si è stabilito di rinviare. Niente proroga in Consiglio dei ministri. Meglio aspettare prima un passaggio parlamentare, hanno chiesto a Conte gli alleati. «Per correttezza», ha ammesso il premier, che martedì prossimo andrà in Parlamento per chiedere alle Camere la proroga.E anche per una banale questione di numeri, che al Senato rischiavano di non esserci di fronte a una forzatura del governo. Oltre che per opportunità, tant’è che alla fine il premier ha osservato: «Devo andare prima in Parlamento, non posso presentarmi alle Camere con atti già fatti». Del resto, da giorni il premier sa bene che il centrodestra è sul piede di guerra: «La proroga rappresenterebbe un danno reputazionale per il Paese», tuonava ieri Mariastella Gelmini. E Conte vuole muoversi con prudenza. Ma proroga, comunque, sarà, perché, come ha spiegato lo stesso premier, «non esistono alternative».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Eventi, scuole e voli vietati a cosa servono i poteri speciali
Tema: fase 3 e ripartenza
Smart working, riapertura delle scuole, gestione delle elezioni, via libera agli eventi con migliaia di persone come le partite di calcio, i concerti, le manifestazioni: sono queste le decisioni che il governo ritiene di dover affrontare in stato di emergenza da coronavirus. La linea è quella di mantenere questa situazione fino a quando il numero dei contagi non sarà praticamente nullo o comunque molto basso e quando non ci saranno nuovi focolai. L’attuale situazione consente infatti di agire in deroga su numerosi aspetti della vita pubblica grazie all’emanazione di Dpcm e ordinanze del ministro per la Salute. Tra le scelte che si possono fare in stato di emergenza c’è anche il blocco dei voli dai Paesi ritenuti ad alto rischio di contagio, proprio come sta avvenendo attualmente con 16 Stati dai quali chi non è residente in Italia non può arrivare, mentre gli italiani hanno l’obbligo di mettersi in quarantena.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Falci Giuseppe_Alberto  
Titolo: Il pasticcio della legge elettorale Il veto di Iv blocca la maggioranza
Tema: legge elettorale
Sulla legge elettorale Matteo Salvini frena Nicola Zingaretti: «Io sono pronto solo se si vota la settimana dopo, ma non è questa la priorità del Paese». Intanto, radio Montecitorio registra un’altra giornata di stallo sulla riforma del sistema voto. Non a caso Nicola Zingaretti è infuriato. E quando attorno all’ora di pranzo apprende che il famoso Germanicum — un proporzionale con sbarramento al 5 per cento sul quale nel gennaio scorso Pd, M5S e Iv siglarono un accordo — non approderà in aula il 27 luglio perché rinviato, sbotta davanti ai suoi: «Io vado comunque avanti». E andare avanti significa ripartire da dove l’iter si è interrotto. La legge elettorale si incaglia all’ora di pranzo. Alle 13 infatti si riunisce l’ufficio di presidenza della I Commissione. Ordine del giorno: calendarizzare il voto sul Germanicum. Succede però che all’unanimità si decide di rinviare. La ragione ufficiale è connessa alla composizione della stessa commissione che non risulta ancora regolare, perché il M5S ha un membro in più che non ha fatto decadere. Insomma, tecnicismi procedurali che rimandano la discussione e la votazione del testo base a data destinarsi. Se questa è la versione ufficiale poi c’è quella ufficiosa fatta di indiscrezioni e di retroscena. I renziani rivelano che «la maggioranza non ha i numeri. Sarebbe finita 24 a 23». Anche perché proprio Iv ha cambiato idea e voterebbe contro. Spiega Federico Fornaro (LeU) uscendo dalla riunione: «L’impasse dipende da Iv, non certo da noi. Ribadisco la nostra totale condivisione su un sistema proporzionale puro. L’unica nostra riserva riguarda la soglia di sbarramento».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Casadio Giovanna 
Titolo: Pd contro Iv e grillini sulla legge elettorale “Si deve votare ora”
Tema: legge elettorale

«Anche se andiamo sotto, sulla legge elettorale ci deve essere un voto. I 5Stelle non facciano melina». II segretario del Pd, Nicola Zingaretti, chiama il capogruppo alla Camera Graziano Delrio e scandisce quello che non si può davvero fare: un ennesimo rinvio. Per i Dem occorre uscire dallo stallo, perché in vista del referendum del 20 e 21 settembre sul taglio dei parlamentari – la riforma-bandiera dei 5S – occorre presentarsi agli elettori di sinistra con indispensabili garanzie per convincerli a votare Si. E dopo un vertice dl maggioranza convocato in fretta, in cui si consuma un nuovo scontro, il Pd chiederà oggi nella riunione dei capigruppo che la commissione affari costituzionali adotti il testo-base al più tardi lunedl prossimo. Zingaretti attacca i renziani per avere tradito il patto di maggioranza, e i grillini accusandoli di perdere tempo. Con un Parlamento “piccolo”, dove i deputati passano da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200, l’attuale legge maggioritaria crea squilibri nella rappresentanza. I contrappesi sono urgenti. Ecco perché i giallo-rossi si erano accordati su una legge proporzionale con sbarramento al 5%. Renzi si è sfilato: «Noi siamo per il maggioritario, per il modello sindaco d’Italia». I 5Stelle non mostrano di avere fretta. Quella che doveva essere la giornata decisiva, si trasforma ieri in un tutti contro tutti. I Dem contestano ai grillini di fare il doppio gioco perché con il capo del Movimento, Vito Crimi, avevano assicurato di volere fare in fretta sul proporzionale, dall’altro “sono corresponsabili” del rinvio a data da destinarsi della discussione d’aula (che era prevista per lunedì prossimo) e, prima ancora, dello slittamento per l’adozione del testo-base in commissione.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Foschini Giuliano 
Titolo: Regionali, l’idea di Conte In Puglia con Emiliano anche senza intesa coi 5S
Tema: regionali

Alle 7 del mattino due operai attaccavano ieri un cartellone sei metri per tre nel centro di Bari. In un’enorme fotografia sorridente, su sfondo giallo, Antonella Laricchia, consigliera regionale del Movimento 5 Stelle, annunciava la sua candidatura: “Laricchia presidente”. Chissà se e per quanto tempo ancora quel manifesto resisterà. Perché più passano le ore e più aumenta la pressione romana per trovare un accordo tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle. Affinché Laricchia si ritiri e lasci campo libero a Michele Emiliano come candidato presidente in Puglia. Un’intesa che passa dal lavoro lungo e paziente del ministro pugliese, Francesco Boccia. Da quello del sindaco dl Bari, Antonio Decaro. entrambi da sempre in ottimi rapporti con i 5 Stelle (per conto di Emiliano, si sono fatti garanti dell’operazione). Ma passa soprattutto dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Che, rientrato da Bruxelles, si sta occupando personalmente della questione pugliese. Tanto da essersi lasciato andare in queste ore anche a una provocazione, più dal sapore di promessa che di minaccia: «Guardate che se non facciamo l’accordo, io comunque scendo in Puglia per fare campagna elettorale per Michele Emiliano. Non posso permettere che la mia regione finisca dopo 15 anni nelle mani del centrodestra». I 5 Stelle sanno di non avere alcuna possibilità di vincere. Ma sono altrettanto certi di essere determinanti nell’esito del voto: gli ultimi sondaggi indicano un sostanziale testa a testa tra Raffaele Fitto e Michele Emiliano. Dunque, il Movimento è certamente ago della bilancia. Emiliano è considerato un candidato divisivo — «Con che faccia chiudiamo un accordo dopo l’opposizione durissima di questi anni?» ripete Laricchia — ma le ipotesi alternative (prima tra tutte, Decaro) non sono mai state ritenute possibili. Emiliano è il candidato presidente. La partita pugliese si inserisce nella sfida interna, nemmeno più poi così silenziosa tra Di Maio e Il premier.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – Le scelte di Conte tra task force e tensioni M5s
Tema: tensioni nel governo

Per ragioni diverse, ovviamente, pezzi di partiti della coalizione puntano a ridimensionare Conte: innanzitutto nei grillini dove èaperta la gara per la leadership e Conte sta conquistando sul campo la posizione di  chi può guidare la transizione del Movimento lontano dal vaffa-day e vicino al centro-sinistra. Un bivio che non tutti accettano. Molti leggono cosi la reazione un po’ stizzita di Luigi Di Maio quando dice che se Conte aspira alla leadership deve iscriversi ai 5 Stelle. Lasciando perdere i rumors sulle manovre del ministro degli Esteri per liberarsi di Conte, è evidente che il successo del premier è una minaccia pure per Italia Viva. Già nella fase pre-Covid, Renzi lanciava ultimatum ma a maggior ragione ora “soffre” Conte perché copre quello spazio dl centro su cui vorrebbe andare a pescare consensi. Nel Pd invece le tensioni saranno più visibili quando entrerà nel vivo la partita per la successione al Colle su cui sono già in gara esponenti e ministri dei Democratici. Insomma, per il presidente del Consiglio il tempo per gustare la sua vittoria a Bruxelles si è  e da ieri ha ricominciato a destreggiarsi tra le trappole politiche e quelle tecnico-amrninistrative per scrivere un Piano che deve essere mandato a Bruxelles entro il 15 ottobre.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bertini Carlo 
Titolo: Il retroscena – Premier al timone con 7 ministri Ma sulla task force è scontro
Tema: tensioni nel governo

Cosa fare con tutti questi 209 miliardi di euro e come fare a spenderli, ecco il problema. «Ci sarà una task force sulle riforme? Certo», dice il premier. Quello che non dice è che sarà lui a guidarla. Perché questo nuovo carrozzone dove tutti vogliono salire, governatori, sindaci, politici – una sorta di mini consiglio dei ministri con una struttura parallela di tecnici e burocrati per tradurre nero su bianco i progetti da mandare a Bruxelles entro il 15 ottobre – già fa vibrare i nervi dei vari leader di maggioranza: scossi dal timore che Conte accentri troppo potere nelle sue mani. Tanto che al Mef  derubricano la task force a «un coordinamento interministeriale per la pianificazione degli interventi» e a «una struttura tecnica di capi di gabinetto dei ministeri capace di mandarli in porto». Il fronte trasversale per imbrigliare il premier dunque è largo. La task force non la vuole Renzi, che strattona Conte per farlo abdicare in favore del Parlamento. «Portiamo un business plan ad agosto in aula», dice il leader di Iv, spalleggiato da Luigi Marattin che indica le priorità: «Infrastrutture, giustizia, formazione». La palla tutta in mano a Conte non fa stare sereni i vertici del Pd: il colpo più forte sferrato nel giorno del giubileo di Conte alle Camere è infatti quello di Zingaretti. Che gli chiede con un tweet di sciogliere in fretta il nodo del Mes senza rinunciarvi, perché sono soldi che arrivano subito e servono alla sanità in vista dell’autunno a rischio Covid. Una scossa studiata proprio per far capire al premier che non può decidere tutto da solo e che la partita non è chiusa, anzi. Anche i ministri Dem sono freddi sulla task force e i capigruppo peggio, «i parlamentari friggono a sentirsi ancora una volta scavalcati», racconta un dirigente del Senato. Luigi Di Maio nega contrarietà ma dalle sue parti dicono che «deve gestirla Conte, si prenda lui le responsabilità». Così da lasciare intendere che se i fondi europei non verranno spesi presto e bene l’onere ricadrà sul capo del governo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: La Nota – Il M5s esalta la nuova Europa per eludere le sue ambiguità
Tema: tensioni nel governo e Mes

I peana europeisti dei grillini stridono con il rifiuto di ricorrere al prestito del Mes. Né basta sostenere che il problema è stato superato dopo l’accordo di martedì a Bruxelles. In realtà, aggrapparsi alla retorica sulla «nuova Europa» emersa da cinque giorni di duri negoziati è un pretesto per non dovere affrontare un tema divisivo per i Cinque Stelle e lo stesso premier. Ma non può far dimenticare che in quel rifiuto, M5S e Giuseppe Conte si sono trovati e rimangono fianco a fianco con la destra euroscettica della Lega di Matteo Salvini e di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Ancora ieri, il presidente Conte ha glissato sostenendo che fare domande sul Meccanismo europeo di stabilità, il Mes, appunto, sarebbe qualcosa di «morboso». Ma deve spiegarlo al segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e ai suoi ministri, i quali continuano a chiedergli di utilizzarlo per avere liquidità in tempi brevi e non nel 2021; e a Italia viva. Nel trionfalismo di un Movimento passato in pochi mesi dalla diffidenza contro le istituzioni europee all’abbraccio esagerato tipico dei convertiti, si intravede un rischio: di usare la retorica sulla «svolta storica» per coprire le contraddizioni e non dovere elaborare una nuova identità. Dire che l’esigenza di ricorrere al Mes «è reso inutile» per la pioggia di miliardi del Fondo per la ripresa in arrivo all’Italia significa eludere la questione, non risolverla; e dunque riproporre e cristallizzare un elemento di ambiguità nella politica dei Cinque Stelle. Si tratta di una riserva mentale che potrebbe riemergere se il governo investisse male i soldi, o riaffiorassero le tensioni con la Commissione europea. Oppure se in autunno, prospettiva già messa nel conto da molti, rispuntasse l’epidemia o si acuisse la crisi economica, ritrovandosi disarmati perché non si è fatto ricorso al Mes per un rifiuto pregiudiziale.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Sannino Conchita 
Titolo: Sentenza Berlusconi, così il giudice registrava i colleghi – Sentenza Mediaset, l’ultima verità Il giudice Franco registrava i colleghi
Tema: sentenza Mediaset

Non ci furono solo i file audio confezionati in casa Berlusconi. Le sorprese continuano, intorno alla sentenza sui diritti Mediaset del primo agosto 2013. Il registratore attivato a Palazzo Grazioli pochi mesi dopo, per immortalare, chissà se a sua insaputa o col suo consenso, le frasi del giudice di Cassazione Amedeo Franco (poi morto) che seminavano discredito sulla decisione e sui colleghi — «Una porcheria… A mio parere (Berlusconi, ndr) ha subito una grave ingiustizia… L’impressione è che tutta la vicenda sia stata guidata dall’alto» — non fu l’unico dispositivo di captazione messo in campo. Quelle rivelazioni sono state depositate agli atti della Corte di Strasburgo, venti giorni fa, per delegittimare la condanna definitiva a quattro anni di carcere, per frode ilscale, a carico dell’ex presidente del Consiglio. Ma ora si scopre il lato B della vicenda. Franco, il giudice che “parla” da morto e ora non può spiegare né difendersi, ol cul nome e la cui voce vengono esposti dalla difesa dell’ex Cavaliere per “smontare” quel verdetto, è lo stesso magistrato che aveva provato, sottobanco, appena prima della sentenza, a registrare la discussione tra loro. Perché? Impossibile saperlo. Ma la corsa a tradire la segretezza del lavoro dei magistrati arrivo, dunque, fin dentro la camera di consiglio della Cassazione. Storia di un clamoroso segreto lungo sette anni. Custodito tra alcune toghe della Suprema Corte e pochissime altre.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bonini Carlo 
Titolo: L’analisi – Catena di comando
Tema: inchiesta di Piacenza sui Carabinieri

In questi anni, le indagini e i processi a carico di carabinieri infedeli (diciamo sicuramente una assoluta minoranza. E tuttavia una minoranza in sinistra crescita statistica) hanno documentato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la malattia che avvelena l’Arma è stata e continua ad essere il riflesso pavloviano di catene di comando che confondono la difesa dell’onore dell’Arma con la congiura del silenzio o, peggio, con la tolleranza sciagurata verso chi abusa di un’uniforme. Come se la strategia della riduzione del danno — confinare la punizione alle “poche mele marce”, invariabilmente personale della territoriale — aiuti a mettere in salvo il corpo sano da ciò che lo avvelena. La caserma Levante e il comando provinciale di Piacenza distano due chilometri in linea d’aria. Possibile che in tre anni nessuno, ma proprio nessuno, si sia accorto che in quella caserma le cose non andassero per il verso giusto? O che il comando di compagnia, da cui la “Levante” dipendeva direttamente in via gerarchica, nascondesse qualcosa? E ancora: come è possibile che sulla “banda di Levante” siano piovuti nel tempo encomi su encomi? Forse perché, gli “encomi” sono diventati il solo strumento di carriera della truppa agli occhi di una gerarchia che da tempo non vuole più sapere come quegli arresti vengano fatti. O forse perché encomio chiama encomio. E una mano lava l’altra. Al punto, tanto per dire, che tra í distratti comandanti provinciali che in questi tre anni nulla hanno percepito stesse accadendo a Piacenza, uno degli ultimi, oggi, lo si trovi capo della segreteria della ministra delle Infrastrutture.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Davide 
Titolo: Piccole imprese, un terzo è a rischio – Una Pmi su tre a rischio liquidità Servono tra 25 e 37 miliardi
Tema: Pmi a rischio

La lenta ripresa messa a segno dalle piccole e medie imprese fino alla fine 2019 e il conseguente rafforzamento della loro solidità finanziaria e dei profili di resilienza,potrebbero non bastare per reggere l’urto del Covid-19. Lo choc è senza precedenti e rischia di tradursi in contrazioni dei ricavi del 12,8%quest’anno, con un recupero insufficiente (11,2%) nel 2021. Al posto dei tendenziale progresso dei fatturati che era previsto prima della pandemia, ora siamo di fonte a una perdita potenziale di 227 miliardi nel biennio 2020-2021, che potrebbero salire a 300 miliardi nell’ipotesi più pessimistica di una ripresa dei contagi. È quanto emerge dal nuovo Rapporto regionale PMI2020, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con SRM -Studi e Ricerche per il Mezzogiorno. Un’analisi condotta sui bilanci delle Pmi simula l’evoluzione del cashflow e indica che più di un terzo delle 156mila società analizzate potrebbero entrare in crisi di liquidità prima della fine dell’anno. «Per superare questa fase, sostengono gli analisti, sono necessarie iniezioni di liquidità tra i 25 e i 37 miliardi di euro, che potrebbero sostenere queste Pmi e devitare costi sociali molto importanti (sono 1,8 milioni i lavoratori impiegati nelle aziende più a rischio)». Dagli indicatori del Cerved Group Score emerge con chiarezza che alla fine della crisi gli squilibri regionali potrebbero ulteriormente ampliarsi: in sostanza, l’emergerza sanitaria dovrebbe produrre maggiori effetti sui conti economici delle Pmi che operano nel Nord ma lasciare ferite più profonde nel Mezzogiornoo, in termini di struttura finanziaria e di capacità di rimanere sul mercato.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bussi Chiara 
Titolo: Effetto Covid sulle Pmi: cresce la corsa alla liquidità
Tema: Pmi a rischio

Gli effetti del Covid sull e Pmi? Conta il settore, ma anche la filiera di appartenza. Le più vulnerabili sono il 28% delle società di capitale e rappresentano il 24% del giro d’affari aggregato. Al polo opposto d sono le più resilienti: una quota del 15% pari aII’11% del fatturato complessivo. Con tempi non sincronizzati, una mini-ripresa dovrebbe arrivare nel 2021. Una delle note dolenti riguarda l’export, mentre l’esigenza fondamentale è oggi la liquidità. Una recente fotografia di Crif conferma che a subire un forte impatto negativo del Covid sono le Pmi dei settori del turismo/tempo libero, commercio di autoveicoli, oil&gas, ingegneria civile e costruzioni, meccanica/mezzi di trasporto e prodotti metallici. Hanno risentito delle restrizioni del lockdown e ora soffrono per la domanda debole legata al distanziamento sociale o alla minore propensione agli investimenti e all’acquisto di beni durevoli. Le conseguenze? Un deterioramento del merito di credito, una riduzione dell’operatività commerciale e un allungamento del tempi di pagamento ai fornitori. Hanno invece tenuto le Pmi del farmaceutico, di tlc, Ict e media, chimica e consulenza.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso 
Titolo: Conte vuole gestire i fondi Braccio di ferro con il Tesoro – Regia sui soldi europei un braccio di ferro tra Palazzo Chigi e Tesoro
Tema: fondi Ue all’Italia

Il braccio di ferro nel governo è già partito. Da una parte Palazzo Chigi e dall’altra il Tesoro, come nella migliore tradizione. Si contendono l’unico dossier che davvero conta, da adesso e per alcuni mesi: la regia che gestirà la montagna di soldi del Recovery Fund che spettano all’Italia. E le scintille, ancora nascoste dall’ebbrezza del successo, sono destinate ad aumentare. Non ha dubbi, Giuseppe Conte: vuole capitalizzare politicamente il patto europeo tenendo stretto il timone del Next generation Eu. Per questo motivo, non farà nascere una task force esterna all’esecutivo. Il premier vuole  coinvolgere un gruppo di uomini fidati che già lavorano con lui a Palazzo Chigi. Mentre il Pd punta a pesare nelle prossime scelte. Incidere nei progetti. E spinge per spostare verso il ministero dell’Economia il baricentro decisionale. In ballo ci sono riforme imponenti e gli 81 miliardi a fondo perduto garantiti dal Recovery plan. Conte, questo è certo, intende ritagliare per sé un ruolo centrale. Presiederà la struttura politica della cabina di regia. Di questa faranno parte, oltre a Roberto Gualtieri, diversi ministri: Sviluppo economico, Infrastrutture, Sud, Innovazione e Ambiente. Tutti potranno delegare un dirigente di alto rango della struttura ministeriale per le riunioni più tecniche e operative. Un ruolo lo avranno anche i sottosegretari alla presidenza del Consiglio. A seguire passo passo i lavori, soprattutto quando il premier non potrà presenziare, sarà anche il capo di gabinetto Alessandro Goracci. E un posto chiave, come sempre, spetterà a Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi. Ma la partita più delicata è quella che si gioca lontano dalla sede del governo, in via XX settembre. Il ministero dell’Economia è naturalmente al centro del lavoro sul Recovery plan. La struttura del Tesoro è guidata dal direttore generale Alessandro Rivera, che nei mesi scorsi era entrato in rotta di collisione con il premier. In ogni caso Gualtieri influenzerà le scelte, su questo punto il Pd intende insistere con il premier ai massimi livelli.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico – Salvia Lorenzo 
Titolo: Fondi Ue in 137 progetti – Un piano a tappe con 137 progetti Ecco l’idea per spendere i fondi Ue
Tema: utilizzo dei fondi Ue

Le infrastrutture, a partire dall’Alta velocità ferroviaria al Sud, che oggi fa capolinea a Salerno. La digitalizzazione del Paese, che significa non solo dare una scossa alla pubblica amministrazione ma anche sciogliere una volta per tutte il nodo della rete in fibra ottica. La riforma degli ammortizzatori sociali, specie di quella cassa integrazione governata oggi da regole troppo macchinose. Ma soprattutto il capitolo fisco, che potrebbe essere aperto anche grazie a un gioco di sponda contabile, con i soldi comunitari che renderebbero disponibili fondi nazionali altrimenti da utilizzare in modo diverso. Qui c’è un piano A in linea con Bruxelles, e cioè un nuovo taglio delle tasse sul lavoro. E un piano B meno ortodosso dal punto di vista comunitario ma sul quale c’è una forte spinta politica: il taglio dell’Iva per gli acquisti con carta di credito e bancomat, dunque in chiave anti evasione fiscale. Stavolta il governo italiano si era portato avanti. In attesa che l’Unione europea desse il via libera al Recovery plan vero e proprio l’esecutivo aveva già scritto il suo di Recovery plan. Nove punti e 137 progetti presentati il 21 giugno, alla fine di quella sfilza di incontri chiamati Stati generali. Sembrava il solito libro dei sogni, quel documento: corposo ma vago il giusto, per dare senso a un appuntamento che in molti, non solo l’opposizione, avevano criticato considerandolo evanescente, inutile se non dannoso. E invece, conferma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, saranno proprio quei 137 progetti la base per disegnare la mappa dell’utilizzo degli aiuti europei.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Sorrentino Riccardo 
Titolo: Sorpresa: il Recovery fund vale più del Piano Marshall – Il Recovery fund anti Covid vale più del Piano Marshall
Tema: paragone piano Marshall-Recovery fund

È un punto di riferimento, quasi un’unità di misura. Il piano Marshall e ormai considerato il modello ideale degli aiuti intergovernativi per lo sviluppo. Per quattro anni, dal 1948 a11951, gli Stati Uniti concessero sussidi e prestiti a tutti gli Stati europei, Turchia compresa: 12,7 miliardi di dollari (circa 130 mi- Iiardi di dollari attuali), dei quali 1,2 miliardi sotto forma di prestiti. Ha senso allora confrontare lo European Recovery Plan del 1948con il Recovery Fund appena varato dall’Unione (che non esaurisce peraltro gli aiuti decisi da Bruxelles)? I calcoli non sono agevoli, tenuto conto della distanza nel tempo. della qualità delle statistiche, e permettono, più che un confronto rigoroso, un semplice paragone. Non inutile, però. Nel recente passata, gli economisti hanno calcolato nel 2,5-3% del Pil aggregato del periodo 1948-1951 dell’Europa aiutata dagli Usa – Turchia compresa – le dimensioni massime del piano Marshall, che avrebbe spinto la crescita di mezzo punto percentuale all’anno. I soli sussidi del Recovery fund ammontano al 2,8% del Pil per il solo 2019 dell’Europa a 27, e al 3% circa del Pil 2020, ipotizzando una contrazione dell’attività economica dell’8 per cento. Aggiungendo la componente prestiti, il Recovery Fund arriva al 5% del PII 2019 dell’Unione.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico – Salvia Lorenzo 
Titolo: Bilancio, caccia ai voti di FI – Ma alla maggioranza potrebbero servire i voti di FI al Senato
Tema: scostamento di bilancio

Si era partiti, qualche settimana fa, con una decina di miliardi, ma la cifra del nuovo maggior deficit che il governo chiederà al Parlamento è lievitata durante il vertice di maggioranza di ieri sera: 25 miliardi, che si aggiungono ai 20 e ai 55 già autorizzati a marzo e aprile. Nel 2020, quindi, il disavanzo di bilancio si gonfierà di un centinaio di miliardi per finanziare gli interventi di contrasto alla crisi. A spingere il governo a premere sull’acceleratore sono stati due fattori: il buon risultato ottenuto a Bruxelles sul Recovery fund, che metterà a disposizione dell’Italia 209 miliardi tra prestiti e sussidi; la necessità di tendere la mano alle opposizioni, in particolare a Forza Italia, in vista della votazione in Parlamento, mercoledì, della richiesta di autorizzazione allo scostamento di bilancio. Autorizzazione che, secondo l’articolo 81 della Costituzione, deve essere approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti le camere. Al Senato significa 161 voti. Una soglia non proprio di tranquillità per il governo, tanto più che, secondo il sito specializzato Openpolis, dopo le defezioni degli ultimi mesi, la maggioranza, intesa come somma di M5S, Pd, Iv, Leu e Maie, può contare su 154 senatori. Il governo ha quindi bisogno di altri sostegni, non solo dai senatori a vita e dei fuoriusciti. Magari anche con una geometria variabile e qualche contraccolpo. Forse non è un caso che proprio ieri tre senatori — Paolo Romani, Gaetano Quagliariello e Massimo Berutti — abbiano lasciato il gruppo di Forza Italia per approdare nel misto. Nei precedenti due scostamenti di bilancio il problema non si era posto perché Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia avevano dato il via libera alla richiesta pressati dall’emergenza. Ma stavolta, nonostante l’appello a collaborare che il premier Giuseppe Conte ha ripetuto ieri in Parlamento, il consenso non è scontato.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Conte: è una vittoria dell’Italia Ora manovra da 25 miliardi
Tema: Mes
In serata il Consiglio dei ministri vara un nuovo scostamento di bilancio da 25 miliardi. Si dice che sia più difficile gestire le vittorie che le sconfitte e così Conte, di fronte a Salvini che lo accusa di «trionfalismo», mette le mani  avanti: «È un risultato che non appartiene al governo o ai singoli ma all’Italia intera». II premier ricorda che il risultato raggiunto «non era affatto scontato a marzo». Spiega che l’evolversi della crisi ha consentito di superare «posizioni che sembravano insuperabili». Salvini in buvette la mette così: «Poteva andare peggio? Si certo, potevano venderci alla Cina, potevano sbarcare gli alieni, potevano arrivare le cavallette». In Aula, però, non riesce a demolire del tutto Apertura all’opposizione Sul piano della ripresa ci confronteremo con il Parlamento. Dobbiamo impegnarci anche per aumentare la fiducia nelle istituzioni l’accordo: «Se c’è qualcosa di buono per l’Italia siamo tutti contenti, lo valuteremo. Ma è il primo caso di un prestito dove ti dicono: amico mio, i soldi li spendi come dico io». Poi chiede che i fondi vengano destinati all’agricoltura e al taglio dell’Iva. Matteo Renzi punzecchia il Pd e loda Conte  anche se gli fa una richiesta: «Presidente, sorprenda il Parlamento e il Paese. Anziché una task force ci regali ad agosto un dibattito parlamentare per dire come spendere questi soldi, sfidando l’opposizione». Poi torna sul Mes: «I 37 miliardi del Mes hanno una condizionalità inferiore ai prestiti del Recovery Fund. Se non si ha il coraggio di dirlo, si sta mentendo». Il premier Conte, strattonato da una parte e dall’altra, con la stampa se le cava così: «L’attenzione su questo tema mi pare morbosa. Valuteremo insieme la situazione, ma non mi chiedete ogni giorno del Mes».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: Gualtieri: sì a rate lunghe, in autunno meno tasse 2020 per 3,8 miliardi – Rate lunghe, in autunno meno tasse per 3,8 miliardi
Tema: fisco

Nella manovra d’estate arriverà la nuova riscrittura del calendario dei pagamenti di settembre, e «ridurrà significativamente l’onere per i contribuenti per il 2020». La riduzione, in termini di deficit, varrà 3,8 miliardi. Mentre sulle sanzioni per chi ha sforato la scadenza del 20 luglio si sta «valutando» una possibile sospensione. Il terreno minato delle scadenze fiscali che sta animando la battaglia fra professionisti, autonomi e governo è stato al centro anche del question time di ieri alla Camera del ministro dell’Economia Gualtieri. Sugli obblighi di settembre interverrà la manovra estiva. Il Mef sta lavorando a una forte dilatazione del calendario, per spalmare su più anni le rate che non saranno dovute nel 2020. Da qui arriverebbe la «riduzione significativa dell’onere» evocata ieri dal titolare dei conti. La sua portata dipende da quanto deficit sarà dedicato al capitolo fiscale della manovra: in questi giorni si è lavorato a uno spostamento da 3,8 miliardi ma il conto potrebbe salire un po’. Fatto sta che superato San Silvestro le ricadute di finanza pubblica si fanno relative, e lo Stato potrà attendere a lungo il completamento dei versamenti a cui rinuncia quest’anno. Diverso è il discorso per la scadenza fissata al 20 luglio per Pmi e autonomi soggetti agli Isa. In questo caso la questione riguarda il fisco sui redditi2019 ed è generale, non limitata a imprese e partite Iva in crisi come nel caso delle sospensioni di marzo-maggio.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Pons Giovanni 
Titolo: Autostrade, i fondi esteri contro il governo italiano “Non investiremo più da voi”
Tema: vicenda Atlantia

Gli investitori istituzionali si oppongono duramente all’accordo raggiunto tra governo e Atlantia sul futuro di Autostrade. A esporsi in prima persona, con una lettera datata 20 luglio, è Christopher Hohn, uno dei più noti e influenti gestori anglosassoni che attraverso il fondo inglese TCI gestisce circa 35 miliardi di dollari di investimenti. Una parte di questi soldi li ha investiti tre anni fa in Atlantia raggiungendo una quota del 6% e ora non ci sta a vedere i Benetton messi all’angolo e con la pistola puntata alla testa costretti ad accettare di uscire da Aspi. Soprattutto senza un prezzo “fair” che soddisfi tutti gli azionisti. Così Hohn nei giorni scorsi ha scritto al direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera descrivendo con parole molto dure l’operazione che è uscita dal Consiglio dei ministri notturno del 14 luglio. «Atlantia è stata costretta a scegliere tra la vendita della partecipazione di Aspi a Cdp o la revoca illegittima della concessione, che avrebbe avuto come conseguenza la necessità di affrontare contenziosi lunghi e incerti per contestare il provvedimento», scrive il numero uno del TCI Fund,secondo cui l’operato del governo Conte, prima con l’articolo 35 del Milleproroghe e poi con la minaccia di revoca, sarebbe contrario alla legge, sia italiana che europea. Come si fa a uscire dall’impasse? Il nodo è il prezzo a cui la Cdp dovrebbe entrare nel capitale di Aspi. Hohn propone ben due soluzioni. La prima sarebbe quella di nominare un advisor indipendente e internazionale, non legato ad Atlantia o al governo, che raccolga in maniera trasparente le offerte di tutti quegli investitori che sarebbero disposti a comprare la maggioranza di Aspi. La Cdp, poi, potrebbe acquistare le azioni al prezzo determinato da questa sorta di asta. Oppure, e questo è l’oggetto di una seconda lettera che Hohn farà arrivare oggi a Rivera, «si proceda subito con lo spin off di Aspi a tutti gli azionisti di Atlantia, così il prezzo lo determinerà il mercato e solo dopo Cdp potrà lanciare la sua Opa sul quantitativo di azioni che desidera acquistare».
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Testata:  Mf 
Autore:  Montanari Andrea 
Titolo: Stato e Generali in Borsa spa – Anche Generali per Borsa spa
Tema: Borsa Spa

Il delicato dossier Borsa Italiana spa continua a essere sui tavoli del governo italiano e di quello di banche d’affari e nuovi potenziali investitori nazionali. Perché l’esecutivo giallorosso sta lavorando per un rientro in patria della società che gestisce il listino di Piazza Affari (Mts compreso in particolare). Tutto ruota attorno al deal miliardario (27 miliardi di dollari) London Stock Exchange-Refinitiv: acquisizione che è all’attenzione della Commissione Europea. Dal merger nascerà un colosso dei mercati e del trading che potrebbe spingere l’istituzione continentale a porre paletti, a partire dalla cessione di asset, quali per l’appunto Borsa Spa. Tanto più che l’operazione si inquadra all’interno degli accordi tra Inghilterra ed Europa sulla Brexit. Da qui l’interesse del governo Conte, che sarebbe pronto a fare ricorso anche all’esercizio del golden power. Ma è anche vero, nel caso in cui Lse fosse obbligata a cedere l’asset italiano che la società guidata da Raffaele Jerusalmi difficilmente potrebbe sostenere una strategia stand alone. In questo quadro ecco che il premier Giuseppe Conte, supportato dal sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro, sta cercando un asse con il presidente francese Emmanuel Macron, per arrivare a definire un progetto condiviso. Anche perché più volte Euronext ha dichiarato pubblicamente l’interesse per Borsa italiana. Così, come si apprende in ambienti finanziari, il progetto allo studio prevede la costituzione di un nocciolo duro di soci italiani, da coagulare attorno alla Cassa Depositi e Prestiti, vero pivot di questa operazione sistemica, pronti a investire per avere una partecipazione di minoranza importante nel possibile polo finanziario italo-francese. Tra i candidati all’ investimento ci sono le fondazioni bancarie, le casse previdenziali e anche, si sostiene nelle sale operative, Generali.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Griseri Paolo 
Titolo: Intervista a Maurizio Landini – Landini: “Lo Stato entri nelle imprese” – “Un patto con Conte sulle riforme e ora lo Stato entri nelle imprese”
Tema: sindacato e nazionalizzazioni

Sì alla presenza dello Stato nel capitale delle aziende, prolungare fino a fine 2020 il blocco dei licenziamenti, distribuire il lavoro da casa in modo da evitare la discriminazione tra chi sta in ufficio e chi opera da remoto. Le proposte del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, sono precise. Un giudizio sul governo? «Questo Conte II è sicuramente migliore del Conte I». Landini, le aziende chiedono la fine del blocco dei licenziamenti legato al coronavirus. Siete d’accordo? «Nei prossimi giorni, insieme a Cisl e Uil, proporremo al governo la proroga del blocco fino a fine anno» Uno scontro frontale con le imprese? «Al contrario: una opportunità anche per loro. Il blocco dei licenziamenti è un investimento anche per le imprese perché consentirà di avviare corsi di formazione per la riqualificazione dei dipendenti. Tutti dobbiamo collaborare per far fronte ai cambiamenti che arriveranno dopo il Covid». Il governo deve presentare ogni anno un centinaio di progetti per assicurarsi i finanziamenti di Bruxelles. I sindacati ne suggeriranno alcuni? «Certamente. Li abbiamo indicati durante gli Stati Generali. Ad esempio rinnovando le infrastrutture materiali e sociali con progetti di decarbonizazione, iniziative per favorire la mobilità verde, investimenti nella scuola e nella sanità, ammodernamento delle infrastrutture». La scuola è al centro di polemiche. Non riaprirà fino al 14 settembre, un tempo lunghissimo. Come mai? «Il nostro impegno sindacale è quello di riaprire tutti i114 settembre. Non bisogna pensare che i problemi siano arrivati con il Covid. Nella scuola come in altri campi i problemi c’erano già prima. Il virus li ha fatti emergere di più. La nostra scuola va riformata profondamente».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cipolletta Innocenzo 
Titolo: Alla ricerca dei progetti perduti – Alla ricerca pei progetti perduti per utilizzare il Recovery Fund
Tema: Recovery Fund

Fintroppo tempo è stato perso In Italia per discutere sulla natura, sulle condizioni, sulla governane e sulle cifre del Recovery Fund, come se i soldi fossero tutto. La realtà è che il Recovery Fund potrà essere utile solo se ci saranno progetti validi da finanzlare per migliorare la qualità del nostro Paese e la sua capacità di crescita. Di questo, alfine, dobbiamo parlare, anche perché se ci sono buoni progetti i fondì per finanzíarli si trovano sempre. E quindi necessario che chi ha ide e e progetti li presenti e ìl governo dovrebbe avviare da subito un programma di fattibilità per poter essere pronti con un piano di iniziative che dovranno essere avviate nel 2021. I campi nel quali sono necessari progetti possono essere molti, ma bisogna uscire dall’indeterminatezza e indicare con maggior precisione i settori e i modi di intervento.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Vaccino, Trump dà 2 miliardi alla Pfizer
Tema: Covid-19

Altri due miliardi di dollari. L’amministrazione Trump continua a spingere sulla produzione e distribuzione del vaccino anti Covid19. Ieri ha concluso un contratto con la società americana Pfizer che sta lavorando da mesi con la tedesca BioNTech. II governo americano prenota 100 milioni di dosi da ritirare più o meno alla fine dell’anno, con un’opzione ad acquistarne altre 500 milioni in seguito. II contratto prevede un finanziamento di 1,92 miliardi di dollari: è il più alto contributo versato finora dalle casse federali. Il progetto di Pfizer, uno dei grandi gruppi del settore farmaceutico, è al momento tra i più avanti nel mondo. A breve comincerà la fase tre della sperimentazione, cioè la prova su migliaia di volontari per verificare l’efficacia del prodotto e l’assenza di controindicazioni. L’alleanza con BioNTech ha consentito di puntare su una tecnologia mai utilizzata finora, basata sul cosiddetto «messaggero Rna». In sostanza il composto chimico dovrà stimolare una risposta antivirus da parte del sistema immunitario. La scienza e l’industria americane sono lanciate a tutta velocità. L’idea è di tagliare i tempi, sovrapponendo procedure normalmente distinte. Il momento decisivo dovrebbe arrivare in autunno, quando si saprà se il vaccino avrà superato i test. A quel punto il dossier passerebbe alla Fda, la Food and Drug Administration, l’autorità federale che ha il compito di autorizzare la commercializzazione di alimenti e medicine. La novità è che Pfizer inizierà la produzione senza aspettare il via libera della Fda. Una specie di scommessa al buio, coperta con i soldi federali.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Taino Danilo 
Titolo: Più o meno – Covid: Stati Uniti a bassa leadership
Tema: Covid-19 negli Usa

Una delle maggiori novità della pandemia da Covid-19 è stata finora l’assenza degli Stati Uniti dallo sforzo globale per superarla. Ma cosa è successo all’interno degli Usa, come è stata gestita la crisi da coronavirus? L’impressione è che, pure a livello domestico, sia mancata una leadership centrale. Anche a livello di singoli Stati, però, i numeri raccontano che i fallimenti sono stati parecchi. Alla data di ieri a mezzogiorno, i morti da Covid-19 nello Stato di New York erano 32.602 (dato di Worldometer) su quasi 436 mila casi: lo Stato governato da Andrew Cuomo è di gran lunga quello che ha sofferto maggiormente, con un rapporto di morti per centomila abitanti pari a 167, superato solo dal vicino New Jersey con 177. Quote alte di vittime anche in altri Stati della Costa Est: 124 per centomila abitanti in Connecticut e 122 in Massachusetts (dati al 21 luglio). Gli Stati di cui si parla in questi giorni in ragione di un’impennata di casi e per le opposizioni diffuse all’uso delle mascherine al momento hanno tassi di mortalità inferiori rispetto al Nord-Est del Paese: 38 l’Arizona, 24 la Florida, 14 il Texas, 20 la California. Al Sud le percentuali restano basse: Georgia 30, Alabama 26, South Carolina 23, North Carolina 16. Con le eccezioni del Mississippi, 46, e soprattutto della Louisiana, 74. Più a Nord, la Pennsylvania è a 55 morti per centomila abitanti, l’Illinois a 59, il Michigan a 64. Che ci siano differenze notevoli è normale- I motivi stanno nelle diverse concentrazioni di popolazione, nelle diverse politiche dei governatori, nello stato dei servizi sanitari e nella casualità.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lombardi Anna 
Titolo: “È un covo di spie” Gli Usa chiudono il consolato cinese – Gli Usa chiudono un consolato cinese “È un covo di spie”
Tema: tensioni Usa-Cina

La guardia armata davanti al cancello dell’edificio bianco al 3417 di Montrose Boulevard, Houston, identificabile dalla bandiera rossa sul tetto e le lanterne all’ingresso, secondo i reporter locali era ieri l’unica conferma che all’interno del consolato generale cinese c’era ancora qualcuno. Martedl l’anuninistrazione Trump ha infatti intimato di sgombrare la sede diplomatica nel cuore del Texas – una delle cinque ospitate in America – entro 72 ore. E i 60 funzionari sembrano avere già fatto i bagagli. E ricevuto l’ordine di chiusura, si erano precipitati a bruciare carte in giardino. Ma il video di quell’azione ha fatto il giro del mondo. imbarazzando e irritando Pechino. «Escalation senza precedenti in violazione alle norme internazionali» ha protestato la portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbun, diffondendo la notizia ancora prima di Washington. Dal 1979, quando si stabilirono per la prima volta relazioni diplomatiche fra i due Paesi, non era mai accaduto nulla del genere. Un covo di spie. Ecco cos’è per il Dipartimento di Stato quella sede diplomatica, la prima inaugurata su territorio americano: «La chiudiamo per proteggere le nostre proprietà intellettuali». E in quel Texas dove hanno sede stabilimenti di aziende aerospaziali come Boeing e Lockheed Martin e industrie farmaceutiche coinvolte nella ricerca del vaccino al Covid-19 come Kiromic Biopharma, vuol dire una cosa sola: spionaggio industriale.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Mastrolilli Paolo 
Titolo: Schiaffo a Xi, chiuso il consolato di Houston Trump: “Pechino ci spia, difendo l’America”
Tema: tensioni Usa-Cina
La volontà di seguire una linea più ferma con la Repubblica popolare è bipartisan, perché anche i democratici la condividono, pur avendo idee diverse sulla tattica da adottare. A pochi però sfugge che l’accelerazione impressa da Trump alla sfida col rivale Xi ha una motivazione elettorale, perché è cominciata quando ha fallito nella gestione del Covid, e si è trovato allo stesso tempo nel bisogno di individuare un capro espiatorio su cui scaricare la responsabilità, e un nemico esterno contro cui impostare la campagna per il voto del novembre. Oltre all’ambasciata di Washington e quella all’Onu, la Cina ha consolati a New York, Chicago, Los Angeles, San Francisco e Houston. L’ufficio della città texana ha circa 60 dipendenti, e gestisce i visti e le relazioni con tutti gli Stati del Sud. Secondo il senatore repubblicano della Florida Rubio, «è al centro di una grande operazione di spionaggio». Il dipartimento di Stato non è entrato nei dettagli, ma il segretario Pompeo ha ricordato che martedì il governo aveva accusato due hacker della Repubblica popolare di aver rubato segreti commerciali, tra cui quelli sulle cure e i vaccini contro il Covid. Houston inoltre gestiva visti e viaggi di molti studenti cinesi, che secondo l’assistente segretario di Stato David Stilwell «vengono inviati con il compito di studiare le cose ed avanzare le loro capacità belliche ed economiche». In altre parole, spiare e trafugare segreti.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Franceschini Enrico 
Titolo: Intervista a Fredrick Forsyth – Forsyth “Nella nuova cyberguerra Pechino vuole dominare il mondo”
Tema: tensioni Usa-Cina
 «La guerra cibernetica è la vecchia guerra di spie combattuta con nuove armi, molto più potenti di quelle tra 007. Abbiamo vinto la prima, non facciamoci sconfiggere nella seconda». È il parere di Frederick Forsyth, autore di una lunga serie di best-seller di spionaggio, da “II giorno dello sciacallo” a “Il quarto protocollo”, e lui stesso ex spia dell’M16, il servizio segreto di Sua Maestà, come ha rivelato nella sua autobiografia. «I cosiddetti Four-Cyber, Cina, Russia, Iran e Corea del Nord», dice l’81enne scrittore britannico, «sono i nuovi quattro cavalieri dell’Apocalisse». Che cosa pensa della chiusure del consolato cinese a Houston? «All’epoca della Guerra Fredda, l’Occidente aveva un solo nemico in grado di annientarlo: l’Unione Sovietica. Adesso ne ha almeno due e l’ultimo arrivato sta rivelandosi ancora più temibile di Mosca. Non ho dubbi che il consolato cinese sia stato chiuso dagli Stati Unti per bloccare operazioni di spionaggio. E per dare un segnale a Pechino che i suoi comportamenti non resteranno impuniti». Perché la Cina le sembra più temibile dell’Urss? «Oltre a possedere un arsenale militare che sta espandendo a grande velocità, con una flotta senza rivali nel Pacifico, è la superpotenza economica del 21esimo secolo e non nasconde l’ambizione di dominare il mondo, perfino più di quanto minacciasse l’Urss».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Audisio Emanuela 
Titolo: Tokyo, ultima chance un anno per salvare i Giochi proibiti
Tema: Giochi olimpici
Da Lost in Translation a Lost in virus. Oggi tra un anno i primi Giochi olimpici sfasati della storia. E anche molto storditi. La celebrazione dell’One Year to Go e stata esclusivamente virtuale. Si sa, i giapponesi tengono alla rigidità delle forme, inoltre il merchandising non poteva essere cambiato, quindi sarà Tokyo 2020 anche se si svolge nel 2021. Si spera che l’anno dispari non porti altre anomalie: il Giappone ha avuto l’assegnazione nel 2013, a due anni dal terremoto di Tohoku e dal disastro nucleare di Fukushlma (2011). Oltre ad avere un’Olimpiade annullata nel 1940 causa guerra sino-giapponese. Di sicuro, saranno Giochi dall’umore poco scintillante, in difesa, anzi con forte catenaccio anti-Covid. Ieri i nuovi casi in Giappone erano 690. La parola d’ordine è frugalità. Dimezzati i trasporti, quindi la mobilità, anche per le loro altezze reali del Cio. Ridotta probabilmente anche la capienza degli impianti perché non si ancora come e se verranno tutelati i titolari dei biglietti già acquistati. Il bello dei Giochi, quel mischiarsi di umanità e facce varie, nelle piazze e al villaggio, sarà ridimensionato. Nessuno però sa ancora come. Si possono preservare: 206 paesi,11.000 atleti, 5.000 tra funzionari e allenatori, 20.000 rappresentanti del media, 4.000 persone dell’organizzazione, 60 mila volontari? Il Cio ha stimato che il rinvio gli costerà 800 milioni di dollari, anche se è troppo presto per fare i conti.
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