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SINTESI IN PRIMO PIANO – 22 dicembre 2019

In evidenza sui maggiori quotidiani:
– Salvini lancia la Lega nazionale
– Autostrade, lite nel governo
– Stop alla riforma digitale
– Banche. Di Maio: vigilanza da riformare
– Trump lancia la “Forza spaziale”

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Marco 
Titolo: Salvini va oltre il Nord «La Lega ora è nazionale» – «Non più solo Nord» Salvini lancia la Lega nazionale per alzata di mano
Tema: congresso Lega

II nuovo partito nasce con una «scarica di mazzate». Quelle di Matteo Salvini che inizia il suo intervento al congresso della Lega Nord picchiando giù duro su (tutti) i leghisti: «Personalismi, approssimazione, litigi, pigrizia… Noi siamo qua perche gli italiani contano su di noi e non abbiamo il diritto di essere pigri». I suoi minimizzano, parlano di «tecnica motivazionale» non rivolta contro nessuno in particolare. Però, dice Salvini, «se i parlamentari hanno ritenuto di fare qualcosa di diverso piuttosto che venire al congresso, allora non hanno capito niente». In effetti, la platea che cambia la storia della Lega non è debordante: il presidente Giancarlo Giorgetti aprendo il congresso dichiara 126 presenti (su circa 500 aventi diritto). Non ci sono gli esponenti dell’opposizione interna e gli esponenti della Lega salviniana, nei posti a loro riservati in fondo alla sala, non aumentano di molto il numero. Ma il regolamento non prevede soglie legali e la rivoluzione si compie per unanime alzata di mano registrata dal notaio: ora potrà formalmente partire la costruzione del nuovo partito salviniano. Ma il congresso è per Salvini anche l’occasione di un ritocco d’immagine. In qualche modo, Salvini ricorda il Berlusconi che incitava i «missionari della libertà». Anche per lui «il confronto è tra libertà e dittatura», ma i nemici per Salvini non sono soltanto i comunisti: «Il punto non è vincere le elezioni. C’è una battaglia globale di cui o siamo coscienti o perdiamo. Qualcuno non ha capito che siamo l’ultima ancora di salvezza per il popolo cristiano occidentale». Non per nulla Salvini era entrato nella sala del congresso con un grosso presepe, prima di tuonare contro i parroci che «offrono la parrocchia per il Ramadan. Non fanno qualcosa contro la religione, fanno anche qualcosa di criminogeno».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lerner Gad 
Titolo: Salvini rottama la Lega – Nasce il partito del Capo rottamata la vecchia Lega Ma Bossi non ci sta
Tema: congresso Lega

Il nuovo partito sovranista di Salvini, al quale da oggi potranno iscriversi anche i militanti della Lega Nord, si chiama come il suo capo: Lega per Salvini premier. Mai visto prima. Sono tanti i partiti che inseriscono nel simbolo elettorale il nome del candidato premier. Ma non si era ancora visto un partito che, fin dal suo nome, dichiara di esistere in funzione del suo capo. In Argentina, Juan Domingo Peròn diede vita al Partido Justicialista, soprannominato peronista. In Francia, Charles De Gaulle chiamò RPF (Rassemblement du peuple français) il suo movimento, poi gollista. Lo stesso vale per Pierre Poujade, fondatore dell’Union Fraternité Française, in seguito nota come poujadismo. Quello che ormai è diventato il primo partito italiano, nel recedere dal suo scopo originario, l’indipendenza della Padania, si sottomette invece fin nella ragione sociale al leader che in sei anni ne ha decuplicato i consensi. Dunque: non Salvini per la Lega, non Lega Nazionale, bensì la Lega per Salvini. Il nuovo statuto è stato approvato in fretta e furia per alzata di mano da un paio di centinaia di delegati (su 500, molte sedie sono rimaste vuote al centro congressi di Bruzzano), con ciò sancendo la svolta che sembra rendere inscindibile il destino del partito dal destino personale del suo capo. «Lunga vita», non a caso, gli ha augurato Roberto Calderoli illustrando la novità: «Matteo, riguardati, perché noi abbiamo assolutamente bisogno che ci sia Salvini per la Lega». L’urgenza di questa blindatura ha molto a che fare con l’incertezza degli equilibri politici, ma anche con le preoccupazioni del Capitano che lo scorso mese d’agosto, non si sa bene se per calcolo o per un mojito di troppo, ha trasferito la Lega dal governo all’opposizione. Se le elezioni in Emilia Romagna non andassero per il verso giusto e se l’attuale Parlamento restasse in carica fino al 2023 -insomma, in assenza di una spallata vittoriosa- il malumore farebbe presto a ritorcersi contro l’intestatario del partito. Ci voleva Umberto Bossi per ricordare che lì era riunito a congresso, forse per l’ultima volta, il partito fondato l’8 dicembre 1989. Arrivato in sedia a rotelle dal suo eremo di Gemonio, salito a fatica sul palco, Bossi ha voluto impartire una lezione di nordismo militante agli smemorati: «Senza la spinta sociale contro il Palazzo, senza identità e appartenenza, senza battere il centralismo, non basta avere tanti parlamentari».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  M.Cre. 
Titolo: Intervista a Roberto Calderoli – «Resta anche il vecchio partito E non solo per i 49 milioni»
Tema: congresso Lega
Calderoli, ci spieghi. A che cosa serviva, esattamente, il congresso? «A mettere le basi per costruire un partito correttamente organizzato sul territorio». II vicepresidente del Senato Roberto Calderoli è l’architetto delle partite complicate: statuti del partito, leggi elettorali, quesiti referendari. Ma che cosa accadrà esattamente? «Oggi 9 regioni del Centrosud hanno già costituito le proprie associazioni della “Lega per Salvini premier”. Ora, dopo il congresso, si possono far partire gli atti fondativi anche delle 13 associazioni del Nord. Le 22 regioni saranno poi tutte affiliate alla Lega salviniana. Da quel momento, si potrà partire con i tesseramenti, non automatici: i vecchi tesserati Lega possono far valere la possibilità, vedremo se la eserciteranno. Infine, potranno partire i congressi». Quando si concluderà la transizione? «Penso entro il 2020». Calderoli, lo dica: è la fine della Lega Nord, che da oggi servirà solo a pagare il debito di 49 milioni con lo Stato. «Lei scherza. La Lega Nord mantiene i suoi organi, Umberto Bossi presidente e anche un gruppo parlamentare. Ma soprattutto conserva — come altri partiti nati locali come il Partito Sardo d’Azione — un suo specifico che potrà essere valorizzato a seconda delle elezioni».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Vico Dario 
Titolo: L’analisi – Il Settentrione cambia pelle (ma il Carroccio se ne accorge? )
Tema: Lega e Nord

E’ paradossale ma nel momento in cui la Lega non è mai stata così forte nelle amministrazioni del Nord viene meno nella simbologia politica il riferimento alla questione settentrionale. E la comunicazione è specchio dei fatti: qualsiasi partito che potesse contare su quattro governatori (Fontana, Zaia, Fedriga e Fugatti) li avrebbe riuniti per delineare orientamenti comuni almeno in tre materie (infrastrutture, sanità e mercato del lavoro) e invece la Lega no. L’integrazione economico-territoriale del Nord non interessa alla leadership di Matteo Salvini, che del resto ha lasciato la battaglia dell’autonomia regionale in gestione ai governatori di Veneto e Lombardia. Al punto che nel suo «Rito ambrosiano» Bobo Maroni scrive che «Matteo non si dannò l’anima» per il referendum del 2017 e «qualcuno sostiene che abbia fatto il tifo per il no». Ma mentre Salvini definisce le sue alchimie politiche — quanta comunicazione, quanta Italexit — il Settentrione, che si scopre orfano di rappresentanza, sta cambiando pelle. Basta pensare alle traiettorie dello sviluppo: al vecchio triangolo industriale Mi-To-Ge se ne è sostituito un altro, sempre con vertice Milano ma che stavolta si rapporta a Bologna e Treviso e si segnala come il contenitore delle multinazionali tascabili più intraprendenti e dei flussi di export più consistenti. Ma niente sta mai fermo e i flussi dell’economia reale riscrivono di continuo la gerarchia dei territori, anche dentro il nuovo triangolo. Il Nordest infatti comincia a sentire le difficoltà di un modello di capitalismo anarchico.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Il retroscena – I renziani alzano i toni, Conte prova a mediare E il Pd accusa i 5 Stelle sull’identità digitale
Tema: tensioni nel governo
Altro che Milleproroghe, il decretone di fine anno passerà alla storia dell’era giallorossa come «milleproblemi». La matassa da sbrogliare era così grossa e intricata che Giuseppe Conte ha presieduto un consiglio dei ministri lungo quasi sei ore. Trecentosessanta interminabili minuti di esame articolo per articolo e di discussione anche animata. Che però non sono bastati, perché il testo è stato approvato con la formula del «salvo intese». «Clima buono, cordiale», rassicurano i bollettini di Palazzo Chigi, smentendo liti e scontri politici. E il premier si prepara a degustare il panettone con animo sereno, perché ha riscontrato «la volontà di tutte le forze politiche di trovare la quadra e andare avanti con il governo». Ma chi c’era racconta la gran fatica che ha dovuto fare il presidente del Consiglio per mediare sui dossier più spinosi, approdati sul tavolo del Cdm senza condivisione con le altre forze politiche. Problemi di metodo e problemi di merito sul Piano per il digitale e sul tema esplosivo delle concessioni autostradali, che hanno convinto il premier a riconvocare i ministri domani. Sperando che lo «scontro totale» tra Italia viva e M5S si sia placato. L’allarme scatta nel primo pomeriggio, quando Pd e 5 Stelle sbattono una volta ancora contro il muro dei renziani. «Minacciano di non votare il Milleproroghe», è il messaggio che corre via Whatsapp. Nel chiuso del vertice, la ministra Teresa Bellanova fa a pezzi il testo portato dalla responsabile dei Trasporti, Paola De Micheli, per sbloccare i cantieri della Ragusa-Catania. «Ma stiamo scherzando? — si arrabbia la capo delegazione di Italia viva —. E un esproprio proletario». A sentire i colleghi del Pd la ministra dell’Agricoltura appare «molto agitata» e più d’uno, a cominciare dal premier, si adopera per rassicurarla. Le spiegano che la norma non attiva la revoca della concessione, ma la disciplina. E che, nel caso di revoca, assicura la gestione allo Stato attraverso Anas. Ma Bellanova non molla e sale la tensione con Di Maio, che ha voluto le concessioni dentro al Milleproroghe. Se il capo politico del M5S è pronto a esultare, perché vede avvicinarsi la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, Matteo Renzi fa sapere, del tutto ufficiosamente, che non accetterà una norma «da Paese sudamericano».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cappellini Stefano 
Titolo: Intervista a Matteo Renzi – Renzi: così i 5S ci portano al caos – Renzi “Non siamo al governo per votare le scandalose leggi 5S Ci portano al caos”
Tema: tensioni nel governo

Matteo Renzi, partiamo dal finale del film. Nella maggioranza molti pensano che lei, dopo essere stato il levatore del governo, sia oggi il più tentato dalle elezioni anticipate. «Falso. Per me la legislatura deve andare a scadenza naturale. E deve eleggere nel 2022 il Presidente della Repubblica. Ma senza aumentare le tasse o fare norme populiste, giudiziarie o economiche. Al 2023 arriveremo con le nostre idee, non grillizzati. Non saremo mai la sesta stella di Beppe, non ci iscriveremo alla piattaforma Rousseau». Ieri in Consiglio dei ministri sul Milleproroghe gli esponenti di Italia viva si sono messi di traverso. «Se qualcuno vuole revocare la concessione ad Autostrade per la vicenda del ponte Morandi si presenti in Parlamento con un disegno di legge. Il Parlamento è sovrano: si discuterà e la maggioranza deciderà. Ma utilizzare il Milleproroghe aprendo un potenziale caos normativo e facendo crollare la fiducia degli investitori esteri sull’italia è roba da azzeccagarbugli di provincia. Torniamo all’Abc: nel mille proroghe ci vanno le proroghe, non le brillanti intuizioni di qualche demagogo». Avete bocciato anche il piano Innovazione del ministro Pisano. «Redatto con tanto di ringraziamento a Casaleggio. Alla faccia del conflitto di interessi». Anche sulla giustizia siete in dissenso. Italia viva non condivide la nuova prescrizione targata Bonafede, che entrerà in vigore dal primo gennaio. Avete già perso? «La norma Bonafede sulla prescrizione è uno scandalo, entrato in vigore solo grazie ai voti di Salvini. Un processo senza fine è la fine della giustizia. Vedremo quali strumenti tattici utilizzare per risolvere il problema. Ma in Parlamento su questo tema oggi Bonafede è in minoranza: se propone una mediazione, bene. Altrimenti, si voti in Aula e vediamo come va. Noi tra il giustizialismo e lo stato di diritto sappiamo benissimo da che parte stare. Gli altri decideranno».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Intervista a Mara Carfagna – “Resto lontana dai due Mattei” – Carfagna “Con me i liberali che non si affidano a Salvini Dalle Sardine buone idœ”
Tema: centrodestra

«Non è un partito, non è una corrente di Forza Italia, non faremo i responsabili per Conte». Come Pietro l’apostolo, Mara Carfagna ha bisogno di negare tre volte per rassicurare Berlusconi. Convinto, dopo il lancio di Voce libera, che la vicepresidente della Camera voglia mettersi in proprio. Lei per adesso smentisce: «Forza Italia è casa mia». Ma detta le sue condizioni: «Non ci faremo annettere da Salvini, noi siamo una forza europeista e liberale». Altrimenti… un avverbio che è il non detto dell’associazione pensata come lievito madre per risollevare il centro. La cui leader è già in movimento. «Vacanze? In questo momento è difficile staccare», spiega trafelata Carfagna, «alla fine sui territori c’è sempre tanto da fare: tra incontri e brindisi lo spazio personale si restringe un po’». Onorevole Carfagna, Berlusconi ha detto che la sua è un’iniziativa divisiva e inutile. «Saranno i fatti a dimostrare il contrario. Voce libera nasce non per dividere ma per includere, aggregare. E sarà utile alla stessa Forza Italia».
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Testata:  Espresso 
Autore:  Fittipaldi Emiliano – Tizian Giovanni 
Titolo: Renzi e quel compenso-monstre per la tv – Renzi, facciamo Presta
Tema: villa di Renzi

Matteo Renzi ha detto che il prestito da 700 mila euro necessario all’acquisto della sua nuova villa a Firenze l’ha rimborsato appena «perfezionata» la vendita della vecchia casa di Pontassieve. Un’affermazione fasulla. visto che la casa – si scopre ora – è stata venduta solo nel maggio del 2019. Il senatore di Italia Viva – come dimostra una nuova informativa della Uif – è riuscito a pagare il suo debito grazie a circa mezzo milione di euro giratogli da Lucio Presta. L’agente delle star ha dato a Renzi il mega compenso per il documentario “Firenze secondo me” (di cui il politico era autore e conduttore) tra settembre e novembre 2018. Una somma completamente fuori mercato: l’Espresso ha scoperto che Discovery Italia, l’unica emittente che ha mandato in onda il programma, ha infatti versato a Presta per la messa in onda del documentario meno di 20 mila euro. Come mai la Arcobaleno Tre ha dato all’ex premier un compenso così alto? Senza Presta, dunque, Renzi non avrebbe potuto restituire i 700 mila euro alla madre dell’imprenditore Maestrelli. Almeno, non in tempi così rapidi. Se era noto che l’agente aveva girato a Renzi un cachet da 454 mila euro per le quattro puntate del documentario andate in onda un anno fa su Discovery Channel, L’Espresso ha scoperto che il compenso per i diritti d’autore è stato versato sul conto di Renzi con due bonifici. E che il primo, partito dalla Arcobaleno Tre il 17 settembre 2018 per un valore di 235 mila euro, è stato pagato da Presta prima ancora che qualche emittente facesse un contratto. Non solo: Discovery Italia – la media company che ha comprato la messa in onda del documentario che ha fatto meno del 2 per cento di share – ha dato alla società Arcobaleno di Presta e di suo figlio Niccolò meno di 20 mila euro complessive per i diritti del programma. Come mai l’agente ha concesso al senatore un cachet così alto, 25 volte maggiore della fee sborsata da Discovery?
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Testata:  Avvenire 
Autore:  Gigliotti Saveria_Maria 
Titolo: Intervista a Nicola Gratteri – «La lotta alle cosche? È nelle mani di tutti»
Tema: lotta alla mafia
Mentre per le strade di Catanzaro si è alle prese con gli acquisti natalizi, Nicola Gratteri è al lavoro nel suo ufficio, seduto alla scrivania piena di fogli, documenti, post it. Non si è fermato un attimo dopo la conclusione dell’operazione, nome in codice “Rinascita-Scott”, che ha inflitto un duro colpo alla cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). Ha chiesto ai calabresi di occupare gli spazi lasciati liberi. Come si può fare? “Lo confermo. Questa è la ricetta di lungo periodo. Nel breve periodo dobbiamo essere noi, con gli strumenti normativi che il legislatore ci ha dato, anche se noi sempre ne chiediamo di più e di più efficaci. Nella ricetta di lungo periodo, abbiamo bisogno che la gente prenda consapevolezza che in Calabria la musica è cambiata; che noi stiamo facendo sul serio; che questa volta siamo attrezzati con magistrati e forze dell’ordine di qualità, per fare cose serie. La gente ora deve fare la sua parte. Oggi ampi territori sono liberi. Allora scendiamo in piazza, occupiamo la cosa pubblica, anche fisicamente, anche simbolicamente, creiamo associazioni di volontariato, incominciamo anche fisicamente a pulire le strade, le aiuole, le piazze. Incominciamo a fare associazionismo e a radunarci in assemblee, in incontri, per discutere cosa fare per rendere più bello e per colorare il nostro paese, per togliergli il grigio. Ragioniamo per far tornare il sorriso ai bambini perché non abbiamo più questa cappa della ‘ndrangheta”.
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Economia e finanza

Testata:  Repubblica 
Autore:  Greco Andrea 
Titolo: Popolare di Bari In pieno crac il cda si alzava i compensi
Tema: banche

Mentre la nave bancaria di Bari affondava, i crediti inevasi ingrandivano la falla patrimoniale e non si trovava un investitore disposto a colmarla, i capitani sulla tolda della banca pensavano ad aumentare i compensi, in modo generalizzato per il cda e per tutti i dirigenti della prima linea. A partire dai manager addetti ai controlli Interni e alla compliance (la conformità alle direttive di vigilanza): le due aree nevralgiche da cui dipendeva il flusso di comunicazioni sia con i magistrati che indagavano sulla banca, ipotizzando i principali reati societari, sia con i controllori della Banca d’Itaha. Sono numeri che trovano conferma da fonti interne alla popolare barese, e nel sindacato di categoria che già ebbe a criticarli lo scorso settembre. L’assemblea infuocata chiamata a votare il bilancio 2018, chiuso con 420 milioni di perdita netta a causa di ingenti svalutazioni su crediti, doveva discutere al punto 5 anche le “Politiche di remunerazione ed incentivazione per l’esercizio 2019”. Un punto che passò al voto dei soci infuriati, forse più intenti a contestare i vertici nel timore di non rivedere i loro investimenti. Come dovessero essere tali “politiche di remunerazione e incentivazione” lo si capì due mesi dopo, il 24 settembre. Quando il cda della banca approvò il nuovo pacchetto dei compensi. Il gettone per tutti i consiglieri di amministrazione saliva da 40 mila a 70 mila euro annui. Il compenso fisso per l’ad Vincenzo De Bustis fu stabilito a 1 milione di euro, e di 450 mila euro per il presidente Gianvito Giannelli.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Perrone Manuela 
Titolo: Intervista a Luigi Di Maio – Di Maio: vigilanza da riformare – «Bankitalia faccia autocritica, vigilanza da riformare»
Tema: banche

«Bankitalia faccia autocritica, il suo silenzio è imbarazzante». Luigi Di Maio consegna il suo “j’accuse” nei confronti di Via Nazionale, all’indomani del commissariamento della Popolare di Bari e mentre sotto la lente della magistratura finiscono anche i rapporti dell’istituto con la vigilanza della Banca d’Italia. «Che qualcosa non funzioni nella vigilanza bancaria – dice Di Maio – credo ormai sia sotto gli occhi di tutti. Serve una riforma che dia al Parlamento più voce in capitolo, con le giuste precauzioni, nella scelta dei vertici» e la vigilanza va riformata per essere maggiormente incisiva negli interventi preventivi. Bisogna fare in modo che casi come quello della Popolare di Bari non si verifichino più in questi termini. È evidente che il sistema va e deve essere tutelato, che il primo passo è sempre tutelare i risparmiatori, ma questo non significa che chi ha sbagliato non debba pagare i suoi errori». I 900 milioni destinati dal Governo alla Popolare di Bari serviranno tutti per il salvataggio o secondo lei ci saranno davvero i margini per destinare parte della somma alla “banca del Sud” per sostenere gli investimenti nel Mezzogiorno? «I margini ci devono essere, in ogni caso una cifra importante sarà destinata alla nuova banca pubblica per gli investimenti, sarà un altro punto del nostro programma, anche il ministro Gualtieri ha dichiarato come prioritaria la strada della Bpi: uno strumento riconosciuto istituzionalmente in grado di contribuire in modo diretto al rilancio dell’economia nazionale, soprattutto al Sud e che rappresenta un’opportunità di carattere strategico»..
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Testata:  Avvenire 
Autore:  Gualtieri Roberto 
Titolo: Lettera ad Avvenire – Il ministro Gualtieri: la Manovra è sociale e impone nuovi passi – Le disuguaglianze il nemico da battere
Tema: manovra

“Credo sia assai utile cercare di spiegare lo spirito con cui, insieme con le forze politiche che sostengono la maggioranza, abbiamo cercato di impostare una Manovra così impegnativa. 123 miliardi di aumento Iva da disinnescare, la stabilità e sostenibilità dei nostri conti da salvaguardare e la necessità di imprimere una spinta all’economia italiana in una fase di pesante rallentamento sono stati sicuramente i cardini da cui siamo partiti. Ma c’è un argomento che nel corso di queste settimane è sparito dai radar del dibattito pubblico, anzi forse non è mai comparso, probabilmente soffocato dall’ossessivo tam tam alimentato dall’opposizione sulla presunta “manovra delle tasse’; una classica fake news del nostro tempo (numeri alla mano, il carico fiscale diminuirà e le nuove imposte saranno solo due: plastica monouso non riciclata e bevande eccessivamente zuccherate, con un peso infinitesimale sul totale complessivo). L’argomento che è mancato a mio avviso può essere riassunto in due concetti: lotta alle diseguaglianze e sostegno alla coesione sociale e territoriale. L’Italia è uno dei Paesi avanzati in cui, nonostante i significativi interventi di contrasto alla povertà varati negli ultimi tempi, le diseguaglianze restano particolarmente marcate. Da questo punto di vista la Legge di Bilancio si sforza, pure in un quadro limitato di risorse disponibili, di dare delle prime risposte concrete a un Paese che deve assolutamente ricucire le sue divisioni sociali e territoriali”.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Salvia Lorenzo 
Titolo: Autostrade, lite nel governo – Sei ore di scontro a Palazzo Chigi
Tema: milleproroghe
 Come era già avvenuto per la manovra, il governo Conte due si rifugia nella formula del «salvo intese» per approvare l’ultimo decreto legge dell’anno, il Milleproroghe. Non c’è ancora accordo, il testo potrà cambiare ancora prima di essere pubblicato in Gazzetta ed entrare in vigore. E nella seduta di Palazzo Chigi, che si doveva chiudere a ora di pranzo e invece è andata avanti per buona parte del pomeriggio, è stato scontro aspro. Anche su altri temi, come il piano Innovazione. Ad accendere la discussione è stato l’articolo 33 del Milleproroghe, aggiunto da Palazzo Chigi a poche ore dall’inizio della riunione. Prevede che, in caso di revoca, decadenza o risoluzione di concessioni autostradali, la gestione provvisoria venga affidata ad Anas. Non solo. Perché se c’è un «inadempimento» da parte del concessionario, dall’indennizzo che lo Stato deve pagare va detratto il risarcimento del danno causato dall’inadempimento stesso. Sembra una misura tagliata su misura per Aspi, Autostrade per l’Italia, un modo per preparare la revoca della concessione per il crollo del ponte Morandi. Indicando chi prenderebbe il posto di Aspi, di fatto con una nazionalizzazione temporanea a mezzo Anas. E dimezzando l’indennizzo pari a 23,5 miliardi di euro che lo Stato dovrebbe pagare per «cacciare» la società controllata dalla famiglia Benetton. Contro la misura si è schierata Italia viva ma anche il Pd ha più di una perplessità. Aspi per ora tace ma a intervenire è Aiscat, l’associazione dei concessionari, che parla di «gravissima lesione dello Stato di diritto». E di «dubbi di incostituzionalità», perché il Milleproroghe può rinviare delle scadenze, come fatto ad esempio per l’aumento dei pedaggi, ma non cambiare le regole del gioco.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  … 
Titolo: Aiscat: intervento incostituzionale Confindustria: alt a norme unilaterali
Tema: milleproroghe

Oltre a esprimere «sconcerto e incredulità» per le norme inserite nell’articolo 33 del decreto milleproroghe, l’associazione dei concessionari autostradali Aiscat va subito al sodo accusando le disposizioni di «forti dubbi di incostituzionalità». E anche Confindustria «condivide le preoccupazioni espresse da Aiscat sulle indiscrezioni in merito all’inserimento, nel decreto legge Milleproroghe, di un intervento in tema di concessioni autostradali». Per via dell’Astronomia «se le informazioni circolate fossero confermate, si tratterebbe di un intervento unilaterale di modifica dei contratti in essere, effettuato per giunta con legge». L’effetto sarebbe negativo «non solo sulla specifica situazione, ma più in generale sulla credibilità del nostro Paese e sulla capacità delle sue Istituzioni di assicurare procedure corrette e regole prevedibili a tutela della libertà d’impresa». Le parole di Aiscat sono pesanti: l’articolo 33 «genera una gravissima lesione dello Stato di diritto, in quanto modifica per legge e in modo unilaterale i contratti in essere tra lo Stato e i concessionari autostradali» e «rischia di provocare conseguenze estremamente gravi nei confronti di diverse società concessionarie, in particolare di quelle quotate in Borsa». Aiscat ricorda, in particolare, che «verrebbero messe in seria difficoltà le linee di credito delle società concessionarie e, di conseguenza, l’operatività delle medesime, generando enormi e immediati problemi nella gestione delle infrastrutture autostradali e addirittura mettendo a rischio la stessa sopravvivenza delle società».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Carli Andrea 
Titolo: Gli altri interventi – Energia, addio al mercato tutelato dal 2022
Tema: milleproroghe

Il decreto milleproroghe ha ottenuto il via libera del Consiglio dei ministri, al termine di una riunione fiume, durata circa sette ore. Il semaforo verde è però scattato con la formula “salvo intese”. Nella sostanza quello uscito dal Cdm è un “testo aperto”, non definitivo, che potrebbe registrare modifiche prima dell’approdo in Gazzetta Ufficiale e l’invio al parlamento per la conversione in legge. Una misura che impatta sulle famiglie è il rinvio al 2022 dell’addio al mercato tutelato dell’energia. La legge sulla concorrenza del 2017 aveva fissato la conclusione della tutela di prezzo al 1° luglio 2019 per i settori dell’energia elettrica (per i clienti domestici e le piccole imprese connesse a bassa tensione) e del gas naturale (per i clienti domestici). La nuova scadenza al 1° gennaio 2022 era stata prima inserita tra gli emendamenti al disegno di legge di bilancio, da dove però è saltata perché giudicata inammissibile, poi è entrata nel milleproroghe. Nel provvedimento arriva la proroga per il 2020 per l’incentivo per gli eco-scooter. Anche nel 2020 ci saranno dunque, gli incentivi per l’acquisto di motorini o scooter ibridi e elettrici per chi rottama le due ruote. I motorini o scooter rottamati dovranno essere Euro o Euro3. Il contributo riconosciuto è pari al 30% del prezzo di acquisto fino a un massimo di 3mila euro.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Di Matteo Alessandro 
Titolo: Stop alla riforma digitale Il Pd: minaccia la privacy – Il Pd stoppa il piano 5 Stelle sul digitale “Sono a rischio i dati sensibili dei cittadini”
Tema: Riforma digitale
Non è certo un clima natalizio quello che si è respirato ieri a palazzo Chigi, durante il consiglio dei ministri. Il «Piano per l’innovazione digitale» presentato dalla ministra 5 stelle Paola Pisano ha fatto saltare sulla sedia tutti i ministri dei partiti alleati e alla fine il progetto è stato sostanzialmente messo da parte, di fatto escluso dal decreto «milleproroghe» in attesa di «approfondimenti», come ha spiegato Dario Franceschini al termine. «Non c’erano le condizioni per approvarlo», ha detto il capodelegazione Pd al governo. La ministra Pisano si è trovata di fronte ad un muro alzato da Pd, Italia viva e Leu, tutti d’accordo nel respingere quello che è stato considerato un tentativo di blitz su una materia che, spiega un ministro, «riguarda la gestione dei dati personali dei cittadini e la stessa sicurezza nazionale». La discussione è partita male, con la pubblicazione del “Piano” sul sito del ministero dell’innovazione. Poche righe in coda al documento hanno fatto trasalire gli alleati di governo: tra le persone ringraziate «per il contributo all’elaborazione» del “Piano” compare infatti anche Davide Casaleggio, cioè il presidente della Casaleggio associati che fa affari proprio sul web e punta molto sulla blockchain, lo strumento che sta rivoluzionando il business su internet. «Di questo non si è parlato durante – assicura ancora il ministro – ma è chiaro che ha contribuito a farci alzare le antenne…». Di sicuro, Andrea Marcucci, capogruppo Pd in Senato, ha subito chiesto alla Pisano di «dare spiegazioni sulle consulenze del suo ministero e sul ruolo di Casaleggio». Mariastella Gelmini, Fi, parla invece di «conflitto di interessi evidentissimo». In ballo c’è la creazione di una piattaforma digitale che, secondo il “Piano” della Pisano (fonti del ministero hanno fatto sapere che la “strategia è stata scritta di proprio punto dalla ministra» e che non c’è stata «nessuna consulenza»), dovrebbe «trasformare il rapporto tra cittadino e PA».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tito Claudio 
Titolo: Quella legge formato Casaleggio – Una legge formato Casaleggio
Tema: Riforma digitale

A parte una evidente questione di opportunità “politica”, emerge con prepotenza un enorme conflitto di interessi. Casaleggio offre i suoi suggerimenti per un testo che potrebbe diventare legge dello Stato e che dovrebbe disciplinare una materia fonte del suo interesse economico. Basta leggere la relazione all’ultimo bilancio presentato dalla Casaleggio e soci, quello del 2018, per capire quanta deformazione e quanto “berlusconismo” ci sia nella scelta compiuta dalla ministra Pisano e da tutta la delegazione grillina che in Consiglio dei ministri ha difeso quel testo. L’azienda del capo “effettivo” dell’M5S punta ad un “ulteriore incremento delle attività di consulenza con un focus sulle cosiddette smart Company, ossia le imprese che grazie all’impatto della quarta rivoluzione industriale e l’utilizzo strategico delle tecnologie esponenziali riescono a sviluppare nuovi mercati e essere disruptive nel proprio settore”. Vuole, ossia, incrementare il proprio business esattamente nel campo disciplinato dal “codice Pisano”. Senza contare che lo stesso bilancio 2018, casualmente dopo l’approdo al governo dei pentastellati, ha mostrato il raddoppio del giro di affari e la quasi decuplicazione degli utili. In questo contesto è davvero accettabile che Casaleggio venga impudentemente assoldato per offrire la sua consulenza all’esecutivo per l’innovazione e la digitalizzazione del Paese? È un esponente politico o un imprenditore privato? Oppure si deve pensare che il nodo del conflitto di interessi possa essere stretto a fasi alterne? Questa, inoltre, è solo una faccia della medaglia. Quella più evidente. Il testo proposto ieri in Consiglio dei ministri presenta dei dubbi ulteriori. La sua genericità e vaghezza, infatti, può generare equivoci e opacità.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmiotti Domenico 
Titolo: Ilva, salvataggio appeso al giudizio del Riesame
Tema: ex Ilva

Il preaccordo raggiunto da ArcelorMittal e llva in amministrazione straordinaria – e col quale le parti hanno ottenuto l’aggiornamento al 7 febbraio dell’udienza al Tribunale di Milano – viene giudicato da Taranto né più, né meno, che una tregua per far proseguire a gennaio la trattativa e vedere se si arriva ad un’intesa piena. La tregua, però, va già incontro ad alcuni immediati momenti di verifica che potranno rafforzarla oppure indebolirla sino a farla saltare. Il primo banco di prova è il Tribunale del Riesame di Taranto che il 30 dicembre esaminerà il ricorso col quale Ilva ha impugnato la mancata proroga del giudice Francesco Maccagnano per gli ulteriori lavori di messa in sicurezza dell’Altoforno 2.. Se il Riesame annullerà il no di Maccagnano e riconsegnerà ad Ilva l’uso dell’impianto, oltre a fermare il cronoprogramma di fermata e spegnimento già avviato da sabato scorso, si avrà anche un riflesso positivo sul negoziato. Altrimenti, l’Altofomo 2 dovrà essere spento, il siderurgico si ritroverà con un altofomo in meno sui tre ora operativi e si correrà anche il rischio di bloccare gli altri due, l’1 el 4, visto che hanno le stesse caratteristiche del 2. Senza sottovalutare l’impatto pesante che tutto questo avrà sulla trattativa.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Repubblica 
Autore:  V.N. 
Titolo: Raid aerei per isolare Tripoli E Haftar attende i carri armati
Tema: Libia

Anche se dentro Tripoli non si combatte, tutto intorno alla capitale di Libia continuano furiosi i combattimenti. E soprattutto sono sempre più costanti gli attacchi aerei della milizia del generale Khalifa Haftar, che martella le milizie alleate del Governo di Accordo Nazionale in tutta la Tripolitania. Ieri per la prima volta un funzionario anonimo del Dipartimento di Stato americano parlando con la Reuters, ha detto che Washington è «seriamente preoccupata per l’aumento degli scontri in Libia, e per il ruolo che mercenari russi svolgono a sostegno delle forze di Khalifa Haftar. Vediamo i russi utilizzare guerra ibrida, droni e aerei. Questo non ci piace. Ci sono segnalazioni della presenza di mercenari della Wagner, stanno cambiano l’equilibrio il bilancio del conflitto sul terreno», dice il Dipartimento di Stato, riferendosi alla compagnia di mercenari guidata da un amico del presidente Vladimir Putin. Parallelamente, con un commento anonimo, il Dipartimento di Stato condanna l’accordo fra Turchia e Libia sulla cooperazione marittima e sull’assistenza militare, quell’accordo che i due governi hanno ratificato e che prima o poi potrebbe portare allo sbarco di fino a 5000 soldati turchi in Libia «Questo accordo non aiuta ed è una provocazione», dicono a Washington.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Prodi Romano 
Titolo: L’analisi – Solo un patto Italia-Francia può voltare pagina in Libia
Tema: Libia

In un Paese così frammentato, una strategia volta alla riconciliazione sarebbe stata l’unico strumento capace di porre termine alla guerra e di preparare la rinascita della Libia. Si è invece andati in direzione opposta: da subito è infatti cominciata la gara per tessere, con i vari centri di potere locale, alleanze con la sola conseguenza di mettere queste ultime ancora più in lotta fra di loro in un conflitto senza un possibile vincitore e, quindi, senza fine. Era naturale che, in questa caotica situazione, entrassero in gioco nuovi protagonisti. A contrastare il debole potere centrale ha avuto un ruolo sempre maggiore il generale Khalifa Haftar, un antico collaboratore di Gheddafi, ora appoggiato soprattutto dall’Egitto. Il Cairo, infatti, tradizionalmente considera la regione libica confinante, cioè la Cirenaica, come una propria costola. Forte dell’appoggio dell’Egitto, dell’Arabia Saudita e degli Emirati, l’esercito di Haftar ha conquistato molta parte del territorio libico ma non è riuscito, neppure dopo uno sforzo lunghissimo e nonostante l’arruolamento di numerose truppe mercenarie, a conquistare Tripoli, difesa non solo dalle deboli milizie del primo ministro Serraj ma da forze locali, le più efficaci delle quali provenienti dalla città di Misurata. Con il prolungarsi di questa tragica paralisi, è entrato in gioco un nuovo protagonista non previsto, anche se da sempre interessato a ricoprire un importante ruolo nel Mediterraneo, cioè la Russia. Essa ha rafforzato la propria presenza nella parte orientale del Mediterraneo con un investimento di 500 milioni di dollari nella già sua base siriana di Tartus. A questo si è aggiunto l’antico desiderio di assicurarsi una presenza di altrettanto rilievo nella parte occidentale del Mare Nostrum. Il conflitto libico si è presentato quindi come l’occasione concreta per raggiungere quest’obiettivo.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Mastrolilli Paolo 
Titolo: Trump lancia la “Forza spaziale” “Il cosmo nuovo fronte della guerra”
Tema: Difesa Usa

L’era delle guerre stellari è cominciata ufficialmente venerdì sera, quando il presidente Trump ha firmato la legge che costituisce la Space Force. La nuova forza armata è ancora tutta da definire, ma il capo della Casa Bianca non ha dubbi sulla sua missione: «Un sacco di cose avverranno nello spazio, perché è il nuovo teatro di combattimento del mondo. La superiorità dell’America è assolutamente vitale. Ora siamo i leader, ma non abbastanza. Tra breve però saremo avanti a tutti». Durante la cerimonia alla Joint Base Andrews, tenuta due giorni dopo l’impeachment e poco prima di partire per le vacanze natalizie a Mar a Lago, Trump ha firmato una legge finanziaria da 1,4 trilioni di dollari che era indispensabile per evitare un nuovo shutdown delle attività statali. Il testo include 738 miliardi destinati al Pentagono, di cui 40 per la creazione della Space Force, invece dei 72,4 chiesti in origine. La sesta forza si aggiunge alle cinque già esistenti, cioè Army, Air Force, Navy, Marine Corps e Coast Guard, ed è la prima a nascere dal 1947. Il Pentagono aveva già costituito lo US Space Command, guidato dal generale John Raymond all’interno della Air Force. Questo diventa ora il primo nucleo della Space Force, con lo stesso comandante e circa 16.000 uomini, che però al momento restano parte dell’aeronautica militare. Per dare un’idea delle proporzioni, l’Army ha 480.000 soldati e 181 miliardi di finanziamenti. Nei prossimi mesi bisognerà definire tutto, dalle divise all’inno, ma le attività della nuova forza saranno concentrate soprattutto nelle attuali basi di Peterson, Buckley e Schriever in Colorado, Vandenberg in California e Patrick in Florida.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Trump vara le Forze spaziali «Il nuovo campo di battaglia»
Tema: Difesa Usa

La nuova realtà si occuperà sostanzialmente di tutto ciò che fluttua al di sopra della linea dei 100 chilometri. Dal punto di vista giuridico è una zona aperta, paragonabile all’alto mare. Di fatto è dominata dagli americani che controllano 1.007 dei 2.218 satelliti in orbita. I cinesi ne hanno 323, i russi 164. Ma in questo caso la superiorità indiscussa non significa garanzia perpetua di invulnerabilità. Gli esperti della Heritage Foundation, centro studi conservatore di Washington tra i più quotati nelle materie militari, scrivono nell’edizione 2020 dell’«Index of Us Militar)’ Strenght»: «Alcuni degli asset spaziali americani sono particolarmente esposti, la loro perdita causata da un guasto o da un attacco dei nemici potrebbe compromettere le cruciali di sorveglianza: dalla capacità di individuare un bersaglio alla possibilità di colpirlo guidando le nostre armi». Al Pentagono sono preoccupati per il frenetico attivismo della Russia e, soprattutto, della Cina. Le due potenze stanno investendo in modo massiccio nei missili anti-satellite con partenza dalle basi terrestri tradizionali, il cosiddetto programma Asat.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Marini Matteo 
Titolo: Come si fanno le Guerre Stellari
Tema: guerre stellari

Si contano sulle dita d’una mano le nazioni in grado di mettere in atto un’offensiva spaziale: attaccare degli “spacecraft”, per lo più satelliti, di un altro Paese. Obiettivi sensibili, civili o militari, indispensabili per le comunicazioni e per il controllo del territorio e della Difesa. I primi due attori sono quelli storici: Stati Uniti e Russia: «Le due superpotenze hanno sviluppato sistemi spaziali fin dagli anni ’50, per la scienza ed esplorazione, ma soprattutto per motivi militari – spiega Marcello Spagnulo, esperto del settore aerospaziale, autore del libro Geopolitica dell’Esplorazione Spaziale – e sono in grado di operare sistemi militarmente attivi nello spazio. Ma negli ultimi 15-20 anni anche la Cina è diventata in grado di danneggiare sistemi in orbita, con missili e con satelliti speciali che si avvicinano e danneggiano gli altri». Quest’anno anche l’India (una potenza nucleare) ha scoperto le sue carte, dimostrando di poter colpire oltre l’atmosfera con un missile che ha disintegrato un proprio satellite. Non ci saranno flotte di astronavi a pattugliare lo spazio e a spararsi con cannoni blaster come in Star wars. Una “guerra spaziale” riguarda l’attacco a sistemi strategici come satelliti militari e per comunicazioni. L’attacco può avvenire da Terra o direttamente nello spazio: «I satelliti si er possono hackare, con grosse antenne che li possono accecare da terra. Come già accaduto con i Gps. Ora si studia come portare queste tecnologie nello spazio e costruire satelliti che si avvicinino agli altri per hackerarli. C’è l’approccio dinamico: prenderli con bracci meccanici e spingerli fuori dall’orbita. Il sistema più temibile è il laser: colpisce i satelliti con fasci ad alta intensità.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Felice Emanuele 
Titolo: Cosa farà l’Europa da grande
Tema: Europa

Forse ora che la Gran Bretagna si avvia inesorabilmente a uscire dall’Unione potremmo cominciare a discutere in modo serio su cosa vuol essere l’Europa da grande. È un tema che ci riguarda da vicino. Ha una dimensione economica, decisiva, che si lega a doppio filo con quella politica. Il Vecchio continente, che rimane la regione del mondo a più alto sviluppo umano, anche più del Nord America, negli ultimi anni sta arrancando dal punto di vista tecnologico: cioè nella capacità di fare innovazione, che è la vera chiave, di lungo periodo, della prosperità. La Cina investe molto in trasporto ultraveloce e intelligenza artificiale, gli Usa hanno dominato gli ultimi due decenni grazie a telematica e new economy, anche se adesso faticano sul 5G. Noi su che cosa vogliamo puntare? Sulla green economy, ad esempio, o sul 5G? In entrambi i casi avremmo grandi potenzialità. Ma dobbiamo sviluppare una politica industriale, europea, degna di questo nome. E accelerare sulla strada del mercato unico. Ecco. Qui si toccano i nervi scoperti della strategia europea degli ultimi decenni: esportare in un mondo globale, guidato dagli Stati Uniti, per beneficiare di un ordine internazionale aperto mentre si procede sulla strada dell’integrazione nel modo più cauto possibile, così da salvaguardare l’equilibrio fra i Paesi dell’Unione. Questo peraltro avveniva non solo sul piano economico, ma anche per sicurezza e difesa (si pensi al rapporto con la Russia e all’ombrello della Nato). Da quando Trump è al potere, tutto ciò è più difficile. L’Europa deve quindi contare di più sulle sue forze e creare un vero mercato unico.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rodari Paolo 
Titolo: Sodano esce di scena Via l’ultimo potente dell’era di Wojtyla
Tema: Vaticano

La sua nomina nel 1991 alla guida della Segreteria di Stato vaticana rappresentò il ritorno Oltretevere della realpolitik, l’epoca del consolidamento dopo le spinte verso i confini del mondo mosse da Agostino Casaroli nei primi ruggenti anni del pontificato di Giovanni Paolo II. È un’immagine che Angelo Sodano, 92 anni, piemontese ma cittadino vaticano d’adozione, ha continuato ad alimentare anche una volta lasciata la segreteria di Stato nel 2006, nei pontificati vissuti quasi da pensionato di Ratzinger e Bergoglio, fino alla rinuncia all’ultimo incarico che gli era rimasto, l’addio annunciato ieri da Francesco al ruolo di decano del collegio cardinalizio, seconda rivoluzione papale in pochi giorni dopo l’annullamento del segreto pontificio per i crimini di abusi sessuali su minori. Certo, quello di Sodano era un incarico poco più che onorifico, ma di un’onorificenza che pesa se si pensa che fu anche grazie al fatto che spetta al decano presiedere le esequie funebri del Papa quando muore, che Ratzinger (con un’omelia memorabile pronunciata da decano innanzi alla bara di Wojtyla) si lanciò candidato principe nel Conclave del 2005. Francesco ha salutato ieri Sodano con gli onori del caso. E paradossalmente la lettera apostolica con la quale ha stabilito che d’ora in avanti l’incarico del decano non sarà più a vita ma avrà durata quinquennale (eventualmente rinnovabile), rende la figura del porporato piemontese un qualcosa di irripetibile, nonostante nella sua stagione curiale accanto alle luci vi siano state delle ombre.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Marchese Ragona Fabio 
Titolo: Il Papa liquida Sodano e attacca «Non viviamo nella cristianità»
Tema: Vaticano
«Adesso tocca ai cardinali vescovi eleggere un nuovo decano e spero che scelgano qualcuno che si occupi a tempo pieno di questa carica così importante», ha detto Francesco ieri mattina a tutti i porporati, facendo intendere che, a suo parere, chi sarà eletto, non dovrà avere altri incarichi di Curia, anche perché gli impegni sono molto gravosi. La rosa dei «papabili» per l’ufficio del «primus inter pares» del collegio dei porporati si riduce quindi a pochi nomi, considerando anche l’età avanzata di molti dei cardinali dell’ordine dei vescovi, composto in tutto da otto porporati. L’attuale sottodecano, ad esempio, è il cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto Emerito della Congregazione per i Vescovi che potrebbe trovare un ostacolo all’elezione proprio perché il prossimo 30 gennaio compirà 86 anni. Quasi coetaneo l’ottantacinquenne cardinale Tarcisio Bertone, mentre hanno compiuto già ottantasette primavere i cardinali Francis Arinze e José Saraiva Martins. Il vero possibile successore del porporato astigiano potrebbe essere individuato invece tra quattro cardinali che, nel giugno del 2018, sono stati ammessi da Papa Francesco nell’Ordine cardinalizio dei vescovi, dopo che il Pontefice argentino aveva deciso di allargarne la composizione rimasta invariata da troppo tempo. Questo perché il Papa nel suo discorso di ieri mattina ha fatto intendere tra le righe di preferire un cardinale decano elettore in un eventuale conclave, ossia con meno di ottant’anni d’età. Si tratta dei cardinali Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e porporato molto legato a Sodano e Femando Filoni al quale, nel giorno dell’Immacolata, Papa Francesco ha conferito la carica onorifica di Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme dopo esser stato per tanti anni a capo di Propaganda Fide.
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IL SOLE 24 ORE
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