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SINTESI IN PRIMO PIANO – 23 giugno 2021

In evidenza sui principali quotidiani:

– Ddl Zan: Vaticano chiede modifica, Draghi pronto a una mediazione;
– Incontro Draghi-Von Der Leyen: via libera al Recovery Plan;
– Conferenza di Berlino sulla Libia: al via oggi, si spera nell’asse Roma-Parigi;
– Cina: le risposte al G7 e i rapporti con l’Italia;

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Arachi Alessandra 
Titolo: Legge Zan, lite sul no del Vaticano Draghi: risponderò in Parlamento
Tema: Ddl Zan

Il premier Mario Draghi non cerca perifrasi: «E’ una domanda importante, domani (oggi per chi legge, ndr) sono in Parlamento tutto il giorno, mi aspetto che me lo chiedano e risponderò in maniera più strutturata di oggi». La domanda è quella sull’intervento del Vaticano in merito al ddl Zan, arriva durante la conferenza stampa convocata insieme alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Anche per lei lo stesso quesito: cosa pensa la presidente dell’intervento del Vaticano su una legge sui diritti? «Non faccio commenti su un progetto di legge. In generale mi preme sottolineare che i trattati Ue proteggono la diversità, la dignità, di ogni singolo essere umano. E proteggono la libertà di espressione». Già, la libertà di espressione: è proprio questo il punto sul quale insiste la nota «informale» che monsignor Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati in Vaticano, ha consegnato il 17 giugno al ministero degli Esteri Luigi Di Maio. Un punto che, secondo le autorità di Oltretevere, violerebbe il Concordato, insieme al fatto che il ddl Zan non esenterebbe le scuole private dall’organizzare attività in occasione della costituenda Giornata nazionale contro l’omotransfobia. Una nota che ha scatenato il mondo politico. Il primo a commentare è stato Letta: il segretario del Pd si è detto disposto a sciogliere i nodi, ribadendo però con fermezza che il ddl Zan «è una legge di civiltà che abbiamo fortemente voluto e confermiamo il nostro impegno a farla approvare». E stato nel pomeriggio, poi, che il segretario del Pd ha sentito al telefono il ministro degli Esteri Di Maio, un colloquio proprio nel merito della nota del Vaticano. Ed è sempre nel pomeriggio che il leader della Lega Salvini ha chiesto un incontro al segretario dem: «Sul ddl Zan io sono pronto a incontrare Letta, anche domani, per garantire diritti e punire discriminazioni e violenze, senza cedere a ideologie o censure». Una giornata che ha movimentato il Parlamento, proprio quando in Senato il centrosinistra (M5S, Pd, lv, Leu e Autonomie) si stava preparando a portare in aula il ddl Zan senza relatore per vincere l’ostruzionismo del presidente leghista della commissione Giustizia Ostellari. Che ieri non ha esitato: «Ho chiesto alla Farnesina la nota del Vaticano».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Falci Giuseppe_Alberto 
Titolo: Intervista ad Alessandro Zan – «Sono incredulo È un’ingerenza senza precedenti»
Tema: Ddl Zan

Onorevole, il Vaticano ha chiesto formalmente al Governo italiano di modificare il disegno di legge contro l’omofobia che porta il suo nome. Qual è stata la sua prima reazione? «Beh, di incredulità. Perché è la prima volta che il Vaticano pone la questione sul Concordato e lo fa su una legge, non ancora in vigore, approvata solo alla Camera a larga maggioranza. Il Parlamento è sovrano, deve essere libero di discutere, non può subire alcuna ingerenza da uno Stato estero». Prima obiezione: secondo la Santa Sede la legge Zan limita la libertà garantita alla Chiesa e alle associazioni cattoliche. «Assolutamente no. La libertà di manifestazione del pensiero, per singoli e associazioni, non è in discussione. Questo risulta chiaramente già dall’applicazione della legge Mancino negli ultimi 30 anni ed è ulteriormente ribadito dall’articolo 4 del ddl che porta il mio nome. Quella norma chiarisce che restano salve tutte le opinioni e le condotte legittime che non determinano il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori e violenti. Una norma che non abbiamo inventato, ma è ricalcata sulla giurisprudenza della Corte di Cassazione relativa ai reati di istigazione alla discriminazione e alla violenza già previsti dalla legge Mancino, che il ddl estende anche alle condotte motivate da sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità». È o non è a rischio la libertà di pensiero dei cattolici? «Non è a rischio la libertà di pensiero di nessuna persona, tanto meno dei cattolici».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rodari Paolo 
Titolo: La legge Zan divide il Vaticano – Legge Zan, l’affondo del Vaticano adesso divide la Curia
Tema: Ddl Zan

È stata una giornata di grande tensione quella vissuta ieri in Vaticano. La Nota Verbale consegnata dalla Segreteria di Stato all’Italia contro la legge Zan ha provocato lo smarrimento di diversi prelati che temono l’effetto boomerang di questa iniziativa diplomatica inaspettata e certamente inusuale. La seconda sezione della Segreteria guidata dall’arcivescovo Paul Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, ha portato avanti un’azione che rinverdisce la vecchia stagione dell’interventismo politico d’Oltretevere scontentando la parte più bergogliana della Curia romana. Francesco da tempo ha delegato alla Segreteria questi temi, senza seguirne poi tutti i dettagli. Tanto che oggi non può che osservare in silenzio ciò che accade, consapevole delle perplessità di molti ma insieme, nonostante le divisioni interne alla Curia, cercando di evitare strappi: «C’è la preoccupazione della Santa Sede e di ciascuno di noi», ha detto non a caso il cardinale Kevin Joseph Farrell. Le differenze di vedute sono molteplici sulla sponda vaticana dove poche settimane fa lo stesso vescovo di Roma aveva fatto capire, facendo scrivere dal cardinale Ladaria ai vescovi americani schierati contro l’eucaristia a Joe Biden, quale fosse la sua linea su questi temi delicati: sì al dialogo, no a uscite pubbliche a rischio di strumentalizzazioni politiche. Non solo, fu nel 2016, sul volo Juarez-Roma, che il Papa disse a proposito del ddl sulle unioni civili: «Io non mi immischio», precisando che dei temi nazionali deve occuparsi la Cei. Al contrario la nota sul ddl alza i toni evocando, cosa mai avvenuta prima, la violazione del Concordato. La missiva vaticana è stata consegnata da Gallagher giovedì scorso a margine di una conferenza stampa in via della Conciliazione all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede Pietro Sebastiani.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  p. rod. 
Titolo: Camillo Ruini “È giusto difendere la libertà di espressione della Chiesa”
Tema: Ddl Zan

Intervista all’ex presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Cardinale Camillo Ruini, cosa pensa della Nota verbale della Segreteria di Stato vaticana sul ddl Zan? «Come dice la nota stessa, il ddl Zan contrasta con l’articolo 2, comma 1 e comma 3, del testo di revisione del Concordato, nel quale la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere il proprio Magistero e garantisce alla Chiesa stessa e ai cattolici piena libertà di pensiero e di espressione. In sostanza, si tratta di quello che la nostra Costituzione garantisce a tutti, cioè della libertà di parola e di pensiero». Quindi giudica l’intervento del Vaticano come legittimo? «Certamente, ed è il segno dell’importanza che la Santa Sede attribuisce alla questione». Tuttavia con questo intervento anche Papa Francesco può essere accusato di ingerenza, non le sembra? «Sarebbe un’accusa non giustificata. Di accuse di questo genere sono stato bersaglio anch’io in molte occasioni ma difendere i propri diritti, in particolare la libertà della Chiesa, è un dovere e non un’ingerenza». Ma non le sembra che il ddl Zan voglia semplicemente tutelare le persone che subiscono delle discriminazioni? «Siamo pienamente d’accordo che nessuna persona deve subire discriminazioni, deve essere invece rispettata e, dal punto di vista cristiano, amata. L’opposizione a quel ddl non riguarda questo ma, come ho già detto, il rischio di comprimere la libertà di espressione, nel rispetto di tutti». Non c’è a suo avviso il pericolo che una parte politica usi strumentalmente questa uscita a proprio favore? «Preferisco stare alla sostanza dei problemi senza fare all’una o all’altra parte politica processi alle intenzioni».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bozza Claudio 
Titolo: Grillo non vuole lasciargli il simbolo. L’aut aut di Conte per il nuovo M5S
Tema: M5S

Lo scontro tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo è arrivato all’apice. Tanto che l’ex premier -lunedì scorso, in una video-riunione con Cinque stelle – avrebbe sfogato tutto il suo pessimismo sulla costruzione dei nuovi Cinque stelle. Conte, per essere incoronato leader, ha la vitale necessità di poter utilizzare il simbolo «MoVimento». Quest’ultimo, però, è di proprietà del fondatore, che minaccia di non concederglielo. Una impasse che potrebbe spingere l’ex premier verso l’addio. E si era sparsa anche la voce, smentita da fonti a lui vicine, che Conte meditasse di fondare un proprio partito. Da ormai due settimane – falliti i tentativi di mediazione – l’ex premier e il fondatore pentastellato non si parlerebbero più. Ogni tipo di interlocuzione, nonostante le veline parlino di «confronto sereno», è infatti affidato ai legali o mediatori politici terzi. L’ex premier, da mesi impigliato nelle vesti di leader in pectore, ha bisogno dell’agognato simbolo con la «V» maiuscola, che però il comico a riposo aveva astutamente depositato il 26 settembre 2012, in veste di «garante» del M5S, presso l’Ufficio brevetti e marchi del II ruolo del ministero dello Sviluppo economico. Per la precisione si tratta di un logo con la scritta «MoVimento», accompagnato dalle famose 5 Stelle. Un dettaglio chiave, che in questo durissimo braccio di ferro per il controllo dei Cinque stelle lascia a Grillo il coltello dalla parte del manico. Ma perché il fondatore ha alzato il fuoco di sbarramento? La risposta, anche se fonti vicine a Conte lo negano, è semplice: l’ex premier, nel nuovo Statuto dei Cinque stelle (per questo ancora congelato), vorrebbe ridimensionare i poteri della figura del Garante, cioè di Grillo, che, specie dopo aver garantito un futuro politico al professore aprendo a sorpresa all’intesa con il Pd, di demansionamenti alla guida della propria creatura non ne vuole sentir parlare.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Il M5S a rischio crac Torna l’ipotesi di un partito di Conte
Tema: M5S

«Ma Beppe, nel momento in cui il Garante può proporre all’assemblea la revoca del presidente, la monarchia è finita». Hanno provato per giorni, a convincere il fondatore del Movimento 5 stelle che lo Statuto preparato da Giuseppe Conte non trasforma l’ex premier nel re Sole e non sfila di mano il Movimento a colui che ne ha sempre deciso la vita e il destino. Senza successo, almeno per ora. Perché l’unica cosa che trapelava ieri sul fronte Grillo era la notizia di un suo imminente arrivo a Roma, già domani. Non per un faccia a faccia chiarificatore, piuttosto per una sorta di campagna di persuasione dei parlamentari su quanto sia importante per i 5 stelle che le decisioni fondamentali sulla linea politica lo coinvolgano ancora. Che possa indirizzarle, com’è stato in tutti questi anni. E che importa se il nuovo Movimento avrà nuovi organi come il presidente, i due vicepresidenti, la segreteria o comunque si chiamerà. Grillo crede – lo ha sempre creduto – di poter essere l’unico custode della linea MSS. Del resto, nello Statuto attuale all’articolo 8 si legge, tra le altre cose, che al Garante è affidata «l’interpretazione autentica non sindacabile del presente statuto». È lui a nominare il tesoriere, lui a indicare gli esponenti del comitato di garanzia. C’è molto di personale, nel duello di queste ore. C’è Giuseppe Conte tentato di mollare tutto, se non potrà avere la libertà di cambiare chiesta dal primo giorno, con un piano B già pronto: quella lista personale che già mesi fa era stata quotata al 10% e che secondo i suoi sostenitori potrebbe andare ancora oltre. E c’è Grillo, che non si è sentito abbastanza tenuto in considerazione, che paga un isolamento dovuto anche alle sue vicende personali e minaccia ora di fare l’ultimo coup de théâtre e mandare tutto in aria. Le conseguenze sarebbero nefaste e a capirlo sono coloro che in queste ore stanno lavorando per una composizione: il presidente della Camera Roberto Fico, il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli, quello degli Esteri Luigi Di Maio. Tutti e tre sono convinti che una separazione, ora, sarebbe un disastro.
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Testata:  Panorama 
Autore:  Biloslavo Fausto 
Titolo: I segreti dei servizi segreti – L’ora x dei servizi segreti
Tema: Sicurezza

AIle 7,20 del 14 giugno, su un volo militare, i primi 82 afghani sono atterrati in Italia. Interpreti al fianco dei soldati italiani da anni e loro stretti familiari che rischiano rappresaglie talebane dopo il ritiro delle nostre truppe. L’operazione Aquila prevede di portare in salvo fra le 400 e 500 persone dal Paese asiatico, tutte sottoposte a «vetting», il vaglio dei servizi segreti per evitare di portare spie o «soggetti a rischio». Un interprete è stato bloccato da un «rapporto negativo» e tempo fa l’intelligence, con l’aiuto americano, aveva scoperto un altro traduttore che faceva il doppio gioco informando i pachistani. Poi è arrivato in Italia come clandestino. Il «vetting» in Afghanistan è solo un tassello – apparentemente minore – nell’attività dei servizi segreti, che stanno vivendo cambiamenti profondi, soprattutto ai loro vertici. «Per i servizi è un momento felice» conferma un addetto ai lavori. «Nella partita dell’intelligence abbiamo in mano un poker d’assi». Il riferimento è al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega alla sicurezza nazionale, Franco Gabrielli, al nuovo capo del Dis, Elisabetta Belloni e ai direttori delle agenzie esterna (Aise) e interna (Aisi). «Il primo aspetto importante è la nomina dell’autorità delegata da parte del presidente del Consiglio, che ha scelto Gabrielli, ex capo della Polizia. La prima mossa di peso del nuovo corso è stata appunto la nomina di Elisabetta Belloni a capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, organismo di coordinamento di Aisi e Aise. Segretaria generale della Farnesina, si è diplomata – come Draghi – all’istituto dei gesuiti Massimiliano Massimo a Roma. «È una donna davvero tosta. La figura giusta per rimettere in piedi una struttura a pezzi dopo il governo Conte» spiega chi ha a che fare con questi gangli dello Stato.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Diamanti Ilvo 
Titolo: Ora la crisi fa più paura del Covid – Le paure dell’Europa Per gli italiani la crisi batte la pandemia
Tema: Rapporto Osservatorio Ue sulla sicurezza

Da oltre un anno e mezzo viviamo una vita diversa, in un mondo diverso. In un tempo diverso. Perché la nostra vita, il nostro mondo sono “oscurati” dal Virus. Dal Covid-19. In questo tempo che abbiamo definito “sospeso”. Perché non sappiamo quando finirà. E, ormai, ricordiamo a fatica quand’è cominciato. Si tratta di una “storia” che abbiamo ricostruito da tempo, attraverso le indagini che conduciamo in Italia e in Europa. Da molti anni. In particolare, attraverso l’Osservatorio Europeo (giunto alla XIII edizione), curato da Demos per la Fondazione Unipolis e dedicato ai temi della in-sicurezza. L’indagine, che verrà presentata oggi, è stata condotta nelle scorse settimane in 5 Paesi europei (oltre all’Italia: Francia, Germania, Regno Unito e Paesi Bassi) conferma come tutto sia cambiato da un anno (e mezzo) a questa parte. Peraltro, sarebbe improprio utilizzare toni drammatici per descrivere il sentimento dei cittadini verso i motivi e le fonti di incertezza che incombono su di noi. Da tempo. Non per caso, nelle indagini condotte dell’Osservatorio negli ultimi anni, abbiamo segnalato come, dopo molti anni di “insicurezza”, si fosse diffuso un senso di “rassicurazione”. Per “abitudine”. Così “le paure” hanno iniziato a farci meno “paura”. Fino all’irruzione del Virus. Improvviso e, dunque, inatteso. Tuttavia, un anno fa, era emersa una diffusa capacità di reazione. L’indagine condotta quest’anno ripropone, in qualche misura, la medesima “resilienza” dimostrata dagli italiani negli ultimi anni. Anzi, suggerisce che l’abitudine al Virus sia divenuta quasi una “risorsa” di fronte ai problemi del nostro tempo. Anzitutto, perché pone in ombra altri problemi, pesanti e ingombranti. Ma soprattutto perché fornisce un riferimento, una spiegazione. A tutto. Così, l’atteggiamento dei cittadini, delineato dai sondaggi condotti da Demos-Fond.Unipolis appare sicuramente (molto) “preoccupato”.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bruti Liberati Edmondo 
Titolo: Efficienza giudiziaria e sprechi – Per non sprecare risorse è necessaria la revisione della geografia giudiziaria
Tema: Riforma della Giustizia

Il Rapporto sull'”Efficienza della giustizia” di The European House – Ambrosetti del 2020 segnala le criticità, ma dà atto, con accenti di apprezzamento, delle iniziative del Csm. Al programma Best Practices, finanziato dalla Ue con il Fondo sociale europeo hanno partecipano molti uffici giudiziari e il Csm ha svolto un ruolo di propulsione. Una delle studiose più autorevoli dei sistemi giudiziari europei, Daniela Piana, ha rilevato che «il più significativo laboratorio di innovazione organizzativa attivo nel settore giustizia in Europa si è trovato in Italia a partire dal 2007» nell’attuazione di quel programma. Ora il ministero della Giustizia promuove la diffusione di questi modelli organizzativi nelle situazioni di maggiore difficoltà. Il tema è di rinnovata attualità con i problemi che Covid-19 ha posto alla organizzazione giudiziaria e richiede incisive riforme. Tra le proposte, quella del “Comitato programma per l’Italia”, è stata presentata il 16 giugno scorso da Carlo Cottarelli e Alessandro De Nicola. Tra le molte riforme interessanti e innovative segnalo, tra tutte, quella sulla giustizia tributaria. Sorprende però che il Programma si apra, e con enfasi, su un tema del tutto eccentrico. La valenza garantistica della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri è contestata non solo da magistrati, ma da molti illustri giuristi ed è lungi dal fare l’unanimità nella stessa avvocatura. Un Pm separato radicalmente dalla magistratura giudicante in prospettiva potrà essere meno indipendente rispetto all’esecutivo; nell’immediato sarà più vicino, troppo vicino, alla polizia e meno “forte” nel contrastare le ineluttabili pressioni per il risultato immediato “colpevoli tutti e subito” con misure cautelare e mezzi intrusivi di indagine come le intercettazioni.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Logroscino Adriana 
Titolo: Si torna a ballare ma solo col green pass «Il via entro i primi dieci giorni di luglio»
Tema: Discoteche

La soluzione è il green pass. Stabilito che in discoteca potrà entrare soltanto chi possa esibirlo, il ripristino del diritto al ballo dovrebbe essere in discesa e imminente. Ne è convinto il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa: «Ho parlato con il ministro Speranza – ha riferito ieri -, entro i primi dieci giorni di luglio le discoteche potranno aprire, condividendo criteri e protocolli. In settimana avremo la data». Sulle regole è pronto da tempo un dettagliato protocollo realizzato da due infettivologi reclutati dalle associazioni di categoria dei gestori dei locali e approvato da altri due. Consegnato agli esponenti del governo ha avuto un benestare politico sia da Costa sia dal ministro delle Attività produttive, Giancarlo Giorgetti. L’ultima parola, però, spetta naturalmente al Comitato tecnico-scientifico che potrebbe convocarsi in seduta straordinaria e dedicata a brevissimo, forse oggi, comunque prima della riunione del venerdì. Tempi stretti I proprietari delle discoteche sono grati a Costa che, con Giorgetti e Salvini, ha preso a cuore per primo il loro appello. E tuttavia temono che i tempi si allunghino ancora. «L’estate è già iniziata – dice Maurizio Pasca, presidente del Silb, sindacato italiano locali da ballo, aderente alla federazione pubblici esercizi di Confcommercio – e sinceramente ci aspettavamo di poter riaprire per il primo weekend di luglio, il 3-4, non il 10. Perché anche se si dice “entro il 10” tutti sanno che la nostra attività si concentra nel weekend e che difficilmente riapriremo di lunedì. Già cosi, faremo molta fatica a salvare la stagione estiva. Del resto il nostro lavoro è già compromesso dal non aver potuto programmare un calendario in mancanza di certezze». Pasca si propone di portare il protocollo direttamente al ministro Speranza.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: Via libera al Recovery plan, 15,7 miliardi da spendere per 105 progetti entro il 2021
Tema: Recovery Plan

La prima approvazione comunitaria del Piano italiano di ripresa e resilienza non è esattamente una sorpresa, anche per il fitto confronto fra Roma e Bruxelles che ha accompagnato le fasi decisive nella costruzione del programma di investimenti e riforme. Ma accanto al valore simbolico, europeo oltre che nazionale anche perché con le tante rinunce di altri Paesi ai prestiti del Next Generation Eu Roma assorbe l’ampia maggioranza assoluta del Recovery Fund, il passaggio uffidalizzato ieri ha anche l’effetto pratico di far partire la macchina del Pnrr. E pone le premesse per l’anticipo da 25 miliardi, il 13% della quota italiana dei finanziamenti Ue, atteso almeno nella prima parte entro la fine di luglio. L’assegno iniziale è assorbito per circa il 63% dagli interventi che il Pnrr italiano prevede di condudere entro quest’anno, in un meccanismo che mette le altre risorse nel circolo della finanza pubblica ma ovviamente ne vincola l’utilizzo integrale per i piani del Recovery. A fine dicembre, infatti, il contatore del Recovery dovrà già aver totalizzato spese per 15,7 miliardi: nel 2021, gli investimenti finanziati dalla Recovery e Resilience Facility valgono 13,79 miliardi, e al conto si aggiungono 1,91 miliardi di spese dell’anno scorso che le risorse comunitarie possono coprire ex post come da regolamento europeo. I numeri disegnano la complessità di una sfida che è destinata a intensificarsi nel tempo. Perché l’anno del debutto vede le risorse del Next Generation intervenire in 105 progetti, ma già dal 2022 gli interventi in azione diventano 167 per muovere 27,6 miliardi. Gli anni centrali del piano ospitano il picco degli investimenti, con 179 progetti e 37,4 miliardi dispera nel 2023 e 176 progetti per 424 miliardi nel 2024, per poi scendere leggermente nel biennio finale.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bresolin Marco 
Titolo: Intervista a Valdis Dombrovskis: “Piano solido, ma è soltanto l’inizio Ora serve un vero cambiamento”
Tema: Recovery Plan

Intervista al Vice Presidente della Commissione Europea. Valdis Dombrovskis considera «solido e ambizioso» il piano del governo Draghi, un progetto capace di «far uscire l’Italia più forte dalla crisi» e di «costruire un futuro migliore». Ma avverte che «questo è solo l’inizio». Ottenere un giudizio positivo da parte della Commissione (con 10 «A» e una «B») e poi del Consiglio (che si esprimerà entro quattro settimane) non è sufficiente: per l’Italia ora comincia un percorso a ostacoli fatto di ben 525 tappe e traguardi da raggiungere nell’arco dei prossimi cinque anni. I primi già entro la fine dell’anno. Serviranno per ottenere le dieci rate di finanziamento, che saranno subordinate all’esito positivo delle verifiche semestrali. «Non vediamo l’ora che il piano porti un vero cambiamento – spiega il vicepresidente della Commissione – per il bene di tutti gli italiani, ma anche dell’intera Europa». L’ultima sottolineatura non è casuale. Da troppo tempo l’Ue chiede all’Italia – terza economia dell’Eurozona – di affrontare i nodi che frenano la crescita e la produttività del nostro Paese e che inevitabilmente impattano anche sul resto dell’Unione. Ma le raccomandazioni di Bruxelles sono state sempre disattese, tra la frustrazione dell’Unione e le lamentele italiane per il costante «fiato sul collo». Questa volta le cose potrebbero andare diversamente perché in palio ci sono 191,5 miliardi di euro, di cui 68,9 a fon Il piano contribuirà a ridurre le differenze sociali e regionali, creando opportunità per I giovani do perduto e 122,6 in prestiti a tassi agevolati. «Questo piano di rilancio – prosegue Dombrovskis – rappresenta un’opportunità unica per investire nel futuro dell’Italia, per affrontare questioni di vecchia data che frenano lo sviluppo socio-economico e per rimuovere le barriere che ostacolano la crescita».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Bonomi: «Orgogliosi del via libera dell’Europa, adesso non possiamo fallire»
Tema: Pnrr

«Siamo orgogliosi che la Commissione europea abbia approvato il nostro piano, è il primo passo per far arrivare al nostro paese i primi 24,9 miliardi entro luglio, dopo che il Pnrr sarà approvato dal Consiglio europeo nelle prossime quattro settimane». Carlo Bonomi conclude l’assemblea di Confindustria Toscana Sud, poco dopo la conferenza stampa della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e del presidente del Consiglio, Mario Draghi «E’ una spinta sul percorso di ripresa, è un percorso, sono ben 58 le riforme previste dal Pnrr». Il presidente di Confindustria ha citato Draghi: «se saremo in grado di fare un’attuazione positiva del Piano, se i soldi saranno spesi in maniera responsabile c’è la possibilità che gli sforzi fatti dai paesi membri possano rimanere strutturali. Questo è un grande traguardo che non possiamo fallire». Ma non basta: serve una partnership pubblico-privato. «L’importanza di stimolare interventi privati sarà fondamentale. Senza un coinvolgimento delle imprese non ci potrà essere una stabile e solida crescita economica e sociale». Un anno fa, ha ricordato il presidente di Confindustria, all’assemblea aveva lanciato il 3,6% Patto per l’Italia. Oggi ne è ancora più convinto: i processi di riforma e di investimenti «devono essere collocati in una visione di politica industriale da realizzare oltre il Pnrr. Senza una forte partnership non si potrà rispondere a quelle dinamiche di crescita necessarie per ripagare il debito emergenziale che il paese ha contratto, non se ne può fare a meno». Il Pnrr prevede risorse per 191,5 miliardi entro il 2026, ha specificato il presidente di Confindustria, di cui 68,9 fondo perduto, 122,6 a prestito. «Una cifra non indifferente che dobbiamo restituire».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Di Matteo Alessandro 
Titolo: Intervista ad Elena Bonetti: “Le prime risorse del Piano sono la leva per la parità di genere”
Tema: Pnrr

I 7 miliardi del Pnrr per la parità di genere sono solo «una leva», un innesco che deve consentire di attivare risorse ben più consistenti. La ministra Elena Bonetti parla dell’impegno del governo su questo tema e assicura: «Il presidente Draghi è la figura giusta per questo passo di maturazione». Draghi promette 7 miliardi entro il 2026 perla promozione dell’uguaglianza di genere. Sono sufficienti? «Sulla parità di genere mi lasci dire che il Paese è rimasto bloccato da anni. Adesso con il Pnrr, con la strategia che ha illustrato il presidente Draghi possiamo sbloccare il Paese e rimetterlo in moto. I 7 miliardi sono una “leva” di attivazione per la parità di genere, per la partecipazione delle donne in tutti i contesti sociali. Quei 7 miliardi permetteranno alle donne di accedere agli altri 240 miliardi del Pnrr con pari opportunità rispetto agli uomini. Faccio un esempio: il Pnrr investe più di 24 miliardi in innovazione, ma il gap digitale oggi è molto significativo per le donne. Il miliardo e mezzo sulla formazione è la leva che di fatto renderà quelle risorse davvero accessibili alla pari». Quali sono gli obiettivi della strategia del governo in tema di parità di genere da qui al 2026? «E’ la prima volta che il nostro Paese si dota di una strategia nazionale per la parità di genere. Ci sono cinque assi di intervento con obiettivi al 2026: lavoro, reddito, competenze, la condivisione dei carichi di cura familiare e la leadership. Ragioniamo sul lavoro: oggi abbiamo una differenza di 27 punti tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile. Vanno diminuiti! E vogliamo aumentare di 10 punti la percentuale di imprese femminili. Poi c’è il tema del “gender pay gap”: nel settore privato è circa del 17%, dato del 2018. Dobbiamo scendere sotto al 10%. Addirittura, nell’ambito dei laureati il “gender pay gap” è più alto, nonostante le ragazze si laureino in media con voti migliori dei ragazzi. E c’è una disparità di accesso al mondo del lavoro che va colmata».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Conti Paolo 
Titolo: Intervista a Dario Franceschini – «Cinecittà cresce con i fondi Ue»
Tema: Pnrr

Mario Draghi e Ursula von der Leyen insieme a Cinecittà. Perché questa scelta, ministro Dario Franceschini? «Si tratta di un’intuizione molto intelligente del presidente Draghi. Di solito, a chi arriva in visita ufficiale a Roma, si mostrano i prestigiosi luoghi del nostro passato. Invece Draghi ha voluto mandare un chiaro messaggio all’Europa e al mondo: l’Italia ha un grande presente e un grandissimo futuro. Lo ha fatto scegliendo un luogo che è insieme industriale e culturale, cioè Cinecittà. Dove si crea, certamente, ma anche e soprattutto si produce. Stavolta è completamente diverso e non è uno slogan. Cinecittà raddoppierà in pochi anni. E al centro di uno dei più grandi e significativi investimenti del Recovery fund: 300 milioni, che riguarderanno anche il Centro sperimentale di cinematografia e quindi la formazione di nuove professionalità. Senza retorica, úno dei più grandi progetti industriali del nostro Paese almeno degli ultimi dieci anni. Sappiamo bene che ormai il confine tra cinema e audiovisivo è sempre più sottile e che quel settore è un fattore di enorme crescita in tutto il mondo. La nostra scommessa è Cinecittà che da srl è diventata spa con vertici rinnovati, la presidente Chiara Sbarigia e l’amministratore delegato Nicola Maccanico. Nuova governance per gestire progetti molto ambiziosi. La Cassa depositi e prestiti cederà un suo terreno vicino che consentirà di raddoppiare l’offerta di Cinecittà».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco 
Titolo:  Assegno ai figli, portale pronto dal 1° luglio le domande on line
Tema: Inps – assegno ai figli

È pronto il portale dell’Inps con cui oltre un milione e mezzo di famiglie di disoccupati e autonomi potranno chiedere per la prima volta l’assegno unico per i figli Si tratta del cosiddetto “acs ‘gno ponte” destinato per i prossimi sei mesi ad anticipare l’entrata in vigore da gennaio 2022 del nuovo assegno unico universale per le famiglie. Ad annunciare l’arrivo della domanda semplificata da presentare dal luglio è stato ieri il presidente dell’Istituto di previdenza, Pasquale Tridico, nel corso dell’audizione in commissione Lavoro del Senato sul Dl che istituisce l’assegno temporaneo dal 1° luglio al 31 dicembre 2021. Un assegno che, secondo una microsimulazione dell’Istat presentata sempre ieri in audizione a Palazzo Madama dal presidente dell’Istituto di Statistica, Gian Carlo Biangiardo, dovrebbe garantire un aiuto al 5,5% delle famiglie italiane, pari a circa 1,5 milioni di nudei che fino ad oggi non hanno mai ricevuto l’assegno per i figli. Mentre il 15,8% delle famiglie italiane si vedrà aumentare l’assegno al nudeo familiare che già percepiscono dall’Inps, con aumenti che vanno da 37,5 euro mensili per ciascun figlio per le famiglie che hanno fino a due figli e di 55 euro per quelle con tre o più figli. Il presidente dell’Inps ha ricordato che «l’obiettivo del nuovo assegno unico e universale è la graduale sostituzione o eliminazione di tutte le precedenti misure di sostegno alla genitorialità, alla natalità e ai carichi familiari detrazioni fiscali per figli a carico, assegni al nucleo familiare e ai nuclei con almeno tre figli minori riconosciuti dai Comuni, l’assegno di natalità o premio alla nascita». L’assegno “ponte”, secondo Tridico è un incentivo alla natalità e non alla povertà, tanto che il legislatore lo ha reso compatibile con il reddito di cittadinanza. Su questo ultimo aspetto Tridico ha voluto ricordare che la domanda da presentare sarà semplicissima con la sola avvertenza per le famiglie : «Quella di dover dichiarare di non essere titolari di Rdc».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Conte Valentina 
Titolo: Assegno ponte per 1,4 milioni di famiglie, vale 962 euro in 6 mesi
Tema: Inps – assegno ai figli

L’assegno “ponte” per i figli minorenni arriverà, dal primo luglio al 31 dicembre, al 5,5% delle famiglie italiane con Isee fino a 50 mila euro e sarà in media – calcola l’Istat – di 962 euro in sei mesi, beneficiando 1,4 milioni di nuclei fin qui esclusi dagli assegni familiari: autonomi, professionisti, incapienti. Il 15,8% delle famiglie ad oggi titolari di assegni familiari – 4 milioni di nuclei – riceveranno invece una maggiorazione in busta paga, in media 377 euro nei sei mesi. Si tratta di una soluzione temporanea (non scompaiono né le detrazioni per i figli né gli altri bonus) in vista della piena attuazione del Family Act e della riforma fiscale, entrambi nel Recovery Plan, ma da realizzare con risorse nazionali. E che porteranno a un riordino delle misure esistenti e all’erogazione dell’assegno unico dal primo gennaio 2022 per ogni figlio fino ai 21 anni. «L’87% della spesa dell’assegno ponte viene destinata a famiglie con redditi medio-bassi», spiega Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat in audizione al Senato. «Così come l’82% della spesa per la maggiorazione». Entrambe le misure sono «molto progressive rispetto al reddito delle famiglie» e dovrebbero aiutare a contrastare la «recessione demografica» e la «povertà assoluta che riguarda un milione e 337 mila minori».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Baroni Paolo 
Titolo: Sostegni, la protesta sblocca 5 miliardi
Tema: Sostegni alle imprese

Che fine hanno fatto i sostegni per le imprese? Il ministro dell’Economia Daniele Franco, durante una audizione in Parlamento, aveva assicurato che entro il 16 giugno sarebbero partiti in automatico i nuovi bonifici. Rispetto a questa scadenza è passata quasi una settimana ma nessuno ha visto un euro: di qui la protesta di Confesercenti, che negli ultimi giorni ha raccolto molte segnalazioni dei suoi associati sparsi in tutta Italia, quella di Assoeventi e del Movimento italiano per l’ospitalità. Partono comunicati di fuoco e poi, a distanza di diverse ore, la situazione si sblocca. Ma l’incidente non si chiarisce. Una nota congiunta Ministero dell’Economia/Agenzia delle Entrate, infatti, diffusa nel tardo pomeriggio di ieri, ha infatti reso noto che i nuovi pagamenti «a favore degli operatori economici colpiti dall’emergenza epidemiologica» sono stati «disposti». Quando? Solo ieri. Soddisfatta, ovviamente, Confesercenti. «Il risultato è stato raggiunto – fanno sapere dall’associazione – anche in seguito alla nostra segnalazione, i contributi sono stati finalmente sbloccati e inviati alle imprese che ne hanno diritto. Siamo soddisfatti che l’allarme dei nostri associati sia stato immediatamente recepito, e apprezziamo anzi che si siavoluto dare una risposta immediata, anche se rimangono ignote le ragioni del ritardo». Nella sua nota diffusa in mattinata Confesercenti definiva «urgente fare chiarezza sulle cause del mancato arrivo», un «blocco che sta mettendo in difficoltà molte imprese», e «che si somma a ritardi precedenti: ci sono attività che ancora attendono contributi a fondo perduto previsti dal primo Sostegni o addirittura dal Dl Ristori».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Biondi Andrea 
Titolo: Rai presenta la nuova stagione della tv Dubbi sui tempi del nuovo Consiglio
Tema: Rai

Un’offerta ampia. In una (faticosa) maratona di oltre due ore e mezza di presentazione in cui si sono alternati i direttori di reti e generi la Rai ha messo sul tavolo tutte le carte con cui vuole giocarsi la sua nuova stagione dopo quella 2020-21 che, stando ai dati dello Studio Frasi e relativi al periodo 1 ottobre 2020-23 maggio 2021, ha visto l’editore Rai primeggiare nel giorno medio – (36% di share contro il 32,52% di Mediaset) con Rai 1 in testa (16,99%) ma Canale 5 a ruota e, a differenza dell’ammiraglia Rai, in crescita (15,93%) – e primeggiare anche in prima serata (36,68% di share contro il 32,81% di Mediaset). In questo quadro va inscritta la presentazione di ieri in cui, in maniera forse un po’ troppo tradizionale, Viale Mazzini, prima nel suo settore, ha illustrato le sue proposte perla nuova stagione. L’emergenza Covid ha del resto bloccato l’implementazione del piano industriale. Ma l’ad Salini sembra anche voler rispedire al mittente qualsiasi lettura critica degli ultimi tre anni di consiliatura Rai: «Siamo abituati a lavorare a testa bassa e a volte non ci rendiamo conto che i direttori lavorano in maniera coesa. Sono nate nuove direzioni, abbiamo reso protagonista Rai Play. Oggi stiamo facendo una presentazione per generi. Questo lo abbiamo deciso tre anni fa, abbiamo innovato programmi, linguaggi, prodotti». Dal presidente Marcello Foa è stato invece espresso l’augurio che «i nostri prodotti possano accompagnare un percorso di ritorno alla normalità. Nel Prix appena chiuso qui a Milano abbiamo respirato voglia di rinascita».
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Testata:  La Verita’ 
Autore:  Conti Camilla 
Titolo: Intervista a Paolo Savona – «Insidia criptovalute La moneta deve essere pubblica»
Tema: Criptovalute

Per il presidente della Consob, Paolo Savona, il risparmiatore è diventato più vulnerabile e può essere attratto dalle «sirene» delle criptovalute, come i Bitcoin. Ce ne sono oltre 5.000 in circolazione, anche se in gran parte sono espressione digitale di valute tradizionali. I rischi connessi alla crescita tumultuosa e senza regole aumentano soprattutto ora che, durante la pandemia, è cresciuta la capacità di mettere da parte i soldi delle famiglie italiane, con un saggio di risparmio rispetto al reddito disponibile salito del 50 per cento. Ma con un rendimento prossimo allo zero. «La mia diagnosi è per alcuni un’apertura alla tecnologia blockchain, per altri una chiusura. Sono vere entrambe le interpretazioni. Un’apertura perché il Genio è uscito dalla lampada informatica, non puoi farlo rientrare e bisogna perciò trovare una forma di convivenza a livello normativo. La storia insegna che le innovazioni tecnologiche vengono sempre ostacolate, ma esse finiscono con l’imporsi, soprattutto se portano beneficio. Una chiusura perché se le innovazioni vengono usate per creare monete private, le cryptocurrency, mi sono dichiarato contrario sulla base di argomenti scientifici. La moneta può essere solo pubblica, ossia emessa da Stati sovrani, se si vuole godere dei benefici di essere serbatoio di valori stabili e strumenti liberatori dei debiti tutelati dalla legge. È stato detto che non è compito della Consob, tanto meno del presidente, sottolineare questi aspetti monetari della finanza, ma ignorano il fatto che i titoli di credito sui quali le autorità vigilano sono denominati in una moneta sovrana per godere della protezione legale; sollecitare la soluzione del problema delle cryptocurrency è perciò di sua competenza».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Lorenzo 
Titolo: Libia, la (nuova) conferenza spera nell’asse Roma-Parigi
Tema: Libia

Si tiene a Berlino, ma si fonda soprattutto sulle capacità di cooperazione tra Roma e Parigi, la speranza europea di poter pesare sulla realtà libica. Questa una delle novità che caratterizzano la Conferenza sulla Libia prevista per oggi (la seconda nella capitale tedesca, la precedente si era svolta nel gennaio 2020). Le recenti intese tra Italia e Francia sono determinate soprattutto dalla disillusione del presidente Macron nei confronti di Khalifa Haftar. Se infatti il governo francese aveva scelto sin dal 2014 di sostenere il capo militare della Cirenaica, rompendo così l’unità europea a favore del governo di Tripoli voluta dall’Onu e appoggiata dall’Italia, proprio la sterzata di Macron facilita un comune approccio europeo. E ciò riceve anche la benedizione americana con la presenza di Antony Blinken, prima tappa del tour europeo del segretario di Stato che lo porterà anche a Roma il 28 del mese per partecipare alla conferenza contro la rinascita di Isis. Pur con queste premesse, la strada della pacificazione libica resta tutta in salita. A ben vedere, questo summit appare complicato come i precedenti, compreso quello di Palermo nel novembre 2018. Domina l’incertezza. A dettare le regole del gioco sul terreno sono ancora in larga parte Russia e Turchia, assieme ad Egitto ed Emirati. Negli ultimi tempi sono soprattutto i mercenari russi a rilanciare l’offensiva delle truppe di Haftar nel Fezzan, sollevando non poche preoccupazioni tra le milizie di Tripoli e Misurata. La Conferenza di Berlino vorrebbe dunque elaborare in particolare il piano di evacuazione dei mercenari sotto l’egida dell’Onu e preparare le elezioni previste per il 24 dicembre.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Audino Uski – Semprini Francesco 
Titolo: Migranti, la strategia di Ankara sulla Libia far saltare le elezioni per salvare i contratti
Tema: Libia

Rischia di partire già zoppa la Conferenza di Berlino sulla Libia. Un anno e mezzo dopo l’incontro del gennaio del 2020, oggi i ministri degli Esteri europei, americano e dei Paesi nordafricani coinvolti nel dossier libico, si incontrano nella capitale tedesca. La stabilità del Paese – con il piano di traghettare il governo Dbeibah alle elezioni del 24 dicembre – e il dossier migranti si intrecceranno anche domani al Consiglio Ue dove nella bozza di conclusioni sono entrati anche Sahel e Libia dopo le pressioni del governo italiano. Il primo elemento di rottura arriva dal governo Dbeibah, rivelano fonti libiche, secondo cui non ci sono le condizioni di sicurezza per garantire il processo elettorale. Posizione questa dettata anche da interessi politici dello stesso governo transitorio e frutto di una regia dietro le quinte della Turchia. «Le elezioni non sono viste di buon occhio da Ankara» racconta l’analista libico Mustafa Fetouri. «Gli accordi con il Gna sono importanti per Ankara e tenere le elezioni potrebbe portare alla loro cancellazione, in particolare dell’accordo marittimo» ma «preferirebbe che il sabotaggio provenisse da attori locali». Anche il premier libico Dbeibah non ne è entusiasta visto che le norme attuali gli impedirebbero di ricandidarsi e dilazionarle sarebbe un modo di rimanere in carica. Del resto non è un segreto per nessuno che l’uomo d’affari di Misurata, alla guida del governo transitorio di unità nazionale, e il governo di Ankara siano molto vicini. Americani e Italia spingono invece perché la strada verso il voto non cambi. «È l’unico modo – spiega il consulente strategico Daniele Ruvinetti – per fare uscire i russi dal terreno e avere un governo stabile e legittimo darebbe agli Usa la possibilità di far valere il loro peso diplomatico per mandare via tutte le truppe straniere».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tito Claudio 
Titolo: Migranti, l’Ue rinvia l’intesa all’autunno Resta il nodo sui ricollocamenti
Tema: Migranti

Un passo avanti ma anche uno indietro. Per ora sull’emergenza migranti l’Europa non riesce ad uscire dallo stallo che la accompagna da diverso tempo. Anche in vista del Consiglio europeo di domani, infatti, la bozza di documento finale non assume ancora una linea definitiva e soprattutto concludente. In particolare rispetto alle urgenze che attanagliano da anni Paesi di confine come l’Italia. Il governo italiano ha di certo ottenuto che l’Ue prendesse coscienza di quel che sta accadendo ai limiti meridionali dell’Unione. E per la prima volta in maniera esplicita – almeno nella dichiarazione ancora in fase di preparazione – si accoglie la necessità che gli accordi con i Paesi da cui partono i migranti debbano essere siglati non dai singoli Stati europei ma dall’Unione stessa. La «dimensione esterna», una sorta di accettazione che il cosiddetto “Modello Turchia” pub essere utilizzato anche in altre occasioni e in altre contesti. Il passo indietro, però, riguarda i tempi. Perché tutto questo viene rinviato al prossimo autunno. Quando, cioè, l’emergenza migranti avrà esaurito buona parte dei suoi effetti estivi. Perché come noto il flusso più consistente si registra con il bel tempo e con il mare calmo. «Saranno intensificati i partenariati e la cooperazione – si legge nel documento – come parte integrante dell’azione esterna dell’Unione europea». Ma il comma successivo prevede, appunto, l’invito alla Commissione e all’Alto Rappresentante (il ministro degli Esteri dell’Unione) «a presentare piani d’azione per i Paesi di origine e transito nell’autunno del 2021». Il punto rimane, dunque, sempre lo stesso. I 27 non riescono per ora ad assumere una linea comune sulla gestione della migrazione e sui cosiddetti ricollocamenti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fatiguso Rita 
Titolo: La Cina risponde al G7 tra arresti a Hong Kong e pressione su Taiwan
Tema: Cina

La Cina, il convitato di pietra del G7 di Carbis Bay, ha i riflessi pronti e ha risposto all’offensiva allargata dei 30 Paesi della Nato per i quail il nuovo “nemico” dell’Occidente è Pechino, la cui ambizione va tenuta a bada. La legge sulle contro-sanzioni inflitte da Stati stranieri, i 28 aerei da combattimento che violano lo spazio militare di difesa di Taiwan e Taipei che schiera la contraerea, il pugno di ferro sull’editoria a Hong Kong in nome della nuova legge sulla sicurezza, tutti fronti che il Governo di Pechino considera contrassegnato da “questioni interne” sulle quali nessuno può e deve interferire. Il mondo è entrato ufficialmente nell’era della rappresaglia, una catena di ritorsioni senza fine. Colpisce, infatti, in meno di due settimane, l’escalation dopo le conclusioni finali del G7 e del Summit dell’Alleanza atlantica. Era dal 1979, del resto, l’anno che sancì il riconoscimento della Repubblica popolare cinese a scapito di Taiwan in funzione anti-Urss che Washington non si sbilanciava così tanto nei confronti di Taipei. A Hong Kong, nel frattempo, è svanita la sensazione che il nuovo quadro giuridico determinato dalla legge sulla sicurezza nazionale potesse garantire nelle intenzioni di Pechino più stabilità all’ex colonia britannica. Illusione che si è infranta contro la politica di Xia Baolong, il funzionario di ferro mandato dal febbraio del 2020 a guidare l’ufficio di Hong Kong e Macao del Consiglio di Stato per domare Occupy central e i capi della rivolta, Joshua Wong, Benny Tai e Jimmy Lai, arrestati, processati e condannati. «Solo i patrioti possono governare Hong Kong, la nuova legge approvata a marzo va applicata», e così Apple Media del tycoon Jimmy Lai, che edita Apple Daily, dopo l’irruzione nel quartier generale rischia la chiusura, i beni sono sotto sequestro, non può operare.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: “Roma con Pechino sulla Via della seta” Di Maio però smorza la versione cinese
Tema: Cina

«La Cina è disposta a lavorare con l’Italia per intensificare la comunicazione strategica, consolidare la fiducia reciproca e liberarsi di tutte le distrazioni». Dopo la telefonata dell’altra sera con il suo collega italiano Luigi Di Maio, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha voluto rilasciare un comunicato molto positivo. Perfino troppo, tanto da mettere quasi in imbarazzo la diplomazia italiana, che aveva ricevuto la richiesta della telefonata come un normalissimo passo fra due paesi che appartengono a blocchi politici diversi, ma che hanno sempre collaborato serenamente. Della telefonata con Wang, la Farnesina aveva dato notizia con un tweet, in cui venivano ricordati i 3 argomenti che all’Italia interessava ricordare: si è parlato di collaborazione bilaterale, dei prossimi lavori del G20 ma anche di diritti umani. L’ultimo tema è stato escluso fra quelli menzionati dal capo della diplomazia cinese, che invece ha fatto citare l’iniziativa della “Belt e Road” avviata ai tempi del governo Conte ma che da tempo sembra essersi insabbiata, e non solo per un nuovo parere politico italiano, ma anche per oggettive limitazioni finanziarie alla possibilità di intervento cinese. Un tema che – secondo fonti della Farnesina – non sarebbe entrato nella telefonata fra i due ministri. Il ministro Wang nel comunicato ha fatto scrivere che «Pechino è disposta a condurre scambi più stretti ad alto livello, facilitare gli scambi di personale e promuovere la costruzione congiunta di Belt and Road con l’Italia». Il vero motivo sia della richiesta della telefonata che del tono del comunicato si intuisce però in un altro passaggio, quando il ministero cinese auspica che l’Europa «aderisca all’autonomia strategica, pratichi un vero multilateralismo e promuova la stabilità e lo sviluppo a lungo termine» delle relazioni con la Cina.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Veronese Luca 
Titolo: Euro 2020: la guerra del calcio sullo stadio per la finale – Johnson contro Roma e Berlino: «60mila spettatori a Wembley»
Tema: Euro 2020

Il governo britannico ne è certo: la fase finale dell’Europeo di calcio si giocherà allo stadio a Londra, come previsto. «Lo stadio di Wembley – rilancia il premier Boris Johnson – sarà riempito con 60mila spettatori». Mario Draghi e Angela Merkel continuano tuttavia ad avere dubbi: la variante Delta del coronavirus sta infatti facendo aumentare in modo preoccupante i contagi in tutto il Regno Unito. E in molti ricordano come nel febbraio del 2020, all’inizio della pandemia, il match di Champions League tra Atalanta e Valencia, giocato a Milano, abbia spinto la diffusione del Covid. La questione, nonostante le conferme dell’Uefa, non è ancora chiusa. E Johnson – riporta la stampa inglese – è arrabbiatissimo, quasi che quello dei leader europei continentali fosse un attacco diretto al suo governo. È solo l’ultima polemica per l’eccentrico premier britannico che ha attraversato la pandemia senza freni, partendo dalle certezze negazioniste, dall’immunità di gregge, prima del ravvedimento di fronte ai dati sempre più gravi sui malati e i morti, fino alla campagna record dei vaccini, che sembrava risolutiva ma che ancora non ha sconfitto il virus: la variante Delta, quella documentata per la prima volta in India, ha fatto aumentare i contagi del 30% nelle ultime settimane, fino agli 11.625 casi registrati ieri (su oltre un milione di tamponi). Al vertice di Berlino, sull’ipotesi di spostare la finale a Roma, Draghi aveva detto: «Lavorerò perché si giochi in un Paese dove i nuovi contagi non sono in aumento». Ieri Angela Merkel ha detto di confidare «nel senso di responsabilità dell’Uefa» pervalutare l’opportunità di «riempire gli stadi in un Paese dove sta avanzando la variante Delta». E l’Uefa ha dato il via libera, complimentandosi con Londra per la decisione di aumentare gli accessi a Wembley, perle semifinali e la finale dell’u luglio. «Questo torneo – ha detto il presidente dell’Uefa, Aleksander Ceferin – è stato un faro di speranza per rassicurare le persone che stiamo tornando a una vita più normale».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bufacchi Isabella 
Titolo: Cdu e Verdi, su tasse e debito programmi (ancora) lontani
Tema: Germania

La torta, e cioè le risorse disponibili nelle casse dello Stato generate dalle tasse per finanziare nuovi investimenti e nuova spesa pubblica, sarà più piccola dopo la crisi pandemica e rispetto ai dieci annidi crescita pre-Covid. Di conseguenza anche la spartizione delle fette della torta trai par- titi della prossima coalizione di governo, dopo la chiamata alle urne del 26 settembre, sarà più complicata e più conflittuale del solito. È questa la premessa non scritta del manifesto elettorale di Cdu-Csu e Die Grünen. All’apparenza gli obiettivi sono tutti in comune: entrambi promettono innovazione, modernizzazione, digitalizzazione, crescita sostenibile e neutralità climatica raggiunta tutelando le classi meno agiate, Pmi, famiglie. Tuttavia i programmi elettorali di Unione cristiano-democratica e Verdi, i più gettonati per la formazione del prossimo governo – il primo nero-verde nella storia della Germania – divergono fortemente sul modo in cui intendono reperire le risorse in Germania e in Europa per finanziare tante promesse. Differenze sostanziali emergono su tasse, debito pubblico, bond e regole europee, Bce e Unione bancaria, sul cambiamento climatico. Quel che conta dopotutto non sarà íl singolo programma elettorale ma il contratto di governo finale firmato dai partiti che formeranno la nuova coalizione. E la coperta del compromesso nero-verde rischia di essere veramente corta.
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***ciro/

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