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SINTESI IN PRIMO PIANO – 22 luglio 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Incontro Mattarella-Conte al Quirinale: ora servono riforme rapide;
– Ue: Via libera dei 27 a pacchetto anti-crisi da 250 mld di euro;
– Conte: sul Mes no a Pd e Gualtieri;
– Verso manovra 2021: per il Ministro Gualtieri ha prevalso la ragionevolezza;
– Covid-19: emergenza non finita, casi in salita in Spagna, modello Europa criticato dal NT;
– Londra: report intelligence e sicurezza, ignorate interferenze russe.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Pressing di Mattarella: «Occorre accelerare sul piano di riforme»
Tema: Conte al Quirinale

È stato Conte a chiedere di incontrare il capo dello Stato di ritorno da quei 4 giorni di trattativa serrata con i leader europei. Il primo gesto del suo arrivo a Roma è stato, insomma, quello di riferire a Sergio Mattarella com’era andata, informarlo sui dettagli di un negoziato che preoccupava non poco il Quirinale. Ben prima che arrivasse il premier, al Colle avevano tirato un sospiro di sollievo perla mediazione raggiunta in extremis e per un accordo senza il quale l’Italia si sarebbe ritrovata in seri guai finanziari oltre che politici. Dunque, finalmente un risultato positivo di cui Mattarella può dirsi “soddisfatto” dopo aver in più circostanze sostenuto il Governo sia in casa che fuori. Ma ora che II premier ha incassato un successo importante, il primo che davvero potrebbe cambiare l’orizzonte economico del Paese, per il Colle non vuol dire che comincia la discesa. Tutt’altro. Quello che filtra dal Quirinale è che il compito di Conte non è finito all’alba di martedì ma che adesso arriva il vero banco diprova, ossia non perdere un’occasione unica di rilando. I 209 miliardi che andranno a Roma non so no quindi un trofeo da esibire per catturare consensi o un mastice per tenere insieme la maggioranza ma per Mattarella sono – invece – una sfida assai impegnativa per il Governo. E vale la pena, questa volta, soffermarsi sulle parole che il capo dello Stato ha scelto per far sapere il suo punto di vista. Non a caso ha voluto parlare di “rapidità”, “concretezza”, “efficacia” vedendo bene quanto l’Esecutivo sia ancora lontano dal predisporre quel Piano per tradurre le risorse in misure dettagliate che dovranno passare l’esame della Commissione Ue.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Magri Ugo 
Titolo: La soddisfazione del Quirinale “Ma ora servono riforme rapide”
Tema: Conte al Quirinale

Forse per la prima volta da quando ha visto la luce, questo governo regala a Sergio Mattarella una gioia, una soddisfazione che lo ripaga della pazienza spesa fin qui, della «moral suasion» esercitata per undici lunghi mesi e dei mille soccorsi in cui l’uomo del Colle si è prodigato, spesso senza farlo sapere. Ecco perché le sue congratulazioni al premier, quando l’ha ricevuto ieri al Quirinale per farsi raccontare il summit e anticipare le prossime mosse, sono state particolarmente sentite: anzitutto per come Giuseppe Conte ha saputo destreggiarsi nel litigioso condominio Ue, dimostrando doti di negoziatore che in pochi avrebbero sospettato. E poi grandi complimenti di Mattarella per come l’Europa sia stata nel suo complesso all’altezza della sfida, discutendo aspramente, forse anche troppo, però alla fine ritrovandosi, generosa e solidale. Il risultato del tira-e-molla è stato un successo storico, nemmeno Giorgia Meloni se l’è sentita di negarlo. L’Unione emerge più forte dalla prova; invece chi, come i sovranisti, aveva scommesso su un fiasco epocale torna a casa con le pive nel sacco. Sbrigati i complimenti, tuttavia, Mattarella ha incoraggiato il premier a guardare oltre. Non è momento di cullarsi sugli allori ma di lavorare sodo per incassare presto (e per intero) il gigantesco assegno europeo. Secondo quanto filtra dal Colle, sono state create «condizioni proficue» perché ciò accada: dopo un ventennio di porte in faccia finalmente possiamo ben sperare, le congiunzioni astrali sono favo revoli e in Europa qualcuno lavora per noi. Mai come stavolta c’è stata un’apertura di credito.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Falci Giuseppe_Alberto 
Titolo: Intervista a Pier Ferdinando Casini – «Il premier si è battuto ma eviti trionfalismi Per decidere le priorità apra all’opposizione»
Tema: Intervista a Pier Ferdinando Casini

«Partiamo dal fatto che l’Italia a Bruxelles si è battuta bene, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato costante, ha tenuto. In sintesi, prova superata». Presidente Pierferdinando Casini, se questa è la premessa sull’accordo della scorsa notte, Recovery Fund, cosa non la convince? «Ora arriva la prova più difficile. Dobbiamo presentare piani credibili, seri, concreti, che siano finalizzati all’innovazione e alla produttività del Paese. Occorre dunque non disperdere questo fiume di denari che arriveranno dall’Europa. Potremmo a quel punto dire che da un dramma come il Covid può nascere un elemento di speranza». Ma l’esecutivo è in grado di superare questa prova? «E legittimo coltivare qualche dubbio, ma Conte e i suoi ministri devono giocarsi questa partita». Non a caso in molti evocano la nascita di un governo di unità nazionale. «Sono storicamente un fautore di una formula mai così giustificata dai fatti come oggi. Ma sono il primo a dire: facciamo un passo alla volta, mettiamo in comune la definizione di progetti strategici che andranno presentati a ottobre». Tradotto, Il premier deve coinvolgere l’opposizione? «Sì, io dico: accontentiamoci di fare un passo più piccolo del governissimo, evitiamo intanto di scrivere una agenda unilaterale sul piano di rinascita di questo Paese». Eppure Il centrodestra appare diviso: un conto è Silvio Berlusconi, un altro è Matteo Salini. «Sappiamo benissimo che FI ha una posizione diversa da quella di Salvini e Meloni. Detto questo, evitiamo la furberia di dividere l’opposizione».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vecchio Concetto 
Titolo: La destra si divide sull’Europa E Salvini resta solo con Bagnai
Tema: Aiuti Ue, destra italiana divisa

«Una fregatura grossa come una casa! Anzi, una superfregatura!». Alle dieci del mattino, mentre l’Italia politica esulta per la pioggia di denaro in arrivo dall’Europa, Matteo Salvini si presenta alla Camera con il suo parlamentare più antieuropeista, Alberto Bagnai, per annunciare che l’accordo sul Recovery Fund è un inganno. Paragona la Commissione europea alla Trojka in Grecia, si lamenta perché i soldi arriveranno tra un anno, «mentre noi ne abbiamo bisogno subito», e ce li daranno solo se faremo le riforme. Bagnai annuisce solenne. In pratica, denuncia il capo della Lega, «io ti tolgo i soldi se non ripristini la legge Fornero e se non metti la patrimoniale sui risparmi». Bagnai sempre annuisce. Poi dice che l’accordo è «un super Mes» e sbeffeggia íi Pd che invoca i 36 miliardi del Salvastati. E qui Bagnai abbozza un sorrisino, come per dire: «Contenti loro». Matteo Salvini non è mai stato così isolato. Tutta la sua strategia contro «l’Europa matrigna» si è frantumata l’altra notte a Bruxelles. Giuseppe Conte è tornato a Roma con il bottino, mettendo probabilmente in cassaforte se stesso e la legislatura. I suoi alleati, nel centrodestra, si sono smarcati. Giorgia Meloni ha scelto, per una volta, di vestire i panni della patriota responsabile, affermando: «Abbiamo tifato per l’Italia, anche se si poteva fare ancora di più». Silvio Berlusconi ha parlato di «un giorno positivo» per il Paese. E il governo, con il ministro degli Affari europei, Enzo Amendola, li ha ringraziati entrambi, per il senso di responsabilità repubblicana mostrato. In quel frangente diventava trending topic su Twitter l’hashtag #Salvinisomaro. La retorica sovranista mostra la corda. Il suo sodale olandese, il populista Geert Wilders, ha detto che gli 82 miliardi sono un regalo agli italiani, proprio mentre Salvini parlava di «fregatura».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Elezioni e stadi Le nuove regole – Scuole e stadi, ingressi scaglionati Ecco le linee guida per settembre
Tema: Misure anti Covid

Elezioni amministrative, partite di calcio, rientro a scuola, concerti: si concentra sulle nuove regole da fissare entro settembre il lavoro del Comitato tecnico scientifico. Linee guida da consegnare al governo per far ripartire tutte le attività senza far aumentare i contagi da coronavirus. Il lavoro degli esperti sui nuovi dossier è già cominciato, in attesa della proroga dello stato di emergenza che dovrebbe arrivare la prossima settimana e durare almeno fino al 31 ottobre, le prime risposte ai quesiti sono sul tavolo. E partono da una raccomandazione che ormai viene data per scontata «per evitare nuovi focolai»: la mascherina rimane obbligatoria nei luoghi chiusi e va indossata all’aperto quando non si può mantenere la distanza. Ma anche da un calcolo effettuato dai matematici al momento di chiudere le scuole durante la fase più drammatica della pandemia: la ripresa delle elezioni, che riguarda circa 12 milioni di persone – tra studenti, docenti e personale – può far salire l’indice di trasmissione Rt anche di 0,3. Proprio con i possibili assembramenti si dovrà fare i conti in autunno, visto che i ministri hanno già fatto arrivare le istanze per la ripresa degli eventi dove si prevede anche la presenza di migliaia di persone. Il confronto con il Viminale va avanti ormai da settimane. Numerosi i nodi da sciogliere in vista delle consultazioni del 20 e 21 settembre. Il primo riguarda i compiti del presidente. La legge prevede infatti che debba essere lui a deporre la scheda nell’urna, ma è una procedura che si vorrebbe cambiare in modo che ogni cittadino — con mascherina e mani disinfettate all’ingresso — provveda a lasciarla. Altro problema da risolvere è quello della matita copiativa che in Italia è obbligatoria per barrare la scheda.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Mangani Cristiana 
Titolo: Intervista a Luciana Lamorgese – «Mascherina sempre: i giovani capiscano, si rischia il lockdown» – «Caos movida, le famiglie intervengano sui giovani»
Tema: Misure anti Covid

Ministra, la fine del lockdown e la ripresa delle attività economiche sta generando una nuova crescita del virus. In che modo pensate di far rispettare le regole? «Non mi stancherò mai di ripetere che ognuno dì noi, come più efficace regola di prevenzione, debba autoimporsi l’uso della mascherina e il rispetto della distanza interpersonale. I controlli affidati alle forze di polizia, che voglio ringraziare per il costante impegno dimostrato, sono fondamentali e le prefetture monitorano tutti i giorni le situazioni più a rischio. Ma la consapevolezza che ognuno di noi sia il miglior controllore di se stesso non ci deve mai abbandonare, altrimenti rischiaro di tornare indietro, ai mesi bui di chiusura della scorsa primavera». La “minaccia” sembra arrivare ora, non dai giovanissimi, ma dai quarantenni. Ci sono rimedi per contenere “la tribù degli aperitivi”?. «Con riguardo alle notizie di cronaca sulle modalità caotiche della cosiddetta movida, credo che da parte delle istituzioni, della scuola e delle stesse famiglie sia necessario anche uno sforzo più incisivo per informare e rendere più consapevoli i giovani, e non solo loro, sui reali rischi che stiamo correndo. E’ un impegno questo che deve riguardare tetti anche in termini di iniziative sulla fruibilità di spazi per il divertimento, più sicuri, destinati ai ragazzi che hanno subito un contraccolpo a livello psicologico a causa del lockdown». Al vaglio l’ipotesi di un prolungamento dello stato di emergenza per il paese, cosa ne pensa? «Il Governo, con l’ausilio delle valutazioni del Comitato tecnico scientifico, assumerà le decisioni che riterrà più opportune per prevenite una nuova, eventuale diffusione del contagio».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  G. A. F. 
Titolo: L’altolà di Zingaretti: legge elettorale, leali o decido con chi ci sta
Tema: Legge elettorale

Al Partito democratico la mettono così: il patto va rispettato. E il patto in questione è sulla legge elettorale ed è stato siglato il g gennaio scorso. Quel giorno democratici, M5S, Leu e Italia viva raggiunsero un accordo in «un clima costruttivo», auspicando altresì che «la legge elettorale possa essere approvata in commissione Affari costituzionale della Camera entro la data del referendum sul taglio dei parlamentari». Dunque gli accordi sono accordi. Da qui la mossa di Nicola Zingaretti che non solo si dice pronto a tenersi le mani libere nel caso saltasse il patto di cui sopra, ma ammette che potrebbe sedersi al tavolo con Matteo Salvini per trovare una sintesi su un sistema di voto che penalizzerebbe i partiti piccoli. «Non si tratta di accelerare ma di colmare un ritardo», avverte il leader dei dem nelle ore in cui la commissione Affari costituzionali che esamina la legge elettorale ribolle e rimanda di giorno in giorno la votazione sull’adozione del testo base. «Almeno in un ramo del Parlamento — ripete — deve essere votato prima del referendum del 20 settembre il testo base, se non vogliamo perdere di credibilità rispetto agli impegni solennemente e collegialmente assunti. Su questo punto margini di ambiguità nella maggioranza non possono esistere». Dunque, da domani in I Commissione le truppe di Zingaretti proveranno a forzare e a mettere ai voti l’adozione di un testo, il Germanicum, un proporzionale puro con una soglia di accesso del 5 per cento. Il numero uno del Nazareno è spalleggiato anche dal M5S. Non a caso il reggente Vito Crimi promette: «Concordo dunque con Nicola Zingaretti: si deve proseguire senza esitazioni e ambiguità nell’approvazione del testo base, in votazione alla Camera, frutto della condivisione tra le forze di maggioranza e del confronto con le opposizioni».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bertini Carlo 
Titolo: Intervista a Carlo Calenda – “Renzi sbaglia No al partito unico con lui e i forzisti”
Tema: Intervista a Carlo Calenda

Una porta in faccia: Carlo Calenda, chiude ogni possibile intesa politico-elettorale con il suo ex premier Matteo Renzi, perché non si costruisce un grande centro passando da un patto con il Movimento 5 stelle a un altro con Forza Italia e Azione. «Io farei un’alleanza di governo di unità nazionale con tutti, ma niente liste comuni o un partito con Forza Italia e Renzi». Ma come Calenda, Renzi lancia l’idea di un agglomerato con voi e i moderati di Forza Italia e lei lo butta a mare così? Magari tutti insieme potreste ottenere un risultato a due cifre… «Renzi in questo momento è alleato con S stelle e Pd. È autore di questo governo, che di centro non ha assolutamente nulla. Se questa sua idea è una risposta al rischio che ci sia una legge proporzionale con una soglia di sbarramento per l’ ingresso in Parlamento alta, secondo me la sua è una risposta sbagliata». E perché? «Il punto oggi non è fare un’alleanza con chiunque, ma costruire un movimento nel modo con cui è stato fatto dalla destra. Andandosi a riprendere i voti, come Salvini e Meloni, sul territorio e spiegando in tv le proprie idee». Quindi non dice di no del tutto… «Non dico di no al fatto che ci si trovi magari a governare insieme, ma dico no in modo netto al percorso ipotizzato da Renzi, secondo cui un giorno stai con i 5 stelle, poi con Forza Italia e Azione. E le svelo un dato…» Quale? «La stragrande maggioranza dei nostri elettori, 1’87%, non vuole una fusione e neanche una listaunica con Renzi. Lo abbiamo già chiesto con un sondaggio riservato. Penso che non vogliano stare con lui perché percepiscono che ha un modo di fare politica vecchio. E la cosa sorprendente sa quale è? Se l’87%dei nostri elettori è contro la fusione con Renzi, 1’80%è contro la fusione con la Lega. Quindi paradossalmente sono più contrari ad un’alleanza con lui che con Salvini».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Fazzo Luca 
Titolo: I giudici non si autoprocessano Palamara rinviato a settembre – I giudici non vogliono auto-processarsi: Palamara & C. rinviati
Tema: Caso Palamara

Se al Consiglio superiore della magistratura avessero davvero voglia di fare pulizia dell’incredibile marciume scoperto dalla Procura di Perugia indagando sull’ex consigliere Luca Palamara, dovrebbe esserci la coda da membri ansiosi di fare parte della sezione disciplinare e di accertare in fretta quanto accaduto. Invece niente di tutto questo, il procedimento contro Palamara e altri cinque ex consiglieri ieri fa finta di cominciare e poi viene rinviato di due mesi, 15 settembre: e ancora non si sa chi saranno i componenti della sezione. Perché di fatto il «caso Palamara» è una rogna di cui (tranne Piercamillo Davigo) nessuno vuole occuparsi: né per cacciare Palamara in quattro e quattr’otto, insabbiando il resto della vicenda; ma ancor meno per andare a scavare a fondo sulla rete trasversale di accordi sotterranei che ha trasformato il Csm in un supermarket delle nomine. Ieri la «disciplinare» si limita a aprire e chiudere l’udienza, senza neanche affrontare le questioni che rischiano di bloccare tutto, ovvero la ricusazione di Davigo da parte di Palamara e dell’intera sezione disciplinare presentata – nel procedimento parallelo – da parte di Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa e oggi deputato renziano. Ferri sostiene che i membri della sezione che erano già in carica quando esplose lo scandalo sono presunte vittime, secondo l’impostazione dell’accusa (che indica come «parte lesa» l’intero Csm), e quindi devono essere interrogati. E non possono essere interrogati da se stessi. Mentre l’ultima eletta, Elisabetta Chinaglia, mentre faceva campagna elettorale rilasciò una intervista di fuoco proprio contro Ferri e la sua corrente. Incompatibilità pura, dunque. Davigo ieri annuncia la sua intenzione di restare al suo posto e di partecipare al processo a Palamara, «non vedo motivo di astenermi», dice.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Romano Beda
Titolo: Europa, il 70% dei fondi va speso in due anni Ora la sfida è investire – Debito comune e trasferimenti, la Ue fa un passo nella storia
Tema: Via libera dei 27 a pacchetto anti-crisi
Dopo quattro giorni e quattro notti di intensi negoziati, i Ventisette hanno trovato ieri un significativo accordo sul prossimo bilancio comunitario 2021-2027 a cui e associato un controverso ma originale Fondo per la Ripresa del valore di 750 miliardi di euro (di cui poco più di 200 potrebbero essere convogliati in Italia). Lo sguardo ora corre alla ratifica nei Paesi membri, al negoziato comunitario sui testi attuativi, e infine al voto di approvazione del Parlamento europeo. L’intesa è «realmente storica», ha detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel all’alba di ieri, in videoconferenza stampa. Poche volte nella storia comunitaria i vertici sono durati così a lungo. Non è un caso se il confronto è con quello di Nizza del 2000. Allora in ballo vi erano modifiche istituzionali in vista dell’allargamento. Questa volta sul tavolo c’era la nascita di un debito comune e di nuovi strumenti di politica economica sulla sica della recessione provocata dalla pandemia. In pillole, il bilancio per i prossimi sette anni avrà un valore di 1.074 miliardi di euro. Il Fondo per la Ripresa, che raccoglierà sul mercati 750 miliardi, distribuirà sussidi per 390 e prestiti per 360 miliardi. L’intesa è memorabile perché per la prima volta i Ventisette danno mandato alla Commissione europea di indebitarsi a loro nome per una somma ingente. Il nuovo debito in comune dovrebbe indurre alla creazione di nuove tasse europee in vista del suo rimborso. Commentava ieri Lucas Guttenberg, direttore dell’Istituto Jacques Delors a Berlino: «Il Fondo per la Ripresa è un passo storico, ma il bilando comunitario è mediocre. Il tentativo di modernizzare l’economia europea è fallito. Noto un calo degli investimenti in innovazione rispetto alle proposte di febbraio 2020 e maggio 2018».
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Basso Francesca
Titolo: L’Europa svolta, Italia alla prova – Arriva l’accordo, sì al debito comune Merkel: «Una nuova era per la Ue»
Tema: Via libera dei 27 a pacchetto anti-crisi
In tutto sono 1.824,3 miliardi per far ripartire l’Europa. Un accordo storico. Ci sono voluti cinque giorni e quattro notti di negoziati serrati tra i leader dei 27 Paesi dell’Ue per trovare un’intesa su Next Generation Eu, come ha chiamato la Commissione il Recovery Fund, il pacchetto da 750 miliardi di aiuti e prestiti pensato per sostenere i Paesi più colpiti dalla crisi scatenata dal Covid, la più profonda dalla Grande Depressione. II Consiglio europeo straordinario ha dato il via libera anche al bilancio dell’Ue 2021-2027 da 1.074,3 miliardi. L’Italia torna a casa da Bruxelles con 208,8 miliardi, di cui 81,4 miliardi di trasferimenti e 127,4 miliardi di prestiti a tassi molto agevolati e il vincolo – che hanno tutti i Paesi Ue – di usarli per fare le riforme e gli investimenti in linea con le priorità dell’Ue e con le Raccomandazioni fatte dalla Commissione ai singoli Stati membri negli ultimi anni. Per l’Italia vuol dire riforma della giustizia, della pubblica amministrazione, fornire liquidità alle imprese e protezione ai lavoratori, rafforzare il sistema sanitario pubblico, tenere sotto controllo il debito. Non è stato facile mettere d’accordo tutti i 27 Paesi sulle regole per accedere ai fondi e sull’equilibrio tra i trasferimenti, espressione della «solidarietà» invocata dal Sud Europa, e i prestiti più in linea con la cultura dei nordici poco inclini ad aprire cordoni della borsa. Comprensibile, quindi, l’entusiasmo generale quando alle 5.3o del mattino la partita si è chiusa. II presidente del Consiglio europeo Charles Michel lo ha annunciato subito con un tweet: «Deal!». Poi la conferenza stampa congiunta con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha il merito di avere elaborato la proposta originaria, poi modificata per andare incontro alle esigenze di mediazione.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Rogari Marco – Trovati Gianni 
Titolo: Manovra, 30 miliardi dall’intesa – Dall’intesa fino a 30 miliardi per la manovra italiana 2021
Tema: Verso la finanziaria 2021

L’accordo raggiunto a Bruxelles dopo quattro giorni e cinque notti potrebbe valere poco meno di 30 miliardi per i conti italiani del prossimo anno. Una mano decisiva, in vista di una manovra che in ogni caso dovrà cercare anche risorse proprie per una quindicina di miliardi necessarie a finanziare le spese obbligatorie e soprattutto la riforma fiscale. Che non può essere coperta dai fondi Ue. Sono questi i numeri che misurano la soddisfazione Italiana per l’intesa raggiunta a Bruxelles. Ad alimentare la soddisfazione che sirespira a Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia c’è anche il ritmo serrato previsto per l’intervento degli aiuti. «Hanno prevalso la ragionevolezza e il diritto europeo», sostiene il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri commentando sia le cifre, che mantengono la quota di sussidi prevista all’inizio per l’Italia, sia la governance, che nei fatti preserva il ruolo della Commissione previsto dal Trattati evitando una piega troppo intergovernativa e, soprattutto, un potere di  veto da parte di singoli Paesi. A Via XX Settembre, poi, piace molto una delle ultime novità introdotte nel meccanismo, quella che prevede la possibilità di finanziare con i contributi comunitari anche le spese avviate dagli Stati dal febbraio scorso, a patto che siano coerenti con le linee d’azione a cui si dovranno conformare i Recovery Plan nazionali. Si tratta di una versione rafflnata del “ponte” sul 2020 che l’Italia ha chiesto a gran voce, e che potrebbe aiutare acorreggere un po’a consuntivo i saldi di finanza pubblica di quest’anno. Tutto dipende dal Recovery Plan italiano che il governo, ha ribadito ieri Gualtieri, ha intenzione di presentare entro ottobre.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Il retroscena – Conte: i soldi del Fondo Ue li gestisco io – Fondi Ue, il governo già litiga Conte: li gestirà Palazzo Chigi
Tema: Una task force per gli investimenti

Il ritorno a Roma è un risveglio senza neanche il lusso del sonno, perché la politica si impone subito sul diario bruxellese di quattro giorni e quattro notti di trattativa. Conte ha in mano un Piano Marshall di 209 miliardi di euro che fanno gola a tanti e ha già annusato le tracce delle polemiche che verranno da chi teme che il premier accentri a Palazzo Chigi la gestione di questa montagna di risorse. «La task force nascerà subito» annuncia all’alba, pochi minuti dopo aver stretto i pugni in segno di vittoria per l’accordo europeo. Non aggiunge molto altro, su come sarà, perché, fanno sapere dallo staff, ha intenzione di discuteme ampiamente con la maggioranza, e poi con l’opposizione. Ma con un punto fermo che comunicherà il prima possibile: la supervisione finale della task force resta a Palazzo Chigi. Anche se sarà una creatura interministeriale, con tecnici espressione dei vari dicasteri, come l’ha immaginata il ministro dell’Economia dem Roberto Gualtieri, il coordinamento deve rimanere in capo alla presidenza del Consiglio. Bisognerà capire se invece Luigi Di Maio insisterà su una cabina di regia aperta ai ministri, in nome della condivisione delle riforme oppure se cederà alla volontà di Conte, che su questo tema incassa la copertura di Alessandro Di Battista: «E’ giusto che sia lui a gestire le risorse, anche perché c’è già chi lavora per sostituirlo» ha detto l’ex deputato grillino, abbandonando i furori anti-europeisti, con una malizia che a tanti nel M5S è sembrata rivolta proprio a Di Maio. Anche Beppe Grillo gli ha fatto arrivare il suo sostegno con una telefonata, per gioire e per segnare un linea a sua difesa.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Gentili Alberto 
Titolo: Il retroscena – Conte chiude al Pd: no al Mes – Conte: arriverò fino al 2023 E sul Mes no a Pd e Gualtieri
Tema: Mes

«Beh, a questo punto c’è tanto di quel lavoro da fare per spendere i 209 miliardi ottenuti dall’Europa, che inevitabilmente il governo arriverà a fine legiàlittura. Siamo più forti». Giuseppe Conte, incassato quello che definisce «un successo storico», guarda al 2023. E per provare a blindarsi ulteriormente evitando l’implosione dei 5Stelle. chiude una volta per tutte la partita del Fondo salva Stati: «ll Mes non ci serve». L’esatto contrario di ciò che sostengono il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, il responsabile della Salute Roberto Speranza e il leader di Italia viva Matteo Renzi. Per Conte avere incassato il Recovery Fund, aumentando per di più di 36-37 miliardi il bottino di aiuti a fondo perduto e pi cstiti, è una sorta di assicurazione sulla vita. Perché, come osserva il centrista Bruno Tabacci che lavora al partito contiano, «questo risultato gli dà uno standing di leader europeo, forte dell’asse con Merkel e Macron». E dunque non c’è bisogno di ricorrere, come aveva cominciato a esplorare Luigi Di Maio, a tecnici del calibro di Mario Draghi. E soprattutto perché, come afferma lo stesso Conte. «ora bisogna far ripartire I’Italia e cambiare volto al Paese». E l’avvocato naturalmente si candida all’impresa che, appunto, resterà almeno fino al 2023. Ne vuole essere l’artefice e il protagonista. Con il via libera di Zingaretti («il risultato europeo dà stabilità»), di Gualtieri («ne escono rafforzati governo e leadership di Conte») e perfino del nemico Alessandro Di Battista («è Conte che ha ottenuto le risorse europee ed è bene che sia lui ad avere la responsabilità di gestirle»).
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Ora un Piano e serve anche il Mes – Confindustria: «Ora misure serie, il salva Stati serve più di prima»
Tema: Confindustria, ora serve il Mes

L’esito del Consiglio europeo è un buon risultato per gli imprenditori: «è fruito dilunghe mediazioni, l’Europa risponde al Covid come non era avvenuto con le crisi del 2008 e del 2011», scrive la nota diffusa ieri. «Si tratta di unrisultato ottenuto anche grazie all’azione del governo italiano, in linea con il paziente ma ferreo traino esercitato da Germania e Francia». Ora servono i piani di impiego, incalza Confindustria. «Gli obiettivi, i tempi e le risorse vanno stimati ex ante con grande precisione, puntando innanritutto alla crescita degli investimenti ed evitando, al tempo stesso, un aumento della spesa pubblica corrente». La sollecitazione degli imprenditori è che «in aggiunta alle risorse necessarie all’economia produttiva» venga utilizzato il Mes: «Riteniamo ancorpiù di prima che sia di primario interesse dell’Italia tassare il Mes per 37 miliardi ai fini sanitari, visto che nell’accordo finale risultano purtroppo tagliati fondi che dovevano fare espandere ilbilando comunitario a favore della ricerca, delle nuove tecnologie, della sostenibilità ambientale, della cliptaiirzazione e della competitività delle imprese europee».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Schianchi Francesca 
Titolo: Intervista a Enrico Letta – “Sconfitti Rutte e i populisti Adesso prendiamo il Mes”
Tema:

Ci viene richiesto di fare velocemente riforme efficaci. «Ora tocca a noi. I partnereuropei hanno fatto uno sforzo enorme, ora sta a not comporre un piano nell’interesse dell’Italia, che guardi al futuro. Spero che risia crescente consapevolezza sul fatto che quando le scelte sono sbagliate, poi le paghi: una di queste è Quota 100. Il perfetto racconto di un Paese cicala Le scelte sbagliate poi si pagano. Come Quota 100, perfetto racconto dell’Italia cicala da cui dobbiamo uscire». Resta dell’idea che si debba accedere al Mes? «Non ho mai cambiato idea. Per due ragioni: perla finalità del Mes – le spese sanitarie – e per la tempistica. Le risorse di questo accordo arriveranno non prima dell’anno prossimo, quelle del Mes sono disponibili dall’autunno». Da Palazzo Chigi filtra invece la volontà di non prendere i fondi del Mes: è un errore? «La narrativa di oggi sull’accordo è che arrivano 200 miliardi per l’Italia: i nostri cittadini e le nostre imprese aspettano questi soldi, se non li vedono presto circolare, l’effetto frustrazione è dietro l’angolo. Per questo il Mes è ancora più importante. Potremmo mettere in piedi mille centri di telemedicina diagnostica in mille comuni remoti e montani: daremmo un segnale ai residenti, spesso anziani, e lavoro alle start up, oltre a digitalizzare il Paese. E importante dare un segnale subito: oggi è una bella giornata, ma bisogna dare la sensazione che non siano solo annunci, per questo la tempistica è importante».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Intervista a Vincenzo Amendola – «Il governo adesso deve muoversi» – «Ora il governo è chiamato a un grande sforzo di coesione e responsabilità»
Tema: Intervista al Ministro Amendola

Ministro Enzo Amendola, il governo italiano dice che quello di Bruxelles è un accordo storico, ma ci danno oltre tre miliardi di sussidi in meno del previsto e in compenso sono aumentati i prestiti che comunque sono soldi che dovremo ridare. Lo stanziamento dei fondi peraltro prevede una serie di condizioni: questo significa che saremo sotto il controllo di altre nazioni? «Questa intesa cambia la storia e il volto dell’Europa, sempre meno somma di singoli calcoli nazionali. Al netto delle risorse, per la prima volta gli Stati decidono di fare debito comune e di finanziare piani contro la recessione. L’Italia è il più grande beneficiario di questi stanziamenti, con oltre 209 miliardi di euro, e le uniche condizioni che ci saranno sono legate alla qualità della spesa e delle riforme. Francamente non mi sembra un cattivo affare: dare vita ai bond europei, combattere tutti insieme la recessione e modernizzare l’Italia, come da sempre si annuncia e mai si realizza». Intanto, ministro, il premier Conte continua a dire no al Mes, perciò non ci accederemo. Lei è d’accordo con questa linea? «Tutte le iniziative saranno decise ed attivate con il Parlamento. La linea di credito Pandemic Crisis Support, che attinge dal Mes, è uno di questi strumenti a disposizione dell’Italia e degli altri Stati europei. Lo dico con il massimo rispetto, la decisione sul Mes è all’ordine del giorno del governo in base a un calcolo di fabbisogno e di programmazione affidato al premier Conte e al ministro Gualtieri. Mi auguro che dopo l’accordo di ieri anche il ricorso al Mes venga valutato per quello che è, al di là della strumentale contrapposizione politica».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Intervista a Luigi Di Maio – Di Maio: “Ora tagliamo le tasse. Conte leader M5S? Si iscriva al Movimento” – Di Maio “Ora giù le tasse e piano industriale verde Conte capo 5S? Si iscriva”
Tema: Intervista al Ministro Di Maio

Ministro Luigi Di Maio, come giudica l’accordo sul Recovery Fund? «È un accordo che mette al centro il futuro delle giovani generazioni e non gli interessi di qualche Stato. Di questo sono davvero contento. L’Europa era davanti a un bivio e ha scelto di rispondere. Ora tocca a noi dare le dovute risposte agli italiani attraverso un piano di riforme concreto e ambizioso». Quail? Ne avete Idea? «Bisogna cogliere l’occasione per avviare una grande modernizzazione del Paese. Il governo ha le qualità per farlo, ma soprattutto ha la credibilità. Mi creda, non si tratta di un dettaglio, e lo stesso M5S sta dando dimostrazione di grande maturità. Ci definivano populisti quando non ci Quando vinci il merito è di tutta la squadra, anche di chi sta dietro le quinte rappresentato dalla fermezza del premier Con il Pd governiamo bene ma sulle alleanze non si mette il carro davanti ai buoi. Dobbiamo prima decidere la nostra strada capivano, poi siamo andati al governo, abbiamo contribuito in modo determinante alla nomina della presidente von der Leyen. E si ricorda quanto fui attaccato? Ecco, quella scelta oggi la rivendico». Fu attaccato, anche all’interno dei 5 stalle, per l’inversione a U. «Fu una scelta di campo, una scelta di responsabilità che ha premiato. Il risultato ottenuto ci dimostra che la strada intrapresa crea stabilità e offre opportunità di crescita e di rilancio». Di chi è il merito del successo a Bruxelles? «Quando vinci una partita il merito è di tutta la squadra, anche di chi sta dietro le quinte. Il risultato è del collettivo, rappresentato dal presidente del Consiglio Conte che ha mostrato determinazione, si è butn con tuttala delegazione italiana e ll corpo diplomatico».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Intervista a Ernesto Maria Ruffini – «Le tasse? Si paghino solo su quanto si incassa» – Le tasse? Addio acconti e saldi Arriva il Fisco in tempo reale»
Tema: Intervista al direttore dell’Agenzia delle Entrate

Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate da sei mesi, e per la seconda volta (la prima nel 2017-18), ha di fatto aperto la partita della riforma fiscale tendendo la mano a lavoratori autonomi, professionisti e partite Iva, i contribuenti più colpiti dalla crisi. Lo ha fatto con una proposta di radicale semplificazione degli adempimenti Irpef e Iva, che segnerebbe il passaggio da un prelievo sugli incassi presunti a uno sugli incassi effettivi o, come dice lui, dal fisco per competenza a quello per cassa, eliminando tra l’altro a monte non solo il sistema del saldo e acconto ma anche la formazione dei crediti fiscali e la conseguente attesa dei contribuenti per i rimborsi. La proposta, che Ruffini preferisce definire «riflessione» è stata ben accolta dal governo e si suppone quindi che entrerà nell’annunciata riforma complessiva del fisco. Direttore, come funzionerebbe il nuovo sistema? «La mia riflessione mira a superare lo stress e l’ansia che circa 4 milioni di contribuenti tra autonomi, professionisti e partite Iva vivono ogni anno in relazione a un calendario di scadenze fiscali, spesso soggetto a cambiamenti». In pratica? «Per le persone fisiche titolari di partita Iva e per le società di persone si tratterebbe di passare a un sistema di cash flow tax, cioè di tassazione per cassa. Si introdurrebbe un sistema di liquidazione periodica mensile o trimestrale delle imposte sui redditi basato sugli incassi e le spese effettivi. Questo eliminerebbe l’attuale sistema degli acconti e dei saldi, che genera l’ansia di doversi procurare una provvista per pagare le imposte in anticipo rispetto a un anno che ancora non si sa come andrà e poi per il saldo, magari andando in credito con la conseguente attesa del rimborso».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Monti Mario 
Titolo: Ora tocca a noi – Adesso tocca all’Italia Dare segni di cambiamento
Tema: Necessari segni di cambiamento

L’Italia sarà il maggiore beneficiario dei fondi del Piano Marshall europeo, voluto dalla «perfida» Merkel. Ed è anche il Paese europeo che più si è specializzato, in questi ultimi anni, nel trasferire redditi, non nel produrre reddito. Se il nostro Pil è messo molto peggio di quello dei nostri partner, è perché sentiamo, doverosamente, un’esigenza di giustizia sociale ma non vogliamo realizzarla, come fanno Paesi e popoli meno originali, stimolando la concorrenza e la produzione e colpendo duramente l’evasione fiscale (queste azioni farebbero perdere voti) bensì provvedendo in via diretta con trasferimenti dallo Stato ai cittadini (azioni che invece, si ritiene, producono voti). Il primo ministro olandese Rutte ha alcuni tratti irritanti. Ma sarebbe bene che in Italia non arrivassimo ora a ritenere l’aggettivo «frugale» un insulto. E che facessimo nostra la diffusa perplessità — molto antipatica, quando viene dai nordici — circa la sostenibilità di un’economia, e di una società, che si appoggiano sui trasferimenti. E essenziale che il nostro Paese dia segni concreti e rapidi di avere volontà e capacità di realizzare seriamente ciò che giova alla nostra economia e che la Ue ci chiede di fare, perché siamo un pezzo importante dell’Europa. Non dobbiamo illuderci che il «superfreno» che il solito Rutte avrebbe voluto (la possibilità per un singolo Paese di far bloccare le erogazioni sul Recovery Fund a Paesi che non rispettino le condizioni pattuite), non adottato dal Consiglio europeo, sia uscito di scena.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cottarelli Carlo 
Titolo: L’analisi – All’Italia adesso servono riforme – Condizioni accettabili L’incognita siamo noi
Tema: Riforme

Premessa; prima di dare un giudizio finale sull’accordo raggiunto al Consiglio Europeo sul “Recovery Fund” (più propriamente II Next Generation Eu) occorrerà esaminare bene tutti i documenti che verranno pubblicati nei prossimi mesi. Ciò detto, al momento il giudizio non può essere che positivo. All’Italia arriverebbero 209 miliardi a partire dalla seconda metà del 2021. II totale è più alto di quella forchetta di 150-170 miliardi proposta dalla Commissione europea in giugno. I trasferimenti a fondo perduto restano intorno a 80 miliardi ma aumentano I prestiti agevolati Si è quindi scampato íl primo pericolo: quello che le risorse, soprattutto i trasferimenti, fossero tagliati per le pressioni dei Paesi “frugali”. Il secondo punto sollevato dal “frugali” riguardava íl processo decisionale relativo all’erogazione delle risorse. Riassumiamo l’accordo in proposito. I Paesi dovranno presentare programmi di utilizzo del fondi. Il Consiglio europeo (quindi li livello “politico”) li potrà approvare su proposta della Commissione con «maggioranza qualificata». Qui si è scampato il rischio dell’approvazione all’unanimità, che avrebbe consentito anche a un singolo Paese di bloccare tutto (anche se una minoranza sufficientemente ampia potrebbe farlo). Che accade poi? Parte dei fondi verrebbe erogata subito, il resto a rate, via via che certi obiettivi saranno raggiunti. Chi decide se gli obiettivi sono stati raggiunti? La Commissione, sentito il parere del Comitato economico finanziario.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Serafini Laura 
Titolo: Open Fiber come Aspi, alla ricerca di fondi graditi
Tema: Verso la rete unica

La strategia di Cassa depositi e prestiti per acquisire il controllo e la regia degli asset infrastrutturali del paese ha una matrice comune. Quella di potersi scegliere i partner finanziari per condividere il percorso di rilancio e finanziamento dello sviluppo di attività, siano esse le autostrade o la fibra ottica, due settori nel quali la società guidata da Fabrizio Palermo ha espresso l’intenzione di assumere un ruolo di controllo/coordinamento. L’orientamento è già stato reso palese per quanto riguarda il futuro assetto azionario di Autostrade per l’Italia, a valle dell’aumento di capitale riservato che Cdp dovrebbe sottoscrivere. Qualcosa di molto simile sembra stia avvenendo su Open Fiber, controllata al 50% da Cdp e da Enel. Al vertice della società elettrica sono pervenute due offerte da parte di fondi di investimento esteri: una da parte del fondo infrastruttuale Macquarie e l’altra dal fondo Wren House, una costola del fondo sovrano del Kuwait Kia.  Il gradimento di Cdp sul nuovo socio è fondamentale, perchè una partnership al 50% è destinata a fallire se i due azionisti nonhanno la stessa visione sul business. E d’altro canto gli accordi di governance di Open Fiber non prevedono un potere di gradimento a favore dei soci, ma solo a favore del cda nel suo complesso. Se Cdp facesse prevalere in consiglio unvoto contrario nel gradimento, dovrebbe poi esercitare la prelazione e comprare lei il 50% di OF al prezzo proposto dal fondo. Cosa che Cdp non ha alcun interesse a fare. L’incontro avuto nei giorni scorsi tra il ministro per l’Economia, Roberto Gualtieri, e l’ad di Enel,Francesco Starace, avrebbe avuto al centro la necessità di trovare unpercorso condiviso per arrivare alla rete unica e anche per mantenere un livello di prezzo sostenibile. Un prezzo troppo elevato probabilmente non troverebbe un acquirente e, anche se ciò avvenisse, sarebbe poi complicato per Cdp garantire un rendimento del business della rete tale da ripagare quell’investimento.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Rosaspina Elisabetta 
Titolo: Spagna, l’impennata del virus Casi triplicati e 200 nuovi focolai
Tema: Covid-19

Le app non hanno dato i risultati sperati e ora la Spagna si affida ai tracker umani per cercare di circoscrivere l’epidemia che, nelle ultime settimane, ha ripreso vigore. L’obiettivo è di rintracciare nel più breve tempo possibile tutti i contatti dei nuovi positivi, per fermare il contagio. Ma i «tracciatori» all’opera sono 3.500 e ne servirebbero più del doppio. Le autorità tentano di evitare un altro lockdown completo nelle comunità autonome più colpite: Catalogna (con 590 nuovi casi tra domenica e lunedì), Aragona e Paesi Baschi. Nei grafici dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, la Spagna è il secondo paese dell’Unione Europea (dopo il Lussemburgo) per recrudescenza del Covid-19. A oggi il bilancio totale fornito dal ministero della Sanità è di 266.194 infettati, dall’inizio della pandemia, e di 28.422 vittime. Dal 10 maggio, da quando cioè la diffusione del virus pareva finalmente sotto controllo e sono state allentate le misure restrittive mantenute per tre mesi, al 17 luglio sono stati individuati altri 25.618 casi, dei quali 4.581 soltanto nell’ultimo fine settimana. Ieri è stata una giornata relativamente più tranquilla con una lieve discesa della curva: 529 nuovi casi contro i 685 del giorno precedente. Meglio anche la Catalogna, che resta però con Barcellona e Lleida l’epicentro dei 200 focolai ancora attivi. Le cifre ufficiali hanno segnalato lunedì un’impennata che ha portato l’incidenza dei contagi sulla popolazione a triplicare nelle ultime settimane.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Covid, la sconfitta dell’Europa
Tema:  Covid-19

L’Europa diceva di essere pronta alle pandemie. Il suo orgoglio l’ha sconfitta”. Il titolo è duro. È in evidenza sul sito del New York Times, apre un’inchiesta dedicata al fallimento del modello sanitario europeo di fronte al test del coronavirus. Come sanno i lettori americani, il New York Times da cinque mesi non perde occasione per teorizzare che il resto del mondo affronta la pandemia meglio dell’America trumpiana. Perciò questa inchiesta molto critica sugli insuccessi europei attira l’attenzione. Non viene da una fonte pregiudizialmente anti-europea. Questo New York Times militante nella resistenza anti-Trump è un giornale spesso “esterofilo”. Il reportage è ben documentato, ricorda la sicumera e l’arroganza con cui tanti leader europei – non solo i populisti; anche i globalisti, i tecnocrati, i cultori della competenza – minimizzarono il rischio del Covid 19 finché sembrava un problema altrui. Poi promisero che avrebbero aiutato i Paesi poveri, loro sì del tutto impreparati di fronte alle pandemie. Infine arrivò il momento della verità. E uno dopo l’altro i ricchi Paesi dell’Europa occidentale si scoprirono fragilissimi. “I governanti europei si vantavano di avere la migliore sanità del mondo – si legge nell’inchiesta del New York Times – ma l’avevano indebolita con un decennio di tagli. Migliaia di pagine di pianificazioni nazionali per le pandemie si sono rivelati degli oziosi esercizi burocratici. I controlli Ue sull’adeguatezza dei singoli Paesi erano esercizi di auto-compiacimento”. E così avanti, in una lunga, dettagliata e implacabile demolizione del mito europeo. Confesso che la condivido, da “americano” in visita in Europa.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Olivo Francesco 
Titolo: Ballando con il Covid Nell’estate delle feste illegali i deejay riempiono le ville
Tema: Covid-19

I deejay, la musica, il bancone del bar, le luci: pagando 50 euro si balla tutta la notte come se il Covid non ci fosse. Gli elementi dell’estate di Ibiza sono gli stessi di sempre, ma con una differenza: per colpa della pandemia, nell’isola delle discoteche, i locali sono chiusi. Così, gli irriducibili della notte (e dell’alba) che vogliono far tardi ballando hanno delle alternative, fuorilegge, ma numerose e ben organizzate. La moda di questa strana stagione delle Baleari sono le feste illegali, un appuntamento classico da queste parti, che però quest’anno ha un aggravante: il rischio di provocare nuovi contagi. Un mese fa è successo, un party ha causato 9 positivi. L’isola già provata dal crollo del turismo non pub permettersi di vedere esplodere dei focolai, così il Comune ha deciso di passare alle maniere forti, con una nuova legge si sono imposte multe fino a 600.000 euro per chi organizza le feste, ma le sanzioni colpiranno anche chi partecipa. Fatte le norme, ora il problema è individuare le feste. La polizia perlustra le campagne, e i Comuni ricevono le segnalazione dai vicini (quando ci sono), ma non è semplice. Gli inviti arrivano via social network o sui gruppi di WhatsApp, a volte utilizzando parole in codice, sia sulla tipologia di serata, sia soprattutto sul luogo. Gli organizzatori sono per la maggioranza inglesi, la comunità straniera più numerosa di Ibiza, (ma ci sono anche italiani molto attivi) e utilizzano i siti di affitti di barche e case per promuovere i party illegali, che si svolgono in ville private in mezzo alla campagna, spesso all’insaputa dei proprietari. Una volta pagato il biglietto, intorno ai 50 euro, ci si presenta in due punti dell’isola e da lì con i pullman ci si sposta verso i luoghi segreti.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  … 
Titolo: E la Cina testa i vaccini in Brasile
Tema: Covid-19

Il dipartimento di Giustizia statunitense ha accusato due pirati informatici cinesi di aver rubato segreti commerciali dal valore di milioni di dollari, e di aver tentato di sottrarre informazioni riservate di compagnie occidentali note per il loro impegno nella ricerca di vaccini e cure per il Covid-19. Non è chiaro se gli hacker siano riusciti a impossessarsi dei dati sulle ricerche dei vaccini, ma sono accusati di furto di segreti commerciali e frode telematica. Secondo il procuratore generale per la sicurezza nazionale John Demers, «la Cina ora ha preso posto, a fianco di Russia, Iran e Corea del Nord, in quel vergognoso club di nazioni che forniscono rifugio sicuro ai cybercriminali in cambio del loro lavoro a vantaggio dello Stato, per alimentare l’insaziabile fame del partito comunista cinese della proprietà intellettuale altrui, inclusa la ricerca sul Covid-19». Dalla Cina nessuna risposta.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Degli Innocenti Nicol 
Titolo: «A Londongrad interferenze continue dei servizi russi»
Tema: Report intelligence e sicurezza

La peggiore ignoranza è di chi non vuol sapere. Il Governo conservatore è stato accusato ieri di avere deliberatamente ignorato i molti campanelli d’allarme e di avere «attivamente evitato» di indagare o frenare le interferenze di Mosca nella politica britannica. Ci sono prove che la Russia avesse cercato di influenzare il referendum del 2014 sul distacco della Scozia dal Regno Unito, che si era concluso con la sconfitta di misura degli indipendentisti scozzesi Nonostante questo, Londra non ha mostrato alcun interesse a prevenire simili interferenze nel referendum su Brexit dei 2016, che ha portato all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. A puntare íl dito contro Londra è stata la Commissione parlamentare intelligence e sicurezza, in un rapporto scritto l’anno scorso ma che è stato reso noto solo ieri. Boris Johnson aveva rinviato la sua pubblicazione, prevista nell’ottobre 2019, citando le prossime elezioni politiche di dicembre. ll tergiversare per altri sette mesi dopo ll voto ha portato a accuse al premier divoler insabbiare il rapporto per evitare rivelazioni imbarazzanti. La Commissione chiede apertamente al Governo di avviare un’inchiesta pubblica per scoprire se ci sono state interferenze russe durante la campagna in vista del referendum sulla Ue. Ci sono molte indicazioni e segnali di attività illecite da parte di agenti di Mosca, ma “non ci sono prove perchè nessuno al Governo ha pensato di cercarle”. Secondo il rapporto non è troppo tardi per fare luce sulla questione.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  L.Ip. 
Titolo: «Londra ignorò le interferenze russe»
Tema: Report intelligence e sicurezza

Il governo britannico ha chiuso tutti e due gli occhi di fronte alle interferenze russe: e non ha fatto nulla per capire se Mosca avesse tentato di influenzare il referendum sulla Brexit del 2016, nonostante le indicazioni che il Cremlino si fosse già immischiato due anni prima nel voto sull’indipendenza della Scozia. Sono le conclusioni dell’atteso rapporto della Commissione Intelligence e Sicurezza, reso pubblico ieri dopo un lungo rinvio: il dossier avrebbe dovuto infatti vedere la luce l’anno scorso, alla vigilia delle elezioni, ma era stato bloccato da Boris Johnson nel timore che contenesse rivelazioni imbarazzanti sui rapporti fra il partito conservatore e il regime di Vladimir Putin. Nelle 50 pagine del rapporto non c’è una «pistola fumante», non si fanno nomi e cognomi ne si sostiene che gli eventi chiave della politica britannica siano in effetti stati sviati dal Cremlino. Ma il governo di Londra ha «attivamente evitato» di indagare su questa eventualità: «Nessuno nel governo sapeva se la Russia cercasse di influenzare il referendum sulla Brexit perché non volevano saperlo». La commissione ha dunque suggerito che sarebbe il momento di lanciare un’inchiesta su quegli eventi. II rapporto avverte che la Gran Bretagna è un «obiettivo primario» degli sforzi russi di destabilizzazione e che l’influenza del Cremlino è diventata «la nuova norma», con personaggi vicini a Putin che godono di accesso ai vertici politici ed economici del Regno Unito.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Guerrera Antonello 
Titolo: “Londra preda di forze ostili russe” Il report che imbarazza Johnson
Tema: Report intelligence e sicurezza

Negligenza, incompetenza, inerzia, “laissez-faire”, complicità? L’atteso “Russia report” della Commissione Intelligence di Westminster, finalmente pubblicato ieri, sulle influenze della Russia nella politica britannica non lo specifica. Né ci sono “pistole fumanti” sulle presunte interferenze del Cremlino nei referendum di indipendenza della Scozia (2014) e Brexit (2016)- Tuttavia, si evince un ritratto disarmante e devastante del Regno Unito, dell’intelllgence e delle sue infrastrutture difensive. Un Paese “nel mirino principale di Mosca insieme a Usa e Onu”, dove “l’influenza russa è oramai la nuova normalità”. E, ancor più grave, un Paese praticamente preda, perché senza degne resistenze, delle grinfie di “forze ostili russe”. C’è un’espressione, nel report della Commissione bloccato per nove mesi dal premier Boris Johnson (ora si capisce perché), esemplare e inquietante: “Hot potato”. Per i relatori del documento, la minaccia russa è “una patata bollente” che la politica, i governi e la Difesa britanniche si sono regolarmente scaricati a vicenda, “senza approfondire, e senza chiedere conto ai servizi di cosa stesse accadendo”.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Pompetti Flavio 
Titolo: Trump, schiaffo ai sindaci dem federali a New york e Chicago
Tema: Trump

«Tutte le città in mano al democratici sono al momento fuori controllo riguardo all’ordine pubblico. Se Joe Biden dovesse vincere le elezioni, questa sarebbe la sorte del resto della nazione». Donald Trump ha articolato così all’inizio della settimana il tentativo estremo di ridisegnare il terreno di battaglia della competizione elettorale. L’epidemia del coronavirus (ieri il presidente ha twittato la sua foto con la mascherina definendo chi usa la protezione un patriota) e la crisi economica hanno trascinato nel fango il consenso popolare nei suoi confronti. II tema dell’ordine pubblico e le spauracchio della violenza diffusa potrebbe essere l’ultima ancora di salvezza per Il voto di novembre. Trump ha minacciato di inviare a New York, Chicago e Filadelfia gli stessi agenti dei corpi speciali che da due settimane sono all’opera a Portland. unità antisommossa della polizia dl frontiera e di quella dell’immigrazione, guardia costiera e aeroportuale, si sono-calate il fine settimana del 4 di luglio sulla città dell’alta costa del Pacifico, dopo 40 giorni di protesta ininterrotta che hanno fatto seguito all’uccisione dI George Floyd a Minneapolis Portland è la più giovanile, progressista e anarchica metropoli degli Usa, nella quale i resti della cultura hippie degli anni sessanta e II misticismo comunitario del decennio successivo, convivono a fianco dell’imprenditorialità della più moderna generazione tecnologica. In questa città le forze specieIi stanno usando tattiche da guerriglia urbana di stile sud americano.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Pelliccetti Riccardo 
Titolo: Trump cambia strategia Si mette la mascherina per proteggersi dai flop
Tema: Trump

Inversione di rotta. Donald Trump ha cominciato a cambiare registro per riprendere quota. Le elezioni presidenziali sono alle porte e il leader della Casa Bianca ha capito che bisogna correggere il tiro per fermare la crescita di popolarità nei sondaggi dello sfidante democratico Joe Biden. E così ha deciso di riprendere i suoi briefing televisivi sul coronavirus, con lo scopo di tenere la popolazione sempre informata, ma anche di dare buone notizie. Non solo, ora si presenta e pubblica foto su Twitter indossando la mascherina nera col sigillo presidenziale. Una vera retromarcia dopo che per mesi ha snobbato e deriso la protezione sul volto. «Siamo uniti nello sforzo di sconfiggere l’invisibile virus cinese e molti dicono che indossare la mascherina è patriottico quando non si può mantenere il distanziamento sociale – ha detto Trump -. Non c’è nessuno più patriottico di me, il vostro presidente preferito». D’altronde, il Covid-19 è una piaga che ha già contagiato più di 3,8 milioni di persone negli Usa, causando 141mila morti. E ignorarlo non ha giovato alla Casa Bianca. In questo scenario, con tensioni sociali, economia contratta e contagi ancora in crescita, solo il 38% degli. americani (secondo un sondaggio Abc News – Washington Post) apprezza la risposta del presidente alla pandemia.
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Testata:  Panorama 
Autore:  Galietti Francesco 
Titolo: Meno XI, più Draghi. Il Vaticano sceglie Washington
Tema: Vaticano

Papa Bergoglio nomina Mario Draghi membro ordinario della Pontificia Accademia delle scienze sociali e fa sapere di non avere particolare fretta di volare a Pechino. Nel frattempo, dall’altra parte del Tevere, Huawei perde qualche colpo. Pur sottotraccia, non mancano i primi segnali di un disimpegno di Vaticano e Italia al tavolo verde della geopolitica globale. Finora i due avevano puntato molte fiches su Pechino, ma qualcosa sta cambiando. Ecco perché. A lungo e convintamente queste colonne hanno denunciato lo scarrellamento dell’Italia verso l’autoritarismo cinese, lontano dal tradizionale atlantismo. Il tutto nel contesto di un poderoso rivolgimento degli equilibri globali, che vede gli anglo-americani opposti alla Cina e al club di potenze autoritarie amiche di Pechino (Iran, Pakistan e, sebbene con riserve crescenti, la Russia). Questo scenario è sviscerato a fondo in Contagio Rosso, un saggio che ho curato per la collana Historica delle edizioni Giubilei Regnani e che da poco è in libreria. A uno a uno, distesi sul lettino psichiatrico di Contagio Rosso, vengono fuori i tic dei palazzi romani alle prese con una mappa geopolitica mondiale in vorticoso riordino. Ci sono previsioni strategiche azzardate (che vedono la Cina trionfante e la Pax americana declinante) , ma anche complessi culturali (l’odio del sé anti-occidentale) e antiche sudditanze (la subalternità al Vaticano, oggi filocinese e anti-Usa).
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Testata:  Stampa 
Autore:  Stabile Giordano 
Titolo: La vittoria delle donne Il Sudan archivia sharia e mutilazioni
Tema: Sudan

Sotto il ponte di ferro di Khartoum il Nilo Bianco continua a scendere placido, indifferente al corso della storia che di colpo ha accelerato anche da queste parti. Un anno fa i cinque milioni di abitanti erano ancora inebriati dalla vittoria della rivoluzione, la marcia del milione che il 30 giugno, giusto trent’anni dopo la presa del potere da parte di Omar al-Bashir, aveva dato la spallata finale al regime militare. Una vittoria pacifica che aveva spinto il vecchio raiss dietro le sbarre e costretto i generali a un governo di transizione e di compromesso, con un primo ministro laico e moderato, Abdalla Hamdok. «Hokume madaniya», «governo laico» era lo slogan di quei giorni. Un Stato senza più stellette ma, come sottinteso, anche senza la sharia imposta dagli islamisti che per tre decenni, fra alti e bassi, avevano appoggiato il regime. Il nuovo governo è rimasto a lungo nelle secche ma l’estate, con la piena del Nilo, ha portato molti cambiamenti. Ieri si è aperto il processo più importante contro Al-Bashir, dopo quello per appropriazione indebita di fondi pubblici che gli è costato la condanna a due anni carcere. Questa volta rischia il patibolo, perché è accusato di attentato alla Costituzione per il colpo di Stato del 1989. E nelle scorse settimane il governo ha annunciato l’abolizione delle leggi islamiche e delle discriminazioni vergognose nei confronti delle donne, a partire dalle mutilazioni genitali.
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Testata:  Libero Quotidiano 
Autore:  Stefanini Maurizio 
Titolo: Il Venezuela ha appaltato le torture a Cuba e Iran
Tema: Venezuela

55 anni, cittadino italiano residente a Miami, sabato 20 aprile 2019 Hugo Marino Salas sbarco in Venezuela procedente da Panama. Secondo testimoni, alle 12,20 in tempo a chiamare col telefono la madre a Miami, informando che era appena arrivato. Subito dopo fu portato via da uomini della Dirección General de Contrainteligencia Militar. Informata della cosa, poco dopo la famiglia andò alla sede della stessa Dgcim, chiedendo informazioni, e portando cose che potessero alleviare la condizione del detenuto. Dissero loro che potevano lasciare l’acqua, ma dovevano portare via il resto. La settimana dopo, tornarono per portare altre cose. Ma discero loro che una persona di nome Hugo Marino Salas da loro non c’era, e non c’era mai stata. Da allora, quel cittadino italiano resta desaparecido. I parenti hanno presentato una denuncia formale di sparizione, hanno fatto tutti i ricorsi ammessi dalla Costituzione venezuelana per sapere luogo e cause della detenzione, hanno portato il caso ai massimi livelli internazionali fino all’Onu. Niente. Il regime di Maduro insiste a dire che non se sa niente. «Noi chiediamo con forza che il governo italiano intervenga con forza per tutelare questo suo cittadino», ha detto Tamara Sujú nella conferenza stampa con cui ieri alla Sala Stampa della Camera ha presentato il rapporto annuale sulla tortura in Venezuela dell’Istituto Casla: una ong di cui l’avvocatessa Sujú, rifugiata venezuelana in Repubblica Ceca, è direttore generale.
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