In evidenza sui principali quotidiani:
– M5S, via libera alle espulsioni contro i “ribelli”
– Draghi cambia il piano vaccini
– Lotta all’evasione: nel 2021 il Fisco punta a recuperare 14 miliardi
– Stop alle trivelle e sfratti congelati
– Russia, condanna confermata per Navalnyj
PRIMO PIANO
Politica interna
Testata: Corriere della Sera
Autore: Trocino Alessandro
Titolo: M5S, via libera alle espulsioni contro i ribelli anti Draghi – M5S, parte l’iter per le espulsioni Di Battista la base non è d’accordo
Tema: M5S
Sono entrati nella legislatura con un plotone di 338 parlamentari agguerritissimi e in tre anni ne hanno persi per strada già una novantina. Ieri un nuovo colpo, con l’avvio del procedimento di espulsione dal Movimento (oltre che dal gruppo) di una truppa di 15 senatori e 21 deputati. I 5Stelle alla resa dei conti. Via tutti quelli che non hanno votato la fiducia al governo guidato da Mario Draghi. Ma non è finita, perché si stanno valutando le motivazioni degli assenti e si è aperta la procedura per chi è in ritardo con la rendicontazione e le restituzioni. Come se non bastasse la frattura enorme causata dal no alla fiducia del governo Draghi. La decisione annunciata dai probiviri — con le solite formule generiche e senza dettagli, nonostante si tratti di un atto formale — è contestata da una dei tre, la consigliera di Villorba Raffaella Andreola. Ma a maggioranza Fabiana Dadone e Jacopo Berti hanno deciso di proseguire sulla lin ea dura tracciata da Vito Crimi e Beppe Grillo. Lo sconcerto e il disorientamento sono enormi, anche in chi è rimasto. Chi è rimasto, poi? Molti non lo sanno, aspettano una riunione per contarsi e capire a che punto sono. Nicola Morra, ancora fermo alla fase del «che fai mi cacci?», ieri auspicava «ragionevolezza». E però già si predisponeva alla battaglia. Con due armi. Il ricorso contro l’espulsione e un voto online tra i militanti come prova di forza contro i vertici. La stessa idea avanzata da Alessandro Di Battista, secondo il quale «la grande maggioranza degli iscritti» non è d’accordo con le espulsioni. L’ex parlamentare si dichiara un «battitore libero»: «Non farò scissioni né correnti».
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Testata: Repubblica
Autore: Tito Claudio
Titolo: Il commento – Il grande partito morente
Tema: M5S
Quella del Movimento 5Stelle non è una crisi passeggera. È strutturale. Almeno nella forma originaria, inizia a non esistere più. E se l’evoluzione non viene guidata, rischia di diventare – parafrasando Ennio Flaiano – il più grande partito morente. La probabile scissione, le parole pronunciate ieri da Alessandro Di Battista sono il sintomo non la causa di questo disorientamento. Il primo, del resto, a intuire che non sarebbe stato un progetto di lungo periodo è stato Beppe Grillo che qualche anno fa fece riferimento ad un possibile autoscioglimento. La parabola grillina assomiglia sempre più a quella dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Anche i pentastellati sono nati senza un dna politico. La protesta è stato il collante che li ha tenuti insieme, ma nella proposta la diversità dei loro geni non poteva che emergere. Perché non sapevano cosa fossero. Il vuoto è stato colmato temporaneamente da alcuni progetti trasformati in bandiere. Ma privi di un filo capace di tenerli insieme, sono stati l’evidenziatore della crisi del sistema politico – ormai del tutto palese – e non la soluzione. Basta ascoltare quel che ieri ha detto Di Battista, il quale si presenta come l’estremo difensore dell’ortodossia pentastellata, per capire quanta confusione ci sia sotto quel cielo. Da epigono del “non-statuto” ora è il promotore di ricorsi a norma di statuto. Da capo dei ribelli si accorge solo adesso che la disciplina grillina non garantisce alcun dibattito interno. I dissidenti se ne sorprendono. Ma quella regola c’è sempre stata.
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Testata: Repubblica
Autore: Pucciarelli Matteo
Titolo: Intervista a Dino Giarrusso – Giarrusso “Troppi egoismi mi candido per il direttorio”
Tema: M5S
L’eurodeputato Dino Giarrusso ha deciso di candidarsi al direttorio dei cinque che sostituirà la figura del Capo politico. Nelle votazioni (mai rese pubbliche) agli Stati Generali arrivò secondo dopo Alessandro Di Battista e prima di Luigi Di Maio. Le possibilità che quindi riesca a entrare sono molte. È il primo a buttarsi nella mischia, in un momento drammatico per il M5S. «Lo faccio per unire, ricucire, valorizzare gli attivisti. Oggi più che mai serve unità, occorre tenere insieme la forza rivoluzionaria che abbiamo sempre avuto. Le diverse anime del M5S possono convivere. Le divisioni vanificano il nostro lavoro e la danno vinta a Matteo Renzi che aveva questo obiettivo come prioritario, oltre a far fuori Giuseppe Conte». Le “diverse anime” contemplano anche quelli che hanno votato no alla fiducia? «Non voglio dare pronostici sui provvedimenti disciplinari perché non ne ho l’autorità». Però un ‘idea se l’è fatta? «Sono molto dispiaciuto ma consapevole del fatto che dobbiamo rispettare il voto su Rousseau. Se siamo arrivati a questo punto dobbiamo riflettere sul perché». E qual è secondo lei? «Ci siamo disuniti e non abbiamo gestito le diverse posizioni. Non credo ci sia un responsabile unico: chi aveva malumori ha sbagliato ad aizzare gli attivisti ad esempio, altri hanno fatto delle partite personali, altri ancora hanno creato correnti anche se lo negano: non prendiamoci in giro. La pandemia, purtroppo, ha rimandato gli Stati generali lasciando sul terreno molte questioni irrisolte: ma dovevamo evitare tutta questa conflittualità». Ha ascoltato ieri Di Battista? «Sì. Anche l’uscita di chi come lui è molto amato dagli attivisti è un problema in più per noi».
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Salvia Lorenzo
Titolo: Vaccini in stazioni e tende – Stazioni e parcheggi Il piano vaccini
Tema: vaccinazioni
In questo momento il problema è soprattutto la scarsità di vaccini. Ieri AstraZeneca ha aggiunto un nuovo taglio a quelli già annunciati: dovevano arrivare 566 mila dosi, ne sono state consegnate 0o mila in meno. Una sforbiciata del 10,6% definita «gravissima» dal segretario del Pd Nicola Zingaretti, mentre il governatore della Lombardia Attillo Fontana chiede che «Mario Draghi faccia sentire la sua voce in Europa». Quella di AstraZeneca non è una buona notizia. Ma oltre alle dosi manca anche la velocità nella vaccinazione: su 4 milioni e 692 mila dosi consegnate ne abbiamo somministrate finora 3 milioni e 439 mila. Il 73,3%. Bisogna tenere da parte le fiale necessarie per i richiami, certo. Ma forse non sono 60 mila dosi in più o in meno a fare la vera differenza. Nel secondo trimestre di quest’anno è prevista la consegna di 64 milioni di dosi. E, senza un cambio di passo radicale, il vero collo di bottiglia po trebbe diventare proprio l’effettivo utilizzo dei vaccini. Il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva detto che «abbiamo il dovere di rendere possibili le vaccinazioni in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private». E la traduzione delle sue parole è nella lista dei punti di somministrazione alla quale sta lavo rando la Protezione civile. Ci saranno le stazioni ferroviarie. Un centinaio, pescando da quelle che per l’appunto appartengono alla società Centostazioni. Una lista che comprende gli scali di città importanti come Brescia, Pádova, Parma, Salerno. E anche le stazioni secondarie delle grandi città, come Milano Porta Garibaldi, Roma Ostiense e Napoli Afragola. Si potrebbero aggiungere anche le grandi stazioni come Milano Centrale, Roma Termini o Torino Porta Nuova. Ma non è detto, visto che anche in questi mesi di vita e spostamenti a scartamento ridotto sono comunque luoghi affollati. Saranno valutati tutti i parcheggi dei grandi centri commerciali. Qui nella lista dei candidati ci sono 955 strutture, alle quali vanno aggiunti 33 outlet. Arruolate le caserme dei Vigili del fuoco, in linea di massima una per provincia. E gli spazi dei 41 aeroporti e dei 32 porti commerciali italian i.
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Testata: Repubblica
Autore: Mania Roberto
Titolo: Intervista a Carlo Bonomi – La mossa degli industriali “Vaccinazioni in fabbrica” – Bonomi “Pronti ad aprire le fabbriche per immunizzare dipendenti e familiari”
Tema: vaccinazioni
Aprire le fabbriche per vaccinare i lavoratori e i loro familiari. E’ la proposta che il presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, lancia. Presidente Bonomi, siete disposti ad aprire le fabbriche e gli uffici per vaccinare i dipendenti? «Certo! Siamo d’accordo con l’impostazione del presidente Draghi di coinvolgere i privati nel piano vaccinale. I dipendenti delle aziende aderenti a Confindustria sono circa 5,5 milioni, se consideriamo una media di 2,3 componenti per nucleo familiare potremmo vaccinare più di 12 milioni di persone. Siamo disposti a mettere le fabbriche a disposizione delle comunità territoriali nell’ambito del piano nazionale delle vaccinazioni. Abbiamo già inviato una nostra proposta operativa a Palazzo Chigi. Dobbiamo fare come all’estero dove si stanno utilizzando le fiere, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie. Insomma strutture già esistenti. Si può, benissimo fare anche in Italia. Confindustria ha già o fferto alla Regione Lazio il suo centro congressi». Grande collaborazione con il nuovo esecutivo. Considera il governo Draghi un “governo amico” delle imprese? «Quella del “governo amico” è un’espressione che non mi piace. Sono certo, però,, che il presidente Draghi ascolterà le imprese perché ha ben presente il loro valore e cosa rappresenta il sistema industriale italiano. Draghi saprà ascoltarci: confido tramontata la vecchia liturgia degli incontri separati. Imprese e sindacati devono essere ascoltati insieme per trovare soluzioni rapide ed efficaci».
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Testata: Stampa
Titolo: Draghi cambia il piano vaccini subito AstraZeneca per tutti – Primo vertice fra Draghi e i capi partito Il modello inglese per il piano vaccinale
Tema: vaccinazioni
Cinque ministri a Palazzo Chigi. Uno per ogni partito. Un faccia a faccia che senza l’ufficialità delle forme ha ricordato i vertici tra i capidelegazione di maggioranza del governo Conte Bis. C’era Giancarlo Giorgetti per la Lega, Dario Franceschini per il Pd, Stefano Patuanelli per il MSS, Maria Stella Gelmini per Forza Italia e Roberto Speranza per Leu. Questi ultimi due anche i ministri di più stretta competenza sull’argomento affrontato: i vaccini. In attesa del Consiglio dei ministri di domani, in cui si discuterà di disposizioni urgenti per contenere il Covid, Mario Draghi si è confrontato sul piano vaccinale: vuole dare il massimo impulso a una immunizzazione di massa, superare rallentamenti, errori, confusioni emerse fino a oggi, evitare la giungla degli acquisti negoziati singolarmente dalle regioni tramite mediatori non istituzionali. Per farlo è pronto a ispirarsi al modello inglese, che finora sembra aver funzionato più di tutti gli altri. Vaccinazione di massa subito, con tutte le dosi a disposizione, senza pensare ad accantonare le riserve per il richiamo. Puntando nell’immediato sui sieri di AstraZeneca, che arriveranno a 5 milioni entro fine marzo, il governo italiano è pronto a fare come Boris Johnson. A consentire il cambio di passo è un nuovo studio pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Lancet sul vaccino britannico, che gli esperti del ministero della Salute stanno leggendo e rileggendo perché contiene due novità dirompenti. Per una volta, entrambe positive. La prima è che già inoculando la prima dose l’antidoto avrebbe una efficacia del 72% e non del 60 come avrebbe accertato l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco. La seconda buona notizia è che spostando molto più in là il richiamo, addirittura a tre mesi dalla somministrazione della prima dose, il vaccino aumenta la sua efficacia all’80%. Se non proprio come i più ambiti ritrovati di Pfizer e Moderna, poco ci manca. In questo modo si potrebbe procedere al passo da corsa intrapreso a suo tempo dall’allora criticatissimo premier britannico, che in barba ai protocolli approvati dall’Ema su indicazione della stessa casa produttrice, gi&agr ave; ai primi di gennaio ha iniziato a vaccinare in massa i cittadini senza riservare dosi per il richiamo.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Gorodisky Daria
Titolo: Intervista a Giovanni Toti – Toti: meglio scelte su base provinciale E nelle zone gialle serve alleggerire
Tema: Covid
Giovanni Toti, presidente della Liguria, è fiducioso di riuscire a evitare il sigillo arancione per tutto il territorio nazionale invocato da più parti per contenere il Covid-19. Ieri Toti ha portato i suoi argomenti alla riunione straordinaria della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, di cui è vicepresidente. Un incontro per provare a definire una linea comune in vista della prossima convocazione del governo. «Siamo ancora un po’ sparpagliati, ma certamente non sono tutti d’accordo sull’ipotesi di un’Italia arancione. Massimiliano Fedriga (presidente leghista del Friuli-Venezia Giulia, ndr) condivide con me che non ci può più essere un passo soltanto rigorista». La divisione del Paese in fasce va mantenuta? «L’impianto va bene, ma con delle modifiche. Nelle zone gialle serve un alleggerimento: perché i ristoratori non possono scegliere se aprire a pranzo o a cena? Palestre, piscine, cinema, teatri vanno riap erti. A fronte di regole ben precise, prevedendo un numero ben limitato di utenti: ma sarebbe un segnale importante per il Paese». E le zone arancioni o rosse? «Andrebbero individuate su base provinciale e comunale. E bisognerebbe rivedere i parametri di valutazione: oggi si fa riferimento ai contagi, mentre l’Rt ormai dovrebbe essere calcolato sul tasso di ospedalizzazione. In Liguria, a parità di circolazione del virus, abbiamo meno ricoveri e meno decessi, perché abbiamo vaccinato le Rsa». Quali altre proposte ha messo sul tavolo? «L’allargamento della cabina di regia anche ai ministeri preposti a economia e conti dello Stato. Abbiamo bisogno di equilibrio tra fronte della salute, fronte economico e fronte dei rapporti sociali».
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Testata: Stampa
Autore: La Mattina Amedeo
Titolo: Intervista a Luca Zaia – “L’Europa s’è mossa male inevitabile che i territori ora si organizzino da soli”
Tema: vaccini
L’Europa ne sta uscendo «malissimo». Ed è chiaro che se a livello nazionale o sovranazionale la regia sui vaccini non è all’altezza della situazione, le Regioni sono costrette ad agire da soli. Il presidente del Veneto Luca Zaia comincia a puntualizzare che non è più possibile aspettare. Presidente, sembra non ci sia fine alla lotta al Covid. Ne usciremo entro quest’anno? «Io spero proprio di sì ma è tutto direttamente proporzionale alla nostra capacità vaccinale. Lo Stato di Israele che ha comprato 20 milioni di vaccini e ha vaccinato tutti gli israeliani ha svuotato gli ospedali. La Gran Bretagna che ha vaccinato 15 milioni di inglesi è molto più avanti di noi». Come ne sta uscendo l’Europa? «Ne sta uscendo malissimo. Il mercato più grande al mondo con 450 milioni di abitanti è un mercato che in questa fase sa solo dire che il contratto con Big Pharma è secretato, tutti abbiamo notizie di decurtazioni, oggi quella di Astra Zeneca. Quando la regia nazionale o sovranazionale è debole, diventa inevitabile che territori si organizzino da soli». Cioè che le Regioni alla fine si comprano il vaccino senza passare per Roma e Bruxelles? «Non lo dico come sfida ma è inevitabile che con una regia debole un territorio occupi gli spazi lasciati liberi. Un campanello d’allarme è il dibattito sul mercato parallelo. Cosa che non escludo stia interessando altri Paesi europei. Mi rifiuto di pensare che sia circoscritto solo all’Italia. Vedo che nel dibattito della stampa internazionale c’è chi si lamenta di non avere vaccini e chi tace. La domanda che mi faccio: chi tace si è distratto o ha risolto il problema alla base. Ma di certo la debolezza dell’Europa viene fuori in maniera clamorosa».
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Testata: Espresso
Autore: Damilano Marco
Titolo: Il tempo breve dell’unità
Tema: governo Draghi
Non è un caso che il regista discreto e quasi invisibile di questa opera di inclusione delle forze anti-sstema sia il moroteo che ha cominciato il suo ultimo anno al Quirinale. Quando si riscriverà la storia di questo periodo bisognerà lavorare sul ruolo silenzioso e tenace di Sergio Mattarella. E tra i momenti chiave di questa azione bisognerà inserire anche la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della Banca d’Italia, messa sotto attacco non dalla Lega o dal Movimento 5 Stelle, ma da quel Renzi che oggi si prende il merito di aver portato Draghi a Palazzo Chigi. Successe quando i renziani provarono a evitare la riconferma di Ignazio Visco a governatore di via Nazionale. In quel momento, autunno 2017, Renzi era ancora segretario del Pd e Paolo Gentiloni, il presidente del Consiglio del Pd (e non più renziano), disse di no e riconfermò Visco d’accordo con Mattarella, subendo la diserzione dal Consiglio di quattro ministri renziani e dell a sottosegretaria Maria Elena Boschi. A Palazzo Chigi a fronteggiarli c’era anche il capo staff di Gentiloni Antonio Funiciello che oggi è il capo di gabinetto di Draghi, attaccato per paradosso come renziano dai vedovi del governo Conte. Stessa difesa arrivò quando nel mirino finirono i tecnici di via XX Settembre, da parte dei gialloverdi e del grande comunicatore Rocco Casalino, all’epoca servilmente omaggiato e ora vilmente dileggiato: tra loro, Roberto Garofoli e Daniele Franco. Oggi sono gli uomini-chiave del governo Draghi. A rileggere questa storia c’è da essere meno ottimisti.A dispetto degli insulti delle rispettive bande sui social e dei loro mazzieri sui quotidiani di riferimento, la considerazione che i leader di ultima generazione hanno per i servitori dello Stato e le istituzioni indipendenti, compresa la stampa, è identica: nessuna.
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Testata: Espresso
Autore: Tecce Carlo
Titolo: A volte ritornano
Tema: nomine
Il governo di Mario Draghi è davvero un capolavoro, si teme involontario, di Matteo Renzi e di Beppe Grillo. Sono li che plaudono a quei tecnici, quei sensali e quei burocrati che hanno tentato di abbattere con la rottamazione e il populismo. Adesso quelli, di memoria profonda e di maniere affettate, riprendono il comando, sospinti proprio da Renzi e Grillo. E sono guai. La nuova mappa del potere, in vigore con Draghi, non è nuova. E soltanto un po’ sgualcita e impolverata. Conviene impararla in questi mesi di rodaggio: ci sono gli oltre 200 miliardi di euro di risorse europee da spendere e circa cinquecento poltrone di aziende statali ben assortite da distribuire, come il servizio pubblico Rai, la capogruppo Ferrovie, la sua controllata Anas e soprattutto Cassa depositi e prestiti, l’agognata Cdp. Per interpretare la funzione di Roberto Garofoli, sottosegretario a Palazzo Chigi, cioè manutentore del governo, vanno riviste le immagini dell’intervento di Draghi in Senato. Con le orecchie piegate dalla mascherina e col busto rigido e lo sguardo fisso all’aula, mentre in alto a sinistra il ministro Giancarlo Giorgetti si dimenava, irrequieto, come se stesse solfeggiando il discorso dell’amico Mario, Garofoli quasi impallava Draghi. Ecco il mandato di Garofoli, pugliese di Molfetta: proteggere Draghi. Garofoli ha fatto tre cose diverse nella sua carriera: il magistrato ordinario ai tribunali di Trani e di Taranto, il giudice al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, il presidente di sezione al consiglio di Stato. Quella più riuscita e costante è la quarta: il protettore, per l’appunto, dei politici e dei ministri. A Palazzo Chigi è tornato dopo sette anni, al governo dopo uno e mezzo.
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Testata: Espresso
Autore: Turco Susanna
Titolo: Variante Lega – Mi vesto da vicepremier
Tema: Lega
Ecco Giancarlo Giorgetti e la sua vita altrove, ma sempre dentro la Lega. Lateralità, piedi piantati nella finanza, atlantismo e spirito pratico: «Per quanto riguarda incontri con i russi, io ho notoriamente una posizione di un certo tipo, anche all’interno del mio movimento», chiarì ad esempio, in una lunga intervista alla Stampa Estera nel 2019, negando di saperne qualcosa, e quindi implicitamente prendendo le distanze da Salvini, dopo la scoperta (rivelata dall’Espresso) che l’emissario del capo leghista, Gianluca Savoini, aveva trattato a Mosca finanziamenti con gli uomini di Putin. Varesino, 54 anni, in Parlamento da quando ne aveva 30 (correva l’anno 1996), addetto «a fare ciò che a Salvini fa schifo: stare nei Palazzi e risolvere problemi» Giorgetti si trova in una posizione particolarmente preziosa, nel governo in cui Mario Draghi l’ha voluto ministro dello Sviluppo economico. Centrale ma sempre in ombra nel Carroccio dove è un eterno secondo, si avvia infatti a diventare un caso unico: il solo a potersi muovere come se fosse un vicepremier, in un governo che non ne ha, perché, visto il numero dei partiti che compongono maggioranza, ne avrebbe dovuti avere troppi. Un paradossale compimento, questo, di una carriera politica lunghissima, fatta di zero voli pindarici, zero fantasie, zero correnti: ma posizioni conquistate nei fatti, stabili, come lo è il folto gruppo di colleghi di partito che a Giorgetti sono talmente vicini da averlo soprannominato «capo» – mentre al governo del partito si succedevano i segretari (Umberto Bossi in origine, poi Roberto Maroni, e adesso Salvini) ai quali d’altra parte lui è sempre stato fedele.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Cremonesi Marco
Titolo: Intervista a Riccardo Molinari – «Draghi ha avuto mani libere Adesso speriamo in compensazioni»
Tema: Lega
«II premier Draghi ha avuto le mani completamente libere su persone, ruoli e deleghe. Spero che ora ci sia una compensazione di tipo politico». Riccardo Molinari è il presidente dei deputati leghisti. Lei dove riterrebbe necessaria una compensazione? «Io credo che la Lega, primo partito nel Paese e secondo gruppo parlamentare, potrebbe dare il suo apporto in tutti i ministeri in cui non ci sono uomini della Lega. E dunque Interni, Mef, Ambiente, Infrastrutture. Io ci metterei anche Giustizia e Istruzione». Molinari, non è un approdo un po’ vecchia maniera rispetto a una fase politica assolutamente inedita? «E perché? Secondo me, è l’esatto contrario. E proprio lo spirito di unità nazionale a rafforzare l’idea di un lavoro di tutti: non sarebbe opportuno che i temi possano apparire appannaggio dei soli partiti che esprimono un certo ministro. I sottosegretari possono rappresentare i diversi punti di vista e le responsabi lità comuni: non ci sono settori in cui decide una parte politica sola».
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Economia e finanza
Testata: Sole 24 Ore
Autore: Mobili Marco – Parente Giovanni
Titolo: Lotta all’evasione, nel 2021 il Fisco punta a recuperare 14 miliardi – Lotta all’evasione, il Fisco punta a 14 miliardi
Tema: fisco
Il tentativo di ritorno alla normalità passa anche per un «rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale», indicato dal nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi per raggiungere «gli ambiziosi obiettivi» di riscrittura delle regole del nostro ordinamento tributario. Come sottolineato da Draghi nel programma presentato alle Camere in occasione del voto di fiducia al Senato, l’agenzia delle Entrate ha già fissato il «Piano della performance 2021-2023». Sotto la voce «potenziamento dei controlli in materia tributaria» l’Agenzia fissa in 14,04 miliardi di euro le risorse da recuperare nell’anno in corso con controlli mirati su piccole imprese e professionisti. Non solo. Un contributo importante arriverà anche dal completamento della sperimentazione per l’utilizzo dell’archivio dei rapporti finanziari nelle analisi di rischio che vedranno coinvolte le società. L’anno su cui gli 007 del Fisco accenderanno un faro sarà il periodo di imposta 2016. Strategie e attività di recupero dovranno però tenere conto del contesto in cui oggi operano professioni e imprese. Un contesto dove il ritorno alla normalità sembra essere rinviato di settimana in settimana per via della continua rincorsa al virus, ora, soprattutto alle sue varianti. Anche per questo l’amministrazione finanziaria nel piano di azione si pone come obiettivo anche quello di ottimizzare l’attività di controllo cercando di migliorare per quanto possibile la «valutazione del rischio di non compliance da parte dei contribuenti», ormai sempre più in difficoltà per le continue misure di restrizione e, in molti casi, ancora in attesa di ristori.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Mobili Marco – Trovati Gianni
Titolo: Bilanci, via libera per il rinvio al 31 luglio – Il Mef prova ad accelerare sul Dl ristori Rottamazioni, rate rinviate di due mesi
Tema: fisco e ristori
Cartelle e ristori. Il lavoro del nuovo ministro dell’Economia Daniele Franco riparte da dove si è interrotto quello di Roberto Gualtierl. E punta a tagliare i tempi dell’intervallo forzato dalla crisi di governo per portare in consiglio dei ministri alla fine della prossima settimana il primo decreto economico del governo Draghi. A imporre le tappe forzate sono prima di tutto gli oltre 50 milioni fra cartelle e avvisi fiscali congelati fino al 28 febbraio dall’ultimo provvedimento del Conte-2. L’intervento chiamato a evitare una ripartenza troppo brusca della macchina della riscossione non è riuscito a imbarcarsi sul Milleproroghe oggetto di un tormentato esame lampo alla Camera e chiede quindi di mettere mano al nuovo decreto. Su cui crescono anche le pressioni delle categorie colpite dalle chiusure per un riavvio dei ristori, fermi ormai da due mesi mentre le limitazioni alle attività economiche sono proseguite, e rischiano anzi di infittirsi con l’emerg ere sempre più chiaro del problema delle varianti Covid. In fatto di fisco, al Mef si era lavorato nelle scorse settimane a un’altra proroga (due mesi) della sospensione e a un pacchetto di regole per allungare i tempi delle notifiche e quindi anche i termini di prescrizione delle pretese erariali. Proprio quest’ultima parte sta prendendo sempre più piede in vista del nuovo provvedimento, nell’ipotesi di non rimettere mano a un congelamento generalizzato che in ogni caso prima o poi andrebbe abbandonato. Un nuovo rinvio, di almeno due mesi per alineare le scadenze al 3o aprile in cui è prevista (per ora) la fine dello stato di emergenza, dovrebbe però investire le cinque rate delle rottamazioni e le due del saldo e stralcio fermate dai decreti del 2020, e ora attese alla cassa il 1° marzo. Si tratta di 950 milioni che, senza un nuovo intervento, andrebbero pagati in soluzione unica dagli 1,2 milioni di contribuenti interessati per non decadere dalle definizioni agevolate.
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Testata: Stampa
Autore: Monticelli Luca
Titolo: Stop alle trivelle e sfratti congelati ma i bonus di Conte sono a rischio
Tema: Milleproroghe
Nel lungo elenco di misure inserite nella finanziaria dal passato governo sono tantissimi gli incentivi o i fondi ad hoc che necessitano di una norma che li concretizzi. Provvedimenti che nella maggior parte dei casi dovevano essere pronti entro febbraio e che, complice il cambio di esecutivo, rischiano di arrivare in forte ritardo o addirittura di saltare. Saranno i nuovi ministri a firmare i decreti attuativi di quei micro emendamenti avallati dal Conte 2 per saziare gli appetiti dei partiti. Il governo Draghi intanto è alle prese con il decreto Mille proroghe, fermo a Montecitorio da un mese e mezzo, che scade il 1° marzo. È il primo banco di prova per la nuova maggioranza. Ieri in commissione è stato approvato il rinvio di un altro anno del passaggio al mercato libero dell’energia, mantenendo il regime di maggior tutela fino al 31 dicembre 2022. Mini proroga delle concessioni per le trivelle: la moratoria fissata al 13 agosto viene estesa al 30 sett embre. Il blocco degli sfratti resta immutato al 30 giugno. L’incentivo di 50 euro sull’acquisto di occhiali o lenti per le famiglie con Isee sotto i 10 mila euro. Oppure un cellulare in comodato d’uso connesso a Internet con l’abbonamento a due quotidiani. E come dimenticare il bagno: tra i mille e i 2.500 euro per la sostituzione di rubinetti, sanitari e peri filtri dell’acqua. Sono tre esempi di decreti attuativi che dovrebbero entrare in vigore il 1° marzo con le firme dei ministri Speranza, Colao e Cingolani. Sicuramente slitteranno e non è escluso che qualche dicastero decida una revisione di queste spese per dirottare risorse già stanziate su altri capitoli. Ballano centinaia di milioni di euro. Tra le agevolazioni decise dalla legge di Bilancio lo sconto del 40% sulle auto elettriche, il bonus sulle sponsorizzazioni o quello per i padroni di casa che tagliano l’affitto. Il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Federico D’Inca, ha spiegato in commissione che una eventuale rimodulazione del blocco degli sfratti in base alle tipologie di morosità legate alla crisi Covid arriverà in un provvedimento successivo. La maggioranza vuole stabilire anche un contributo per i proprietari che da un anno non possono liberare gl i immobili.
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Testata: Giornale
Autore: Lottieri Carlo
Titolo: Salta l’apertura agli sfratti Una manina ha fermato tutto – Mazzata ai proprietari di case Frenata sulla libertà di sfratto
Tema: Millleproroghe
Dopo che alla fine dello scorso anno il governo Conte aveva deciso di rinviare sine die la possibilità per i proprietari di rientrare in possesso dei loro beni, nelle ultime ore si era venuti a conoscenza di un accordo all’interno della maggioranza: dal M5S al Pd, da Italia viva a Forza Italia e Lega. In sostanza, grazie a un emendamento al «mille proroghe» si sarebbe arrivati a un compromesso, che almeno in parte andava a tutelare i diritti dei proprietari. La soluzione adottata avrebbe permesso gli sfratti, a partire dal prossimo aprile, in tutte le situazioni che nulla hanno a che fare con la pandemia. In questo modo, i proprietari alle prese con morosità accertate già prima del marzo 2020 avrebbero potuto riavere il loro bene. Negli altri casi, invece, il blocco sarebbe rimasto in vigore fino a tutto giugno. Nelle ultime ore, però, quell’intesa è saltata: non per scelta delle forze parlamentari, ma a causa di un stop proveniente dal governo, che ha imposto di sospendere tutto. Talune voci uscite da Montecitorio indicano in Marta Cartabia, che nel nuovo governo guida la Giustizia, il ministro che avrebbe voluto questo improvviso cambio di direzione; altri, invece, puntano il dito sul ministro Enrico Giovannini e sul Pd. In ogni caso la cosa più probabile è che, di fronte a una scelta che avrebbe tutelato i proprietari di case, sia stata una mobilitazione della sinistra a far saltare il tavolo, scatenando l’ira di Confedilizia che per prima ha denunciato lo stop.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Picchio Nicoletta
Titolo: «Un rimbalzo vero solo nel terzo trimestre» – Confindustria: il rimbalzo vero soltanto nel terzo trimestre
Tema: ricerca Confindustria
Più fiducia sui mercati. L’Italia sta acquisendo credito come emerge dallo spread sulla Germania, a +0,98, un valore che non si vedeva dal 2015. Un calo che, se permanente, taglia il costo del debito per il nostro paese. Di questo atteggiamento positivo dei mercati ha beneficiato anche la Borsa, che ha recuperato dopo il ribasso di gennaio, ed ha segnato +6,1% da inizio febbraio (resta sotto i valori pre Covid,-9,8%). Per il Centro studi di Confindustria questo scenario che si è verificato potrebbe spingere la fiducia di famiglie e imprese e migliorare le prospettive per il Pil del 2021.Il Csc analizza una serie di fattori che incidono sulla crescita: il recupero nel primo trimestre è ormai compromesso, ci sono rischi al ribasso per il ritmo dei vaccini. L’effetto netto, dice Confindustria, è che «cresce la probabilità di un segno positivo del Pil già nel secondo trimestre, ma si conferma che un vero rimbalzo si potrà avere solo nel terzo». A fare un bilancio del 2020, il CsC, con Congiuntura Flash, mette in evidenza che l’ltalia ha avuto un calo del Pil dell’8,9% contro il -5,3 della Germania. Tomando al nostro paese lo scenario incerto porta le famiglie a risparmiare, con i consumi in attesa, pronti a scattare: nel 2020 i depositi hanno avuto un aumento extra di 26 miliardi rispetto al trend (pari al 2,7% dei consumi privati).
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Testata: Stampa
Autore: Lombardo Ilario
Titolo: Il retroscena – Grillini, primo attacco al governo sulla rete “Draghi e Franco spieghino il ruolo di Cdp”
Tema: Cdp e dossier Tlc
La prima pesante grana interna per Mario DraJghi potrebbe nascere dal piano per la rete unica. Un piano, ancora solo abbozzato, la cui definizione dipende molto dagli indirizzi politici che darà il nuovo governo. Il futuro della rete unica dipende da due soggetti soprattutto: Telecom e Cassa depositi e prestiti. Da oltre settantadue ore il M5S ha iniziato un chirurgico e insistente martellamento su Cdp. Vuole che esprima una propria lista di candidati per l’imminente riassetto del consiglio di amministrazione di Telecom, di cui Cassa controlla il 10 per cento, e pretende che il presidente del Consiglio e il ministero dell’Economia, azionista di maggioranza di Cdp, spingano in questa direzione. Il verbo è esattamente quello usato da una dura nota della componente grillina della commissione Finanze della Camera dopo le indiscrezioni che darebbero Cdp senza rappresentanza in cda: «Pretendiamo che Cdp e il nuovo ministro dell’Economia, Daniele Franco, assieme al presi dente del Consiglio, Mario Draghi, ci ripensino e agiscano di conseguenza». I 5 Stelle sono spaventati da una curiosa coincidenza che hanno subito notato: la presidenza della Telecom è nelle mani di Salvatore Rossi, ex direttore generale di Bankitalia, a capo dell’area ricerca economica quando Draghi era governatore e Franco guidava la Direzione Finanza pubblica del Servizio studi. Gli ex di Palazzo Koch hanno in mano il destino della rete unica sulla quale la Telecom presieduta da Rossi reclama il diritto a un controllo che, secondo i 5 Stelle, minerebbe la libera concorrenza perché automaticamente indebolirebbe gli altri operatori telefonici. Non solo: il dossier dovrebbe finire in mano a Vittorio Colao, ministro della Transizione ecologica, ex ad di Vodafone. «Noi non vogliamo pensare male, anche sui possibili conflitti di interesse — spiega il vicepresidente della commissione Finanze, Giovanni Currò — ma è indubbiamente una partita molto delicata. Non abbiamo ricevuto feedback ai nostri appelli ma lunedì c’è un cda straordinario di Cdp: ci aspettiamo che in qualche modo sia rappresentata nel cda di Telecom, se non con una lista propria, almeno con un nome. Il M5S si è sempre espresso a favore di un controllo importante dello Stato sulla rete unica. Perché sarà responsabilità dello Stato la sicurezza dei dati che da lì passeranno». Per questo i grillini ritengono fondamentale l’ingresso di Cdp nel cda di Telecom.
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Testata: Repubblica
Autore: Ricciardi Raffaele
Titolo: Cashback, arrivano i primi rimborsi E anche i reclami
Tema: Cashback di Stato
Partono i primi rimborsi per il “cashback” di Stato e vengono al pettine i nodi del programma lanciato, nel dicembre scorso, dal governo Conte bis per incentivare l’uso della moneta elettronica, combattere l’evasione e dare ossigeno ai commercianti. Al ritmo di duecento al giorno, a ieri pomeriggio si erano sommati 1.082 reclami da parte dei cittadini che non hanno trovato corrispondenza tra pagamenti e quanto registrato dall’app IO, avanzati sul portale dedicato della Consap, la società pubblica che per conto del Mef gestisce tanto i pagamenti quanto le segnalazioni degli utenti. Per il momento è aperta la finestra di rimborso (e relativi reclami) riferiti al periodo di Natale: dall’8 al 31 dicembre era necessario effettuare almeno 10 pagamenti con strumenti registrati per sbloccare un cashback del 10% delle spese effettuate, entro un limite di 150 euro. Numero, quello delle segnalazioni, che si confronta con i 3,2 milioni di partecipanti che hanno raggiunto la soglia minima e hanno maturato 223 milioni di euro di rimborsi: a venerdì pomeriggio Consap aveva dato 1,75 milioni di disposizioni di pagamento per 121 milioni di valore. Quattro i disguidi più frequenti che hanno generato le rimostranze degli utenti. In primo luogo, non tutti gli acquirer (gli operatori dei pagamenti che gestiscono l’accettazione delle transazioni per conto dei negozianti) sono convenzionati al programma. La copertura supera il 90%, ma ci sono circuiti esteri ancora in via di affiliazione: gli esercenti che li utilizzano per incassare il denaro elettronico sono fuori dal cashback. Secondo: alcuni servizi come Samsung, Google e Apple Pay non sono ancora della partita. Terzo: le carte co-badge che hanno un duplice circuito richiedono la registrazione di entrambi i circuiti sull’app IO. Molti utenti non l’hanno fatto e se hanno pagato in modalita contactless è probabile che la loro transazione sia stata esclusa. Infine, è da ricordare che le carte e app registrate al programma sono abilitate dal giorno dopo.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Reichlin Lucrezia
Titolo: Le riforme oltre il Recovery – Le riforme necessarie: pensiamo al dopo Recovery
Tema: Recovery
in Italia le forze politiche sono tutte diventate europeiste. Non si sa se per la forza di persuasione dei soldi che arriveranno, per convenienza elettoralistica o per convinzione, ma l’europeismo sembra essere uno dei pochi fattori comuni tra partiti divisi su quasi tutto il resto. L’Unione è un progetto in costante costruzione, ma ora si può andare oltre l’asfittico dibattito «Europa sì, Europa no»: l’Italia può fare la sua parte nel dibattito sul corso che attende il progetto Agenda europeo. La risposta al Covid ha dato un segnale di cambiamento. La tempestività dell’azione e la velocità con cui si sono messi in campo strumenti innovativi di intervento: linee di credito speciali, emissione di debito comune, un fondo di ricostruzione che distribuisce risorse in base al bisogno e non alla capacità contributiva, la sospensione delle regole fiscali oltre al massicci interventi della Bce, hanno dimostrato una nuova consapevol ezza del destino collettivo e la volontà di non ripetere gli errori del passato. La domanda oggi è se questi strumenti siano interventi messi in campo per fronteggiare l’emergenza o se presagiscano a un cambiamento radicale del governo economico europeo. Se questo fosse il caso, l’Italia dovrà presto chiarire la sua posizione sui temi-chiave dell’agenda riformatrice. Una discussione che, pur essendo collegata alle esigenze immediate imposte dalla crisi, va molto oltre questa tragica contingenza.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Saldutti Nicola
Titolo: Intervista a Raffaele Jerusalemi – «La Borsa motore per la crescita Dobbiamo attrarre più investitori»
Tema: Borsa Italiana
«Siamo un’infrastruttura per la crescita. E ora che si stanno costruendo le basi per la ripartenza, la Borsa può giocare un ruolo centrale. Combinare il risparmio degli italiani con le esigenze di sviluppo delle imprese. Ma soprattutto bisognerà fare in modo che gli investitori istituzionali internazionali si avvicinino sempre più. E che quelli nazionali, dai fondi pensione ai gestori, aumentino il peso dell’Italia nei loro portafogli». Raffaele Jerusalmi, al timone di Borsa Italiana dal 2010, ha guidato la crescita del mercato azionario e obbligazionario (Mts e Mot), che adesso conta su 367 società quotate, 1500 aziende di 45 Paesi nel programma Elite. «In questi anni abbiamo notato che le aziende più aperte al mercato dei capitali, sono anche quelle che investono di più, hanno l’ambizione di crescere. I casi sono molti, da Luxottica a Diasorin a Brembo, a Campan a Moncler». Il presidente Mattarella nel suo messaggio a Consob a giugno ha sottolineato la centralità della Borsa… «Le sue parole sono state un onore, ha ricordato innanzitutto a noi che la Borsa è fondamentale per la ripartenza del Paese. Un asset strategico».
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Societa’, istituzioni, esteri
Testata: Corriere della Sera
Autore: …
Titolo: Navalny andrà in una colonia penale Condannato anche per diffamazione
Tema: Russia
Respinto l’appello del leader dell’opposizione russo Aleksej Navalny in una sentenza che di fatto lo porterà in una colonia penale nella parte occidentale della Russia per due anni e mezzo. In un altro processo, il principale rivale politico del presidente Vladimir Putin è stato anche dichiarato colpevole di diffamazione di un veterano della Seconda guerra mondiale.
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Testata: Repubblica
Autore: Castelletti Rosalba
Titolo: Condanna confermata Navalnyj verrà trasferito in una colonia penale
Tema: Russia
Due condanne in un giorno per Aleksej Navalnyj: l’oppositore russo si è visto confermare la sua condanna al carcere per un caso di frode risalente al 2014 ed è stato multato per diffamazione. Ora potrebbe essere presto trasferito in una colonia penale, eredità dell’Unione sovietica, e costretto ai lavori forzati. «Il nostro Paese è costruito sull’ingiustizia», ha detto Navalnyj nel suo appassionato discorso finale citando un versetto della Bibbia («Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati»), una frase del suo cartone preferito Rick and Morty («Vivere vuol dire rischiare tutto. Altrimenti saresti solo un mucchio di molecole messe insieme a caso che vagano ovunque le spinga l’universo») ed Harry Potter («Il compito del governo è convincervi che siete soli. Il nostro Voldemort nel suo palazzo vuole che mi senta tagliato fuori»). Per concludere: «Siamo un Paese m olto triste, siamo in un circolo di tristezza e non riusciamo a venirne fuori. Perciò voglio cambiare slogan. Non basta che la Russia sia libera, la Russia deve essere felice». Poche ore dopo, in un processo separato, Navalnyj è stato condannato a 850 mila rubli (circa 9.500 euro) di multa per aver diffamato un veterano della Seconda Guerra mondiale che aveva difeso il referendum costituzionale pro-Putin in una clip promozionale. Navalnyj aveva definito «traditori» le comparse nel video, senza riferirsi direttamente all’ex militare, e ha definito il processo un tentativo di screditarlo in un Paese dove la vittoria sovietica sui nazisti ha un posto centrale nella coscienza collettiva e oltraggiare un veterano è un’onta.
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Testata: Repubblica
Autore: Rampini Federico
Titolo: La promessa di Biden agli americani “Entro luglio vaccineremo tutti”
Tema: Covid
«Tutti gli americani che lo vogliono saranno vaccinati entro fine luglio». Joe Biden lancia questa promessa da una fabbrica della Pfizer nel Michigan. Il chief executive della multinazionale farmaceutica, Albert Bourla, conferma che il traguardo è raggiungibile: «Stiamo raddoppiando la produzione, da cinque a 10 milioni di dosi settimanali, consegneremo 120 milioni di dosi entro fine marzo». L’obiettivo di una immunità di gregge entro l’estate è realistico, visto che a fine luglio dovrebbero aver ricevuto almeno una dose 300 milioni di americani, che è perfino più della totalità della popolazione vaccinabile (al momento non è prevista l’inoculazione sotto i 16 anni). L’accelerazione degli Stati Uniti è netta, si avvicina ormai al 20% del totale la popolazione che ha ricevuto almeno una dose, quasi il quadruplo dell’Unione europea. Il dato ha una valenza maggiore da quando si è scoperto c he basta la prima dose Pfizer per raggiungere un’alta quantità di anticorpi e quindi una difesa immunitaria potente. La performance americana ha molte cause, la prima spiegazione risale all’amministrazione Trump che puntò sui vaccini giusti (Pfizer e Moderna), finanziò in anticipo la ricerca e sviluppo investendo sette volte più dell’Unione europea, e decise procedure velocissime per l’approvazione dei vaccini da parte dell’authority dei farmaci, la Food and Drug Administration. Già sotto l’Amministrazione Trump era stabilito che la campagna dell’immunizzazione sarebbe stata universale e gratuita: non occorre essere assicurati, il vaccino viene fornito anche agi immigrati senza permesso di soggiorno, non ci sono discriminazioni. Biden ha ereditato una macchina che già funzionava e ci ha aggiunto del suo: più fondi (altri 20 miliardi di dollari sono previsti per le vaccinazioni nella nuova manovra di spesa pubblica presentata al Congresso). Il chief executive della Pfizer ha dato atto che il potenziamento della capacità produttiva è facilitato perché Biden ha attivato una legge di guerra, il Defense Production Act, che consente requisizioni per sbloccare strozzature nelle forniture di componenti essenziali per la produzione del vaccino.
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Testata: Repubblica
Autore: Ginori Anais
Titolo: Più dosi ai Paesi poveri l’impegno di Macron per contrastare Cina e Russia
Tema: Covid
La Francia vuole dare l’esempio per garantire una vaccinazione globale estesa anche ai Paesi più poveri. Emmanuel Macron promette di donare all’Africa il 5% delle scorte nazionali già ordinate e presto disponibili per cominciare a colmare lo spaventoso gap mondiale: più di nove dosi su dieci (92%) sono state somministrate in paesi a reddito medio o alto che ospitano circa la metà della popolazione mondiale. Il leader francese è uno dei promotori del “patto atlantico” che il G7 ha annunciato venerdì, aumentando di 7,5 miliardi di dollari le somme per favorire l’accesso ai vaccini. I programmi internazionali Covax e Act-A, guidati da Oms e Onu, sono stati quindi rafforzati al livello finanziario. Ma potrebbe non bastare nell’immediato visto che i paesi più ricchi hanno già opzionato gran parte della produzione mondiale dei prossimi mesi. Macron incalza quindi l’Europa e gli Stati Uniti a fare un gesto: donare subito, “il prima pos sibile”, 13 milioni di dosi all’Africa affinché possano immunizzarsi 6,5 milioni di medici e infermieri che lavorano in prima linea. Può sembrare paradossale che Macron sia capofila di questo approccio generoso e inclusivo, dopo che la campagna di vaccinazione francese è stata criticata per la partenza a rilento e tanti cittadini sono oggi sono in trepidante attesa di avere il sospirato antidoto al Covid. Secondo l’Eliseo la donazione all’Africa non avrà nessun impatto sulla campagna nazionale. Il governo di Parigi ha promesso che tutti i francesi potranno essere vaccinati entro l’estate. «Trasferire all’Africa subito tra il 3% o il 5% delle dosi che abbiamo in stock — dice Macron lanciando l’appello ai partner europei e all’America — non rallenterà di un giorno le nostre strategie di vaccinazione».
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Testata: Stampa
Autore: Giannini Massimo
Titolo: L’editoriale – Italia e Usa bentornato occidente – Dragghi-Biden bentornato occidente
Tema: Usa ed Europa
L’allegra brigata dell’Internazionale populista, sovranista, nazionalista sembrava tenere saldamente in mano l’agenda e in ostaggio il pianeta. In poche settimane il quadro pare radicalmente cambiato. The Donald, scampato all’impeachment, gioca a golf a Mar-a-Lago. Il paracadutista brasileiro consuma il suo marqueziano autunno del patriarca. Il capo indiano e il leader filippino appassiscono. I fieri pattisti di Visegrád sono finiti un po’ ai margini. Il Capitano leghista, eurofobico fulminato sulla via di Grugliasco, è salito felice sul carro del governo più euroentusiasta della Repubblica tricolore. Ma c’è di più. La conferenza sulla sicurezza a Monaco e il pre-vertice del G7 di venerdì scorso sono semi piantati nel campo riarso del disordine mondiale. Toccherà ai capi di Stato e di governo irrigare le zolle e far crescere le piante, e sarà un compito arduo. Ma la stagione sembra promettente, grazie anche ai due leader “esordi enti” Biden e Draghi. Il nuovo inquilino della Casa Bianca butta al macero il “Maga” trumpiano e annuncia “l’America è tornata”. Una gran bella notizia, per chiunque abbia a cuore il futuro dei nostri figli. Quando dice “l’Alleanza atlantica è la pietra angolare di tutto ció che speriamo di realizzare”, Biden riporta gli Stati Uniti nel ruolo ideale che la Storia gli assegna: non il gendarme della Terra, che dichiara guerre unilaterali con la pretesa del “nation building”, ma la superpotenza garante degli equilibri e delle libertà universali. Insomma, il dialogo transatlantico è ripartito, e questo è già un enorme passo avanti. La stessa cosa si può dire per Draghi. Il nuovo inquilino di Palazzo Chigi, nelle dichiarazioni programmatiche in Parlamento e poi in quelle pronunciate al G7, riporta l’Italia agli onori del mondo. E non si tratta di depositare un ex voto a San Mario: con buona pace di chi fa la predica quotidiana ai “giornaloni” qui nessuno si illude che il nuovo premier farà miracoli. Più semplicemente, nel posizionamento geo-strategico, il Paese ritrova i suoi “ancoraggi storici” (la Ue, la Nato, l’Onu) e molla gli ormeggi pericolosi azzardati dai due precedenti governi.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Cremonesi Lorenzo
Titolo: L’Onu accusa Prince, il re della guerra privata «Ha armato Haftar per l’assalto su Tripoli»
Tema: Libia
Mercenari, contractors e venditori d’armi tornano sotto i riflettori nel già complicato scenario libico. Un dettagliato rapporto degli investigatori delle Nazioni Unite in oltre 120 pagine rivela che Erik Prince, il controverso ex capo dell’agenzia di contractors americana Blackwater, ha violato le norme Onu per l’embargo totale di qualsiasi arma in Libia. Lo pubblicano con dovizia di particolari sia il New York Times che il Washington Post, che hanno avuto accesso al documento. L’imbroglio ha tutti gli ingredienti del giallo internazionale sullo sfondo del mercato illegale di materiale bellico e omicidi mirati da parte di squadre ben addestrate di ex componenti dei Navy Seals americani e del meglio dei soldati di ventura disposti a uccidere per denaro. Ia vicenda s’incentra nella primavera del 2019. In Libia è guerra aperta. L’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, è in difficoltà e pare disposto a spendere a piene mani i fondi che gli giungono dai s uoi alleati negli Emirati Arabi Uniti. Il 4 aprile ha lanciato improvvisamente l’offensiva militare per catturare Tripoli, tradendo gli impegni al dialogo con il governo di Fayez Sarraj sostenuto sino ad allora da larga parte della comunità internazionale inclusi gli Stati Uniti. Ma i turchi mandano aiuti alle milizie di Sarraj. Haftar contava di trionfare in pochi giorni, però la guerra si incancrenisce nello stallo. E allora che interviene Prince: ha fondi e armi a volontà. In Iraq dopo l’invasione del 2003 la sua Blackwater aveva guadagnato miliardi. Tuttavia, la brutalità dei suoi mercenari aveva anche contribuito al disastro. Il processo a quattro di loro, condannati per l’assassinio di 17 civili iracheni nel 2007, lo aveva costretto a ridurre le attività. Ma è anche un fedele sostenitore di Donald Trump. Quanto Barack Obama l’aveva isolato, tanto Trump gli facilita gli affari.
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Testata: Messaggero
Autore: Orsini Alessandro
Titolo: Atlante – Libia, Italia immobile è necessario un ruolo
Tema: Libia
L’opinione pubblica italiana deve tornare a occuparsi della Libia, dove il processo di pace ha bisogno di essere energicamente sostenuto. È vero che sono stati compiuti alcuni progressi importanti, ma c’è anche chi prepara alacremente la guerra, come conferma la grande trincea che i mercenari russi stanno scavando da Sirte verso la base aerea di al-Jufra, sede dei caccia di Putin. L’Italia deve ristrutturare le sue relazioni internazionali nel Mediterraneo, essendo i rapporti di forza in Libia cambiati irrimediabilmente. Se, in quel Paese martoriato, si è introdotta una schiera di Stati a farla da padrone, i partiti italiani non possono vivere in un mondo fantastico, che prefigura l’imminente ricostituzione dell’Impero Ottomano: siamo nel 2021 a Tripoli e non a Lepanto nel 1571. Il governo Draghi deve avviare una politica di amicizia con la Turchia, che abita accanto all’ambasciata italiana a Tripoli, e di apertura verso l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi U niti e il Qatar, e dovrebbe fare ciò legandosi fortemente all’Oman, il Paese su cui fare perno, per una serie di ragioni che questa rubrica intende presto sviscerare.
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IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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LIBERO QUOTIDIANO
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IL FATTO QUOTIDIANO
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