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SINTESI IN PRIMO PIANO – 20 dicembre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Governo: tensione nella maggioranza, il Pd non esclude le urne;
– Caso Marra: Virginia Raggi assolta in Appello;
– Manovra economica: micro aiuti a pioggia, 2 mld di anticipazioni Ue;
– Recovery Plan: “Basta ritardi”, dicono i ministri Gualtieri e Amendola;
– Brexit: trattativa no stop sulla pesca;
– Giulio Regeni: ancora tanti dubbi intorno al caso.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica – Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Case, visite, viaggi: tutte le regole – Visite per Natale, seconde case, – sanzioni: cosa cambia
Tema: Festività natalizie, le regole

Da domani sarà vietato uscire dalle regioni e da giovedì parte la zona rossa. Sono rossi il 24, 25, 26, 27 e 31 dicembre 2020; il 1°, 2, 3, 5 e 6 gennaio 2021. Sono invece arancioni il 28, 29, 30 dicembre 2020 e il 4 gennaio 2021. Il 21, 22 e 23 dicembre sono gialli, ma con il divieto di spostamento tra le regioni, anche se si trovano in fascia gialla. Il divieto di uscire dalla propria regione vale per tutto il periodo, quindi dal 21 dicembre al 6 gennaio 2021. Chi si trova fuori dalla propria regione può sempre far ritorno nella propria abitazione, domicilio o residenza. I divieti nei giorni rossi. Sono vietati gli spostamenti all’interno del proprio comune. Si può uscire con l’autocertificazione per «comprovate esigenze», che sono motivi di lavoro, di salute e di urgenza. Tra le urgenze c’è anche l’assistenza a una persona non autosufficiente e la partecipazione a un funerale. Si puo uscire per andare nei negozi aperti: alimentari, farmacie, parafarmacie, tabaccai, edicole, ma anche altri esercizi comxuerciali a esclusione dei negai di abbigliamento, calzature e gioielli. Si può andare dal parrucchiere, mentre i centri estetici sono chiusi. Si possono fare attività motoria e sportiva individuale all’aperto. Si può comprare cibo da asporto fino,alle 22 – ma non consumarlo vicino al locale – e ordinare cibo per la consegna a domicilio. Date arancioni Le restrizioni Si può circolare liberamente dalle 5 alle 22. Quindi anche fare attività motoria e attività sportiva all’aperto. E’ permesso poi uscire dal proprio comune soltanto con l’autocertificazione per «comprovate esigenze». Vale a dire: motivi di lavoro, di salute e di urgenza. Si può uscire dai piccoli comuni – quelli fino a cinquemila abitanti – in un raggio di 30 chilometri senza però poter andare nei capoluoghi di provincia. E’ concesso inoltre comprare cibo da asporto fino alle 22 – ma non consumarlo nelle adiacenze del locale – e anche ordinare cibo con consegna direttamente a domicilio.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  De Bac Margherita 
Titolo: Intervista a Silvio Brusaferro – «Costretti alla linea dura» – «Rischi reali, coslieffi al rigore Riaprire le scuole è una priorità»
Tema: “Linea dura” per il Presidente dell’ISS

Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di Sanità, componente del Comitato tecnico scientifico, ha davanti a sé pagine di numeri che poi vengono riassunti nel monitoragglo settimanale della cabina di regia. Scuote la testa. Cosa c’è scritto in quelle carte? «Se non ci fossero state tante evidenze che indicano chiaramente un rischio di ripresa dell’epidemia non cl sarebbe stata la necessità di insistere con queste restrizioni in un periodo tradizionalmente caro a tutti come il Natale». In pratica, spiega Brusaferro, se il quadro generale non fosse stato così negativo non ci si sarebbe spinti a guastare le festività degli italiani Quail dati rendono ll senso del pericolo che corriamo? «L’indice puntuale di trasmissione dei contagi, l’Rt, è cresciuto in una settimana da 0,77 a 0,87. Un segnale di rialzo indiscutibile, che non possiamo permetterci di sottovalutare. Poi ci sono i tassi di occupazione degli ospedali, superiori alla soglia anche se di poco: 33% delle terapie intensive, dove il valore di riferimento è 30%, 42% dell’area medica (40%). E i contagi anche negli ultimi giorni si sono mantenuti tra 15 e 20mila». Il timore è che si ripeta quello che è accaduto dopo l’estate? «Noi sappiamo che il virus può essere fermato solo in un modo, limitando i contatti senza distanziamento fra individui. Altrimenti lo favoriamo. Se gii rendiamo la vita facile in un contesto come íl nostro, in cui i nuovi positivi ogni giorno sono diverse migliaia, la ripresa è scontata soprattutto in un periodo dove tradizionalmente è facile rompere le regole, anche sopra pensiero, tipo abbassare la mascherina e avvicinarsi l’uno all’altro». Allora il sistema delle zone gialle, arancione e rosse applicato in questi mesi non è servito a nulla? «L’indice di trasmissione si era abbassato in modo significativo ma ultimamente la decrescita ha rallentato e, per la prima volta in un mese e mezzo, l’Rt è lievemente risalito pur mantenendosi a livello nazionale sotto l’unità». Qual è l’obiettivo del lockdown natalizio? «Per ammorbidire le ml ure di mitigazione e riuscire a contenere l’epidemia, attuando la strategia del tracciamento dei casi, bisognerebbe scendere sotto i 5-6 mila al giorno. Sarebbe il risultato ottimale, auspicato».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Cusmai Enza 
Titolo: Intervista ad Agostino Miozzo – «Paura di rivolte» la verità sul semi-lockdown – «Dovevamo chiudere tutto ma c’era il rischio di rivolta Ora i contagi cresceranno»
Tema: “Paura di rivolte” per il coordinatore del Cts

Professor Agostino Miozzo, la nuova stretta natalizia non è eccessiva? «Assolutamente no. La curva dei contagi sta peggiorando e si corre il pericolo di tornare indietro. Non dimentichiamoci che un mese fa avevamo 40 mila casi di Covid al giorno. E se si allargano troppo le maglie dei permessi, a gennaio si mette a rischio tutto: la riapertura delle scuole, delle attività produttive e anche l’avvio della campagna vaccinale. Con una nuova ondata epidemica sarà difficile trovare i medici e gli infermieri se saranno tutti impegnati a curare i malati». Allora perché non avete chiuso tutto come in Germania? «Da noi c’è stato un peggioramento improvviso e inaspettato nel giro di una settimana. Ci sono tre regioni in crisi sanitaria, e altre regioni che oscillano in peggio come la Liguria e il Lazio. Con questi numeri si sarebbe dovuto chiudere tutto per tre settimane». Invece la gente ha solo anticipato l’esodo natalizio. «Molti avevano già comprato i biglietti, se avessimo bloccato tutto sarebbe scoppiata la rivoluzione. I movimenti erano già in corso, non c’era altra possibilità se non quella di ricordare a tutti di usare prudenza, prudenza, prudenza». Una stima sulle movimentazioni? «Si controllano aerei e treni ma è difficile sapere quanta gente si sposterà in auto. Di sicuro in queste settimane la curva dei contagi aumenterà». Però avete dato la possibilità di andare a trovare anche gli amici durante le festività. «Non possiamo sottovalutare la necessità di avere relazioni personali con amici e parenti nel periodo natalizio. Ma è un’indicazione che non deve essere male interpretata. I contatti vanno limitati, si può incontrare una persona sola, non dieci. E anche nei contatti familiari si raccomandano le precauzioni».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Labate Tommaso 
Titolo: Il retroscena – Conte e l’aut aut di Renzi: ho capito che rischiamo E il Pd non esclude le urne
Tema: Tenuta dell’Esecutivo

L’ho capito benissimo che rischiamo. Io farò di tutto per cercare una strada che eviti la crisi e per scongiurare le insidie di Renzi…». È uno dei sabati mattina meno rilassati della storia dei governi Conte. Perché è il day after del decretone di Natale, quello in cui presidente del Consiglio e ministri testano il polso di un Paese sottoposto a una nuova ondata di chiusure. I sondaggi che tengono conto del dibattito sui provvedimenti anti Covid-19 delle ultime settimane – a cominciare da quello di Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera, che premia l’incredibile balzo nella popolarità di Roberto Speranza – sono un buon segnale. Nel senso che, a ragione o a torto, l’apprezzamento registrato nei confronti del ministro della Salute – il più apertamente oste alle riaperture, insieme a Dario Franceschini – può essere la spia di come la maggioranza degli italiani possa arrivare a promuovere anche la stretta sulle festività natalizie arrivata ieri l’altro. Eppure a infestare di incubi la notte di Conte e dei ministri è sempre la questione Renzi. A margine dell’ultimo Consiglio dei ministri che ha licenziato il decreto legge sulle zone rosse tra Natale e l’Epifania, due componenti dell’esecutivo hanno risposto alle sollecitazioni del premier, che gli chiedeva conto dei “sondaggi” con Renzi. “Ci ho riparlato. Fa sul serio”, ha risposto uno dei due. L’altro si è spinto ancora oltre, indicando “nel 6 o 7 gennaio” i giorni in cui il leader di Italia Viva ha fissato “le dimissioni delle Ministre Bellanova e Bonetti e quindi l’apertura di una formale crisi di governo”. Stando alla lettura più drammatica arrivata all’orecchio del Presidente del Consiglio, insomma, l’aspettativa di vita residura dell’esecutivo potrebbe variare tra i diciassette e i diciotto giorni. Conte ha davanti a sé oscuri presagi da cui potrebbe venir fuori un rimpasto (che ora non esclude più) o un Conte-ter, sempre che il perimetro della maggioranza rimanga lo stesso, col peso specifico di Italia Viva che a quel punto sarebbe accresciuto rispetto ad oggi.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Intervista a Francesco Boccia – Boccia “Chi pensa a Draghi sbaglia analisi e strategia Se cadiamo, c’è solo il voto”
Tema: Tenuta dell’Esecutivo

«Se finisce quest’alleanza di governo, l’unica alternativa è il voto». Francesco Boccia non esclude cambi mietiti nell’esecutivo, ma non crede a quelle che definisce «alchimie di palazzo» e chiede al Movimento 5 stelle di avere più coraggio. Ministro, perché non vede alternative a questa maggioranza? «Perché nella realtà italiana oggi c’è da un lato il fronte sociale, progressista, europeista e dall’altro la destra populista e sovranista. La destra liberale è evaporata. Chi pensa di portare Forza Italia da questa parte, non ha capito che non ha senso. E anche chi tira dentro l’ex presidente della Bce Mario Draghi, fa male a lui e sbaglia ancora una volta prospettiva, analisi e strategia. Dimostra di non capire dov’è il Paese reale». Parla di Renzi, ma sul Mes – ad esempio – siete d’accordo con lui e non con i 5 stelle. Come ne uscite? «Per noi il Mes sanitario è importante, perché è vero che i tassi d’interesse si sono abbassati, oggi abbiamo uno spread tra i più bassi dell’ultimo decennio, ma è anche vero che in molti continuano a considerarlo un totem politico e non quello che in parole povere è: un mutuo a interessi bassissimi, quasi zero. Se per un attimo ragionassimo sul fatto che grazie all’azione di Paolo Gentiloni e David Sassoli il Mes è privo di condizionalità, la discussione occuperebbe pochi minuti». Esclude un rimpasto a gennaio? Rimpasto? Decidono i partiti e il premier, ma le formule che partono dalle persone e non dai programmi sono un triste ritorno al passato Un Conte ter con dentro Renzi agli Esteri e Di Maio agli Interni? «Questo attiene alla volontà politica dei partiti. E ovviamente conta la volontà del premier. Le formule che partono dalle esigenze delle persone anziché del Paese sono un mesto ritorno al passato remoto». Vede più probabile un Conte ter, un governo con una maggioranza diversa o II voto? «Penso che se naufraga questa alleanza non ci sia altra strada che il voto. Le verifiche si fanno per aggiustare programmi e obiettivi, non per cambiare caselle e incastri».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Al.T. 
Titolo: Raggi assolta scuote il M5S: «Lasciata sola» – Raggi assolta accusa i suoi leader E saltano i piani del M5S nelle città
Tema: Raggi assolta in Appello

Una sentenza che non fa piacere, nonostante le pubbliche dichiarazioni, né ai vertici dei 5 Stelle né a quelli del Pd. La Corte d’Appello conferma l’assoluzione della sindaca di Roma Virginia Raggi. Per i giudici non commise reato durante la procedura che portò alla promozione di Renato Marra. Un’eventuale condanna avrebbe consentito ai 5 Stelle di giocare la partita delle elezioni liberamente, accordandosi con il Partito democratico, e costruendo un primo tassello del lego che coinvolge altre quattro importanti città al voto. L’assoluzione manda all’aria invece i piani dei due alleati di governo e costringerà probabilmente i 5 Stelle a ribadire il sostegno al bis per la Raggi. Che però nel frattempo si toglie parecchi sassolini dalle scarpe e attacca a testa bassa. La prima cittadina era imputataper aver dichiarato, nel 2016, all’allora responsabile anticorruzione del Campidoglio, Maria Rosa Turchi, di aver deciso, lei sola, ogni dettaglio della nomina a capo della direzione Turismo di Renato Marra, senza consultare il fratello del candidato, Raffaele, all’epoca capo del personale del Campidoglio. La circostanza, secondo le accuse, era smentita dalle chat in cui Raggi rimproverava proprio l’ex capo del personale per l’aumento di stipendio al fratello vigile. Per questo la pg Emma D’Ortona aveva chiesto 10 mesi di reclusione. Ma secondo i giudici «il fatto non costituisce reato» e la sindaca esce dal secondo grado di giudizio con una nuova assoluzione, che segue quella arrivata nel 2018. Ora commenta dura, invitando i suoi nemici nel Movimefíto a «riflettere» e attaccando chi sale «sul carro del vincitore». L’elenco dei «nemici» è lungo. C’è la sua grande rivale romana Roberta Lombardi, che duella con lei da anni. Ci sono Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, che l’avevano «commissariata» per conto del M5S. C’è Luigi Di Maio, che tempo fa avanzò esplicitamente l’ipotesi di un accordo con il Pd. E molti altri. Di fatto, l’unico esponente di spicco a difenderla pubblicamente, agli Stati Generali, era stato Stefano Buffagni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Il retroscena – Vacilla il patto tra grillini e Pd per le città ora la sindaca vuole un posto in segreteria
Tema: Raggi assolta in Appello

La colonna sonora della rivincita di Virginia Raggi è il suono del cellulare che non smette mai di vibrare dopo mesi che è rimasto muto. La chiamano in tantissimi e in tantissimi inviano messaggi. Soprattutto del M5S: compagni di partito che devono levarsi di dosso l’immagine dei congiurati, grillini che scornmettevano sulla sua condanna per aprire la strada a una possibile alleanza cittadina con il Pd. Sono quelli che «salgono sul carro del vincitore». Troppo facile farlo ora, sostiene Raggi appena uscita dal tribunale, il volto rigato dall’emozione e la voglia di rivalsa da urlare ai microfoni. Il j’accuse non è improvvisato ma studiato parola per parola. E serve soprattutto a lanciare un avviso. Raggi infatti è pronta a candidarsi per un posto nell’organo collegiale che definirà la leadership del Movimento quando la tanto attesa competizione interna avrà luogo, forse a gennaio. E il secondo tempo della sua personale sfida nei confronti di chi le ha fatto pesare solitudine e silenzi. I «tanti — dice — che dovranno riflettere». Non fa nomi, ma è evidente che punta alla classe dirigente del M5S, che non può non includere l’ex capo politico Luigi Di Maio e l’attuale reggente Vito Crimi, Paola Taverna e chi non l’ha sostenuta in annidi feroci conflitti cittadini e nazionali, di cause e lacerazione interne. A loro si rivolge anche il suo capo staff, Max Bugani, in rotta con Luigi Di Maio: «Un caloroso e affettuoso saluto a tutti coloro che avevano sperato nella sua condanna». La rivincita ha poi una coda di retrogusto malizioso. Virginia Raggi risponde a due soli tweet dei tanti che la inondano di complimenti. A Chiara Appendino, sindaca di Torino, con cui ha condiviso le disavventure giudiziarie, finite però con esiti diversi. E a Carlo Calenda, un avversario per il Campidoglio, il più insidioso. Non lo fa a caso, ma per una sorta di solidarietà tra reietti dei propri partiti e aree politiche, che li volevano fare fuori (anche se ai vertici dem e grillini sostengono che Calenda avrebbe preferito una intesa Pd-M5S per correre in solitaria contro di loro).
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Testata:  Messaggero 
Autore:  De Cicco Lorenzo 
Titolo: Intervista a Virginia Raggi – Raggi assolta: ora penso a Roma – «Volevano farmi fuori fermato l’inciucio col Pd»
Tema: Raggi assolta in Appello

Sindaca, prima della sentenza ha detto: andrei avanti anche da condannata. Ma quanto pesa davvero questa assoluzione per la sua corsa a un mandato bis, ora che il totem grillino dell’onestà è salvo? «L’assoluzione toglie un pretesto per “farmi fuori” a chi magari già immaginava un mega inciucio per la corsa al Campidoglio. Vede, la differenza è che a me della poltrona non importa nulla. A me interessa soltanto portare avanti un lavoro, difficile, che ho avviato quattro anni fa». Appena uscita dal Tribunale ha sfidato governo e Parlamento a mettere al centro Roma. Cosa si aspetta in concreto? «Mi aspetto che tutte le forze politiche abbiamo rispetto per la Capitale. E che al di là degli schieramenti politici votino lo stanziamento di fondi per Roma. In primis il lavoro: questa città ha sofferto più di altre la crisi, legata al Covid, perché ha perso flussi turistici importanti». E come si risolleva? «I commercianti vanno ristorati: il governo tagli le tasse per chi quest’anno non ha potuto fatturare. Mi riferisco a Imu e tassa sui rifiuti. Noi siamo intervenuti sulle tasse comunali ed abbiamo lanciato un fondo di 3 milioni per il microcredito per concedere prestiti a piccoli imprenditori che non hanno sostegno dalle banche. Roma storicamente è indietro sullo sviluppo delle infrastrutture: abbiamo presentato richieste per finanziare il potenziamento di metro e tram. Cose concrete. Abbiamo chiesto che si vari un piano straordinario per l’emergenza casa, quali obiezioni reali possono esserci?». Eppure nella bozza italiana del Recovery Fund non c’è traccia del «progetto importante per Roma» promesso da Conte. Cosa dice al premier? «Che le chiacchiere stanno a zero. Che i romani sono stanchi di promesse. I progetti sono sul suo tavolo: ha nostre richieste per 25 miliardi. Ovviamente sappiamo che non tutto è finanziabile ma gli abbiamo anche indicato le priorità. Non ha più scuse».
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Testata:  Repubblica
Autore: Giuseppe Pignatone

Titolo: Lotta all’omertà, il prezzo del coraggio
Tema: Alleanza Stato-Cittadino vs il crimine

In una recentissima serie tv che ha catturato l’attenzione di milioni di spettatori, Giuseppe Fiorello interpreta il ruolo di un cittadino che per ragioni di lavoro entra casualmente in contatto con una rete di narcotrafficanti e accetta, pur controvoglia, di agire da infiltrato nell’organizzazione, consentendo così, tra mille pericoli, il sequestro di un enorme quantitativo di droga. Egli vede, però, travolta la sua vita precedente ed è costretto tra difficoltà e sofferenze a cominciarne una nuova, con una diversa identità fornitagli dalla polizia (nell’ambito di un programma di protezione, peraltro, che è stato poi molto migliorato da una legge del 2018). La sceneggiatura della fiction si ispira a una storia realmente accaduta, con l’ovvia aggiunta di forzature drammatizzanti e spettacolarizzazioni necessarie allo share. Se ne parliamo qui è perché il modello di collaborazione Stato-cittadino proposto dalla tv potrebbe far sorgere nel telespettatore un dubbio non peregrino: è giusto che il prezzo del dovere civico sia lo stravolgimento di un’intera esistenza, anche per chi non ha scelto di fare il poliziotto, né tanto meno il delinquente? Per rispondere a questa domanda – che sintetizza il dilemma di tante persone oneste costrette a decidere se chinare il capo oppure ribellarsi e denunciare le pretese mafiose – occorre uscire dal caso estremo, direi eccezionale, dello sceneggiato Rai e calarsi nella realtà molto meno eroica che raccontano i processi e l’informazione che ne da conto, di solito e salvo rarissime eccezioni nelle cronache locali (e anche questo scarso rilievo non è un bel segnale). Queste cronache confermano che l’omertà rimane un fenomeno diffuso e non solo al Sud.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Rogari Marco 
Titolo: Manovra, micro aiuti a pioggia Presi 2 miliardi di anticipazioni Ue – Bonus assunzioni, tasse universitarie, sanità: 2 miliardi presi ai fondi Ue
Tema: Manovra economica

Pioggia di microfinanziamenti e Fondi in formato “mini” sulla manovra. E a pagare il saldo è il Sud. Che, almeno per il momento, vede ridursi la dote europea per la decontribuzione da 3,5 miliardi a meno di 1,5 miliardi. Con un altro correttivo il governo finanzia con 10 milioni il completamento della digitalizzazione per il processo tributario. Vengono poi assegnati altri due milioni al comitato paralimpico e 1,8 milioni alla Corte dei conti. Fino all’arrivo di questi emendamenti la commissione era riuscita a votare pochi ritocchi. Con il sì alla decontribuzione di partite Iva, liberi professionisti, commercianti e artigiani. E anche allo stop della prima rata Imu 2021 per i settori del turismo e dello spettacolo, al congedo per i papà prolungato da 7 a 10 giorni, al bonus idrico da mille euro per il risparmio dell’acqua, con la sostituzione dei soffioni della doccia e dei rubinetti. E a un’agevolazione fino al 40% delle spese sostenute per l’acquisto di un’auto elettrica, non cumulabile con gli incentivi-rottamazione, da parte di soggetti con Isee inferiore ai 30 mila euro. Ma parallelamente alla no stop a singhiozzo in Commissione è proseguito il confronto tra maggioranza opposizione sui temi più caldi. A cominciare dalla proroga del superbonus e dal potenziamento dei Pir, promosso da Italia viva. Una faticosa e sofferta revisione, quella del testo originario della legge di bilancio, all’insegna dei micro finanziamenti e della nascita di un elenco quasi sterminato di Fondi, molto spesso in formato “mini”, per le categorie e i settori più disparati: dai 3 milioni per sostenere festival, cori, bande e musica jazz al bonus chef da 1 milione, che nella serata di ieri non risultava però ancora approvato.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Savelli Fabio 
Titolo: Acqua, bonus antisprechi – Manovra, bonus fino a mille euro per cambiare i rubinetti
Tema: Manovra economica

Lo stop ai contributi previdenziali per gli autonomi e i professionisti per il 2021. A patto che l’ammontare del fatturato nell’anno in corso sia inferiore di due terzi a quello dei 2019. Il congelamento della prima rata Imu per le attività del turismo e dello spettacolo. Misura che interessa gli stabilimenti, discoteche, agriturismi, villaggi, bed and breakfast, affittacamere. Via libera anche all’Iva agevolata al 10% per il cibo d’asporto. Stop a tasse e contributi fino al 28 febbraio 2021 anche per tutte le federazioni sportive e le società, anche dilettantistiche. Il contributo del 40% per l’acquisto di un’auto elettrica per chi ha un Isee inferiore ai 30mila euro e a condizione che la vettura non costi più di questa soglia. Si tratta però di un beneficio non cumulabile con altri contributi statali. Il bonus «idrico» fino a l000 euro per evitare gli sprechi, cioè una detrazione d’imposta per chi sostituisce rubinetti o sanitari con nuovi apparecchi che limitano il flesso d’acqua. L’aumento della detrazione fino a 550 euro per le spese veterinarie. E poi misure per il welfare. Come l’aumento a dieci giorni di congedo parentale per i papà per i figli nati nel 2021. Un contributo di 500 euro per le madri monoreddito sole con figli che abbiano una disabilità almeno del 60%. Maggiori risorse per chi si occupa di assistente parenti non autosufficienti. Potremmo chiamarla la carica degli emendamenti approvati dalla Commissione Bilancio alla Camera in attesa del definitivo via libera parlamentare. C’è un pacchetto però su cui ancora non c’è condivisione, tra cui la stretta fiscale sulle sigarette elettroniche. Interventi che in attesa dell’ok definitivo alla manovra si sommano a quelli del decreto legge Natale che ha messo l’Italia in zona rossa/ arancione nelle festività. Il governo interviene «grazie ad un meccanismo definito con la Ragioneria dello Stato con una nuova tranche di contributi a fondo perduto per 645 milioni», dice il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri. Cifra destinata a ristorazione, bar, gelaterie e pasticcerie accreditata dalle Entrate sul conto corrente. Risorse che le categorie giudicano insufficienti «a compensare i danni», scrive Fipe-Confcommercio che quantifica in 3mila euro per azienda.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Giannini Massimo 
Titolo: Intervista a Roberto Gualtieri – Gualtieri: “Recovery, ora basta ritardi” – “Sul Recovery Plan dobbiamo accelerare a inizio anno altri ristori per le aziende”
Tema: Recovery Plan

Forse è proprio perché compra tanti Btp che la Bce si può permettere di contestare la vostra operazione sul cashback. Mi spiega perché hanno torto? «Prima di lasciare il posto nell’esecutivo della Bce a Frank Elderson il mio amico Yves Mersch ci ha voluto orgogliosamente ncordare le sue opinioni in materia, che io rispetto ma non condivido. In realtà le politiche della Commissione europea e della stessa Bce vanno da tempo nella direzione della massima estenstone possibile dell’uso dei pagamenti elettronici. Il Cashback è un programma volto a incentivarli, è una policy che contribuisce alla modernizzazione del Paese, a garantire maggiore sicurezza ed a favorire la tax compliance. Su questi obiettivi governo italiano e Bce sono perfettamente allineati. Il Cashback non è uno strumento di politica monetaria e non limita in alcun modo il corso legale del contante». Recovery Fund: continuate a sostenere che l’Italia non è in ritardo, ma è un fatto che i Paesi fondatori hanno già presentato i piani e noi ancora no… «Non mi pare che gli altri maggiori Stati membri siano già allo stadio di programmi esecutivi. Ricordo che il governo ha presentato le proprie Linee Guida il 9 settembre e che la Bozza di Piano Nazionale è già arrivata in Consiglio dei Ministri, mentre proseguono i lavori su specifiche Missioni e relativi Obiettivi e Progetti. Detto questo, una cosa è certa: ora questo lavoro complesso non deve fermarsi, ma anzi deve accelerare». Nelle Linee Guida che avete presentato finora spiccano due criticità. Prima criticità: alla sanità solo 9 miliardi su quasi 200. Dopo il disastro della pandemia, non è un suicidio stanziare così poche risorse? «Appena il confronto sulla bozza di Recovery Plan ripartirà si potrà vedere che in realtà le risorse previste per la Sanità sono circa 16 miliardi (una quota tra le maggiori rispetto ai piani degli altri paesi), perché il progetto sul rinnovamento degli ospedali è stato inserito nella missione sulla transizione ecologica. Inoltre, bisogna tenere conto dell’aumento molto significativo previsto per i prossimi anni in legge di bilancio, e non computato nel RecoveryPlan. Dopodiché prima riprenderà il lavoro e prima si potranno esaminare e discutere i progetti e possibili modifiche dei saldi».
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Nicotra Fabrizio 
Titolo: Intervista ad Enzo Amendola – «Troppe liti, Recovery fermo così arriveremo in ritardo» – «Le liti frenano il Recovery Così arriviamo in ritardo»
Tema: Recovery Plan
Enzo Amendola, ministro per gli Affari europei, le tensioni nel governo e nella maggioranza nascono sulla gestione dei soldi del Recovery fund. Italia Viva non vuole la Cabina di regia. Secondo lei riuscirà a spuntarla? «E’ naturale che sulla programmazione e gestione del prossimo bilancio europeo e di Next Generation tutte le forze politiche, maggioranza e opposizione, debbano dire la loro. Il governo da ottobre ha aperto un percorso di condivisione con il Parlamento quindi non mi stupisco per i rilievi di Iv. Quello che preoccupa sono gli esiti di una verifica politica che, in alcuni casi, mi sembra si sviluppi a prescindere dal Recovery. Nel merito della proposta sul Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) è giusto discutere tutto in maniera approfondita». Troppe liti, non siamo in ritardo rispetto alla tabella di marcia chiesta da Bruxelles? «Non eravamo in ritardo, adesso però rischiamo di esserlo. La definizione del nostro Piano di rilancio è ferma al Consiglio dei ministri dal 7 dicembre. Intanto l’Europa ha superato i veti di Polonia e Ungheria, che bloccavano l’avanzamento del Next Generation Eu. Quindi è probabile che la Commissione fissi per metà febbraio la data in cui i piani dovranno cominciare a essere presentati. L’Italia finora si è mostrata all’altezza del compito e il dialogo con Bruxelles continua a essere fruttuoso. Abbiamo lavorato di concerto con i ministeri, le Regioni e i Comuni nei 19 Comitati tecnici tenuti fino a ora. Siamo l’unico Stato che ha parlamentarizzato il dibattito sulle Linee guida. Fermarsi ora sarebbe un azzardo dannoso». Dei 209 miliardi quanti andranno alla Sanità? Dovrebbe essere il settore più potenziato, sarà così? «La proposta iniziale sulla Sanità è di 9 miliardi, dedicati esclusivamente agli investimenti, più altri 4 miliardi per l’efficientamento delle strutture pubbliche. Molti sostengono di voler alzare i saldi, bene, se ne discuterà in Parlamento. Con una premessa regolamentare: nel Next Generation sono da considerare solo spese per investimento, delle quali più del 60% sono vincolate a progetti sul green e sul digitale. Inoltre i fondi del Recovery vanno inquadrati in una logica complementare con gli oltre 100 miliardi del Qfp (Quadro finanziario pluriennale, ndr) e le risorse del bilancio nazionale che sulla Sanità sono stati ingenti negli ultimi periodi. Ma su quèato punto, come sui saldi complessivi, la proposta è aperta a modifiche, purché se ne discuta senza slogan e carte alla mano».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Pa. Pic. 
Titolo: La lente – Cgia: un 2021 tax free costa 28 miliardi (meno degli aiuti)
Tema: Cgia

Un 2021 tax free per le pmi italiane costerebbe allo Stato circa 28 miliardi, una cifra enorme ma, secondo la Cgia di Mestre, «comunque inferiore agli aiuti erogati direttamente al sistema produttivo nel 2090, pari finora a 30 miliardi». Per l’organizzazione veneta degli artigiani, il prossimo anno dovrebbe essere dunque «tax free per le piccole e medie imprese» come unica possibilità per consentire a queste attività produttive «di prendere fiato e programmare la ripresa» dice il coordinatore dell’ufficio Studi, Paolo Zabeo. «Escludendo le imposte locali, il tax free year  italiano – spiega – costerebbe fino a 28 miliardi. Una cifra spaventosa che potrebbe essere ridotta consentendo l’azzeramento del palo fiscale solo per le attività con ricavi al di sotto di una certa soglia o sulla base della perdita di fatturato». Ma anche se íl mancato gettito fosse appunto di 28 miliardi, si tratterebbe, sostiene la Cgia, di un importo minore degli aiuti finora erogati. La manovra «metterebbe le basi» per -la ripresa.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Minenna Marcello 
Titolo: La forza efficace e tranquilla della Bce – La rivoluzione silenziosa della Banca Centrale Europea
Tema: Bce

Per dare la giusta prospettiva non bisogna dimenticare che fino al 2019 queste misure erano oggetto più che altro di speculazioni teoriche. Le innovazioni introdotte nel 2020 sono state radicali, soprattutto se si considera la rapidità di adozione da parte di un’istituzione conservativa come la BCE. Da un lato il programma pandemico ha stravolto la logica del tradizionale Quantitative Easing (APP – Assets Purchase Programme) fondato sul rispetto rigido del principio della capital key (i Paesi che partecipano più al capitale della banca centrale hanno diritto in proporzione a più acquisti). Il PEPP infatti concede alla BCE completa flessibilità nella determinazione del livello di acquisto necessario per ogni Paese. In Figura si nota la prevalenza della quota assegnata all’Italia (+2o%) nei mesi primaverili ben al di sopra del 16,9% ammissibile secondo la capital key. La quota francese invece risultava al12%, un valore molto al di sotto (20%). In autunno la quota francese è salita rapidamente al 20% mentre il peso degli acquisti di assets italiani si è riallineato intorno al 16%. De facto la BCE ha utilizzato la flessibilità del PEPP per implementare una strategia di controllo degli spread dei titoli governativi. I risultati non si sono fatti attendere: lo spread BTP-Bund è ai livelli minimi dal 2016 intorno ai loo punti base dopo aver sfondato i 300 nel periodo più acuto della crisi pandemica a marzo. Situazione non dissimile per i BONOS spagnoli che quotano un rendimento di circa 50 punti più alto di quello tedesco, in calo dai 150 di marzo, e per i titoli governativi francesi. Dall’altro lato, i nuovi prestiti TLTRO III hanno introdotto i tassi di interesse duali, attraverso cui si rende il tasso di interesse dei prestiti alle banche – che è attualmente negativo e può raggiungere il -1% – disconnesso dal tasso di interesse a cui la BCE remunera i depositi. Anche questo tasso è oggi negativo, ma fermo allo -0,5%. Se il tasso che le banche ricevono è più alto di quello che pagano, allora si introduce un supporto diretto al sistema bancario che viene finanziato attraverso la riduzione dei profitti potenziali della BCE.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  D.Col. 
Titolo: Bankitalia: sale la spesa per i conti correnti – Più bonifici, sale la spesa per i conti correnti
Tema: Indagine Bankitalia

L’anno scorso la spesa per la gestione di un conto corrente è cresciuta dl 1,6 euro rispetto all’anno precedente, attestandosi a 88,5 euro ma con un aumento più forte per quelli online (5,9 euro, 0,2 nel 2018). Lo rivela l’indagine svolta dalla Banca d’Italia su un campione di 12.705 conti correnti bancari, 900 conti correnti postali e 698 conti on line non riferibili a sportelli. Si tratta del quarto aumento consecutivo della spesa, anche se molto minore rispetto al balzo messo a segno nel 2018, quando crebbe di 7,5 euro. L’aumento è dovuto al maggior numero di carte di pagamento detenute dai correntisti e dal maggior numero di operazioni effettuate con questo strumento di pagamento, mentre le variazioni delle commissioni non hanno inciso sulla spesa complessiva. Il dato ha un valore segnaletico perché quest’anno, a causa della crisi sanitaria, i pagamenti effettuati senza banconote sono ulteriormente cresciuti. Un cambiamento nelle scelte degli strumenti di pagamento in parte determinato dalle misure anticontagio e che potrebbe avere effetti permanenti nelle abitudini dei consumatori. Un’indagine Bce condotta lo scorso luglio nell’intera eurozona ha rivelato che il 60% dei consumatori Italiani intervistati ha dichiarato che «certamente» continuerà a utilizzare mezzi di pagamento alternativi al contante anche una volta superata la crisi, mentre il 34% ha risposto che «probabilmente» lo farà. Tornando all’Indagine dl Bankitalia, nel 2019 le spese fisse, che rappresentano circa i due terzi della spesa complessiva di tenuta conto, ammontavano a 57,6 euro, e sono aumentate di 2,1 euro.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Tropeano Maurizio 
Titolo: Intervista a Umberto Tosoni – “Investiamo un miliardo sulla rete se la Cdp chiama, pronti per Aspi”
Tema: Astm – Autostrade

Chiuso, vittoriosamente, il capitolo “gare in Italia” con l’aggiudicazione delle concessioni per la Torino-Piacenza e la tangenziale di Torino, e per la Sestri Levante-Livorno e della Savona-Ventimiglia, adesso Astm, secondo player al mondo nella gestione di concessioni autostradali, guarda avanti pianificando le attività per l’apertura nel 2021 della seconda canna del tunnel del Frejus, senza per altro escludere in futuro un coinvolgimento nella gestione della Tav Torino-Lione. Resta aperto anche il dossier Autostrade per l’Italia: «Abbiamo messo a disposizione dello stato la nostra capacità industriale. Noi siamo pronti se Cdp chiama», spiega Umberto Tosoni, amministratore delegato di Astm. Siete diventati monopolisti nella gestione della rete autostradale del Nord Ovest. «Monopolisti? Guardi che le nostre concessioni sono state vinte attraverso gare pubbliche bandite secondo gli standard europei. Il successo ci ha consentito di mantenere questi asset nel nostro portafoglio e ha evitato peraltro che le concessioni autostradali finissero in mani straniere». Non siete dei benefattori. «Siamo un’impresa certo. Abbiamo fatto delle gare, e ci siamo impegnati a realizzare investimenti che avranno positive ricadute sul territorio con un’offerta industriale che è stata giudicata la migliore». Chi erano i competitor? «Il Consorzio Sis composto dagli spagnoli di Sacyr e da Dogliani. Noi abbiamo vinto per la nostra offerta economica e industriale e per la nostra conoscenza della rete nei diversi territori. Sappiamo dove è possibile fare efficienza e questo ci ha permesso di fare un’offerta significativamente più vantaggiosa per lo Stato, garantendo, tra l’altro, 150 milioni di euro come premio di ingresso».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Grassia Luigi 
Titolo: Alitalia, l’allarme dei sindacati sul piano “Con i 3 miliardi bisogna tutelare tutti”
Tema: Alitalia

Quello della nuova Alitalia potrebbe essere un rebus senza soluzione: i 3 miliardi di dote stanziati per far ripartire la compagnia sono un’enormità (è la stessa cifra che andrà a tutto il settore del turismo, che vale molto di più per l’economia italiana); eppure quegli stessi 3 miliardi sono pochi rispetto agli aiuti pubblici ricevuti dalle compagnie straniere concorrenti, e l’iniezione di risorse in Alitalia si accompagna a una severissima cura dimagrante: numero di dipendenti dimezzato, taglio della flotta e delle rotte e una previsione di cinque anni prima di tomare alle dimensioni attuali. Così il piano industriale della nuova Alitalia-Ita è risultato un boccone indigesto per i sindacati, servito dalla ministra dei Trasporti e delle Infrastrutture, Paola De Micheli, in un incontro virtuale (in cui si è parlato anche di trasporto pubblico locale e di altri provvedimenti contenuti nella legge di bilancio). Il piano 2021-2025, illustrato l’altro giorno dall’amministratore delegato Fabio Lazzerini, era stato già definito inaccettabile dai sindacati, perché prevede all’inizio per Alitalia soltanto 52 aerei, 61 rotte e un numero di dipendenti compreso fra 5.200 e 5.500, contro i 10.200 attuali, e solo al 2025 (a essere ottimisti) una risalita della forza lavoro a 9.500 unità. Per i sindacati i 3 miliardi «devono essere usati per rilanciare la compagnia e tutelare tutti i lavoratori di Alitalia», e l’accento è su tutti
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Pa. Pic. 
Titolo: Fiber Alliance L’alleanza di cinque aziende della fibra contro il rischio di monopolio nella Rete Unica
Tema: Fiber Alliance

Le reti in fibra in Italia sono tante, anche se quando si parla di Rete Unica si pensa subito e quasi solo all’integrazione tra la rete di Tim e Open Fiber. Ma gli altri operatori di un settore tanto strategico vogliono far sentire la loro voce. In particolare si tratta di cinque aziende, delle quali tre quotate in Piazza Affari, che si son ritrovate a condividere le preoccupazioni. E insieme hanno scritto un documento rivolto al governo firmandosi come Fiber Alliance. La neonata alleanza comprende Irideos, Intred, Colt e le quotate Unidata e Retelit, quest’ultima guidata da Federico Protto, tutte accomunate dall’intenzione di rappresentare il lavoro fatto per accrescere l’infrastruttura in fibra. Fiber Alliance chiede di valutare a fondo un disegno che lascerebbe a Tim, secondo gli stessi firmatari, un monopolio. I vertici delle cinque società, riporta l’agenzia Ansa, sottolineano II balzo dell’italia, come testimoniato dall’indice Desl, al quarto posto in Europa per infrastrutture mentre l’arretratezza riguarda la cultura digitale. E chiedono che, nel caso, AccessCo non sia controllata da un soggetto verticalmente integrato. O a pagarne il prezzo potrebbe essere la concorrenza.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: Brexit, l’ultimo ostacolo resta la guerra sulla pesca – Brexit, resta la pesca l’ultimo ostacolo verso l’accordo finale
Tema: Brexit

Tra le minacce degli uni e gli allarmi degli altri, le trattative tra Londra e Bruxelles apparivano ieri sera drammaticamente in bilico. La speranza di un accordo all’ultimo minuto su un futuro trattato di partenariato perdurava, ma la prudenza era d’obbligo. A due settimane dall’uscita definitiva del Regno Unito dal mercato unico e dall’unione doganale, il nodo più difficile da risolvere appariva ancora quello relativo alla regolamentazione della pesca nel Mar del Nord. L’entourage del capo-negoziatore comunitario Michel Barnier era ieri sera parco di commenti qui a Bruxelles. Il fine settimana era ritenuto cruciale, anche se un allungamento delle trattative non era escluso. È vero che il Parlamento europeo ha chiesto di poter avere il testo di un eventuale accordo entro questa sera, per avere il tempo di leggerlo e approvarlo prima della fine dell’anno, ma molti diplomatici ricordavano che la data per trovare una intesa è in fondo il 31 dicembre. Conosciamo bene i tre nodi che hanno bloccato le trattative di queste ultime settimane: il meccanismo di soluzione delle controversie; l’accesso del Regno Unito al mercato unico; la regolamentazione della pesca nel Mare del Nord. In questo momento del negoziato, quest’ultimo nodo appariva quello più complicato da risolvere. Londra ostacola la richiesta dei 27 di poter continuare ad accedere alle acque britanniche.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Orsini Erica 
Titolo: Torna l’incubo Brexit dura, tir in coda all’Eurotunnel: «Più scorte di cibo e merci»
Tema: Brexit

Decine di camion incolonnati a formare una fila lunga cinque miglia sulla superstrada che porta al tunnel sotto la Manica. La Brexit è anche questo. L’incertezza creata da una possibile uscita senza accordo ha creato un allarme tale che molte aziende stanno facendo scorte extra di prodotti in modo da evitare eventuali ritardi o problemi nelle consegne previste per il dopo Brexit. Questo, unito al normale aumento del traffico natalizio, nelle scorse settimane ha creato frequenti ritardi e problemi ai camion in uscita dal Regno Unito. Ieri mattina la fila per il tunnel iniziava ad Ashford e proseguiva per miglia e miglia fino a Folkestone. Le stesse immagini venivano registrate anche sul percorso che porta al porto di Dover da dove partono i traghetti. E sempre ieri, un rapporto del governo raccontava come gli affari di molte compagnie siano rimasti in sospeso a causa dell’assenza di un accordo commerciale con il resto dei Paesi europei. Una conseguenza facilmente prevedibile di quella infinita corsa ad ostacoli che sono diventate le trattative tra Londra e Bruxelles. Queste dovrebbero essere le ultime 48 ore utili per arrivare ad un accordo, ma per l’ennesima volta si palesa l’ipotesi che la scadenza possa venir ulteriormente posticipata. A sostenerlo ieri è stato il ministro degli Affari Europei francese, Clement Beaune: «Può essere difficile da comprendere – ha aggiunto – ma è necessario prendersi ancora del tempo e non sacrificare i nostri interessi perché i tempi stringono». Un accordo potrebbe ancora entrare in vigore, in fase temporanea, dal 1 di gennaio, con il Parlamento pronto a votarlo in una fase successiva, ma la Commissione Europea appare riluttante ad accettare questa soluzione.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ricci Sargentini Monica 
Titolo: La variante del virus fa aumentare i contagi E Johnson decide un lockdown più duro
Tema: Londra, nuovo ceppo Covid

«Con la morte nel cuore vi annuncio che non potremo passare il Natale come avevamo previsto. Credo che non ci siano alternative». Il primo ministro britannico Boris Johnson ha comunicato così, in una conferenza stampa, di aver deciso una nuova stretta sulle misure anti pandemia durante le feste. Proprio lui che, solo tre giorni fa, aveva definito «disumano» pensare di «cancellare il Natale» è stato costretto al voltafaccia dalla nuova variante del coronavirus, «fino al 70% più contagiosa della versione originale», che si sta diffondendo a una velocità incredibile a Londra e nelle contee limitrofe. La capitale e il sud-est dell’Inghilterra sono state inserite in un nuovo livello di allerta, il «Tier 4», che ha fatto scattare il lockdown oggi. Chiusi, quindi, i negozi non essenziali e le palestre indoor. Bisognerà lavorare da casa quando possibile, e non si potrà entrare o uscire dalle aree «rosse». Il giorno di Natale sarà vietato ricevere ospiti. Si potrà incontrare solo una persona estranea ma all’aperto. «Quando il virus cambia il suo metodo di attacco, dobbiamo cambiare il nostro metodo di difesa», ha spiegato Johnson. Per il resto dell’Inghilterra rimarrà, invece, in vigore la regola di riunioni con un massimo di tre nuclei familiari diversi ma solo per il giorno di Natale. Le nuove misure hanno una validità di due settimane e saranno riviste il 3o dicembre. Johnson ha voluto, però, rassicurare la popolazione: «Non ci sono prove che la variante del virus abbia una maggiore letalità, che causi patologie più gravi, o che il vaccino sia meno efficace».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Verdelli Carlo 
Titolo: Intervista ad Alessandra Ballerini – «Lotto e sogno per Giulio» – «Sogno Giulio che cammina e so che gli daremo giustizia L’Italia? Troppi affari al Cairo»
Tema: Caso Regeni

Dice con pudore che Giulio è diventato un pensiero costante, da quando alle 7 e mezza si sveglia. Dice anche che in casa non tiene foto sue («ne ho tante ma stanno nei vari faldoni dell’inchiesta»), poi si corregge, incapace a mentire, e confessa di aver appeso un poster di Mauro Brani, con Giulio trasfigurato in una collina verde,, su cui giocano dei bambini guardando una colomba che vola. «Mi capita di sognarlo, sì. Sempre felice, in quelli che immagino i suoi posti, per esempio a Duino, tra Trieste e Monfalcone, lungo la passeggiata cara a Rilke». Nella dolente tragedia di Giulio Regeni, c’è una donna che non l’ha mai visto né conosciuto ma lo spirito di lui le si è conficcato nella vita come un dolore e un dovere. Si chiama Alessandra Ballerini, avvocato votato alla difesa dei diritti umani, genovese, 50 anni appena compiuti, gli ultimi prevalentemente dedicati al primo civile italiano torturato e ammazzato all’estero in tempo di pace. Di lei esistono solo dichiarazioni riguardanti il caso Regeni. Per il resto, sempre di lato, un passo indietro ai familiari. «Se non ci fossero stati loro, papà Claudio e mamma Paola, saremmo ancora all’incidente stradale dove ha perso la vita un ragazzo di Fiumicello, provincia di Udine. Prima versione dell’Egitto e fine della storia». E invece Giulio continua a fare cose, anche se ormai sono quasi cinque anni che l’hanno straziato. Continua a farne grazie alla forza ostinata e instancabile di tre persone. Le prime due sono proprio i genitori: Claudio, pensionato, e Paola, ex insegnante. La terza è lei, Alessandra, avvocato da battaglia, difensore dei deboli (dai migranti alle donne maltrattate ai senza dimora) e adesso guerriera legale di una causa data per persa mille volte e mille volte riacciuffata prima che venisse inghiottita nelle sabbie mobili della convenienza diplomatica.
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Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  Colombo Furio 
Titolo: Il processo Regeni, tutti gli italiani protagonisti
Tema: Caso Regeni

Manca il mandante, in questo processo, e la storia non può prendere forma fino a quando questo mandante non è ricercato e trovato, per poter analizzare i suoi legami con l’area di lavoro assegnata (con autorità accademica) al giovane dottorando. È facile immaginare che la docente oxoniana sia stata unasub-mandante, esecutrice, cioè destinataria della richiesta di un “favore” da una casa madre di cui dobbiamo sapere i legami. La docente di Regeni era una inglese di origini egiziane, o una egiziana al lavoro in una università inglese? In ogni caso, come ha potuto o voluto mandare a Giulio Regeni le istruzioni che il giovane sembra avere seguito? Per montare una simile operazione con una conclusione crudele, che si vuole sia deliberatamente pubblica, ci vogliono due parti opposte. Il corpo di Regeni dimostra che una delle parti ha perso. O anche serve a dire quale prezzo devi pagare se ti inducono a entrare dalla porta sbagliatae a cercare ciò che non si deve cercare. La gravità del fatto fisico (il prolungato male fatto a Regeni) dimostra che c’erano cose grosse in pentola. Di chi, tra chi, per chi ? Ecco perché il governo italiano non può tenersi da parte. Non si uccide un giovane uomo non ignoto e non privo di legami perla svista di alcuni assassini di governo. Non si esegue per caso o puracattiveria, un ritualeditorture talmente gravi. Qui ci sono ragioni, ordini, interessi e motivazioni. Chiedono che qualcuno (ma non chiunque) corra il rischio, che la punizione sia pubblica e tremenda, che i suoi (le istituzioni italiane del condannato) siano inclini a lasciar perdere per ragioni che non conosciamo e che non sono state mai chieste.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: Conte e Di Maio da Haftar con la proposta di Serraj “Nuovo premier in Libia”
Tema: Libia

Poco alla volta emergono altri tasselli sulla liberazione dei 18 pescatori di Mazara in Libia e sulla costruzione politica che il governo italiano ha messo in piedi per liberarli. II premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio quando sono volati a Bengasi dal generale Khalifa Haftar cedevano a una sua richiesta “politica” pur di avere la liberazione dei pescatori. Ma hanno portato anche un messaggio politico affidato loro dal presidente di Tripoli Fayez Serraj. L’uomo che dal 2016 ha retto in condizioni impossibili la barra del “Governo di accordo nazionale”, di fronte alla paralisi del negoziati di Tunisi voluti dall’Onu ha affidato all’Italia una nuova propota politica da verificare. E lo ha fatto dopo avere trascorso 4 giorni in visita privata a Roma, con la moglie e un segretario. Serraj aveva annunciato di essere prontissimo alle dimissioni quando ci sarà un nuovo presidente del Consiglio presidenziale. Ma un accordo non si trova, per mille ragioni, non solo per l’opposizione di Haftar ma anche per le rivalità nelle stesse due aree in cui è divisa la Libia, Est e Ovest. Serraj ha detto all’Italia e alla Turchia di essere pronto a prolungare il suo mandato, proponendo di congelare il Consiglio presidenziale. Ma si è offerto di trovare posto a una nuova figura del premier, affidata ad un uomo di Haftar. È la proposta politica che Conte e Di Maio hanno presentato al maresciallo. Il 1° settembre Haftar aveva ordinato brutalmente il sequestro dei pescherecci italiani quando aveva visto che, dopo avere di fatto perso la guerra per l’assedio a Tripoli, veniva messo da parte da molti alleati. Anche dall’Italia, un Paese da sempre in equilibrio fra lui e Tripoli. Il ricatto in qualche modo ha pagato, perché l’Italia è stato costretta a inviare due leader politici alla corte del capo-milizia.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Il tesoretto di Trump per il dopo Casa Bianca Pensa già al 2024?
Tema: Usa

La nuova stagione di Donald Trump, lontano dalla Casa Bianca, comincia con una dote di circa 250 milioni di dollàri. Soldi in contanti, versati da migliaia di piccoli e grandi donatori dopo la sconfitta del 3 novembre. Subito dopo le elezioni il presidente ha lanciato una campagna capillare, chiedendo ai sostenitori di contribuire all’Election defense fund. Nelle mail inviate ai supporter si legge che questi fondi servono per “bloccare il furto delle elezioni”. Non esistono rendiconti ufficiali: la raccolta di denaro non è collegata a una candidatura e quindi non c’è l’obbligo di denunciare entrate e uscite alla Federal election commission. Tuttavia sul sito web dell’Election defense fund si legge che il 75% delle sottoscrizioni viene destinato al Save America leadership pac, un «comitato politico» che farebbe capo direttamente a Donald Trump. Il restante 25% finisce nelle casse del Comitato nazionale del partito repubblicano. Ma il flusso è opaco. In teoria Trump potrebbe aver già accantonato un tesoretto di 187 milioni (il 75% di 250). Secondo i calcoli del New York Times, invece, la somma sarebbe pari a circa 60 milioni di dollari. Ma in ogni caso, tutti concordano su un dato: il presidente in carica avrà a disposizione un monte risorse da manovrare con la massima libertà. Potrà, innanzitutto, pagare lo stuolo di avvocati ingaggiati per presentare i ricorsi o chiedere riconteggi negli Stati in bilico.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Scott Antonella 
Titolo: Petrolio, sanzioni e Covid La fortezza Russia resiste – La fase 2 della crisi ritenta l’assalto alla fortezza Russia
Tema: Russia

I lavori sono ripresi l’11 dicembre, in acque tedesche. Dureranno, notificano le autorità portuali di Stralsund, fino al 31. A posare sul fondo del Baltico i tubi dell’ultimo tratto di Nord Stream 2, al largo di Greifswald, è rimasta solo la nave russa Fortuna. Per un anno la costruzione del controverso gasdotto è stata bloccata dalla minaccia di sanzioni americane, che hanno allontanato i partner europei del consorzio. Mai russi sono determinati a concludere, e ora la rotta delle loro navi posa-tubi sembra riflettere il percorso dell’intera economia nazionale: costretta a fermarsi, isolata, decisa a proseguire per conto proprio, avvolta nell’incertezza. Se la pandemia è la prima tra le ragioni che in questo momento spiegano le difficoltà di ogni Paese al mondo, per la Russia gli altri elementi della tempesta sono stati il calo dei prezzi del petrolio e la costante prospettiva di nuove sanzioni, la conseguenza più tangibile di un irrisolto confronto con Europa e Stati Uniti. Ma di tempesta, in realtà, si può parlare fino a un certo punto: la fase i di pandemia e lockdown, tra primavera e estate, non è sfociata in un armageddon. Il governo russo ne è uscito contenendo i danni economici, ma anche l’esborso di aiuti a sostegno di persone e imprese più vulnerabili, quelli percuilatempestaè stata, è e sarà davvero reale. Il primo pacchetto anti-crisi si è fermato a 4.000 miliardi di rubli (45,2 miliardi di euro, il 4% del Pil nazionale): un approccio mirato ed efficiente che ha aiutato la Russia a rimbalzare più rapidamente di altre economie avanzate, ha detto il viceministro delle Finanze Vladimir Kolychev in una recente intervista al Financial Times.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Del Re Pietro 
Titolo: In Uganda la capitale dei senzaterra – “I migranti? Una risorsa” E in Uganda la tendopoli diventa una nuova città
Tema: Uganda

Si vendono soltanto cipolle, carbone e infradito spalate, eppure il mercato locale, così come le scuole, gli ospedali, le chiese e le moschee, tutti eretti in muratura, è il vanto del più grande insediamento di rifugiati d’Africa. Infatti, sia pure di piccole dimensioni e un po’ malconci, questi edifici sono l’esito di un rivoluzionario esperimento urbanistico, quello che ha trasformato in una città ll campo profughi di Bidi Bidi, nel nord dell’Uganda, che dal 2016 accoglie 280mila persone, tutte in fuga dall’efferata violenza della pulizia etnica nel vicino Sud Sudan. A differenza di molti luoghi dove le ondate migratorie si combattono alzando muri e chiudendo le frontiere, qui i profughi sono accolti come una risorsa economica e culturale, con uno slogan lanciato dalle autorità di Kampala e ripetuto come un mantra: Open the gate, apri la porta. Tanto che l’Uganda conta oggi 1,5 milioni di rifugiati, per metà sud sudanesi. «Hanno portato solo ricchezza», dice Amandu Ataaku, 42 anni, proprietario di settanta ettari di una terra fertile ma dura e petrosa, che ha cominciato a coltivare con l’aiuto degli ospiti di Bidi Bidi. «Adesso produciamo cavoli e pomodori, e ci dividiamo i guadagni. Inoltre, prima del loro arrivo, quando mi serviva qualcosa ero costretto a prendere la moto per arrivare fino ad Arua, che da qui dista 50 chilometri. Ma i profughi hanno aperto tanti piccoli negozi e finalmente si trova di tutto anche qui». L’altro vantaggio per gli ugandesi del luogo, che come i sud sudanesi in fuga sono per lo più contadini e piccoli allevatori, è la presenza delle organizzazioni umanitarie internazionali arrivate nel nord dell’Uganda per portare sollievo a quest’umanità di spostati. Sono tante, e le riconosci dal logo stampato sulle portiere dei suv che sfrecciano lungo le strade non asfaltate della regione: Msf, Oxfam, Care, Unhcr, Unicef, Croce rossa internazionale, Danish Refugee Council e l’italiana Medici con l’Africa Cuamm. Ovviamente, della loro presenza sul terreno usufruiscono anche le popolazioni indigene che, quando serve, sono curate nelle stesse strutture sanitarie messe in piedi per i rifugiati.
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Testata:  Avvenire 
Autore:  Scavo Nello 
Titolo: Intervista a Carlotta Sami – «Ora monitoraggio indipendente»
Tema: Unhcr

«Un monitoraggio indipendente sulle frontiere, per verificare episodi di respingimento e violenze, laddove vengano denunciati, per indagare immediatamente. Chiediamo che venga stabilito questo meccanismo indipendente in tutti gli Stati membri dell’Ue». Gli abusi e le violenze alla porta d’ingresso dell’Ue, sulla frontiera tra Bosnia e Croazia, fanno rinnovare all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati un appello agli Stati e all’Unione Europea. Per Carlotta Sami, portavoce di Unhcr, questa «sorveglianza» per funzionare «è bene che includa l’agenzia per i diritti fondamentali dell’Ue». I vostri operatori sul campo hanno conferme degli abusi denunciati da Ong e media? «Non siamo coinvolti in nessuna attività di monitoraggio sui confini finanziata dall’Ue, ma sia in Bosnia che in Croazia abbiamo raccolto molte testimonianze di persone a cui era stata negata l’entrata o erano stati riammessi da un Paese all’altro, finendo dall’Italia alla Slovenia, da qui alla Croazia e infine respinti in Bosnia. Hanno testimoniato di aver subito violenze e maltrattamenti». Spesso i Paesi coinvolti rispondono in modo evasivo alle accuse. Possono dire di “non sapere”? «Abbiamo fatto presente alle varie autorità tutte le testimonianze che abbiamo raccolto, segnalando ripetutamente quanto i casi siano di varia tipologia e sia necessario cambiare approccio». Anche la Croazia? «A Zagabria abbiamo sempre trasmesso le testimonianza raccolte, segnalando ripetutamente come vi siano problemi evidenti che riguardano la richiesta d’asilo, l’uso eccessivo della forza, la violenza e l’incapacità di affrontare le necessità dei più vulnerabili, inclusi i molti minori non accompagnati».
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IL SOLE 24 ORE
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