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SINTESI IN PRIMO PIANO – 21 giugno 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Stati Generali: oggi penultima giornata; prossima settimana Conte incontra opposizione;
– Magistratura: l’Anm espelle l’ex Presidente Palamara;
– Stati Generali: oggi i vertici delle società partecipate;
– Rilancio dell’economia: l’Italia ha bisogno dell’Ue;
– Caso Regeni, l’Egitto consegna effetti personali dopo 4 anni;
– Usa: comizio di Trump in Oklahoma; cacciato il procuratore di Manhattan;

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Repubblica 
Autore:  Scalfari Eugenio 
Titolo: Editoriale – Tutti gli uomini per un presidente
Tema: Mattarella, vicina la fine del mandato

La nostra Italia non è un Paese che giganteggi: al contrario è pieno di guai e dal confronto tra forze politiche molto diverse tra loro e tuttavia le persone fornite di vigile spirito e opportuna cultura non mancano. Secondo me rispondono ai nomi di Mario Draghi, Ignazio Visco (presidente della Banca d’Italia), il presidente del governo Giuseppe Conte, l’ex premier Paolo Gentiloni, l’altro ex premier Enrico Letta, l’ex primo ministro e poi presidente della Corte Europea Romano Prodi. Infine Nicola Zingaretti, segretario del Pd. Questi sono i possibili successori dell’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che sta per compiere i sette anni del suo ufficio. Il Presidente potrebbe puntare al bis. Mi sono permesso nei giorni scorsi di porre questa questione al Presidente ma ne ho avuto una risposta molto precisa: non ha alcuna intenzione di prorogare il suo incarico, quindi tra poco lo lascerà rendendo necessario il voto del Parlamento. Abbiamo dunque un appuntamento di grande interesse. Per quanto mi riguarda ci ho riflettuto abbastanza e a mio avviso i Editoriali Tutti gli uomini per un presidente possibili aspiranti sono solo una parte dei nomi suddetti: Conte, Draghi, Prodi, Gentiloni. Qui mi fermerei. Ma quali sono le vere chances di ciascuno di loro? Il più dotato di tutti, secondo me, per l’esperienza che ha avuto, è Mario Draghi. Fu in un passato ormai lontano consulente economico del governo Ciampi; studiò con molta attenzione l’ipotesi di una moneta unica europea; poi fu presidente della Banca d’Italia. Infine fu nominato dalle banche centrali d’Europa presidente della Bce (Banca centrale europea) dove rimase per tutto il periodo previsto di sette anni. Questo è stato Draghi. La presidenza della Repubblica porterebbe al vertice istituzionale del nostro Paese una personalità di grande livello economico, politico, culturale.
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Testata:  Espresso 
Autore:  Damilano Marco 
Titolo: Stati nervosi d’Italia
Tema: Governo Conte fino alle elezioni del Capo dello Stato?

Più che Stati Generali si sono rivelati Stati Nervosi, quelli di cui ha scritto un anno fa il sociologo inglese William Davies a proposito della situazione delle opinioni pubbliche occidentali. La sfiducia, la frustrazione, la rabbia dei cittadini che nell’ultimo decennio hanno alimentato le leadership populiste e i movimenti sovranisti, negli Stati Uniti e in Europa e in Italia. Le nevrosi individuali che diventano collettive, a partire dalla paura. La paura è la protagonista di un singolare esperimento compiuto da un’agenzia di comunicazione che ha fatto ascoltare durante i focus con il pubblico la voce di alcuni leader politici italiani, chiedendo ai partecipanti di indicare chi fosse e quale sentimento scatenasse. La voce di Giuseppe Conte è stata immediatamente riconosciuta dalla quasi totalità degli intervistati e associata dal punto di vista emotivo alla paura. È il lascito dei mesi di lockdown, quando il premier si affacciava in tv alle otto di sera (alle 20.20), ma anche alle due e mezza del mattino, per portare qualche brutta notizia: chiusure, isolamento, confini sigillati tra le regioni, necessità di contenere il contagio. La paura e la richiesta di protezione. Un anno fa questo sentimento giocava a favore di Matteo Salvini: i decreti sicurezza, il blocco degli sbarchi, la legittima difesa. Oggi spinge per far volare nei sondaggi la figura del presidente del Consiglio, il PdC, il partito di Conte. La rassicurazione, l’affidarsi a un potere che si presenta come benevolo. E la risposta allo stato di emergenza. È lo stato cui si è associata la figura di Conte. Le  immagini del tavolo, i ministri con la mascherina e tutti gli altri presentati come comparse: il governatore della Banca d’Italia, i presidenti di regione, le parti sociali, le associazioni di categoria. In alcuni casi, gli scatti riportavano involontariamente un consesso interamente al maschile e anche avanzato nell’età, come un concistoro di cardinali riunti attorno al New Pope di Volturara. In mezzo, il premier con la sua solo in apparenza innocua vanità che si è fatta progetto politico. Durare l’intera legislatura, almeno fino alla elezione del nuovo presidente della Repubblica, nel 2022, e poi decidere. Se tentare il grande salto verso il Colle, l’exit strategy individuale, o proporsi come il grande timoniere di un nuovo sistema politico, fondato sullo smantellamento degli attuali partiti e schieramenti
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ducci Andrea 
Titolo: Conte: confronto con l’opposizione Stavolta il centrodestra non chiude
Tema: Conte: confronto con l’opposizione, ma solo a Palazzo Chigi

Sono un paio i passaggi chiave che connotano l’intervento del premier Giuseppe Conte nella penultima giornata degli Stati generali. Il calendario prevede l’incontro dell’esecutivo con le società partecipate dallo Stato e con il terzo settore. Il contesto è quello degli ultimi giorni che ha certificato la difficoltà del governo a trovare una minima forma di collaborazione con le opposizioni che, invece, alla fine della giornata di ieri aprono all’invito del premier per un incontro purché sia a Palazzo Chigi o in Parlamento, accogliendo così i ripetuti inviti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Conte rimarca in particolare due questioni, prima di mettere tra le priorità un aumento delle pensioni di invalidità. Il primo passaggio è legato all’economia e alla necessità di «creare ora le premesse per poter consentire un recupero in termini di produttività, di prodotto interno lordo, perché siamo profondamente insoddisfatti – chiarisce – dell’andamento di questi indici negli ultimi anni; siamo sempre stati al di sotto della media europea».  Il secondo tasto toccato dal premier è il decreto Semplificazioni, un provvedimento che potrebbe essere pronto già la prossima settimana e che dovrebbe segnare l’avvio di una nuova modernizzazione del Paese. «Assegniamo grande importanza al decreto semplificazioni. Ci serve un provvedimento mirato per intervenire su alcuni snodi, per quanto sappiamo che un solo provvedimento normativo non possa risolvere il problema atavico di una “incrostazione” burocratica», spiega. Ma il vero obiettivo è coinvolgere Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi nel piano di rilancio del Paese. «Confidiamo già la settimana prossima di rivedere il programma e provare a chiuderlo. Faremo un confronto con le forze politiche di opposizione, dopodiché avremo la bozza di piano di rilancio a cui lavorare nelle prossime settimane» dice Conte, tracciando così la linea che dovrà condurre all’elaborazione del Recovery Plan per l’utilizzo dei fondi Ue che l’Italia presenterà a settembre.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: Intervista a Matteo Salvini – Salvini: “Noi e i 5S decidiamo chi verrà dopo Mattarella” – Salvini “È vero ho fatto tanti errori Ma a destra il leader sono ancora io”
Tema: Governo Conte fino alle elezioni del Capo dello Stato?
Segretario Salvini, chiusi gli Stati generali, il premier Conte è pronto a ricevere il centrodestra, la prossima settimana. Stavolta andrete? «Si, andremo. Perché il Paese ne ha bisogno. Il centrodestra torna a quel tavolo, ma per confrontarsi sui fatti. Abbiamo detto no alle passerelle in villa: quelle non ci interessano. Se si aprirà un dialogo vero a Palazzo Chigi, allora di proposte serie ne porteremo venti. Siamo stati lì già tre volte. La prima a marzo, quando denunciammo i rischi legati al decreto sulla Cassa integrazione. Restammo inascoltati». Tornerete a parlarvi, d’accordo, ma lei e Giorgia Meloni sognate ancora la spallata e il voto in autunno. Vi rendete conto di quanto sia velleitario, in questo momento e con questi numeri in Parlamento? «Lo vadano a dire ai cassaintegrati che da tre mesi aspettano i soldi o agli imprenditori senza liquidità. C’è un Paese fermo: Ilva, Alitalia, Autostrade. Qui non si tratta di dare spallate, ma di far ripartire l’economia paralizzata dalle divergenze pd-5S. E poi, se si può votare senza rischi il 20 settembre per le Regioni, non vedo quale sia il problema per le Politiche». Perché una maggioranza c’è, per esempio. E quella che c’è vuole eleggere il futuro capo dello Stato nel 2021. Ci ha pensato? «Ragionare in questi termini è insensato. Qui si rischiano 3 milioni di disoccupati, a sentire Confindustria, e questi pensano di tirare a campare per il Quirinale. In ogni caso li avverto fin d’ora: da qui ai prossimi mesi il centrodestra avrà i numeri in aula per essere determinante e cambiare gli equilibri». Che intende dire? Che eleggerete voi il presidente? «Dico che nel Pd almeno in cinque si contendono il Colle, ma possono mettersi l’anima in pace. Il presidente sarà eletto con molta probabilità coi voti di tutti, tranne che del Pd, che lavora per averne uno a suo piacimento».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bianconi Giovanni 
Titolo: Il retroscena – Palamara espulso: non agivo da solo – L’ex pm nella bufera contrattacca per non essere l’unico a cadere «Altri raccontino cosa facevano»
Tema: Palamara espulso: “Non agivo da solo”

Veste i panni del picconatore, Luca Palamara, per denunciare il sistema di cui ha fatto parte «e che ora mi condanna, spesso mi insulta, perché a torto o a ragione individua in me l’unico responsabile di tutto». Ammette di «aver accettato “regole del gioco” sempre più discutibili, ma non ho mai agito da solo». Poi si fa accusatore obliquo: «Ognuno aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri, anche quelli che oggi si strappano le vesti». Non fa nomi, ma fa in modo che qualche additato possa riconoscersi: «Penso ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione; a quelli che ancora oggi ricoprono ruoli di vertice all’interno del gruppo Unità per la Costituzione; addirittura ad alcuni di quelli che siedono nell’attuale Comitato direttivo Centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento». Il modo scelto da Luca Palamara per chiudere la sua parabola nella magistratura associata, di cui è stato leader e che ora l’ha cacciato per violazione del codice etico, non è un ritiro né una fuga. Nella lettera che avrebbe voluto leggere davanti al «tribunale» dell’Anm tenta la chiamata di correità collettiva, tirando in ballo altri magistrati: «Sarebbe bello che loro raccontassero queste storie. Non devo essere io a farlo». È una strategia difensiva – sul piano deontologico e professionale, diversi da quello penale che dovrà affrontare nell’eventuale processo per corruzione a Perugia – che mescola un po’ di mea culpa e un po’ di attacco.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Milella Liana 
Titolo: Intervista a Luca Palamara – Palamara “Pago io, ma ecco i nomi di chi usava le correnti” – Palamara “Le correnti? Anche chi mi accusa le usava per fare carriera Ecco i loro nomi”
Tema: Intervista a Luca Palamara

«Tanto paga per tutto Palamara». Cacciato dall’Anm, di cui è stato presidente, l’ex pm di Roma sotto inchiesta a Perugia per corruzione fa i nomi dei colleghi che, a suo dire come lui, tenevano in piedi il sistema delle correnti. Se Palamara è colpevole tutti sono colpevoli. Perché? «Perché Palamara non si è svegliato una mattina e ha inventato il sistema delle correnti. Ma ha agito e ha operato facendo accordi per trovare un equilibrio e gestire il potere interno alla magistratura». Mattarella farebbe un salto sulla sedia se la sentisse parlare di “potere interno”. «La Costituzione ha voluto che la magistratura fosse autonoma e indipendente. Per,esercitare questo potere i magistrati hanno scelto di organizzarsi in correnti che nascono con gli ideali più nobili, ma che storicamente hanno poi subito un processo degenerativo…». … e quindi lei si ritiene non colpevole perché tutti si comportavano così? «Io mi assumo le mie responsabilità. Ma non posso assumermi quelle di Lotti l’ho conosciuto come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’ho frequentato con altri magistrati e politici tutti». lo non ho agito da solo» ha scritto nella sua memoria. Chi erano gli altri? «Questo ormai non lo dico solo io, ma anche molti autorevoli commentatori come la presidente del Senato Elisabetta Casellati e magistrati di sinistra’ come Livio Pepino. Riferiscono che il clientelismo all’interno della magistratura non è certo un problema che ho inventato io. Limitarlo solo a me o a un gruppo associativo significa ignorare la realtà dei fatti, o peggio ancora mentire». «È caduta l’accusa più grave di corruzione per le nomine al Csm. Dimostrerò che non ho mai mercanteggiato la mia funzione e che non ho ricevuto il pagamento dei viaggi, e la mia estraneità ai lavori di sistemazione di una veranda presso l’abitazione di una mia amica».
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Scarpa Giuseppe 
Titolo: Intervista a Luca Palamara – Il pm: «Farò i nomi di chi faceva parte di questo sistema» – «Farò i nomi di chi era parte del sistema Mi cercavano in tanti, sono tutti spariti»
Tema: Intervista a Luca Palamara

Palamara, lei è stato buttato fuori dall’Anm e ora promette battaglia. Tuttavia lo fa in modo in modo generico. Ora punta il dito su altri magistrati, sostenendo che anche loro hanno preso parte alla degenerazione del sistema correntizio che affligge le toghe da anni. Alla fine, però, non fa mai i nomi: perché? «La verità verrà fuori e delineerà gli esatti contorni di questa vicenda. I nomi dei colleghi li farò. E anzi, preciso che se oggi fossi stato ascoltato dal consiglio direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati li avrei già fatti. E comunque in parte li ho già indicati anche tra i componenti dei probiviri dell’Anm, personalità che hanno fatto parte del sistemadellecorrenti». Le sue accuse, però, appaiono generiche. «Non faro mai accuse indiscriminate: quello che dirò, lo dirò a breve attraverso una ricostruzione dei fatti estremamente precisa». Esistono altri Palamara? La partita, per lei, è quindi solo all’inizio? «Non ho agito da solo e non farò, come ho già detto più volte, da capro espiatorio. Questo deve essere estremamente chiaro».  Vuole chiedere scusa a quei suoi colleghi che non sono riusciti a fare carriera a causa del sistema delle correnti? «Chiedo scusa ai tanti colleghi che sono fuori dal sistema delle correnti, che inevitabilmente saranno rimasti scioccati dall’ondata di piena che rischia ingiustamente di travolgere quella magistratura operosa e aliena dalle ribalte mediatiche. Per loro sono disposto a dimettermi ma solo se ci sarà una presa di coscienza collettiva e se Insieme a mesi dimetteranno tutti coloro che fanno parte di questo sistema. Non farò il capro espiatorio dI un sistema».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Palamara Luca 
Titolo: L’intervento – «Mai agito da solo E non ci sto a fare il capro espiatorio»
Tema: L’intervento di Palamara

Sono stato originariamente accusato di aver preso 40.000 euro per la nomina a Gela del dott. Longo (mai avvenuta perché a Gela venne nominato il dott. Asaro). Per questa vicenda su richiesta del Gico della Gdf di Roma mi è stato inoculato il trojan horse per il reato di corruzione in atti giudiziari e sono stato indagato con gli avv. Amara, Calafiore e con il dott. Longo soggetti con i quali mai ho avuto rapporti nella mia vita. Oggi quell’accusa è caduta perché il trojan non ha trovato fatti corruttivi come correttamente hanno ritenuto i Pm e il gip… Devo rispondere ancora di alcuni viaggi effettuati con Fabrizio Centofanti (persona che frequentava mia sorella dal 2006 e con il quale da allora ho intrattenuto un rapporto di amicizia sia in ambito familiare che in ambito istituzionale con magistrati e forze dell’ordine) e dei lavori di rifacimento di un lastrico solare (sul quale pende un contenzioso condominiale)… Su questa vicenda per la quale mi viene contestato un asservimento della mia funzione (anche se il gip concorda di non aver mai riscontrato un atto contrario ai doveri di ufficio) mi difenderò nel processo per dimostrare la mia totale estraneità alle residue contestazioni. Le carte del procedimento che mi riguarda sono state depositate… e contengono ogni notizia utile sulla mia vicenda ed oggi stiamo ancora procedendo all’ascolto di tutti i files audio relativi alle intercettazioni telefoniche e telematiche. Le chat divenute pubbliche, purtroppo, altro non sono che uno spaccato di questa situazione. Non le ho mai cancellate perché mai pensavo che il mio telefono potesse diventare oggetto di un provvedimento di sequestro. Ognuno aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri, anche quelli che oggi si strappano le vesti, penso ad esempio ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ancora oggi ricoprono noli di vertice all’interno del gruppo di Unità perla Costituzione, o addirittura ad alcuni di quelli che ancora oggi siedono nell’attuale Comitato direttivo Centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  M.T.M. 
Titolo: Zingaretti e la sfida per la guida Pd: adesso evitiamo di fare Tafazzi
Tema: Pd, le preoccupazioni di Zingaretti

Nicola Zingaretti non è preoccupato per l’uscita di Giorgio Gori, che l’altro ieri ha proposto di dare una nuova leadership al Pd. Il segretario non teme di essere scalzato. Semmai il suo assillo è un altro: «Non capisco – dice ai parlamentari a lui più vicini – perché si voglia minare l’unità del Pd, che non è mai stata così forte, con questi distinguo. Il Partito democratico si candida ad essere la prima forza politica del Paese ed è indispensabile in qualsiasi scenario, perciò evitiamo di fare i Tafazzi come al solito». Del resto, il segretario sa che gli ex renziani di Base riformista (la corrente del partito a cui appartiene, sebbene con le mani molto libere, il sindaco di Bergamo) non sono della partita. «Gori non ha le truppe, perché quelle le abbiamo noi e comunque il congresso sarà tra tre anni», spiega uno dei leader di quella componente. Lo stesso Stefano Bonaccini (è il suo identikit, dicono, quello disegnato dal sindaco di Bergamo) non ha nessuna intenzione di scendere in campo adesso. Il presidente della regione Emilia-Romagna si muove senza fretta perché sa che i tempi sono lunghi. A meno che le cose non precipitino, ma questo comporterebbe una caduta del governo Conte. Perciò Bonaccini lascia che altri (in questo caso Gori) alimentino la suspense sulla sua eventuale discesa in campo. Per ora il governatore dell’Emilia-Romagna si schermisce e ieri, nel corso di un’iniziativa in quel di Misano, si è limitato a dire: «Segretario del Pd? Io sono molto impegnato a fare il presidente della Regione e il presidente della conferenza delle Regioni. Il mio contributo al partito credo di averlo dato vincendo una sfida che anche a Roma quasi tutti davano per persa, dimostrando che dopo tante sconfitte non era vero che Salvini e la destra fossero invincibili».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Roncone Fabrizio 
Titolo: Le tentazioni capitali – Potere, poltrone e lusso Alla fine il Palazzo ha sedotto il Movimento
Tema: M5S, l’evoluzione del movimento

Da annotare: chiusi, blindati hanno cominciato. Blindati finiscono. Loro – quelli dello streaming, della trasparenza – laggiù, dentro lo sfarzo assoluto di Villa Doria Pamphili, distanti e impenetrabili in quel reality dell’economia chiamato Stati generali, e tutti noi, il pattuglione di cronisti, fotografi e cameramen, lasciati fuori dal cancello per una settimana, costretti a cercarci un sentiero che da via Aurelia Antica s’infilasse nella boscaglia, su per lo stesso pratone che nel 1849 risalirono i garibaldini della Repubblica Romana, le camicie rosse con i cannoni da puntare contro i francesi, noi con i teleobiettivi per capire almeno se il premier Giuseppe Conte avesse la pochette. E arrivata la protesta ufficiale dell’Associazione stampa parlamentare e dell’Ordine nazionale dei giornalisti (con grande imbarazzo del Pd). Ma è poi arrivata anche la polizia a cavallo. Tutto questo fa molto casta. Proprio quella che Di Maio e Bonafede e tutti gli altri grillini di governo promettevano di combattere. E invece: risucchiati. Dentro fino al collo. Golosi di potere, cacciatori di poltrone, sensibili al lusso. Eccoli laggiù salire sulle loro auto blu, le scorte armate, i lampeggianti, un corteo dopo l’altro: e quando poi Di Maio l’altro giorno è arrivato a Mendrisio, Svizzera, in visita ufficiale, le autorità elvetiche hanno pensato bene di allestirgliene uno proprio di prima classe, con sette macchine seguite da tre furgoni. Informalmente, lo scorso fine settimana Di Maio è invece andato a spiaggiarsi con la fidanzata Virginia Saba da Saporetti, a Sabaudia, sotto gli ombrelloni dello storico stabilimento del generone romano. Giuseppe Conte, qualche chilometro più in là, al Circeo. All’Hotel Punta Rossa, il preferito dagli oligarchi russi in vacanza. Gli ultimi segnali di una mutazione ormai compiuta.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Monti Mario 
Titolo: Lettera. «Io e Meloni d’accordo in una telefonata»
Tema: Lettera di Mario Monti

Caro direttore, Nel suo interessante e gustoso articolo sul Corriere delta Sera di ieri («La sindrome dei centouno») Francesco Verderami scrive che Giorgia Meloni avrebbe rivelato in una riunione di partito di avere ricevuto una mia telefonata di apprezzamento per alcune sue dichiarazioni. Confermo che il 15 gennaio la chiamai, per dirle che per la prima volta mi trovavo d’accordo su una delle posizioni da lei espresse sull’Europa. Nell’intervista di due sere prima a Non è l’arena, la presidente di Fratelli d’Italia aveva infatti sostenuto la necessità, anche nell’interesse dell’Italia, che in politica estera l’Unione europea sia messa in grado dagli Stati membri di esprimersi con una voce unica. Oltre a dirmi d’accordo con lei su quel punto, ricordai alla Meloni i due campi in cui già avviene quello che entrambi auspichiamo per la politica estera: la politica della concorrenza e la politica monetaria. In essi l’Europa è già «sovrana», anche di fronte alle più grandi potenze mondiali. Ogni Stato membro partecipa efficacemente all’esercizio di quella sovranità, mentre ciascuno Stato sarebbe inefficace se in quei campi tentasse di esercitare da sé una sovranità che non si concilia più con la dimensione nazionale. Al termine di quei cinque minuti al telefono, Giorgia Meloni e io osservammo che, quando si discute nel concreto, posizioni che sembrano lontane anni luce nei dibattiti di principio possono anche trovare spiragli di convergenza.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Mattioli Alberto 
Titolo: Intervista a Luca Zaia – Zaia e la Lega “Io né premier né segretario” – “Non voglio né la Lega né Palazzo Chigi Mes poco vantaggioso, Europa da rifare”
Tema: Intervista a Luca Zaia

Zaia, il Veneto è fuori dall’emergenza? «Finché non ci rientra. I numeri sono confortanti, ma non bisogna abbassare la guardia». Lezioni da trarre dall’esperienza? «Soprattutto che ci vuole umiltà, sia da parte degli II governo non fissa la data delle elezioni regionali perché qualcuno deve fare campagna elettorale scienziati che dei politici. Il nemico è terribile». Come dovrà cambiare la sanità pubblica? «Ci vorranno più risorse e più apertura mentale. Come ogni sistema, anche a quello sanitario va fatto il tagliando. E, se necessario, va modificato. Una volta per operare un’ernia inguinale di voleva una settimana di degenza in ospedale. Oggi bastano quatto ore. E poi ormai ogni cittadino ha in tasca un telefonino che presto gli dirà anche quanto ha di colesterolo. Arrivano la telemedicina e i robot chirurgici. Noi abbiamo già eliminato la ricetta di carta: il paziente va direttamente in farmacia con quella digitale ricevuta per mail». Innovare costa, perb. Perché la Lega è contro il Mes? «Da quanti mesi si parla del Mes o del Recovery fund? Però ancora non sono stati adottati. Conte dice che passerà per la via parlamentare. Benissimo, ma così viene da pensare che le condizioni non siano né così chiare né così vantaggiose come si dice. Io, in ogni caso, non le ho ancora capite». Se lei fosse Conte direbbe di no a 37 miliardi di euro a interessi bassissimi? «Se fossi Conte avrei intanto fatto chiarezza sulle modalità del prestito. Se sono così buone, cosa aspetta? Credo che abbia ragione la Lega a dire che così buone non sono».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Perrone Manuela 
Titolo: Produttività, innovazione, Sud: i target di Conte per le partecipate – Investimenti e rete unica Conte chiama le partecipate
Tema: Stati Generali, Conte chiama le partecipate

Rilancio degli investimenti e rete unicanazionale: è con queste due grandi promesse che Giuseppe Conte “chiama” le società partecipate a un patto per collaborare al Recovery plan italiano accelerando sui progetti e fornendo «contributi concreti». Nella penultima giornata degli Stati generali dell’economia a Villa Pamphilj Conte raduna attorno al tavolo del Casino del Bel Respiro i vertici di Cassa depositi e prestiti (Fabrizio Palermo e Giovanni Gorno Tempini, videocollegato), Terna (Stefano Donnarumma), Snam (Marco Alverà e Nicola Bedin), Fincantieri (Giuseppe Bono e Giampiero Massolo), Leonardo (Alessandro Profumo e Luciano Carta), Enel (Francesco Starace e Michele Crisostomo), Eni (Claudio Descalzi e Lucia Calvosa), Invitalia (Domenico Arcuri e AndreaViero), Poste (Matteo Del Fante e Maria Bianca Farina) e Ferrovie dello Stato (Gianfranco Battisti e Gianluigi Vittorio Castelli). Il gotha dell’industria italiana. «Siete la spina dorsale del Paese», esordisce il presidente del Consiglio. Ribadendo le tre principali direttrici su cui il Governo si muove per definire il piano in vista degli aiuti Ue, le stesse indicate nel documento Colao: «Modernizzazione del Paese, transizione ecologica e inclusione sociale, territoriale e di genere». L’intenzione di Conte è quella di far partire tavoli settoriali con le società, dall’energia alle infrastrutture. «Un patrimonio fondamentale, i piani di queste grandi aziende contribuiscono al rilancio del Paese», sottolinea íl titolare dell’Economia Roberto Gualtieri accennando ai programmi per le infrastrutture strategiche, come la banda larga. Tutti i ministri presenti rilanciano la rete unica nazionale, l’infrastruttura che dovrebbe nascere dall’integrazione delle reti di Tim e Open Fiber ma su cui non si trova la quadra. «Bisogna colmare i ritardi», avverte Giuseppe Provenzano (Sud), non solo sulle Tlc ma anche sullo sviluppo della rete ferroviaria.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Canettieri Simone 
Titolo: Intervista a Francesco Boccia – Boccia: «Ho fiducia sul sì cinquestelle ai fondi del Mes» – «Sul Mes ho fiducia nel M5S Gli assembramenti? Il male»
Tema: Intervista al Ministro Boccia

Ministro Boccia, oggi si chiudono gli Stati Generali a Villa Pamphilj, ma questi incontri non si potevano svolgere a Palazzo Chigi senza fanfare? «No, ha ragione il premier Conte: non è stata la concertazione tradizionale, che fa sempre bene e che per la destra non ha valore. A questa domanda potrebbero rispondere meglio di me i tanti protagonisti che si sono confrontati con il governo». Ma qual è stato il valore aggiunto, al di là della cornice prestigiosa? ll suo Pd era dubbioso alla vigilia dell’evento. «Il Pd ha chiesto più approfondimento e concretezza e così è stato. Chiedere a tutto il governo di ascoltare con la massima attenaione ogni proposta arrivata dai protagonisti della società e dell’economia era doveroso alla vigilia del più grande piano di Investimenti della nostra storia recente. E poi posso aggiungere un aspetto?». Prego. «Aver visto anche le grandi aziende partecipate dello Stato raccordate tra loro nella sensibilità sociale su progetti che passano per il rispetto dei territori, su transizione energetica, ricerca e investimenti dà il senso del cambiamento in corso». Intanto c’è il nodo Mes: alla fine i grillini diranno sì? «C’è stata già una svolta importante del Movimento sulle posizioni europee dopo la nascita della Commissione Von der Leyen. La prima svolta è avvenuta un anno fa, ma l’evoluzione dell’ultimo anno è il risultato anche dell’alleanza con il Pd e della visione di Zingaretti. Questi sono risultati politici comuni di cui dovremmo essere tutti fieri». Quindi? «Quando il pacchetto sarà chiuso si farà una discussione complessiva sui singoli strumenti, se devi indebitarti per investire e meglio sfruttare bassi tassi d’interesse». E’ fiducioso dunque sul sì? «Il Pd si sa come la pensa: sono fiducioso sul confronto. Non c’è bisogno di fare proclami e di ricorrere a fulmini e saette. Conte ha retto la maggioranza cercando il confronto con l’opposizione, senza reagire agli insulti».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine 
Titolo: Prestito Fca, sì alle condizioni Sace: investimenti in Italia per 5,2 miliardi – Fca, ecco gli impegni per la garanzia statale
Tema: Prestito Fca, sì alle condizioni Sace

L’istruttoria per la garanzia statale sul maxi-prestito a Fca si può ritenere conclusa sulla base di una serie di impegni che l’azienda inserirà nel contratto di finanziamento con Intesa Sanpaolo. Per il via libera ufficiale si attende ora il decreto del ministero dell’Economia, che ha lavorato all’operazione insieme al ministero dello Sviluppo economico e alla Sace. Investimenti in Italia per 5,2 miliardi, tra progetti confermati e nuovi, impegni per evitare delocalizzazioni, piena occupazione entro il 2023 e mantenimento dei marchi sono tra gli impegni formalizzati in alcuni documenti che Il Sole 24 Ore ha potuto consultare. La garanzia Sace supporterà all’80% il finanziamento di 6,3 miliardi concesso da Intesa a Fca Italy spa e alle altre società del gruppo Fca con sede legale in Italia. Previsti un preammortamento fino al 31 dicembre 2021e 15 mesi di rimborso in cinque rate. L’istruttoria Sace sul ruolo dell’azienda per il sistema Paese ha riguardato cinque voci, con punteggio massimo per il peso nell’ambito di una filiera produttiva strategica. La stima è che 800 milioni del prestito siano destinati ai costi del personale degli stabilimenti italiani, 4,5 miliardi al circolante compreso il pagamento della filiera, circa 1 miliardo alla ricerca e sviluppo. I fornitori della filiera interessati sono poco meno di romila, ma quasi 1.400 sono stranieri e per loro si pensa a un tetto di circa 1,2 miliardi. Il primo impegno di Fca è confermare il piano di investimenti negli stabilimenti italiani paria circa 5 miliardi presentato lo scorso dicembre, anche se alla luce degli effetti della pandemia le tempistiche potrebbero subire variazioni.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Amato Rosaria 
Titolo: Cassa integrazione l’Inps ammette i ritardi 135 mila senza assegno
Tema: Inps, i ritardi della Cassa integrazione

Quasi 135 mila lavoratori non hanno ricevuto al 17 di giugno nessuna “integrazione salariale Covid-9”. Lo ammette l’Inps, precisando che tra questi solo poco più di 25 mila hanno presentato domanda prima del 31 maggio, per il resto si tratta di richieste recenti. In tutto sono in attesa di essere pagati 356.939 lavoratori, che però hanno già ricevuto almeno un pagamento da quando è esplosa la pandemia. L’Inps certifica che in totale i pagamenti di Cig effettuati sono più di 5 milioni, e di questi 4,7 milioni i pagamenti anticipati dalle aziende. II monte ore autorizzate dà tutta la dimensione della crisi: 1 miliardo 681,5 milioni. Dati imponenti che comunque non danno la misura completa di tutti i lavoratori che sono rimasti indietro. C’è ancora un numero cospicuo di domande da esaminare: dal dati di metà giugno erano quasi 81 mila, alle quali corrispondono diverse centinaia di migliaia di lavoratori. Non è dato conoscere il numero esatto perché l’Inps non ne dà conto. Questioni che non sono sfuggite al Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, che ha deciso di inviare al presidente Pasquale Tridico una richiesta ufficiale di maggiore completezza dei dati che riguardano l’andamento delle richieste e della erogazione delle prestazioni a carico dell’Inps. Nel limbo dei non accolti e non respinti si trovano anche i lavoratori titolari delle domande che sono state presentate all’indirizzo sbagliato, a causa di complicazioni normative.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fabbrini Sergio 
Titolo: Cosa serve all’Italia per contare in Europa
Tema: Italia – Ue

Dopo la pandemia, la ripresa dell’Italia sarebbe impossibile, senza il sostegno europeo. Tuttavia, l’Unione europea (Ue) non è una entità astratta, ma un’arena di confronto (e di scontro) tra interessi nazionali differenti. L’abbiamo visto di nuovo l’altro ieri, nella riunione (online) del Consiglio europeo dei capi di governo. Quella riunione doveva approvare la proposta della Commissione europea di dare vita ad un programma (“Next Generation EU”) per la ricostruzione delle economie dei Paesi più colpiti dalla pandemia. Il Consiglio europeo non è riuscito a trovare un accordo, bloccato dalle divisioni al suo interno. La decisione è stata rinviata a nuove riunioni (formali e informali) da tenersi nella prima metà di luglio. Quando in gioco c’è la distribuzione di risorse finanziarie, l’Ue riesce a decidere ciò che i governi nazionali le consentano di decidere. Occorre dunque contare, in questo confronto/scontro tra governi. Ma è qui, nel caso dell’talia, che le cose non funzionano come dovrebbero. Vediamo meglio. “Next Generation EU” è un progetto innovativo e senza precedenti. Esso si rivolge alla fase post-pandemica e consiste di 750 miliardi di euro (di cui 500 in forma di sussidi e 250 in forma di prestiti). Questi fondi dovrebbero aiutare le economie colpite a riconvertirsi, non solamente a ricostruirsi, lungo le linee della neutralità ambientale, della digitalizzazione tecnologica e dell’inclusione sociale. Il progetto è costituito di tre programmi. Il primo, di supporto agli Stati membri (655 miliardi), centrato su una Recovery and Resilience Facility (560 miliardi); il secondo, di supporto al settore privato (56,3 miliardi), basato su strumenti finanziari per aiutare la liquidità e gli investimenti strategici. Il terzo, di supporto ai programmi nazionali (38,7 miliardi) nel campo delle politiche sanitarie, della ricerca ed altre ancora. Com’era prevedibile, il progetto ha incontrato subito l’opposizione di diversi Paesi. Alcuni piccoli Stati del nord (Paesi Bassi, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia) lo hanno contestato per le sue dimensioni finanziarie (eccessive), oltre che per la sua composizione (troppi sussidi rispetto ai prestiti).
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Testata:  Giornale 
Autore:  Borgia Pier_Francesco 
Titolo: Berlusconi: «Conte poco credibile in Ue» – Berlusconi avvisa Conte «Si rischia di pagare cara la sua scarsa credibilità»
Tema: L’Italia è poco credibile in Ue?

Nella lunga prova per uscire dall’emergenza sanitaria ed economica l’Italia lamenta un handicap ulteriore: una classe politica inadeguata alla sfida. A segnalare il problema è Silvio Berlusconi. Intervistato da Antonio Di Bella, direttore di Rainews 24, il leader azzurro punta il dito contro la compagine di ministri che ci governa. «E’ poco autorevole e poco qualificata», accusa il presidente di Forza Italia. A questa convinzione, aggiunge, sono arrivati anche i leader politici europei. «Il nostro Paese – spiega Berlusconi – è amato e rispettato. Certo non si può non cogliere un diffuso scetticismo sulla capacità di questo governo. E l’Italia rischia di pagare cara in Europa la scarsa credibilità di questo governo». Il leader azzurro ha spiegato che è «assolutamente necessario» che non venga modificata la proposta della Commissione sul Recovery Fund. «E di sicuro l’Italia non può permettersi una prova muscolare con l’Europa su questo tema». Ancora una volta Berlusconi torna a rimarcare la posizione di Forza Italia sul Mes e spiega: «Lo troviamo uno strumento strategico e un’occasione straordinaria». E sul fatto che l’alleanza prepara una nuova manifestazione a Roma il 4 luglio all’interno del centrodestra le posizioni differiscano, aggiunge: «Ben più grave che certe spaccature minino in questo momento la maggioranza di governo». «Noi – aggiunge nel corso dell’intervista a Rainews 24 – siamo i liberali, i cristiani, i garantisti, gli europeisti, decisivi non solo per vincere ma anche per governare. La maggioranza di governo invece barcolla, incapace di mantenere una linea di condotta coerente. Questa debolezza in Europa la avvertono e ce la faranno pagare».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Giannini Massimo 
Titolo: L’Editoriale – La Ue, l’Italia e il disordine del mondo
Tema: Ue – Italia e organismi sovranazionali

Gli organismi sovranazionali che per 75 anni hanno guidato i nostri destini vacillavano paurosamente già prima che la pandemia sconvolgesse il Terzo Millennio. Le spallate di Trump al multilateralismo e la dottrina del “Make America Great Again”, le mire neo-imperiali della Cina e le Vie della Seta, la mutata geopolitica energetica di Putin in Siria e Libia e la volontà di potenza di Stati-Regione come la Turchia e l’Iran. La forza centrifuga dei nazionalismi e dei populismi ha rimesso tutto in discussione già da tempo. Il Covid ha fatto il resto. Innescando la crisi sanitaria e riaccendendo la crisi finanziaria. Acutizzando le sofferenze e moltiplicando le diseguaglianze. Squassando le economie e logorando le democrazie. Le istituzioni della governance globale che abbiamo provato a darci in tre quarti di secolo ci paiono ormai inadeguate. Ma come ricorda proprio l’Economist, citando una frase di Dag Hammarskjold, non dovremmo dimenticare che non le abbiamo create perché ci portassero in paradiso, ma perché ci salvassero almeno dall’inferno. E in definitiva, dal 1945 in poi, l’obiettivo è stato raggiunto. L’Onu, la Nato e il Trattato di Non Proliferazione non ci hanno garantito la Pace Globale (purtroppo i conflitti regionali sono andati e vanno avanti lo stesso) . Ma ci hanno almeno evitato la Terza Guerra Mondiale (e nelle condizioni date, non è cosa da poco). La stessa riflessione, da Bretton Woods in poi, si può fare per il Wto e per l’Oms. L’Organizzazione per il Commercio è stata sicuramente troppo morbida, nel gestire l’irruzione del colosso cinese sui mercati. L’Organizzazione della Sanità non ha certo brillato, nel coordinare le strategie di prevenzione e cura del virus.
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Testata:  Espresso 
Autore:  Malagutti Vittorio 
Titolo: Pandemia, il nuovo fisco si porta via
Tema: Fisco

Neppure la pandemia è riuscita a fermare il cantiere infinito del fisco all’italiana. E un cantiere tutto virtuale, perché proposte e progetti restano sospesi nel vuoto della politica, un fiume di parole destinato a perdersi nei mille rivoli di un dibattito che raramente approda alla verifica dei fatti, della realtà dei numeri e soprattutto dei conti pubblici. La macchina della propaganda si è messa in moto già nei primi giorni dell’emergenza Covid. L’Italia era appena entrata nell’incubo del lockdown, con lo stop a quasi tutte le attività produttive, e il 3 di aprile un gruppetto di deputati di Forza Italia è partito alla carica sfoderando un progetto di pace fiscale, cioè il solito vecchio condono per chiudere a costo quasi zero le liti pendenti con l’erario. Una proposta di legge firmata tra gli altri dall’ex ministro Mariastella Gel mini e da Paolo Zangrillo, fratello di Alberto, il medico personale di Silvio Berlusconi nonché primario dell’Ospedale San Raffaele di Milano che di recente, in una delle sue innumerevoli comparsate televisive, è arrivato a dichiarare «clinicamente morto» il coronavirus. Tempo qualche settimana e la destra ha portato nelle piazze, insieme al folklore dei cosiddetti gilet arancioni, anche migliaia di militanti che invocavano, oltre alla pace fiscale, anche la flat tax, vecchio cavallo di battaglia di Matteo Salvini. Poi è arrivato il comitato di esperti guidato da Vittorio Colao, che tra le “iniziative per il rilancio dell’Italia” inserisce anche le facilitazioni per il rientro dei capitali dall’estero (voluntary disclosure), rilancia gli incentivi per favorire il rafforzamento del patrimonio delle aziende e infine suggerisce alcune scorciatoie per ridurre il contenzioso tra imprese e Agenzia delle Entrate. Tutto questo mentre in Parlamento il dibattito sul decreto rilancio, quello che stanzia nuovi fondi pubblici per superare l’emergenza.
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Testata:  Libero Quotidiano 
Autore:  De Stefano Tobia 
Titolo: Intervista ad Alberto Brambilla – «Salita la spesa sociale è aumentata la povertà»
Tema: Intervista all’ex Sottosegretario Brambilla

L’emergenza Covid poteva essere un opportunità per sistemare i difetti endemici del Paese. Quelli che tutti conoscono, che tutti dicono di voler cambiare e che nessuno cambia. Si sa, per esempio, che siamo agli ultimi posti per incremento della produttività. Che abbiamo bisogno di un piano monstre per le infrastrutture. Che dobbiamo rifare le scuole. Svecchiare gli organici della Pubblica amministrazione. Incrementare la formazione scientifica per aumentare i tassi di occupazione, eccetera, eccetera. E lo sa pure il governo, solo che ha fatto come quasi tutti gli esecutivi che l’hanno preceduto, ha deciso di continuare a spendere in bonus e assistenza per non scontentare nessuno e accaparrarsi quanto più consenso possibile, aumentando a dismisura il debito pubblico… un bel guaio sia per la difficile partita che stiamo giocando con l’Europa che per le prossime generazioni. È questa una delle scomode verità rivelate nell’ultimo libro (Le scomode verità, appunto) dell’ex sottosegretario al Welfare Alberto Brambilla. Cosa dicono i dati professore? «Guardi, dal 2008 al 2018 abbiamo aumentato la nostra spesa per l’assistenza passando dai 73 miliardi ai circa 110 del 2018. Questo sforzo economico aveva l’obiettivo principale di dare una mano alle classi meno agiate, a chi se la passava peggio, e di ridurre il tasso di povertà relativa e assoluta. Eppure nello stesso arco temporale i poveri nel Paese sono quasi raddoppiati, per cui continuare ad aumentare la spesa assistenziale a fronte di questi risultati relativi al 2018, quindi ben prima della crisi Covid, è veramente sbagliato. E di fronte a questo disastro il governo persevera».
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Testata:  Avvenire 
Autore:  Fatigante Eugenio 
Titolo: Intervista ad Antonio Patuelli – «Reagire, non rassegnarsi alla crisi»
Tema: Intervista al Presidente dell’Abi

Le banche come sono uscite dal lockdown? “Innanzitutto non ci sono mai entrate. Gli sportelli sono rimasti sempre aperti. Anzi, si è lavorato di più per dar corso a una quantità eccezionale di pratiche legate all’emergenza, per di più svolte “in modalità remota”: oltre 2,6 milioni di richieste di moratoria sui prestiti, per 277 miliardi d’importo, e 669mila domande di finanziamenti garantiti poi trasmesse al Fondo di garanzia. Si viaggia a un ritmo di quasi un miliardo d’importi al giorno”. Numeri forti, in effetti. “II mondo bancario registra un incremento dei prestiti anche nei mesi del lockdown, siamo a +1,4% su base annua. Mi sbilancio: è un aumento che proseguirà nei prossimi mesi. L’azione delle banche in questa fase è proattiva e anticiclica, come le misure urgenti adottate dall’Italia per contenere il disagio sociale. Ora dobbiamo far seguire però una strategia più ambiziosa, col potenziamento degli strumenti europei”. Restiamo sui prestiti garantiti dallo Stato al 100%. II Parlamento ha aumentato l’importo, da 25 a 30 mila euro, e i tempi del rimborso, da 6 a 10 anni. Servirà però una nuova domanda? Le modifiche sono applicate alle nuove domande a partire dal 19 giugno. Per quelle precedenti, l’Abi ha già diramato mercoledì 17 una circolare che disciplina i vari casi. Prevedo l’arrivo di una nuova valanga di richieste, la spinta verrà soprattutto dall’allungamento a 10 anni dei rimborsi. Gli istituti sono pronti ad applicare con diligenza le norme emendate, adeguando i sistemi informatici. E ad accelerarne l’applicazione in un clima di fiducia”. Con l’Inps, le banche sono finite nell’occhio del ciclone sugli aiuti, fra tempistica e burocrazia. Una più puntuale definizione sin dall’inizio da parte della politica avrebbe aiutato? “Ho fatto un fioretto: in fase emergenziale non faccio polemiche. Né rispondo alle polemiche: ho già detto che sono come un cireneo, che va avanti e porta la croce. E chiaro che più cose si definiscono dall’inizio più il processo è agevolato. Inoltre, l’autocertificazione ora introdotta dal Parlamento ci semplifica parecchio la vita, le banche devono effettuare un controllo formale degli atti. Preferiamo rispondere però con i fatti, provati dai numeri”.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fiano Fulvio 
Titolo: Le cose che (non) erano di Giulio
Tema: Regeni, effetti personali dopo 4 anni

Da ieri sono a disposizione dei nostri inquirenti il passaporto e le tessere di riconoscimento universitarie del ricercatore friulano sequestrato e ucciso in terra egiziana ormai quattro anni e mezzo fa. Materiale, va detto subito, che difficilmente potrà avere un valore diverso da quello meramente affettivo per i genitori del 28enne, dato che sembra impensabile trovare dopo tanto tempo e tanti passaggi di mano impronte o tracce di dna utili alle indagini. D’altronde si tratta degli stessi reperti fatti visionare agli inquirenti italiani nel marzo 2016 e che, ad eccezione del documento di identità, di un bancomat e delle tessere di Cambridge e dell’università del Cairo, si rivelarono presto come uno smaccato tentativo di depistare le indagini, accreditando la falsa ipotesi del delitto nato da una rapina o da imprecisati «affari» privati. Nel borsone rosso con lo scudetto dell’Italia «svelato» dalle autorità cairote c’erano infatti anche alcuni occhiali da sole (di cui due modelli da donna), un cellulare, un pezzo di hashish, un orologio e due borselli neri di cui uno con la scritta «Love» che i genitori di Giulio, ai quali gli oggetti furono mostrati in foto, bollarono subito come estranei al figlio. A impedire ogni riscontro ci fu poi la circostanza che i cinque «criminali comuni» trovati in possesso del borsone vennero uccisi al momento della presunta cattura, il 24 marzo di quell’anno. Claudio e Paola Regeni potrebbero essere ora chiamati a un nuovo riconoscimento pro forma, stavolta dal vivo, degli stessi oggetti. Nei giorni scorsi avevano annunciato a mo’ di monito: «Non intendiamo più farci prendere in giro dall’Egitto: non basterà inviarci quattro cianfrusaglie, indumenti vari e chiacchiere o carta inutile. Basta atti simbolici, il tempo è scaduto. Vogliamo una risposta esaustiva a tutti i punti della rogatoria inviata dalla procura di Roma nell’aprile del 2019».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  … 
Titolo: Il Cairo consegna i documenti all’Italia La famiglia dovrà riconoscerli
Tema: Regeni, effetti personali dopo 4 anni

II passaporto e due documenti universitari di riconoscimento di Giulio Regeni, il ricercatore italiano sequestrato e ucciso al Cairo nel 2016, sono ora in possesso degli inquirenti italiani che da anni cercano la verità sulla tragica morte del giovane friulano. Come anticipato ieri da La Repubblica, le autorità egiziane avevano dato il via libera all’invio in Italia di vari documenti ed oggetti. Un colpo di scena a pochi giorni dall’incontro tra le procure di Roma e del Cairo che si terrà il primo luglio in videoconferenza. Non è escluso che i genitori di Giulio Regeni vengano convocati a breve per effettuare il riconoscimento degli oggetti giunti dal Cairo.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Paci Francesca 
Titolo: L’Egitto consegna i ricordi di Regeni Ma sulla rogatoria nessun impegno
Tema: Regeni, effetti personali dopo 4 anni

Alla fine le povere, ultime cose di Giulio Regeni, chieste invano per 4 anni dai genitori privati anche del ricordo, sono tornate in Italia. Era quanto il premier Giuseppe Conte sperava di portare in Commissione giovedì sera come prova della buona volontà promessagli dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ma che ha dovuto invece annunciare solo nella seduta secretata. Si tratta del passaporto, i tesserini dell’università di Cambridge e del Cairo, le uniche riconosciute da mamma Paola. Poi ci sono un marsupio rosso con lo scudetto dell’Italia, un paio di occhiali da sole, un cellulare, un pezzo di hashish, un orologio, un bancomat e due borselli neri: tutto il materiale sequestrato il 24 marzo 2016 a casa dei presunti assassini di Regeni appena freddati dalla polizia egiziana. Il pacco è ora nelle mani degli inquirenti di Roma. È possibile che nei prossimi giorni i coniugi Regeni siano chiamati a riconoscere ancora una volta quanto il figlio aveva in mano la sera dell’arresto. «Tutto bene, ma adesso c’è da aspettarsi che gli egiziani dicano anche come hanno avuto quegli effetti personali che furono al centro del più grosso tentativo di depistaggio, sarebbe inaccettabile che la cooperazione giudiziaria si limitasse alla consegna del materiale», osserva Riccardo Magi di +Europa, membro di quella Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Regeni che ha messo in difficoltà il premier Conte impedendo, almeno, che la maxi commessa bellica passasse senza contraddittorio da Roma al Cairo, dopo la ripresa degli scambi intensificatisi nel 2019.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Valsania Marco 
Titolo: Trump tenta la riscossa dopo Covid e proteste – Trump tenta la riscossa fiaccato da proteste e Covid
Tema: Trump, la prima tappa della campagna elettorale

Il furgone è un insolito e simbolico manifesto politico: sulla fiancata campeggia un numero sempre aggiornato, 71mila e a salire. Intende rappresentare le vittime del coronavirus che avrebbero potuto essere salvate da interventi tempestivi dell’amministrazione di Donald Trump. Ha accolto ieri sera l’arrivo del presidente a Tulsa, nel cuore dell’Oklahoma e del Paese, per il primo rally in tre mesi, dalla paralisi per la pandemia. Un guanto di sfida che ha mostrato come Tulsa – la sua grande arena al coperto della Bank of Oklahoma con 19.000 posti – sia stata trasformata da Trump in appuntamento cruciale. Per un rilancio in grande stile della campagna perla rielezione a novembre, in un clima di altissima tensione testimoniato dalla convergenza sulla città di decine di migliaia di sostenitori e detrattori del presidente. La campagna di Trump non ha lesinato sforzi: ha fatto sapere d’aver ricevuto richieste per un milione di biglietti. E proprio a poche ore dall’inizio del comizio si è saputo che sei membri dello staff che hanno lavorato alla organizzazione sono risultati positivi a Covid-19. Code di partecipanti, a volte accampati, si erano formate fin dai giorni scorsi davanti all’edificio. Per limitare i rischi, il sindaco repubblicano di Tulsaaveva fatto scattare un coprifuoco, tolto nelle ultime ore, e barriere erano state installate attorno all’arena. Trump, che aveva minacciato i manifestanti contro di lui di stare alla larga, è a caccia d’una riscossa da sondaggi che lo vedono arrancare, criticato perla gestione della pandemia come della crisi economica e razziale. E indebolito da falde interne: un giudice federale ha bocciato ieri la richiesta di bloccare l’uscita del librodenuncia del suo ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Mastrolilli Paolo 
Titolo: Trump ritrova il suo popolo “Da qui parte la rimonta” – Trump ritrova il suo popolo al comizio che sfida il Covid “Parte la rivincita più grande”
Tema: Trump, la prima tappa della campagna elettorale

Sei membri della campagna di Trump, inviati a Tulsa per organizzare il comizio di ieri sera, sono risultati positivi al Covid-19. È la dimostrazione dei pericoli a cui il capo della Casa Bianca ha esposto non solo i suoi collaboratori, ma anche i propri sostenitori e l’intero Paese. Trump ha dipinto l’evento come «il vero inizio della mia campagna elettorale, e della più grande rivincita nella storia». Forse sarà così, viste le migliaia di persone venute in Oklahoma ad ascoltarlo. Esiste però anche il rischio per lui che il comizio con 19.000 spettatori al Bok Center diventi il simbolo del modo irresponsabile con cui ha gestito l’intera emergenza, condannandosi alla sconfitta. Il presidente è sotto assedio per il coronavirus, le proteste razziali seguite all’omicidio di George Floyd, la recessione e la disoccupazione, il nuovo scandalo per il licenziamento del procuratore di Manhattan Berman, le denunce nel libro dell’ex consigliere Bolton che uscirà martedì, perché il giudice Royce Lamberth non ha bloccato la pubblicazione. Persino la Corte Suprema, dove ha rafforzato la maggioranza conservatrice, lo sta tradendo, dai diritti dei gay agli immigrati. Un sondaggio di Fox News, la tv alleata di Murdoch, lo dà indietro di 12 punti rispetto a Biden. Chi legge in questi dati la sconfitta sicura di Trump sbaglia, come nel 2016, quando Hillary aveva un vantaggio simile e dava per scontata la vittoria. Non c’è dubbio però che Trump abbia bisogno di rilanciarsi, e perciò ha tenuto il comizio di ieri, il primo da quando il virus ha paralizzato il Paese. La strategia è identica a quella di quattro anni fa: cavalcare la spaccatura culturale e ideologica che divide ormai da decenni l’America, sperando che i suoi partigiani siano maggioritari almeno negli Stati decisivi a conquistare il collegio elettorale.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Libro-bomba contro Trump E lui caccia il procuratore di NY
Tema: Usa, procuratore Berman cacciato

«Che cosa ci posso fare? Come diciamo in Texas il cavallo ormai è scappato dalla stalla». Venerdì con questa battuta e ieri, sabato 20 giugno, con un’ordinanza formale, il giudice Royce Lambert, del Distretto di Washington DC, ha respinto la richiesta di bloccare la pubblicazione del libro di John Bolton. L’avvocato David Morrell, per conto del Dipartimento di Giustizia, non è riuscito a convincere il magistrato che il memoriale scritto dall’ex consigliere per la Sicurezza nazionale contenesse «informazioni classificate» da non divulgare. Il ricorso è stato il tentativo estremo, a ridosso dell’uscita di The Room where it happened, il 23 giugno. I principali quotidiani e tv americane hanno ricevuto le copie staffetta nei giorni scorsi, pubblicando gli estratti più esplosivi. A cominciare dal passaggio in cui Donald Trump chiede un aiuto al presidente cinese Xi Jinping, in vista delle prossime elezioni di novembre («compra soia e grano dai nostri agricoltori»). Ecco perché il giudice Lambert, 76 anni, nominato da Ronald Reagan, ha disilluso i legali del governo con il proverbio texano: se c’è un danno, ormai è fatto. Nello stesso tempo, però, il magistrato ha messo sotto pressione anche il collegio difensivo di Bolton. Perché l’ex ambasciatore non ha aspettato la liberatoria dell’Amministrazione? Risposta: perché la Casa Bianca ha rallentato artificiosamente le procedure, cercando di sabotare la diffusione del volume. Alla fine il giudice Lambert ha dato via libera alla vendita dell’opera, ma con un avvertimento a Bolton: se avrai rivelato notizie riservate, potrai essere perseguito penalmente. Il commento di Trump, via Twitter, parte proprio da qui: «Grande vittoria in tribunale contro Bolton. Ovviamente con il libro già in circolazione, questo giudice con alta reputazione non avrebbe potuto fare nulla… ma ha stabilito che Bolton ha violato la legge. A lui piace sganciare bombe sugli altri. Adesso sganceranno bombe su di lui».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: La sfida del procuratore licenziato dal presidente “Ma io non lascio l’ufficio”
Tema: Usa, procuratore Berman cacciato

Crisi ai vertici della giustizia americana. Donald Trump licenzia il più importante procuratore federale di New York, Geoffrey Berman, che non se ne va. L’ultima vittima nel regolamenti di conti fra la Casa Bianca e i tribunali è un potente magistrato repubblicano che ha rifiutato di piegarsi. Berman ha indagato su diversi collaboratori del presidente e anche su una banca turca alla quale Trump aveva offerto indulgenza per accattivarsi Erdogan. Proseguono le “purghe” dentro la magistratura, uno dei contropoteri più efficaci nel frenare le iniziative di questo governo. La vicenda Berman conclude una settimana in cui Trump ha incassato diversi rovesci dalla giustizia: due sentenze avverse della Corte suprema, e il rifiuto di un tribunale di Washington di vietare il libro-denuncia del suo ex consigliere strategico John Bolton. A farsi carico di questa nuova epurazione politica dentro il Dipartimento di Giustizia, che dovrebbe godere di ampia autonomia dalla Casa Bianca, è il titolare di quel dicastero, William Barr, un fedelissimo del presidente che si e già distinto durante il procedimento d’impeachment. Geoffrey Berman, procuratore federale del Southern District of New York, per competenza territoriale si occupa degli affari privati di Trump che per decenN hanno avuto la sede sociale a Manhattan. È grazie alle inchieste guidate da Berman che fu incriminato, condannato e incarcerato l’ex avvocato personale del presidente, Michael Cohen. È sempre Berman a indagare su Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York che ora è il più Importante legale di Trump. Eppure Berman non era a priori un avversario del presidente, al contrario. Repubblicano, era stato scelto per far parte della “squadra di transizione”, la task force di fidati collaboratori che gestirono il passaggio delle consegne dall’Amministrazione Obama.
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Testata:  Stampa 
Autore:  P.MAS. 
Titolo: Procuratore cacciato È scontro a New York
Tema: Usa, procuratore Berman cacciato

John Bolton nel suo libro contro Trump, che uscirà martedì perché un giudice si è rifiutato di bloccarlo, scrive che l’ostruzione della giustizia è un sistema di vita per il presidente. La conferma è arrivata subito, quando venerdì sera il segretario alla Giustizia Barr ha cercato di cacciare il procuratore di Manhattan Geoffrey Berman, colpevole di aver indagato sull’ex avvocato di Donald Michael Cohen, su Rudy Giuliani, e su due soci dell’ex sindaco di New York incriminati per i loro traffici in Ucraina. Berman è repubblicano ed era stato nominato dall’ex segretario alla Giustizia Sessions, ma la sua conferma non era mai stata richiesta al Senato, e quindi lui operava ad interim su mandato dei giudici del suo distretto. Barr ha detto che si era dimesso, ma Berman ha negato, sfidandolo: «Lascerò solo quando il mio successore sarà nominato e confermato dal Senato. Nel frattempo le inchieste continuano». Allora è intervenuto personalmente Trump, per licenziarlo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  D’Alessandro Jaime 
Titolo: Intervista ad Antonello Soro – Soro “Non sappiamo cosa fa la Cina con i dati di chi ha fra 10 e 15 anni”
Tema: Intervista al Garante per la privay Soro

«Sono tre anni che lo sostengo: abbiamo un problema con la Cina. Nell’economia digitale l’asimmetria è semplicemente spaventosa». Antonello Soro, garante italiano per la Privacy, parte dal bicchiere mezzo vuoto. La decisione del Comitato europeo perla Protezione dei Dati (Edpb) di dargli ascolto e istituire una commissione che indaghi sul social network cinese TikTok sembra un passo troppo timido. Con 800 milioni di utenti attivi, è il primo grande social network nato a Pechino a riuscire a fare breccia in Occidente. Il problema? Che non abbiamo idea di cosa accada ai dati raccolti. «TikTok ha avuto uno sviluppo molto veloce», continua Soro. «Sono centinaia di milioni gli europei che la usano. Un pubblico prevalentemente di minori. Il mercato particolare dei giovanissimi li espone al pericolo di messaggi e contenutiti poco adatti se non del tutto vietati. Ma essendo una azienda cinese abbiamo armi spuntate a disposizione». Cosa farà ora la task-force europea? «Inizierà dalla raccolta di informazioni che, a mio parere, non potrà essere disgiunta da azioni per sanare l’asimmetria della quale parlavo prima». CI vorranno mesi. Non le sembra che le istituzioni siano un po’ lente? «Forse. Le autorità europee che lavorano sul tema dei dati sono piccole e con compiti immani. Non è maturata la percezione di quanto il mondo digitale produca ricchezza e colossi che sono ormai più potenti degli Stati. E non è chiaro a tutti che le regole in quel frangente sono essenziali per far funzionare la società di oggi».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Caracciolo Lucio 
Titolo: Il ruolo del cremlino nella sfida tra Usa e Cina
Tema: Usa-Cina

La Federazione russa non ha la taglia per scalare la vetta del potere planetario. Ma è la quantità marginale oche gettando il suo peso sull’uno o sull’altro piatto della bilancia può decidere della partita fra Stati Uniti e Cina. Nella metafora corrente al Cremlino, la Russia s’identifica con la scimmia saggia della tradizione cinese che siede sulla cima della montagna scrutando le due tigri che s’affrontano nella valle. Putin la vede così: «Tanti anni fa, quando vinsi un titolo sportivo, avevo un amico molto più forte di me che però non vinceva mai. “Se volessi, vincerei”, diceva. E io, “sicuro, se volessi ce la faresti”. Ma dentro di me pensavo: “Se tu potessi vinceresti. Quindi ti manca qualcosa. Forse la volontà, o la pazienza o l’applicazione o anche il coraggio”. Se noi oggi giochiamo forte con carte deboli questo significa che gli altri non sanno giocare. Quindi non sono poi così forti. Gli manca qualcosa». La Russia è miracolo. Non dovrebbe esistere. Come tenere insieme uno spazio vasto quasi sessanta volte l’Italia con una popolazione nemmeno due volte e mezzo la nostra, per i quattro quinti concentrata a Ovest degli Urali – Mosca e San Pietroburgo, sole due città di taglia metropolitana, producono un quarto del Pil – distinta in 193 gruppi etnici parlanti 277 lingue o dialetti, organizzata in 85 soggetti compressi in 8 distretti, con un prodotto interno lordo di un quinto inferiore all’italiano e un bilancio pubblico aggrappato alla rendita da idrocarburi in crollo di prezzo? Eppure la Russia esiste e resiste da almeno sei secoli come impero.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Orsini Alessandro 
Titolo: Atlante – Le tensioni Usa-Cina danneggiano l’Italia
Tema: Tensioni Usa-Cina

Dopo tanti tentativi falliti, Trump sta finalmente portando l’Europa dalla sua parte contro la Cina. Per la prima volta dal suo arrivo alla Casa Bianca, un blocco europeo inizia a delinearsi all’orizzonte. Il Parlamento europeo ha infatti invitato l’Unione Europea a portare Pechino davanti alla Corte internazionale di giustizia, se davvero approvasse la legge sulla sicurezza nazionale con cui intende sottoporre Hong Kong al proprio dominio incontrastato. La risoluzione è stata approvata a larga maggioranza: 565 voti contro 34 e 62 astenuti. Lo scenario che si dischiude è preoccupante. La Cina non pub fare marcia indietro e dobbiamo dare per scontato che, a settembre 2020, la legge tanto contestata sarà approvata. Il tribunale dell’Aia non pub fermare l’ascesa di una potenza nucleare. L’abbiamo già visto con la sentenza dell’Aia sui confini del Mar Cinese Meridionale del luglio 2016. I giudici dell’Aia hanno dato ragione alle Filippine, ma la Cina non ha riconosciuto la sentenza che, infatti, ignora totalmente. Il vero problema per la pace nel mondo non è Hong Kong, ma Hong Kong più una grande quantità di fronti aperti con gli Stati Uniti che, messi insieme, rappresentano la questione più importante del XXI secolo. Da dove nascono tutte queste tensioni? La Cina sta attraversando la stessa fase vissuta dall’Italia dopo avere completato l’unificazione con la presa di Roma del 1870.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Paci Francesca – Tortello Letizia 
Titolo: Londra, 3 morti accoltellati dopo il corteo anti razzismo – Tre uccisi a coltellate al parco dopo il raduno anti-razzista Torna la paura a Londra
Tema: Londra, 3 morti dopo corteo anti razzismo

A sette mesi dall’ultimo attentato di London Bridge, quando un uomo accoltellò diversi passanti prima di essere arrestato dalla polizia, torna la paura in Gran Bretagna. La situazione appare totalmente differente da quella della City ma la scena delle ambulanze, le volanti, gli elicotteri del soccorso nel parco di Reading nella Contea del Berkshire riportano gli inglesi alla paura pre-Covid. Si tratterebbe di un accoltellamento di massa, con diversi feriti, un uomo, a due ore da una grande manifestazione del movimento Black Lives Matter. Secondo la polizia ci sarebbe un arrestato, un uomo. L’accoltellamento di massa nel parco di Reading, nella Contea inglese del Berkshire, ha sconvolto la protesta, che ha sfilato per i diritti civili degli afroamericani, dopo la morte di George Floyd. Il «grave incidente» ha avuto luogo a Forbury Gardens, nel centro della cittadina. Sarebbero tre i morti, diversi i feriti di cui due gravi, anche se la dinamica dell’accaduto non è ancora chiara. La polizia esclude il terrorismo islamico, ma non si sa se gli assalitori abbiano agito per attaccare i manifestanti anti-razzisti. Nell’ultima settimana, la tensione è salita intorno alle manifestazioni antirazziste Black Lives Matter. Il 13 giugno un fotografo italiano, Corrado Amitrano, è stato aggredito da xenofobi e hooligan durante una protesta in difesa delle statue. Gli hanno urlato «fuck the media». Ieri, invece, un video angosciante postato sui social media ha mostrato quattro persone ferite distese sull’erba, mentre gli agenti tentavano di rianimarli. I morti, secondo quanto riferisce il Telegraph, sarebbero appunto tre.
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