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SINTESI IN PRIMO PIANO – 22 maggio 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Il M5S contesta la gestione della crisi in Lombardia
– Caso Gregoretti. Salvini: le toghe contro di me
– Cassa integrazione, boom ad aprile: +2.953%
– BTp Italia record: oltre 22 miliardi
– Gli Usa abbandonano il trattato Open Skies
– Cina, un nuovo giro di vite sull’autonomia di Hong Kong

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Attacco M5S alla Lombardia – I 5 Stelle contro la Lombardia Urla e proteste, caos alla Camera
Tema: il M5S attacca la Lombardia

Torna il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in Parlamento, ma ad accendere lo scontro sono le parole di fuoco del 5 Stelle Riccardo Ricciardi. Un attacco violento contro la gestione lombarda (e quindi leghista) del virus che provoca la reazione furibonda delle opposizioni, tanto che il presidente della Camera Roberto Fico è costretto a interrompere la seduta per venti minuti, mentre volano insulti e pugni sui banchi, con tanto di microfoni rotti. Ricciardi, piglio sarcastico e barba luciferina, inizia il suo intervento con un attacco paradossale al presidente del Consiglio, che in realtà è una difesa, che si conclude con un gancio per la seconda parte del discorso: «Conte è arrivato in ritardo di venti minuti alle conferenze stampa. L’assessore lombardo Gallera, invece era sempre puntuale. Lui che ha costruito un ospedale in Fiera con 21 milioni di euro per 25 pazienti. Ecco il modello lombardo, ecco come sono stati spesi i soldi dei cittadini». L’intervento ha una sua efficacia retorica, che forse anche per questo provoca il finimondo tra banchi della Lega. Alcuni deputati scendono dall’emiciclo e si dirigono verso Ricciardi. Un deputato fracassa un microfono con un pugno, volano le sedie. Fico sospende la seduta. Alla ripresa Riccardo Molinari, capogruppo della Lega, spiega che quello è stato «uno dei momenti più bassi della storia repubblicana» e che «non si specula sui morti». Sono in molti, compresi Mariastella Gelmini (FI) e Giorgia Meloni (FdI) a chiedere al premier di dissociarsi. Matteo Salvini, dal Senato, parla di «insulto ai lombardi» e definisce Ricciardi un «ominicchio». Dal centrosinistra non si gradiscono molto i toni dei 5 Stelle. Il ministro dem Roberto Speranza, interpellato da un furibondo Giancarlo Giorgetti (Lega), replica: «Hai ragione, cosa ti devo dire». Federico Fomaro di Leu spiega che «non si specula sui morti», anche se poi aggiunge che bisogna indagare sulla gestione delle regioni. Andrea Orlando, Pd, scrive: «Risultato dell’intervento incendiario del collega del M5S alla Camera: peggiorare il clima in vista della conversione di decreti fondamentali per il Paese, ricompattare le opposizioni e rafforzare le opposizioni più estreme della destra. Ne valeva la pena?».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Rossi Giampiero 
Titolo: «Fanno sciacallaggio di fronte alle tragedie» Così la Regione respinge ogni accusa
Tema: il M5S attacca la Lombardia
«In un Paese civile di fronte alle tragedie la politica dovrebbe unirsi, non fare sciacallaggio».. La voce è quella dell’assessore al Welfare Giulio Gallera, ma la frase riproduce — in sostanza — il pensiero circolato ieri in tutto Palazzo Lombardia. Il presidente Attilio Fontana non vuole commentare la gazzarra parlamentare innescata dalle parole del deputato grillino Riccardo Ricciardi, che è tornato ad attaccare sul tema dell’ospedale in Fiera. «Intanto ha fatto una pessima figura, anche agli occhi dei suoi elettori perché ha mostrato di non sapere nemmeno che quella struttura non è stata realizzata con soldi pubblici ma con donazioni private — commenta il vicepresidente della Lombardia, Fabrizio Sala — e poi gli ricorderei che fino al 21 febbraio la sanità di questa regione ha curato migliaia di pazienti provenienti da tutta Italia e che dal 22 febbraio sta facendo ogni sforzo per curare tutti i cittadini, quelli che hanno votato Movimento cinque stelle». Nel suo ufficio al trentacinquesimo piano, parlando con i suoi collaboratori il presidente Fontana evoca l’invito del capo dello Stato a separare la politica dal dovere di coesione di fronte all’emergenza. Indirettamente, a sostenere pubblicamente la sua posizione, è il collega dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini: «Credo che gli italiani, più che un teatrino in cui la politica si insulta, vorrebbero vedere delle risposte ai loro problemi», è il suo commento alla rissa della Camera ai microfoni di Tagadà su La7.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 Economia & Società – La Lombardia diventa arma di lotta tra partiti
Tema: il M5S attacca la Lombardia

Quell’attacco del deputato dei 5 Stelle Ricciardi contro la Lombardia – e su cosa non ha funzionato nell’emergenza Covid nella sanità regionale — sembrava costruito appositamente per mettere a tacere o quantomeno replicare aspramente agli argomenti dell’opposizione. A chi critica i decreti e i ritardi burocratici, i soldi non arrivati, i sussidi a pioggia, le tentazioni stataliste. La Lombardia, insomma, diventa l’argomento da contrapporre agli assalti contro il Governo anche se lì si è consumata la tragedia italiana. Sarà inevitabile mettere a fuoco le responsabilità ma non era certo quello il luogo, il modo e il momento. Fatto così, nell’Aula della Camera, suscitando una rissa – nonostante la mano tesa del premier alle opposizioni – è sembrato un colpo a freddo. Una mossa studiata che tradisce un’ansia della maggioranza di difendersi e far sentire spalle al muro i partiti che governano nelle regioni del Nord. Ecco, guardare solo verso Milano è un modo anche per non guardare a Roma. Alla fine aveva ragione il deputato Pd Orlando che in un tweet ha scritto che l’intervento grillino così aggressivo è stato solo controproducente e ha ottenuto l’effetto di ricompattare il centro-destra, di rafforzare l’ala più estremista dell’opposizione e di farlo nel momento in cui in Parlamento si dovranno convertire una serie di decreti. E in effetti Salvini non è stato fermo ma ha subito cercato una ribalta più alta. Ha fatto sapere di aver chiamato Sergio Mattarella che lo ha ascoltato – e che in cuor suo non può che essere amareggiato per lo scontro aspro di ieri e soprattutto gli ha parlato della questione a cui tiene di più, quella processuale che lo attende a Catania.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: La Nota – Un attacco scomposto che certifica un M5s diviso
Tema: il M5S attacca la Lombardia

Cè un eccesso di virulenza, nel modo in cui ieri il Movimento Cinque Stelle ha «chiamato» in Parlamento la Lega alla rissa, attaccando la sanità in Lombardia. Ha toccato il nervo doloroso delle vittime del coronavirus, scatenando reazioni prevedibili. A essere benevoli, quanto è successo è solo figlio dell’istinto polemico e rozzo del parlamentare grillino autore dell’attacco. A essere maliziosi, risponde alla volontà di tracciare un solco tra maggioranza e opposizione; e di blindare il governo in una coalizione nella quale il protagonismo del M5S cerca di riproporsi nel modo più chiassoso. Forse si tratta di entrambe le cose. Ma sa molto di esorcismo contro la paura di un declino palpabile. Riflette una situazione fuori controllo e il tentativo di ricompattarsi contro spinte centrifughe latenti. Dopo l’ostacolo superato col no alla sfiducia al Guardasigilli, Alfonso Bonafede, il Movimento si conferma il protagonista caotico di questa fase. L’insistenza del leader Vito Crimi sulla «compattezza» del M5S rivela quale sia la preoccupazione maggiore. Alla sua tenuta è legata quella di Palazzo Chigi, finora uscito indenne non solo dalle incursioni dell’alleato di Italia viva e delle opposizioni, ma dalle convulsioni grilline. Il premier Giuseppe Conte ha respinto l’accusa di avere approvato l’attacco in Parlamento alla sanità lombarda, ma non ha preso le distanze: non può smarcarsi da chi lo ha indicato come premier.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Intervista a Giancarlo Giorgetti – Lo sfogo di Giorgetti: «Chiedono collaborazione e provocano sui morti»
Tema: il M5S attacca la Lombardia
 «Ma chi è questo Riccardo Ricciardi? Perché mi tira in ballo? E come si permette di parlare della Lombardia? Poi dici che uno gli mette le mani addosso». Giancarlo Giorgetti sbuca dall’aula della Camera alle dieci del mattino, mascherina sul viso e nuovo look con barba e capelli lunghi. E una furia, grida che «così non si può fare», vede Roberto Speranza che parla con il collega di Leu Nico Stumpo nel mezzo del Transatlantico di Montecitorio e va loro incontro, come a chiedere aiuto: «Tira male, io ve lo dico. Qui finisce male. Qualcuno deve metterli in riga questi dei Cinque Stelle, perché una roba del genere è inconcepibile. Coi morti che ci sono stati…».Giorgetti attacca: «Non si può chiedere collaborazione alle opposizioni e poi venire qui a provocarci sui morti». La seduta, sospesa per rissa, riprende. Prima di entrare in aula Giorgetti si blocca sulla porta: «Prendere per il c… sui morti, anche no». Alle quattro del pomeriggio il numero due della Lega sta per infilarsi in macchina alle spalle di Palazzo Madama, dove il presidente Conte è appena andato via dopo l’informativa al Senato. Onorevole Giorgetti, in aula gliene ha gridate di tutti i colori a Ricciardi. Anche parole non molto eleganti… Com’è finita? Ha fatto pace coni Cinque Stelle? «Io mi sono chiarito con il capogruppo Davide Crippa». E con Luigi Di Maio in cortile cosa vi siete detti? Gli ha chiesto di richiamare all’ordine Ricciardi? «Con Di Maio io vado sempre d’accordo». Sta scherzando o dice sul serio? «No, non sto scherzando». II ministro degli Esteri ha compreso perché vi siete infuriati tanto con Ricciardi? «Tutti han capito. Questi ragazzi qua li bombano… A quello gli parlavi, ma era come se non sentisse. Andava per conto suo». Teme che possano accendersi tensioni sociali? «Io dico che questi attacchi non aiutano nessuno. Io sono uno che si è speso e non voglio fare processi al governo regionale (della Lombardia, ndr), perché tutti possono sbagliare. Però farlo in quel modo, in una situazione di questo tipo, proprio non ha senso».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cazzullo Aldo 
Titolo: La lezione del 1946 ignorata – La lezione del 1946 che oggi è ignorata
Tema: 2 giugno e ricostruzione
L’idea del centrodestra di scendere in piazza contro il governo, nel giorno della festa della Repubblica e con una pandemia in corso, non era una grande idea. Già il Paese è ripartito alla cieca, senza un piano di test e tamponi, senza tracciamento digitale, senza neppure un’adeguata scorta di mascherine (almeno a prezzo «calmierato»). Ci mancava solo un esperimento di massa; come se fosse possibile organizzare una grande manifestazione senza creare assembramenti, anche solo sui mezzi di trasporto. Ora pare che Salvini l’abbia derubricata a un «presidio di parlamentari». Vedremo. Questo non significa che scarseggino ragioni per protestare contro il governo. La mole dei decreti appare inversamente proporzionale alla loro efficacia. Mancano sia la liquidità oggi, sia il grande progetto nazionale per far ripartire l’economia domani. Basta fare qualche telefonata agli imprenditori del Nord: tra i ritardi dello Stato nel garantire la cassa integrazione, e i ritardi delle banche locali nel far arrivare i finanziamenti, tutti sono alle prese con il drammatico problema di pagare stipendi e fornitori. Di piani per salvare l’occupazione non si vede l’ombra. Altro che Ricostruzione come dopo la guerra. Eppure il 2 giugno è anche l’occasione per rivolgere uno sguardo alla nostra storia. A maggior ragione quest’anno, in cui giustamente i giardini del Quirinale resteranno chiusi e non sfileranno militari sui Fori. Nella primavera del 1946, alla vigilia del referendum da cui nascerà la Repubblica italiana, la commissione economica del ministero per la Costituente convoca i capitani d’azienda, per ascoltare la loro visione dello sviluppo del Paese. E’ quello spirito del tempo che va recuperato. Siamo alla vigilia di una svolta in Europa. La Germania ha ormai compreso che si deve fare debito comune; e lo farà comprendere anche all’Austria e agli altri partner recalcitranti. Arriveranno molti soldi. Il piano di intervento dell’Europa può mettere in difficoltà un sovranismo gretto e senza respiro, e può dare invece ossigeno alla produzione; a patto di non pensare di spenderlo in sussidi, che creano solo dipendenza dalla politica
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lauria Emanuele 
Titolo: Governo: election day il 13 e 14 settembre Ma l’ipotesi spacca anche la maggioranza
Tema: election day
Il governo cala a sorpresa la carta dell’election day le amministrative, le Regionali, il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari e le suppletive per Camera e Senato in un’unica tornata. E la data indicata è quella del 13 e del 14 settembre. La fornisce, in commissione Affari costituzionali della Camera, il sottosegretario agli Interni Achille Variati. Una soluzione verso la quale, sottolinea Variati, spinge un organismo non politico: «Abbiamo interpellato il comitato tecnico-scientifico e ci è stato detto che l’infezione si osserva in aumento con le basse temperature. Viene suggerito – dice Variati – che il diritto-dovere di voto si compia all’interno del mese di settembre, sia per il primo che per il secondo turno». L’andamento del Covid e la paura della risalita dei contagi in autunno orientano la scelta di far celebrare insieme le diverse competizioni e consigliano anche il periodo del loro svolgimento. Il premier Giuseppe Conte conferma: «Si sta lavorando a questa possibilità». Conte auspica una «soluzione condivisa» ma l’election day a metà settembre, con una campagna elettorale in piena estate e il termine per la presentazione delle liste a cavallo di Ferragosto è una prospettiva inedita che non piace all’opposizione, a un pezzo della maggioranza e ad alcuni governatori. Si lamenta Italia Viva: «Rischiamo una campagna elettorale non degna di questo nome», dice il deputato Marco Di Maio. Il problema, in questo caso, è anche che i renziani, al debutto sul proscenio elettorale, avrebbero tempi stretti per la raccolta delle firme. Problema segnalato anche da Angelo Bonelli (Verdi) e Benedetto della Vedova (+ Europa) che parlano di «attacco alla democrazia». In realtà, il governo ha proposto ieri anche di anticipare la scadenza per la presentazione delle liste e di dimezzare il numero delle firme necessarie.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Magri Ugo 
Titolo: Retroscena – Salvini teme i giudici e chiama Mattarella “Toghe contro di me”
Tema: caso Gregoretti

Matteo Salvini sente il cerchio stringersi. Teme l’offensiva contro la Lega in Lombardia, ma soprattutto avverte un brutto clima giudiziario sulle vicende che lo riguardano personalmente. Il 4 luglio dovrà presentarsi a Catania per il caso Gregorettie, se il Senato darà il via libera, l’ex ministro dell’Interno verrà chiamato a rispondere pure per la Open Arms. Coglie una certa fretta di giudicarlo, né si attende dai giudici un trattamento di favore, semmai sospetta che qualcuno voglia approfittame per farlo politicamente fuori a colpi di condanne. Ieri mattina ha trovato su «La Verità» una conferma dei suoi incubi: le intercettazioni di alcune chat in cui l’ex grande manovratoredell’Anm, Luca Palamara, parlava mesi addietro del «Capitano» e di come andasse fermato. Raccontano alla Lega: «Matteo ci è rimasto malissimo, perché un conto è immaginare certe manovre, altra cosa trovarsele nero su bianco». In realtà, era proprio l’occasione che Salvini andava cercando per tentare di rompere l’assedio. Ha alzato il telefono e ha protestato direttamente con il capo dello Stato, nella sua veste di presidente del Csm. Non è la prima volta che Salvini si rivolge al Quirinale, anzi ormai è diventata quasi una consuetudine. Due mesi fa, ad esempio, aveva chiamato il Colle per denunciare l’atteggiamento di chiusura del premier. Stavolta ha manifestato a Sergio Mattarella viva preoccupazione sullo stato dell’economia italiana. Gli ha espresso amarezza per gli attacchi contro la gestione della sanità lombarda. E poi è arrivato al Pubblicate alcune intercettazioni di Palamara II Capitano: “Una strategia per attaccarmi” Salvini teme i giudici e chiama Mattarella “Toghe contro di me” dunque: quelle chat di Palamara sono inaccettabili, prefigurano un atteggiamento persecutorio. L’ha messo nero su bianco pure in una lettera preannunciata a Mattarella durante il colloquio e che, tempo pochi minuti, il Quirinale si è ritrovato sulle agenzie di stampa. Non si hanno notizie della risposta di Mattarella. Il Quirinale, particolarmente asciutto anche rispetto ai suoi soliti standard, si limita a confermare: la telefonata c’è stata e stop.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ziniti Alessandra 
Titolo: Salvini a Mattarella “Toghe contro di me” Il giudice: “Avrà un processo giusto”
Tema: caso Gregoretti

«Non si preoccupi il senatore Salvini. Avrà un processo giusto, sereno e imparziale. Io sono un magistrato al di sopra di ogni sospetto e con Palamara non ho mai avuto nulla a che spartire. E quelle conversazioni sono una vergogna». Il presidente dei gup di Catania Nunzio Sarpietro davanti al quale Matteo Salvini comparirà il 3 ottobre per rispondere del sequestro di persona dei 131 migranti della nave Gregoretti stronca sul nascere il polverone alzato dalle chat di Luca Palamara, agli atti dell’inchiesta di Perugia, in cui diversi magistrati commentano con giudizi politici le iniziative dei pm siciliani su Matteo Salvini che ieri ha invocato l’intervento del presidente della Repubblica Mattarella. «Ad ottobre inizierà l’udienza preliminare innanzi al gup di Catania dove sono chiamato a rispondere dell’ipotesi di sequestro di persona per fatti compiuti nell’esercizio delle mie funzioni di ministro dell’Interno – scrive Salvini a Mattarella – Mi appello al suo ruolo istituzionale, quale Presidente della Repubblica e del Csm, affinché mi venga garantito, come a tutti i cittadini, il diritto ad un processo giusto, davanti a un giudice terzo e imparziale». Ci prova Salvini a cavalcare l’indignazione per il marcio che emerge dall’inchiesta sull’ex consigliere del Csm, l’uomo che tesseva la tela di nomine e promozioni negli uffici giudiziari di tutta Italia per il quale la Procura di Perugia sta per chiedere il rinvio a giudizio. Le ultime chat del telefono di Palamara pubblicate ieri da La Verità hanno fatto saltare dalla sedia Salvini alla vigilia di un altro snodo per lui molto delicato. Perché se il processo per la Gregoretti è slittato (per l’emergenza Covid) da luglio a ottobre, quello per la Open Arms si avvicina pericolosamente: dopo la sospensione per il lockdown, la giunta delle autorizzazioni a procedere del Senato tornerà a riunirsi lunedi per esprimersi sulla richiesta di autorizzazione a procedere inviata dal tribunale di Palermo e martedì è previsto il voto d’aula. «Hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo» diceva Palamara al procuratore di Viterbo Paolo Auriemma che giudicava «indifendibile» l’operato dei pm di Agrigento su Salvini: «Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori, Siamo indifendibili». Quanto basta a Salvini per chiamare Mattarella dicendosi preoccupato per «lo scenario gravissimo» che emerge da quelle conversazioni.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Zone rosse senza aiuti, Regioni in rivolta E Speranza blocca di nuovo i confini
Tema: fase due

Sull’allarme movida come fonte primaria di contagio sono tutti d’accordo. Tant’è che i sindaci si stanno già attrezzando. A Pisa la piazza a più alta concentrazione di bar e pub, obbligati come Cenerentola a ritirarsi a mezzanotte, diventa a numero chiuso. A Bari scatteranno «multe salate». A Genova «entreranno in azione i megafoni». A Bologna i vigili «disperderanno gli assembramenti». Perché è questa la novità. Dalle Alpi a Lampedusa neppure uno degli amministratori locali ha contestato l’alert lanciato dal premier Giuseppe Conte sulla necessità di intensificare i controlli e riesumare le misure restrittive qualora la curva epidemiologica dovesse risalire, magari proprio a causa dell’affollamento intorno ai locali notturni registrato negli ultimi giorni. Ciò che invece ha innescato l’ennesimo braccio di ferro tra governo e Regioni è stata l’esclusione a sorpresa delle “zone rosse” di Veneto e Campania dal fondo di 200 milioni destinato alle aree più colpite dall’epidemia. Uno stralcio, avvenuto con una correzione postuma al decreto Rilancio, che ha sollevato le proteste di Luca Zaia («È da cestinare, faremo ricorso») e Vincenzo De Luca («Sconcertante»). Presto affiancati da Luigi Di Maio, che ha chiesto un aggiustamento in sede di conversione, subito confermato dal Pd. «Le notizie che ricevo da molte prefetture sono preoccupanti, c’è troppa leggerezza, soprattutto nei contesti aggregativi come piazze e bar, che possono facilitare la trasmissione del virus, c’è il rischio di tornare indietro» ha avvertito ieri il sottosegretario all’Interno Achille Variati, anticipando la decisione del Viminale di concentrare i controlli «proprio sulla prevenzione degli assembramenti che oggi rappresentano il maggior pericolo di riaccensione del contagio».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: BTp Italia record: oltre 22 miliardi – Numeri record per il BTp Italia: 22,3 miliardi e 384.712 contratti
Tema: BTp

Agli occhi dei risparmiatori non esiste un rischio-Italia sul mercato dei titoli di Stato, ma esistono opportunità. Opportunità ovviamente innaffiate da un tasso generoso, l’1,4% confermato ieri, che può salire con il premio fedeltà raddoppiato all’8 per mille e con un’inflazione oggi quasi impossibile da prevedere con un minimo di solidità. È tutta lì la spiegazione alla base di quella che è diventata l’emissione record dei Btp Italia, terminata ieri con la sessione dedicata agli istituzionali. Che hanno mostrato un entusiasmo pari a quello delle famiglie. I piccoli investitori italiani hanno messo in questi giorni 383.966 firme in fondo ai contratti di acquisto, raccogliendo nel proprio conto titoli 13,998 miliardi di euro. Ieri la corsa è ripartita con gli operatori professionali: hanno chiesto 19,547 miliardi, ne hanno ricevuti 8,3 distribuiti fra 746 ordini di acquisto. Totale: 384.712 compratori hanno raccolto 22,298 miliardi. Giusto quanto serve a cancellare il primato dei 22,272 miliardi raccolti dal Tesoro nel novembre 2013. Anche allora la temperatura dei mercati era alta, e spingeva un tasso che all’epoca fu fissato nel 2,15% lordo annuo per un titolo a 4 anni. Ma anche allora la fase più critica appariva alle spalle, un po’ come accade in questi giorni dopo che gli scatti nel lavorio europeo sui fondi per la «ricostruzione» hanno limato di una ventina di punti lo spread fra i nostri decennali e quelli tedeschi. L’incrocio di questi fattori, insieme alla scadenza del Btp Italia numero 6 del 2014 che ha liberato a fine aprile circa 15 miliardi di euro di liquidità, ha determinato íl successo dell’operazione, che batte il precedente del 2013 anche in fatto di quota assegnata al retail: quasi il 72%, di gran lunga la più alta di sempre, contro il45,2% del novembre 2013 e il 60,9% dell’ottobre 2014 che aveva rappresentato fin qui il picco.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Goria Fabrizio 
Titolo: Il Btp Italia fa il record storico Oltre 22 miliardi per il rilancio
Tema: BTp
Alla vigilia del primo giorno di collocamento, lunedì scorso, il ministero di Via XX Settembre esprimeva un cauto ottimismo. «Ci aspettiamo circa una raccolta tra i 18 e i 19 miliardi di euro, anche a causa della volatilità del mercato», spiegava un alto funzionario del Mef. Invece, si è superato, come misura e come domanda, ogni collocamento precedente. Dal marzo 2012 a oggi ii primato apparteneva al Btp Italia del novembre 2013. Vale a dire 22,271 miliardi di euro emessi a fronte di 299.588 contratti. In questo caso, invece, sono arrivati 14 miliardi di euro dalla clientela retail, spalmati su tre giorni, e 8,3 miliardi da parte di banche e fondi d’investimento. Questi ultimi, tuttavia, hanno portato domande per complessivi 19,46 miliardi. Ma, poiché le condizione di mercato sono migliorate dal momento dell’annuncio delle agevolazioni su questo Btp Italia, il Tesoro si è limitato a infrangere di 25,7 milioni di euro il record. «La risposta degli investitori è stata positiva, quindi si è deciso di tenere un approccio cautelativo», ha rimarcato una differente fonte del Mef sotto richiesta di anonimato.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Tucci Claudio 
Titolo: Senza lavoro/1. In aprile esplodono le ore di Cig: +2.953% – Boom Cig, aprile come il 2009 Disoccupazione, richieste +37%
Tema: cig

Arriva dall’Inps la fotografia del primo vero impatto dell’emergenza sanitaria sul mercato del lavoro. E sono numeri “pesanti”. A marzo, rispetto al mese precedente, febbraio, ci sono state circa 34mila domande di disoccupazione in più. Sull’anno (marzo 2020 su marzo 2019)1e domande di disoccupazione sono cresciute dei 37,2%. Ad aprile, poi, è scattata la corsa ai nuovi ammortizzatori d’emergenza previsti dal decreto C ura Italia: tra cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e Cig inderoga sono state autorizzate qualcosa come 835,2 milioni di ore di ammortizzatore; un numero elevatissimo, se si pensa che per tutto il 2009, primo anno della grande crisi economico-finanziaria, furono autorizzate 916,1 milioni di ore (praticamente, per il Covid-19, in un solo mese, sono state richieste all’incirca le stesse ore di cassa integrazione domandate in un anno). Se si guarda alla sola Cig (senza assegno ordinario macanla Cigs) le ore autorizzate ad aprile sono state 772 milioni con un aumento del 2.953% su aprile 2019 e del 3.761% su marzo 2020.  La stragrande maggioranza delle richieste di Cig si riferisce alla durata massima di sussidio, 9 settimane, stabilita dal Cura Italia: si tratta di circa l’85% delle ore autorizzate; anche qui siamo di fronte aun dato significativo che, molto probabilmente, spiega le frizioni all’interno del governo sul rifinanziamento di questi ammortizzatori, visto che i poco più di 5 miliardi di euro stanziati con il dl 18 sono praticamente già stati tutti “prenotati”. Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Cig record, ad aprile le ore di tutto il 2009
Tema: cig

C’era da aspettarselo, ma i dati sulla cassa integrazione di aprile diffusi dall’Inps, fanno ugualmente impressione. E distruggono, per gravità, qualsiasi record. Lo scorso mese sono state chieste dalle imprese 772,3 milioni di ore di cassa integrazione. Ad aprile 2019 erano state 25 milioni. C’è stato quindi un aumento di quasi il tremila per cento, per l’esattezza del 2.953,6%. Al boom ha concorso non solo il fermo di molte attività decretato dal governo, tanto è vero che il 98% delle ore sono state autorizzate con la causale semplificata Covid19, ma anche il fatto che la cassa, per la prima volta, è stata estesa anche alle imprese con meno di 5 dipendenti. Il 63,7% delle ore di cig è stato richiesto nel Nord, il 18,4% nel Centro e il 17,8% nel Sud. Su 772 milioni di ore autorizzare quasi 618 milioni lo sono state nell’industria, 108 milioni nell’edilizia, 46 milioni nel commercio, 153 mila nell’artigianato e 506 mila nel credito, negli enti pubblici e nell’agricoltura. Le regioni che hanno fatto più ricorso alla cassa integrazione sono Lombardia (181,7 milioni di ore), Veneto (112,7 milioni), Emilia Romagna (79,7 milioni), Piemonte (70,5 milioni). Insieme con il report su tutta la cassa integrazione autorizzata ad aprile l’Inps ha diffuso un’analisi specifica sugli ammortizzatori sociali dedicati all’emergenza coronavirus, comprendente anche gli assegni ordinari richiesti dalle imprese aderenti al Fondo di integrazione salariale (Fis). In tutto le ore di sospensione dal lavoro per le quali è stato chiesto ad aprile un sussidio sono state più di 835 milioni. Un numero, sottolinea l’Inps, riferito a un solo mese, aprile appunto, che è quasi uguale a quello di tutto un anno, il 2009, anno nero per la cig, con 916 milioni di ore complessivamente autorizzate.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Amato Rosaria 
Titolo: Cassa integrazione 7 milioni in fila – Cassa integrazione record negativo in aprile con 835 milioni di ore
Tema: cig

I settori che più hanno dovuto far ricorso alla cassa integrazione, emerge dal rapporto Inps, sono le costruzioni, che ad aprile hanno registrato 134,3 milioni di ore di Cig; la fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici, 133,3 milioni di ore; la metallurgia, con 130 milioni di ore. Seguono, con circa 40 milioni di ore, tessile e abbigliamento, e il legno. Questi cinque settori assorbono il 68% delle ore autorizzate ad aprile. Per la Cig in deroga invece spiccano il settore del commercio (16 milioni di ore) e alberghi e ristoranti(12,2). Tra le Regioni in testa la Lombardia, con 170,5 milioni di ore, seguita dal Veneto (che è invece primo per la Cig in deroga) e dall’Emilia Romagna. Un terremoto, che rischia di creare un buco enorme nei conti dell’Istituto di previdenza: l’emergenza Covid, spiega infatti Guglielmo Loy, presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, ha determinato un «nuovo e preoccupante contesto socio-economico, peraltro certificato dalle stime, sulle minori entrate per oltre 17 miliardi di euro e per le maggiori uscite dal bilancio dell’Istituto di circa 18,7 miliardi». Un rosso complessivo per un totale di 35,7 miliardi che dovrà essere compensato anche dal bilancio generale dello Stato.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Boeri Tito – Perotti Roberto 
Titolo: Chi soffre merita di più – Gli ultimi meritano di più
Tema: maxi decreto del governo

Normalmente le recessioni hanno un effetto ritardato sul mercato del lavoro. Questa crisi, invece, ha avuto un impatto immediato. Lo confermano i dati sulle ore di Cassa integrazione ordinaria di aprile: 25 per cento più che nell’intero 2009. E mancano all’appello ancora le piccole imprese che faticano ad accedere alla Cassa in deroga. Per fortuna il decreto Rilancio cerca di velocizzarne le procedure, tagliando fuori le Regioni, anche se rimane il doppio passaggio – prima autorizzazione, poi elenco lavoratori coinvolti – che allunga i tempi. L’Inps potrà anticipare subito il 40 per cento della prestazione, ma ci vorrà un mese prima che le nuove procedure vengano attivate. Un secondo aspetto positivo del decreto è la regolarizzazione degli immigrati, indispensabile per riprendere il controllo del territorio, ridurre il rischio di focolai infettivi legati alla clandestinità e contribuire a gestire picchi di domanda di lavoro. Riguarda però solo un terzo delle persone presenti in modo irregolare in Italia. Positivo anche lo stanziamento di fondi per la sanità, anche se tutto dipenderà da come verranno effettivamente spesi. Purtroppo però il decreto va ben oltre, e finisce in un vero e proprio assalto alla diligenza incontrollato. Del resto, quando un decreto è lungo 315 pagine, con 266 articoli e 99 decreti attuativi, si sa già che ci finirà dentro di tutto. Da solo il decreto aggiunge 55 miliardi di disavanzo, 113 per cento del Pil, come le ultime tre finanziarie messe Insieme. Di fatto ci siamo già mangiati i soldi che (forse) ci arriveranno dal Recovery Fund europeo. Un terzo del decreto finanzia ammortizzatori sociali categoriali: altri cinque bonus (per lavoratori intermittenti, stagionali non del turismo, lavoratori dello spettacolo, venditori porta a porta e badanti) che si aggiungono ai cinque pre-esistenti. Per ogni categoria che viene coperta, inevitabilmente ce ne sono dieci che si sentono “ingiustamente” escluse: ad esempio i liberi professionisti (architetti, ingegneri, avvocati e commercialisti in primis), sono già sul piede di guerra.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dominelli Celestina 
Titolo: Cdp, dividendo da 2,1 miliardi
Tema: Cdp

ll ministero dell’Economia e le fondazioni bancarie, azioniste di Cassa depositi e prestiti, portano a casa un sostanzioso dividendo a valle dell’assemblea dei soci con cui ieri il gruppo guidato da Fabrizio Palermo ha chiuso il cerchio attorno al bilancio 2019. Dall’assise è infatti arrivato il disco verde ai risultati 2019 che sono andati in archivio con un utile netto di 2,7 miliardi, a fronte del quale la spa di Via Goito ha disposto la distribuzione di un dividendo pari a 2,1 miliardi. Per il Tesoro, che ha in portafoglio l’82,77% del capitale, la Cassa staccherà dunque un assegno da 1,78 miliardi, mentre alle fondazioni (che detengono il 15.93% dell’azionariato) andranno 343 milioni. Un ricco bottino che, va detto, i due soci di Cdp erano riusciti a garantirsi anche lo scorso anno, anche grazie all’extradividendo distribuito dal gruppo. A chiusura dei conti 2018, a fine maggio, Cdp aveva infatti deliberato una cedola da 1,5 miliardi, di cui 1,3 miliardi attribuiti al dicastero di Via XX Settembre e 250 milioni ai soci di minoranza. Con la distribuzione del dividendo deciso da Cdp, sfiorai 3 miliardi circa l’ammontare complessivo delle cedole che il Tesoro ha finora incassato anche dalle altre sue partecipate più importanti (Enel, EM, Poste Italiane, Enave Leonardo) che hanno già celebrato le loro assemblee degli azionisti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Perrone Manuela 
Titolo: Conte: ora semplificazioni per far ripartire l’Italia – Conte: ora semplificazioni per far ripartire l’Italia
Tema: il discorso del premier alla Camera

Giuseppe Conte difende la fase i del lockdown, «la scelta giusta, l’unica in grado di contrastare il diffondersi dell’epidemia sull’intero territorio nazionale». Lancial’alert per una fase 2 responsabile, perché «non è ancora il tempo dei party, delle movide e degli assembramenti», e rassicura sugli strumenti di monitoraggio in campo: da lunedì cominceranno i test sierologici gratuiti per 150mila cittadini, «a giorni la app» e 5 milioni di kit con reagenti per effettuare più tamponi. Ma soprattutto annuncia «La madre di tutte le riforme» per «riattivare il motore della nostra economia provata da due mesi di restrizioni e anche dal crollo generalizzato della domandaglobale»: quel nuovo decreto legge in cottura, stavolta a Palazzo Chigi e non a Via XX Settembre, «dedicato alla semplificazione e burocatica» che «introdurrà molti elementi di novità per fornire all’Italia uno shock economico se nzaprecedenti, in particolare nel settore delle infrastrutture». Conte sa che sul prossimo provvedimento economico si gioca la ripartenza dell’Italia e del suo Governo, anche perché ha ben presenti le falle dei precedenti decreti. «Sostegno non è un obiettivo incompatibile con quello di rilancio», dice in Aula respingendo le accuse di assistenzialismo rivolte all’ultima manovra. E riconosce «la sofferenza che cresce nel Paese» tra imprenditori, commercianti e lavoratori.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Intervista a Giuseppe Conte – Conte: Il Mes? Non è la soluzione – Conte stoppa il Mes: «Non è una soluzione Italia viva e i cantieri, sì al piano choc»
Tema: Conte sul Mes
Colloquio a tutto campo con il premier Conte. La soddisfazione per gli aiuti dell’Europa. II no forte e chiaro ai 37 miliardi del Mes: «Non è una soluzione». L’election day il 13 e 14 settembre: «Ci si sta lavorando, ma è una questione che va concordata anche con le Regioni e deve essere condivisa con tutti». E Matteo Renzi, l’alleato ritrovato. «Quella di sostenere il governo è stata una decisione importante» si mostra sollevato il presidente del Consiglio, che mercoledì con i voti di Italia viva ha schivato la sfiducia al ministro Bonafede. E adesso, la maggioranza è compatta? «Adesso si può progettare un percorso comune per quanto riguarda i temi». E qui Conte conferma l’esito positivo delle trattative per un maggior peso dei renziani nel governo. In aula ha aperto al piano choc di Renzi sui cantieri e ora conferma il sì «ai cantieri, al piano choc, al family act, temi che ci stanno a cuore». Eppure Conte smentisce rimpasti. Per Conte il raccordo sui 500 miliardi del Recovery fund è una «svolta importante», che gli consente di dire no al Mes tanto inviso ai 5 Stelle: «La Germania ha fatto un passaggio di portata storica. Accetta la logica del debito comune europeo e addirittura accetta la proposta condivisa con la Francia, che ci siano contributi a fondo perduto fino a 500 miliardi». Il vantaggio, sottolinea il premier, è che questi soldi sono costruiti con un debito comune europeo che verrà spalmato su quasi trent’anni: «Un passaggio epocale. La posizione mia è che si può essere ancora più ambiziosi». Farete a meno del fondo salva-Stati? «Il Mes non è il mio obiettivo anche per una questione di consistenza, al di là delle condizionalità e delle sensibilità politiche interne. Non è una soluzione». E a chi gli fa notare che sono tanti soldi, che andrebbero alla sanità per l’emergenza Covid 19, Conte risponde convinto: «Innanzitutto è un prestito, quando lei va in banca bisogna vedere quale piano di rientro e di ammortamento la banca le chiede».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Bonomi: liquidità e investimenti, adesso i fatti – Bonomi: «Investimenti e liquidità, ora i fatti»
Tema: Confindustria
Carlo Bonomi parla a Porta a Porta, intervistato da Bruno Vespa, e tocca i temi più caldi, dalla liquidità che non arriva, alla Cassa integrazione che ritarda e deve essere anticipata dalle aziende, al pregiudizio anti impresa che si coglie. Messaggi anche al sindacato: «Il mondo cambia, anche i sindacati possono cambiare. L’Italia ha da 25 anni un problema di produttività». Per il presidente di Confindustria « il metodo di non ascoltarci prima ma di calare le cose dall’alto non funziona». Ecco alcuni messaggi al governo. Il presidente del Consiglio vuole accelerare sulle infrastrutture? «La prendiamo molto bene, speriamo che seguano i fatti, negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a 72 interventi per sbloccarle, non è mai accaduto niente». Bisogna utilizzare il modello Genova, «speriamo si possa fare per tutto il paese». I 100 miliardi che dovrebbero arrivare dal Recovery Fund dovrebbero essere utilizzati per un «grande piano di investimenti pubblico, cui se ne deve affiancare uno anche privato». Basta con gli interventi a pioggia «sono utili per finalità elettorali, non hanno prodotto pil potenziale, bisogna concentrare le risorse». Sul ruolo dello Stato: «Sia arbitro e non giocatore, non deve essere gestore nelle imprese». Sui pagamenti della Pa, «sono previsti 12 miliardi, speriamo che arrivino alle imprese. Devo dare atto al ministro Patuanelli di essersi speso».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Olivieri Antonella 
Titolo: Effetto pandemia su 25 quotate: bruciati 14 miliardi – Piazza Affari, per l’industria il conto più salato del Covid
Tema: rapporto Mediobanca

È l’industria italiana la grande vittima della pandemia. Se ce ne fosse stato bisogno, la conferma arriva dalla ricognizione sulle trimestrali realizzata dall’Area studi di Mediobanca in Piazza Affari. Un’indagine che evidenzia le cicatrici lasciate finora dal coronavirus. Le aziende manifatturiere che rientrano tra le blue chip dell’indice Ftse Mib hanno riportato infatti un calo del fatturato dell’11,8%nel primo trimestre, ancora peggio rispetto all’inizio del 2009 quando, post fallimento Lehman, i ricavi erano diminuiti dell’8,7%. E non è affatto detto che sia finita qui, visto che nel periodo di lockdown, proseguito fino a maggio, si è fermato un mondo che rappresenta il 59% del giro d’affari complessivo dell’industria manifatturiera italiana. Cosa è successo dunque nel primo trimestre, dove a essere impattato davvero è stato il solo mese di marzo? Il risultato netto sui ricavi, per le 16 big del listino considerate, ha perso 9,6 punti percentuali, peggior performance degli ultimi trent’anni. Il margine operativo netto sui ricavi, sempre nella media dell’elite industriale di Piazza Affari, si è ridimensionato al 2,9%, il livello più basso dal 1994, quando era al 3,4%. Basti pensare che il margine lo scorso anno era al 7,9%, un vero tracollo. Infatti, se si eccettua il caso Eni – in assoluto la società più penalizzata dal blocco della circolazione e delle attività, con un crollo dei ricavi nel periodo dei 25,2% – la manifattura (sempre con riguardo all’indice delle blue chip) ha subito un drastico ridimensionamento del margine operativo netto nel trimestre , pari in media al 61,9%.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Monticelli Luca 
Autore:  Monticelli Luca 
Titolo: Alitalia, rispunta l’ipotesi sudamericana Efromovich si candida con un miliardo
Tema: Alitalia

Il vulcanico settantenne German Efromovich prova a riprendersi la scena e rilancia ancora sul dossier Alitalia. Imprenditore sudamericano di origini polacche dai quattro passaporti, due giorni fa ha mandato una lettera al ministro Stefano Patuanelli e al commissario Giuseppe Leogrande per riproporre l’acquisto della compagnia. Ieri, in una conferenza online ha illustrato il suo progetto. «Non serve affatto l’esorcista per Alitalia», come disse qualcuno tempo fa, ma tanto lavoro e «io sono un workaholic», ha detto. L’interesse di Efromovich è palese da più di un anno, quando venne scartato dall’advisor Mediobanca insieme ad altri due potenziali acquirenti che erano Toto e Lotito. Lui, che è stato proprietario del vettore colombiano Avianca, dice che ridurre Alitalia a una compagnia «domestica e regionale è un grave errore perché è un diamante del trasporto aereo». Perciò l’attività principale deve essere quella del lungo raggio: «Assicurare collegamenti con America, Asia e connettere tutta Europa». L’imprenditore, collegato dal Brasile dove ha sede la sua holding, giudica i tre miliardi stanziati dal governo nel decreto Rilancio eccessivi per la nuova Alitalia pubblica, ma non scopre le sue carte. Se l’estate scorsa aveva ipotizzato un investimento di 5-600 milioni di euro ora Efromovich lascia intendere che potrebbe arrivare a un miliardo perché è pronto a mettere «i soldi che servono per farla funzionare».
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Testata:  Mf 
Autore:  Casertano Stefano 
Titolo: Contrarian – Gli italiani? Diventeranno i nuovi Albanesi d’Europa
Tema: migrazione

I soldi stanno lasciando le aree meno sviluppate: stiamo creando una rust-belt all’europea, sul modello di quella parte del Midwest americano scomparsa dal radar economico negli anni 80. E impossibile immaginare che una regione possa essere sostenibile economicamente senza investimenti. Nel nostro caso, mentre prima almeno una parte di capitali italiani raggiungeva il nord del Paese, adesso prendono la via dell’estero. Si tratta di 16 miliardi al giorno, secondo quanto rilevato dalla Bce. Ci troveremo alla fine in un neocontinente con aree molto ricche, industrializzate e ben finanziate, rispetto a un’ampia peiferia che potrebbe diventare un deserto industriale. In quest’ Europa riorganizzata emergerà pertanto la terza tendenza: quella della migrazione, che rischia di far crollare il costrutto europeo. Così come per decenni si è emigrati dal sud al nord Italia, dovremo abituarci a fughe di cittadini verso l’estero che saranno dei veri e propri flussi migratori. Tendenza già in atto, si diceva: dal 2009 al 2018 il netto di italiani che ha lasciato il Paese è stato di 70 mila persone l’anno (816 mila espatri e 333 mila rimpatri). Degli emigrati, ci informa l’ Istat, quasi tre su quattro hanno un livello d’ istruzione medio.alto. Nel decennio precedente (1999-2008) il netto totale era stato 4.800 italiani in meno l’anno. La situazione peggiorerà ulteriormente. Sostengo che sulla migrazione crollerà l’Europa (o, perlomeno, potrebbe crollare) perché i suoi effetti saranno devastanti sia per i Paesi dai quali si parte, che per quelli nei quali si arriva.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ricci Sargentini Monica 
Titolo: Ora nel mondo i casi superano i cinque milioni – I contagi superano i cinque milioni Gli Usa puntano sul vaccino anglo-italiano
Tema: pandemia

Più di cinque milioni di persone sono state contagiate dal Covid-19 nel mondo e 329.300 sono decedute. Un numero enorme, inimmaginabile fino a solo tre mesi fa. E, anche se molti Paesi stanno cercando di tornare a una semi-normalità, si vive con la spada di damocle di nuovi focolai. «Non vorrei sembrare catastrofica — ha detto in un’intervista al Guardian la direttrice del Centro europeo di prevenzione di controllo delle malattie (Ecdc), Andrea Ammon — ma non possiamo pensare che sia finita». In Europa, il continente più toccato con quasi due milioni di casi e 170 mila morti, si cerca di trovare lentamente la strada per le riaperture. A Cipro i bar e i ristoranti possono servire clienti ma solo all’aperto e restano fermi alberghi e aeroporti. Un colpo mortale al turismo. Non segue la scia della fase due la Spagna dove ieri si è registrato il calo più grande sia dei contagi che della mortalità con 48 decessi in 24 ore e 344 infetti. Un segnale molto incoraggiante ma che non spingerà il governo a permettere nuovamente gli spostamenti almeno fino alla fine di giugno. Di frontiere aperte, come ha deciso l’Italia dal 3 giugno, non se ne parla. Altri Paesi vogliono vietare l’ingresso solo ad alcuni cittadini stranieri. L’Austria, per esempio, vuole chiudere le frontiere agli italiani. La Finlandia, invece, vorrebbe fare a meno dei turisti svedesi, fortemente colpiti dalla pandemia. Il coronavirus continua a mietere vittime negli Stati Uniti, il Paese con il più alto numero di contagi: 1.562.714 casi e 93.863 morti. Secondo uno studio condotto dai ricercatori della Columbia University se Washington avesse messo in atto le politiche di distanziamento sociale solo una settimana prima, sarebbero morte 36 mila persone in meno in tutto il Paese.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tarquini Andrea 
Titolo: Svezia Il modello non funziona Morti in aumento
Tema: Covid-19 in Svezia

Nella media mobile a sette giorni del tasso di mortalità da Covid 19 per ogni milione di abitanti, calcolato sui giorni dal 13 a120 maggio, è a sorpresa la Svezia in testa nel mondo. Media che continua a crescere dall’altro ieri. Lo affermano, dati alla mano, il blog di statistica Our World in Data, e il Financial Times. La ricchissima Svezia — che dall’inizio della pandemia ha rifiutato ogni strategia di lockdown scommettendo sull’autodisciplina dei cittadini — secondo questi dati ha battuto nell’arco di tempo citato non solo Cina, Stati Uniti, Brasile o Paesi balcanici, ma anche il Regno Unito, il caotico Belgio o Italia e Spagna colpite al massimo e tuttora isolate dal mondo che riapre a viaggi e ferie. Le cifre fanno paura: la media mobile a sette giorni del tasso di mortalità pro capite da Covid 19 è 6,25 per milione di abitanti in Svezia contro 5,75 nel Regno Unito, 4,6 in Belgio, 3,43 in Francia, 3 in Italia. In assoluto il Paese scandinavo da 10 milioni di abitanti ha registrato oltre 3.700 decessi, tuttora in aumento quotidiano (prevalentemente in case di riposo), cioè circa la metà dei decessi della Germania con oltre 80 milioni di abitanti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Veronese Luca 
Titolo: Cina, un nuovo giro di vite sull’autonomia di Hong Kong
Tema: Hong Kong

La Cina sta preparando una nuova stretta per tenere sotto controllo Hong Kong. La nuova legge sulla sicurezza nazionale per l’ex colonia britannica è una risposta alle proteste pro-democrazia (e contro Pechino) che l’anno scorso hanno portato allo scontro violento con le autorità e la polizia filocinesi, facendo precipitare la città nella crisi sociale più turbolenta da quando, nel 1997, è tornata a far parte della Cina. Ed è anche un segnale agli Stati Uniti, accusati dai leader cinesi di volere destabilizzare il Paese. Immediata la risposta di Donald Trump: «Non so di cosa si tratti perché nessuno ancora lo sa, ma se accade, reagiremo con molta forza», ha detto il presidente Usa da Washington. Mentre l’Unione europea ha richiamato la Cina al «rispetto del principio un Paese, due sistemi». Le nuove misure restrittive saranno presentate durante il Congresso nazionale del popolo, che si apre oggi nella Grande sala del popolo di Pechino. E che, dopo essere stato posticipato di tre mesi per la pandemia, avrebbe dovuto concentrarsi sulla strategia per risollevare l’economia che a causa del Covid-19 è crollata del 7% nel primo trimestre. «Alla luce delle nuove circostanze e necessità, il Congresso nazionale del popolo – ha confermato lo stesso portavoce del Congresso, Zhang Yesui – sta esercitando il suo potere costituzionale» per salvaguardare la sicurezza nazionale a Hong Kong. I cittadini di Hong Kong si sono sempre opposti, anche con grandi manifestazioni di piazza e il sostegno internazionale, a una legge sulla sicurezza nazionale o a leggi che possano limitare la democrazia e togliere autonomia all’ex colonia: la formula un Paese, due sistemi pur sottolineando l’autorità di Pechino ha infatti garantito a Hong Kong uno status del tutto speciale all’interno della Cina. Gli stessi disordini del 2019 (nei quali morirono tre persone, ci furono più di 2mila feriti e oltre 7mila arresti) vennero innescati da una controversa proposta di legge sull’estradizione (poi ritirata) che avrebbe permesso di processare in Cina, per alcuni reati, anche i residenti di Hong Kong. Con il lento ritorno alla normalità dopo il coronavirus i manifestanti pro-democrazia hanno ripreso a riunirsi regolarmente, a partire dai centri commerciali, sfidando gli agenti di polizia in tenuta antisommossa.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Santevecchi Guido 

Titolo: La legge di Pechino cala su Hong Kong Xi fa votare le norme «anti sedizione»
Tema: Hong Kong

Da anni Pechino voleva che Hong Kong, Regione Amministrativa Speciale, si adeguasse alla «Legge sulla Sicurezza nazionale» in vigore nella Repubblica popolare. La guerriglia urbana del 2019 ha creato frustrazione nel governo centrale. Hong Kong aveva resistito per 23 anni, aggrappata al suo sistema dove basta presentare regolare richiesta per scendere in strada e manifestare, contestare il governo e le sue scelte politiche o eco- nomiche. L’avrebbero dovuta introdurre i deputati del Legislative Council della City, la «National security legislation», perché il principio della sicurezza nazionale è previsto nella «Basic Law», la sua costituzione speciale. Ma la disposizione attuativa non è mai stata votata, per l’opposizione popolare: 500 mila in piazza nel 2003 quando ci fu un tentativo di metterla all’ordine del giorno. E anche ora, pur essendo in netta minoranza rispetto ai deputati filo- Pechino, il fronte democratico presente nell’Assemblea legislativa di Hong Kong darebbe battaglia, farebbe almeno ostruzionismo. L’anno scorso la meno dirompente legge sull’estradizione aveva acceso la miccia della ribellione. Bisognerà vedere se ora l’opposizione di Hong Kong avrà la forza di uscire dal letargo virale: l’occasione potrebbe essere il 4 giugno, anniversario della repressione sanguinosa di Tienanmen. Hong Kong è l’unica città cinese dove la gente si riunisce in pubblico per ricordare le vittime. Perché Xi ha ordinato questa accelerazione dirompente? Il Congresso normalmente vive il momento di massimo (se non unico) interesse nell’annuncio dell’obiettivo di crescita. Quest’anno, con la devastazione causata dal coronavirus, i pianificatori di Pechino sembrano incerti, tentati di soprassedere per timore di indicare una previsione di espansione del Pil troppo bassa e deprimente, o troppo alta e irrealizzabile. Riaccendere il fronte Hong Kong potrebbe anche essere un diversivo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  R.Es. 
Titolo: Gli Usa abbandonano il trattato Open Skies
Tema: Difesa Usa

È il trattato Open Skies l’ennesimo accordo internazionale da cui gli Stati Uniti intendono ritirarsi: ho un buon rapporto con la Russia, che tuttavia non rispetta le intese, ha detto ieri Donald Trump. Open Skies, trattato in vigore dal 2002, consente ai suoi 34 Paesi membri di effettuare voli militari di ricognizione sui rispettivi territori: con aerei privi di armi ma dotati di tecnologie di sorveglianza in grado di ridurre i rischi di conflitti, potendo verificare le attività militari altrui. Con l’obiettivo di alimentare fiducia reciproca, i Paesi che aderiscono a Open Skies si concedono l’un l’altro l’autorizzazione al sorvolo nei limiti dei tempi e dei piani di volo comunicati con almeno 72 ore di anticipo. Come per il Trattato Inf per il controllo delle armi nucleari russe e americane a raggio intermedio, abbandonato da Washington lo scorso anno, il ritiro formale avviene a sei mesi dalla decisione. Che gli Stati Uniti hanno preso malgrado le pressioni degli alleati nella Nato, preoccupati per la possibile escalation. Secondo funzionari dell’amministrazione Usa citati dall’agenzia Reuters, la decisione di ritirarsi dall’Open Skies fa seguito a ripetute violazioni del trattato da parte della Russia. «E ormai chiaro – hanno detto – che non è più nell’interesse dell’America restare», dal momento che Mosca viola e applica il trattato in modo da costituire una minaccia militare contro gli Stati Uniti e i loro alleati.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Trump si ritira dal trattato sui sorvoli aerei con Mosca Ma apre all’intesa a 3 con Xi
Tema: Trump e la difesa Usa

Donald Trump vuole aprire negoziati a tre per la limitazione delle armi nucleari coinvolgendo la Cina insieme alla Russia. Sarebbe la prima volta da dieci anni che si torna a negoziare un tetto agli arsenali nucleari fra le due superpotenze; e la prima volta in assoluto che una simile trattativa coinvolge la Cina. Nel frattempo gli Stati Uniti abbandoneranno il trattato Open Skies (“Cieli aperti”), uno dei più importanti accordi bilaterali di controllo degli armamenti ancora in vigore con la Russia. «Ho buone relazioni con Mosca, ma non rispetta il trattato», ha detto Donald Trump. La logica dietro queste mosse è duplice. Da un lato, è da tempo che il Pentagono e l’intelligence degli Stati Uniti, spesso con l’assenso della Nato, denunciano violazioni dei trattati accordi da parte della Russia. D’altro lato la logica degli accordi bilaterali risale a un’epoca in cui gli arsenali americano e sovietico (poi russo) avevano una superiorità soverchiante su quelli delle altre potenze. I vecchi accordi non coinvolgono né vincolano la Cina, che da anni procede nel suo riarmo con aumenti annui a due cifre percentuali nella spesa militare.
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Testata:  Repubblica
Autore:  Nigro Vincenzo 

Titolo: Libia, aerei russi per Haftar – In Libia i caccia russi per sostenere Haftar E sfida con la Turchia
Tema: la Russia in Libia

Otto aerei da caccia russi schierati in un aeroporto del generale libico Khalifa Haftar. La guerra civile di Libia è in costante evoluzione, con cambiamenti sempre più veloci, spesso caotici, a volte apparentemente irrazionali o casuali. Non è il caso di questa mossa russa: la decisione è stata presa con freddezza dal presidente russo Vladimir Putin qualche giorno fa nella sua dacia fuori Mosca. Una mossa che i suoi generali schierati in Siria e in Libia hanno messo a segno in poche ore. Alleggerendo il fronte siriano per spostare assetti su quello libico. Otto aerei da caccia potranno essere importanti per la battaglia di Libia, se non altro per “congelarla”, per impedire al governo di Tripoli di continuare nelle sue vittorie contro Haftar. I sei Mig-29 e i due Sukhoi 24 sono stati spostati dall’aeroporto siriano di Hmeimim e sono atterrati prima a Tobruk e poi nella base di Al Jufra, nel Sud della Libia. Il trasferimento è stato effettuato da piloti russi, fra l’altro scortati da due caccia intercettori Su-35. Adesso che sono in Libia può darsi che i velivoli verranno affidati a piloti siriani oppure a contractor russi, per mantenere quel finto distacco dal coinvolgimento della guerra di Libia che Putin esercita da tempo, per esempio adoperando i mercenari della “Wagner” al posto dei soldati del suo esercito. I jet adesso sono a disposizione del generale Khalifa Haftar, che non a caso ieri mattina ha fatto parlare il capo della sua aeronautica. Il generale Saqr al Jaroushi ha lanciato una sfida al governo di Tripoli guidato da Fajez Serraj e alla Turchia che lo difende: «Stiamo per lanciare la più grande operazione aerea nella storia della Libia, tutti gli obiettivi turchi in Libia saranno obiettivi legittimi».
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