Menu

SINTESI IN PRIMO PIANO – 18 giugno 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Imprese, attacco al governo: «Troppi ritardi per gli aiuti». Nuova lite tra imprese e Conte;
– La mossa di Gualtieri sul lavoro: “Contratti a tempo più liberi”;
– Mes, la destra lascia l’aula. Il Pd avverte i 5 Stelle: non possiamo farne a meno;
– Di Maio: “Basta capi, Di Battista lavori con tutti noi al nuovo M5S”;
– Vertice tra procure sul caso Regeni. E oggi Conte parla in commissione;
– Torna il virus, Pechino blindata. Stop ai voli e tamponi a tappeto.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Caro Paola 
Titolo: Il premier chiede «coesione» Lega e Fdl (divisi) fuori dall’Aula
Tema: Tensioni nel governo sul vertice Ue

Si appella alla «coesione» nazionale e chiede sostegno all’opposizione Giuseppe Conte. Ma gli risponde un centrodestra diviso al proprio interno in cui ciascun partito sceglie in Aula di tenere un comportamento diverso, e solo Forza Italia, con Silvio Berlusconi, gli fa sponda in Europa ma criticando la tempistica del governo sul piano per il Recovery fund. Non c’è schiarita insomma nei rapporti tra governo e opposizione dopo l’informativa di ieri del premier alle Camere per illustrare la posizione del governo in vista del Consiglio europeo di domani. Un Consiglio che, precisa Conte, non sarà «risolutivo» perché le scelte andranno prese a luglio e il piano italiano per il Recovery fund sarà presentato a settembre, motivo per cui – dice – non è necessario un voto del Parlamento. La scena è quella di un Parlamento in cui FdI non partecipa ai lavori – lasciando solo un proprio rappresentante in ogni ramo del Parlamento -, la Lega abbandona l’Aula dopo l’intervento del capogruppo Molinari, Forza Italia è presente: «Avremmo preferito il voto, ma uscire dall’Aula non è nel nostro stile» si dissocia Mariastella Gelmini, mentre Brunetta è critico ma ribadisce la «volontà di collaborare» del partito. Conte ha chiesto senso di responsabilità a tutte le forze politiche: «È l’ora di dare prova di coesione anche sul piano nazionale, perché la sfida non rechi all’Italia il doppio danno di vederla perdere la sfida europea e quella, forse più difficile, di vedere riformare alcune criticità» interne, e per questo bisogna «cogliere subito e per intero l’opportunità che l’Europa offre». Ma la risposta è dura, come lo era stata all’invito a partecipare agli Stati generali. Meloni accusa: «Vogliono fare il gioco delle tre carte per non assumersi la responsabilità delle loro scelte», Salvini sferza: «Se non è in grado, presidente, se non riesce, almeno copi Francia e Germania».
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso 
Titolo: Mes, la destra lascia l’aula Strappo di Forza Italia e torna lo schema Ursula
Tema: Tensioni nel governo sul vertice Ue

Ieri mattina, Aula della Camera. Giuseppe Conte interviene per l’informativa in vista del Consiglio europeo di domani. Fratelli d’Italia disertai lavori. La Lega entra, si guarda attorno ed esce. Forza Italia invece resta. Critica il premier, ma ribadisce il campo di appartenenza: l’Europa. I sovranisti si arrabbiano. A Montecitorio, per un giorno, rinasce la “maggioranza Ursula”, la stessa che fu determinante per eleggere von der Leyen alla guida della Commissione europea. È l’antipasto di quanto accadrà sul Mes, in due passaggi: sulle comunicazioni del premier prima del Consiglio del 9 luglio, poi quando i giallorossi chiederanno a fine luglio di attivare il programma, coni suoi 36 miliardi per la sanità. Così vuole Roberto Gualtieri, che ieri si è sbilanciato: «Andiamo sui mercati a un tasso più alto di quello di altri Paesi, quindi per l’Italia avere dei prestiti a tasso zero è attraente, fa risparmiare risorse in interessi». Una benedizione dello strumento, insomma. Anche Conte, sottolineando le difficoltà della trattativa in sede Ue sul Recovery, ammette implicitamente la necessità di reperire risorse con il Salva Stati. Pd, renziani e Fi diranno dunque sì. Il Movimento pure, come dimostra Danilo Toninelli, in teoria arruolato tra i malpancisti: «Il Mes e una porcheria. Dovesse esistere un qualcosa che dà dei prestiti senza vincoli rigidi, sarebbe un’altra cosa». Resta il fatto che i massimi dirigenti grillini al governo sono terrorizzati dalla spaccatura nei gruppi. Quelli considerati davvero orientati al no al Mes oscillano tra cinque e sette. E Berlusconi? Non fa nulla per ostacolare il governo, anzi. È pronto a intervenire per far passare il Mes e per evitare crisi al buio.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Il retroscena – Nel “caminetto” segreto dei grillini va in scena il processo a Di Battista
Tema: M5S

Otto contro uno. Il processo del M5S ad Alessandro Di Battista si è consumato al ministero della Giustizia, martedì notte. Intorno all’ex deputato c’erano Vito Crimi, Paola Taverna, i ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Stefano Patuanelli, Vincenzo Spadafora, il viceministro Stefano Buffagni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. Tutti a spiegargli che l’unico modo per non distruggere il Movimento è fermarsi ora. Subito. «Lo diciamo anche per te: seppure diventassi capo politico, non dureresti tre mesi», gli spiega la vicepresidente del Senato. Convinta che una competizione interna ai 5 stelle adesso sarebbe distruttiva per la maggioranza, per il governo, ma anche per il futuro della forza politica fondata da Beppe Grillo. Il messaggio è chiaro: «O remi insieme a noi, ci aiuti a organizzare gli Stati generali di autunno e a definire quello che il M5S deve essere, oppure passerai alla storia come colui che ci ha distrutti». La difesa è debole. «Non voglio mettere in difficoltà il governo, l’ho detto in ogni modo – ha tentato di spiegare l’ex deputato – penso che non ci siano alternative a questa maggioranza». «E cosa pensi che succeda quando vai in tv a dire che quello che facciamo è sbagliato?», è la domanda, sferzante, di uno dei ministri presenti. Silenzio. «È stato un confronto schietto», dice uno di coloro che lo hanno organizzato. «Quello che penso – ha insistito Di Battista – è che dobbiamo lavorare su temi, su progetti nostri. Ho provato a proporne alcuni, come il servizio ambientale e il car sharing, per aiutare il governo, non per buttarlo giù».
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  De Carolis Luca 
Titolo: Intervista a Luigi Di Maio – “Basta capi, Di Battista lavori con tutti noi al nuovo M5S” – “Lo dico: il Pd mi ha sorpreso E Dibba non vuol fare il capo”
Tema: M5S

Intervista del “Fatto” al ministro degli Esteri: “Se nominassimo ora un vertice, durerebbe poco. Lavoro per la pace nei 5S. Rousseau patrimonio di tutti, ma il modello va rivisto”. Parlando di futuro cita il passato: “Quando il 22 gennaio mi dimisi da capo politico usai più volte la parola responsabilità: Ho sempre lavorato per la pace interna e continuerò a farlo. Nominare un nuovo capo del M5S potrebbe deresponsabilizzare molti, spingendoli a sollevare problemi”: Luigi Di Maio non è più il capo dei 5Stelle, ma per il ministro degli Esteri passa molto dell’avvenire del Movimento e quindi del governo. Cos’è questa segreteria invocata da Beppe Grillo? “Prima di ogni altra cosa voglio dire, anche in base alla mia passata esperienza da capo politico, che il Movimento è composto da tante anime e questa diversità è una ricchezza. Dobbiamo trovare il modo di tenere assieme queste anime e di fare sintesi, una volta per tutte.” Così si rischia un accordo tra correnti basato sulla spartizione dei posti. “Non dobbiamo partire dai nomi, ma dai temi. Negli Stati generali dovremo stabilire i nuovi obiettivi del M5S, il suo programma per i prossimi dieci anni.” L’epoca del capo politico è finita? “Se ora lo nominassimo sarebbe un capo balneare, perché durerebbe poco. Prima dobbiamo fissare il programma che serve al Paese e risolvere i problemi del M5S. Poi si potrà pensare alla struttura.” Di Battista invoca un congresso dove si voti: pare avere la legittima voglia di fare il capo. “Non credo che Alessandro prema su questo tasto. Anche per lui vengono prima i temi, e un programma basato non sull’io, ma sul noi.”
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Gasperetti Marco 
Titolo: Toscana, Rossi indagato. Lui: calunnie
Tema: L’inchiesta sul governatore Rossi

L’avviso di garanzia della Procura di Firenze per turbativa d’asta, Enrico Rossi lo ha ricevuto martedì mattina. Non se l’aspettava dopo i pronunciamenti favorevoli della giustizia amministrativa (Tar e Consiglio di Stato) e della Corte di giustizia europea. «E l’ultimo giro di boa di un’oligarchia locale passatista e corporativa. Una casta che vuole sopravvivere, cieca, davanti agli interessi dei cittadini e del servizio pubblico», commenta il governatore della Toscana. Che poi annuncia un esposto penale contro i suoi accusatori per omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio alla quale seguirà anche una denuncia per calunnia. L’inchiesta, che ha coinvolto Rossi e altre sei persone, affonda le radici nell’annosa e intricata vicenda del bando – da 4 miliardi di lire e di una durata di 11 anni – per il trasporto locale su gomma. La gara fu vinta da Autolinee Toscane, una società del gruppo francese Ratp che riuscì a superare Mobit, consorzio di imprese toscane attuale gestore del servizio con un altro nome. Seguirono da parte degli sconfitti ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato e infine due esposti alla procura della Repubblica presentati da Cap di Prato e Copit di Pistoia, due delle imprese del gruppo Mobit. I reati sono falso in atto pubblico, turbativa d’asta, abuso di ufficio e induzione illecita a dare o promettere utilità. A Rossi viene contestata un’intervista a favore del gruppo vincitore rilasciata, secondo i magistrati fiorentini, durante la gara. Ieri però l’avvocatura regionale ha precisato che le dichiarazioni del presidente avvennero «quando l’esame delle offerte con l’attribuzione dei punteggi era già stato concluso». Enrico Rossi non si limita a difendersi e accusa Mobit di aver usato strumentalmente la giustizia amministrativa perdendo regolarmente tutti i ricorsi.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bianconi Giovanni 
Titolo: A Cantone il caso Palamara – Perugia, Cantone capo dei pm ma il voto spacca il Csm Indagherà sul caso Palamara
Tema: Csm

Al vertice della Procura di Perugia, dove si indaga sui magistrati di Roma e dove sta per chiudersi l’indagine su Luca Palamara accusato di corruzione per la sua attività al Consiglio superiore della magistratura, arriva Raffaele Cantone, che dal 2014 al 2019 ha guidato l’Autorità nazionale anticorruzione. Un nome di prestigio per un incarico di prestigio proprio per la peculiare competenza a trattare le vicende che coinvolgono le toghe romane. Quelle che più hanno a che fare con il potere e la politica, data la prossimità con i palazzi del potere e della politica. Ma proprio per questo specifico aspetto, la nomina di Cantone decisa ieri dal Csm ha diviso l’organo di autogoverno dei giudici: 12 voti per lui, 8 per l’altro concorrente Luca Masini, 4 astenuti. Con Cantone si sono schierati i togati di Area, la corrente di sinistra, e praticamente tutti i laici (3 espressi dai 5 Stelle, 2 da Forza Italia e 2 dalla Lega; il vice-presidente David Ermini non ha votato come di consueto); contro le due correnti Magistratura indipendente e Autonomia e indipendenza, la destra dello schieramento politico-giudiziario; astenuti i «centristi» di Unità per la costituzione. A dare un valore anche politico alla frattura è stato l’intervento di Nino Di Matteo, l’ex pm antimafia eletto con Ai (il gruppo di Davigo); il quale ha spiegato che, pur stimando molto Cantone, la sua nomina a Perugia sarebbe stata inopportuna: «La presidenza dell’Anac ha una fortissima connotazione politica, di Cantone s’è parlato fino all’estate scorsa come candidato premier, e la Procura di Perugia è titolare di procedimenti che a vario titolo riguardano i rapporti tra magistrati e politici vicini o appartenenti alla stessa compagine politica decisiva per la nomina all’Anac».
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Giornale 
Autore:  Napolitano Pasquale 
Titolo: Il retroscena – I dem usano l’arma Regeni per indebolire Conte e M5s
Tema: Caso Regeni

Il caso Regeni è il nuovo fronte aperto dal Pd nel governo per mettere spalle al muro il presidente Conte e costringere il M5s alla ritirata. In una lettera a Repubblica – il segretario dei democratici Nicola Zingaretti incalza il premier chiedendo azioni concrete con l’Egitto per arrivare alla verità sull’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni: «Il governo italiano deve essere coerente con l’affermata volontà di proseguire nella battaglia per la ricerca della verità. E di fondamentale importanza dunque che il governo con le figure preposte ai massimi livelli compia già dalle prossime ore tutti i passi dovuti per ottenere dall’Egitto le condizioni elementari per avviare il processo e la possibilità di fare ulteriori passi in avanti nei rapporti bilaterali», spiega il leader del Pd nella lettera. La prima mossa è un’audizione del presidente del consiglio davanti la commissione d’inchiesta. Invito subito raccolto: oggi Conte alle 22 sarà ascoltato in commissione. La seconda mossa è lo stop alla trattativa tra Italia e Egitto per la fornitura delle fregate Fremm: un’iniziativa che punta a mettere in difficoltà il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a cui spetta la supervisione sull’operazione. Anche se nel corso della giornata di ieri, Zingaretti corregge il tiro: «Noi non abbiamo mai legato la vicenda delle fregate italiane alla Marina egiziana all’idea di un possibile osceno scambio tra vendita di armi e diritti umani, e bene ha fatto il presidente Conte a dare immediata disponibilità a riferire alla Commissione parlamentare d’inchiesta. Per questo ora il governo italiano deve essere coerente con l’affermata volontà di proseguire nella battaglia per la ricerca della verità». Il pressing del segretario rientra nella nuova strategia (post-covid) dei dem: spaccare il Movimento, indebolendo la posizione del capo dell’esecutivo.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Caccia Fabrizio 
Titolo: Il sì bipartisan dei sindaci all’idea di intitolargli una via: «Una richiesta di verità»
Tema: Caso Regeni

«Se servirà a fare luce sulla vicenda, ben venga anche l’idea d’intitolare una via, mille vie, a Giulio Regeni», dice il sindaco leghista di Udine, Pietro Fontanini, che ha letto ieri sul Corriere l’appello di Ernesto Galli della Loggia ai sindaci italiani ed è prontissimo ad aderire: «Secondo il regolamento della toponomastica comunale – dice Fontanini – debbono passare dieci anni dalla morte della persona a cui si vuole intitolare una strada, ma non mi sembra questo un limite invalicabile, basterà chiedere una deroga al Prefetto, però dovremo scegliere una via importante per Giulio, non un luogo qualunque, una via che abbia significato, ci penseremo», promette il sindaco, corregionale di Giulio e indignato per il fatto che «non si abbia ancora una risposta, una collaborazione da parte del governo egiziano». L’appello del professore («Una via dedicata a Regeni in ogni città italiana») ha riscosso tanti consensi bipartisco. Antonio Decaro, sindaco dem di Bari e presidente dell’Anci, vorrebbe dedicare alla memoria di Giulio un luogo di studio e ricerca. «Il nostro dovere di cittadini prima che di sindaci – osserva Decaro – è quello di restituire Giulio, seppur simbolicamente, alla famiglia Regeni».
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Economia e finanza

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Imprese, attacco al governo – «Troppi ritardi per gli aiuti» Nuova lite tra imprese e Conte
Tema: Scontro governo-imprese

Un dialogo in salita, pieno di incomprensioni, quello fra il governo e il mondo delle imprese. Al quarto giorno degli Stati generali non c’è solo l’analisi ruvida della Confindustria sulle politiche del governo, ma anche le altre associazioni imprenditoriali puntano il dito contro l’esecutivo. A tutti Giuseppe Conte promette attenzione, chiede suggerimenti per 187 progetti del piano di rilancio che viene presentato, assicura che verrà fatto un cronoprogramma per tutte le misure. Ma i messaggi che gli vengono rivolti dalle aziende vanno molto sul concreto. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha chiesto «il pagamento immediato di 50 miliardi di debiti arretrati della Pa», «l’immediato rispetto per la sentenza della magistratura che impone la restituzione di 3,4 miliardi di accise energia, impropriamente pagate dalle imprese e trattenute dallo Stato». Poi ha attaccato sulla cassa integrazione: «E’ stata anticipata in vasta misura dalle imprese e così sarà per ulteriori 4 settimane. Gravi ritardi anche per le procedure annunciate a sostegno liquidità. Le misure economiche italiane si sono rivelate più problematiche di quelle europee». Insomma un doppio schiaffo ampiamente annunciato. Conte chiede a tutti «suggerimenti, osservazioni concrete sul piano, che sarà pronto la settimana prossima», aggiunge che «il clima è proficuo e non ci dimentichiamo il valore primario dell’impresa», promette che «gli uffici studieranno la questione sulle accise posta da Bonomi», ma incassa lo stesso numerose critiche. Se verrà confermata la proroga dello split payment «furto legalizzato di liquidità» vorrà dire che «si vuole dare la mazzata finale alle imprese. Noi non l’accettiamo e non resteremo a guardare». Cosi il presidente dell’Ance, Gabriele Buia.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bonomi Carlo 
Titolo: «Sciolga il nodo dell’Inps, dia certezze sul cuneo fiscale e tempi sicuri sulle misure»
Tema: Scontro governo-imprese

“Signor Presidente del Consiglio, signore e signori ministri, grazie innanzitutto per l’invito a questo incontro. (…) Quanto ho affermato in questi giorni sono esternazioni riferite esclusivamente ai temi economici del Paese e nulla hanno a che vedere con temi politici. Perché è un fatto, che le scelte pubbliche adottate in Italia negli anni alle nostre spalle abbiano reso più duraturi e gravi che in altri Paesi Ue i colpi portati dalla grave crisi mondiale del 2008 e da quella europea del 2011. E un fatto, che a fine 2019 eravamo l’unico grande Paese Ue a dover ancora recuperare quasi 4 punti di Pil rispetto al 2008. È un fatto che le misure economiche assunte in Italia a fronte del virus si siano rivelate più problematiche che altrove. (…) Per un Paese trasformatore come noi, l’impegno contro la nuova recessione può avere successo solo se non nascondiamo a noi stessi colpe ed errori che abbiamo commesso, tutti, negli ultimi 25 anni. (…) Lo ribadisco: per noi sarebbe stato preferibile ascoltare un quadro preciso delle priorità intorno alle quali governo e maggioranza intendono articolare i propri interventi, con un preciso cronoprogramma. (…) Colgo invece questa occasione per indicare almeno sinteticamente la visione delle priorità di Confindustria. Se sommiamo i fondi resi disponibili dall’Ue l’Italia totalizza un ordine di risorse per i prossimi anni pari a più del 25% del Pil. E un’occasione storica. (…)”
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Stampa 
Autore:  Ale.Bar. 
Titolo: L’industria crolla Bonomi-Conte scontro frontale – “Ridate alle aziende i soldi delle tasse” Bonomi presenta il conto al governo
Tema: Scontro governo-imprese

Tre «priorità trasversali» per ripartire: un Paese più efficiente, una migliore spesa pubblica, un piano per la riduzione del debito. Dopo settimane di tensioni con il governo Carlo Bonomi arriva agli Stati generali con una proposta. Conte l’aveva invitato ad andare oltre «la richiesta di meno tasse» e cosi ha fatto. Nessuno ha ancora capito cosa resterà degli appuntamenti fra gli stucchi di villa Pamphili. Il leader di Confindustria, il meno filogovernativo degli ultimi vent’anni, riconosce comunque al governo di lavorare in condizioni difficili. Con lui c’è il direttore generale uscente dell’organizzazione Marcella Panucci, dall’altra parte del tavolo Conte e Roberto Gualtieri. Bonomi ci tiene a usare «il linguaggio della franchezza». Ha con sé una cruda lista di fatti. Il primo: l’Italia era l’unico Paese europeo in quasi recessione prima del virus. Alla fine del 2019 era ancora l’unico del Continente a dover recuperare quasi quattro punti di Pil dal 2008. Ancora: per anni in Italia si è privilegiata la spesa corrente e «una infinità di bonus» rispetto alla necessità – mai presa sul serio – degli investimenti pubblici e delle riforme strutturali. Si dirà: il Covid ha risvegliato tutti dal sonno. Macché, lamenta Bonomi: le misure per attutire gli effetti del lockdown sono state «più problematiche che altrove». Il capo degli industriali porta il caso dei ritardi nella erogazione della cassa integrazione, «in gran parte anticipata dalle imprese» o i tempi lunghi per la liquidità garantita dalle banche. Per questo il capo degli industriali chiede “gesti simbolici” al governo: restituire i 3,4 miliardi di accise sull’energia che una sentenza della Cassazione imporrebbe di restituire; accelerare i tempi per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione; accelerare la restituzione dei crediti Iva, per i quali normalmente le aziende attendono 60 mesi.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Il retroscena – Il premier e gli strappi, ora vuole ricucire: tregua con Di Battista e chiama Confindustria
Tema: Stati generali

Molti parlamentari lo descrivono accerchiato dagli industriali e dai commercianti e logorato dall’interno anche da quanti, nella sua maggioranza, lavorano per minarne la leadership. Eppure Conte è convinto che gli Stati generali lo abbiano reso «più forte» e che il governo uscirà indenne, o quasi, dalla porta di fuoco dell’autunno. Alle 19, finito il punto stampa della quarta giornata di incontri, un ministro la mette così: «Con 172 miliardi in arrivo dall’Europa chi è quel pazzo che tira giù il governo?». Tanto ottimismo sugli effetti balsamici del Recovery plan sembra stonare con le polemiche e gli attacchi che stanno accompagnando l’iniziativa. Ma se il premier si dice «assolutamente sereno» è anche perché, tra un confronto e uno scontro con le realtà produttive, si è messo a sminare personalmente e quotidianamente il terreno su cui cammina. Prova ne sia la tregua con Alessandro Di Battista. II sigillo della mediazione, condotta col sostegno Beppe Grillo, è il post con cui Vito Crimi ha definito l’ex deputato «una risorsa preziosa». Adesso che lo scontro per la leadership dei 5 Stelle è rimandato e la maggioranza si è ricompattata, Conte si sente in grado di assestare quel cambio di passo che Nicola Zingaretti va invocando da giorni. «Dobbiamo correre, l’Italia non può più aspettare», è il ritornello che il premier ripete ai ministri. «Alitalia, Autostrade, decreti sicurezza, semplificazione – elenca Conte -. Tra pochi giorni chiuderemo questi dossier e faremo uscire da qui una serie di cose concrete, molto forti, che si faranno immediatamente dopo gli Stati generali». Infrastrutture, riforma graduale dell’Irpef e grande piano Impresa 4.o Plus per grandi investimenti, tanto per cominciare.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Gualtieri: meno vincoli sul lavoro a termine – La mossa di Gualtieri sul lavoro “Contratti a tempo più liberi”
Tema: Rilancio dell’economia

Al ministero del Tesoro sono settimane che ci pensano. Gestire la piena di lavoratori che, a causa dell’emergenza Covid, resteranno senza posto né reddito, è diventata quasi un’ossessione. Tradotta dai tecnici di Via XX Settembre in una serie di ipotesi per far ripartire le assunzioni ed evitare che la prevista ondata di disoccupazione – ora arginata dallo stop ai licenziamenti – si abbatta tutta insieme sul Paese, col rischio di travolgerlo. Anche a costo di picconare, sebbene in via temporanea, uno dei pilastri del decreto Dignità. «È evidente che non possiamo semplicemente limitarci a prorogare la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti per tutti, all’infinito, senza un punto di arrivo», ha anticipato ieri Gualtieri nel corso di un colloquio online con il Festival dell’Economia di Trento. «Utilizzare questi strumenti è stato giusto», ma occorre «cominciare ad affrontare le problematiche che non sono in grado risolvere», ha precisato. Eccolo il punto vero: gli effetti della crisi non si possono rinviare sine die, gli ammortizzatori sociali – che hanno fra l’altro un costo altissimo – prima o poi giungeranno a scadenza, e allora tocca ingegnarsi per attutirne l’impatto, diluendolo nel tempo. Come? Intanto si sta valutando una ulteriore proroga del blocco dei licenziamenti oltre il termine del 17 agosto, così da tentare di appiattire il picco. E nel contempo «stiamo verificando l’ipotesi di incentivi sul fronte contributivo alle assunzioni a tempo indeterminato», prosegue Gualtieri, cercando anche di «capire se introdurne alcuni di tipo diverso a riprendere a lavorare, magari collegati a dei vincoli di non licenziamento».
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Conte Valentina 
Titolo: L’analisi – Con l’emergenza Covid disoccupati soprattutto tra i lavoratori a termine
Tema: Occupazione

L’Italia è il Paese dei contrattini. Lo è anche quando il Pil riparte, quasi fosse una condizione strutturale. Prendiamo i dati Istat sugli occupati a termine. Erano 2,2 milioni nel 2007, alla vigilia della Grande Crisi. Volati a 3 milioni a fine 2019. Numero che solo il Covid è riuscito a sgonfiare: 2,6 milioni in aprile. Lo tsunami sanitario ha travolto i più precari tra lavoratori: due terzi della minore occupazione di marzo e aprile è qui, un terzo tra gli autonomi. Ecco dunque la decisione del governo – nel decreto Rilancio – di allentare i paletti introdotti dal decreto Dignità: le imprese possono rinnovare i contratti a termine senza indicare la causale, anche dopo i primi 12 mesi. Fino al 31 agosto. Forse fino a fine anno, se passerà l’emendamento del Pd. Servirà? Forse poco. Ce lo dicono i numeri. Il decreto Dignità arriva nella coda lunga del Jobs Act e del decreto Poletti e del loro triplice effetto. Primo, incentivare i contratti stabili, a tutele crescenti ma senza più l’ombrello dell’articolo 18, trainati da importanti sgravi contributivi: su 1 milione e mezzo di contratti incentivati dal Jobs Act ne rimanevano 500 mila ben prima della scadenza triennale degli incentivi del 2015. Secondo effetto (decreto Poletti): l’impennata dei contratti a termine che quel decreto del 2014 aveva liberalizzato. A parte il biennio 2015-2016, in cui le imprese preferivano prendere gli incentivi e fare contratti stabili, subito dopo 6 su 10 assumevano a termine. Terzo effetto, i voucher: i ticket da 10 euro nati per la raccolta delle mele usati per tutto, simbolo di precarietà estrema, con il record di 155 milioni venduti nel 2015, dopo che il governo Renzi decide di alzare il tetto da 5 mila a 7 mila euro all’anno.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Stampa 
Autore:  Martini Fabio 
Titolo: Mes, il Pd avverte i 5 Stelle: non possiamo farne a meno
Tema: Mes

AIle 9,15 l’istantanea è chiara: il presidente del Consiglio sta esponendo la sua informativa sul prossimo Consiglio europeo davanti a 30 deputati Pd (su 90), quelli della Lega sono 55 su 125, mentre dei Cinque stelle sono in aula solamente 54 onorevoli su 202, pari al 26 per cento dell’intero gruppo. Un assenteismo pronunciato al limite della disaffezione. Certo, tutti sapevano che quella di Conte sarebbe stata un’informativa «depotenziata», privata del voto finale perché il governo non ha voluto correre il rischio di ritrovarsi con una maggioranza anomala, comprendente Forza Italia e priva di qualche dissidente pentastellato. E così, se i discorsi del presidente del Consiglio alla Camera e al Senato e quelli degli oppositori alla fine sono risultati di routine, la vera notizia viene dall’interno della maggioranza: per il Pd è intervenuto un personaggio di peso come Piero Fassino che a un certo punto ha scartato: «Io non voglio eludere il nodo del Mes. Dire che è inutile o che se ne può fare a meno mi pare francamente una caricatura! Ma non è la verità». L’idea che del Mes si possa fare a meno è concetto espresso da tutti i big dei Cinque stelle ma anche dal presidente del Consiglio e anche se Fassino non allude a Conte, il suo affondo contro gli alleati di governo è forte e trae origine da un non-detto: a differenza di quanto si fa trapelare, dentro la maggioranza non è stato trovato un accordo su come disinnescare la mina del Mes, la linea di credito messa a disposizione da Bruxelles e dedicata alla spesa sanitaria senza condizioni per circa 37 miliardi di euro.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Giornale 
Autore:  Borgia Pier_Francesco 
Titolo: Berlusconi ai leader europei: «Subito all’Italia i fondi Ue»
Tema: Fondi Ue

Una vasta platea di colleghi e di uomini di governo cui ha rivolto un appello chiaro e vibrato: «Fate presto. Aiutateci a ripartire». Silvio Berlusconi ieri ha partecipato in videoconferenza al summit di leader europei, ministri e segretari politici che si ritrovano a Strasburgo nella casa comune del Partito popolare. Ai colleghi e amici (erano presenti 9 tra capi di Stato e di governo, 9 leader di opposizione e il vertice al completo del Ppe) il leader azzurro ha chiesto di far presto nello sciogliere riserve e lacci del Recovery Fund e di immaginare per l’Italia una sorta di «anticipo» sui fondi che in teoria sarebbero disponibili soltanto dal primo gennaio del prossimo anno. «In Italia – ha spiegato Berlusconi – l’emergenza sanitaria si sta trasformando in emergenza economica: migliaia di aziende chiuderanno definitivamente e centinaia di migliaia di posti di lavoro sono a rischio. La situazione è seria». «Ho apprezzato – ha aggiunto – sin dall’inizio, con il presidente Antonio Tajani e con tutti i deputati di Forza Italia l’idea del Recovery Fund. Ho detto sin da subito che era la cosa giusta da fare. Sono però preoccupato dal fatto che i fondi saranno realmente disponibili solo all’inizio del prossimo anno. E troppo tardi!» Berlusconi si è quindi appellato direttamente alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leynen e ai vertici del Ppe per individuare «formule-ponte» che consentano ai governi nazionali di avere risorse prima di allora. «In modo – ha spiegato – da poter arrivare senza problemi al prossimo anno. Serve una risposta rapida».
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Santevecchi Guido 
Titolo: Pechino Blindata
Tema: Covid-19, nuovi contagi

La Fortezza Pechino chiude le sue porte e schiera 100mila operatori sanitari per cercare di schiacciare con un’offensiva lampo il «nemico invisibile», il coronavirus che è tornato a strisciare nella megalopoli quando si pensava che fosse stato messo al bando e dopo che per sei mesi era stato tenuto fuori. Le autorità avvertono che questa onda di contagi durerà ancora e si allargherà. «La situazione è grave» dice il potente segretario del partito cittadino, Cai Qi, amico personale di Xi Jinping. Eppure, su 22 milioni di abitanti, i nuovi malati comunicati ieri erano solo 31, che hanno portato il totale di contagi causati dal focolaio del mercato Xinfadi a 137. I casi sono stati accertati sottoponendo a tampone 356 mila abitanti in quattro giorni, ma i test proseguono a ciclo continuo. Le code per i prelievi sono lunghissime. Pechino aveva una capacità di go mila tamponi al giorno, ora le autorità dicono di averne fatti 355 mila ieri: oggi quindi potrebbe arrivare un altro centinaio di contagi accertati. E non finisce qui, il raggio delle ricerche si allarga di continuo: si vogliono sottoporre a test tutti gli insegnanti e studenti che erano tornati a scuola prima della crisi. Le autorità diffondono raffiche di numeri, statistiche, disposizioni, la parola d’ordine è: evitare i sospetti di ritardi, reticenze o negligenze di dicembre e gennaio a Wuhan, che hanno fatto condannare la Cina con processo sommario all’estero.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Santelli Filippo 
Titolo: Covid, Pechino chiusa contro i nuovi contagi – Pechino città proibita “Come in trincea combattiamo il virus”
Tema: Covid-19, nuovi contagi

All’ingresso di ogni complesso residenziale di Pechino sono tornate le sbarre e i volontari con fascia rossa al braccio, che puntano alla testa termometri a forma di pistola. Solo i residenti con lasciapassare possono entrare, gli altri no. Anche i fattorini delle consegne si devono fermare al cancello, scenderanno gli interessati a ritirare il pacco, proprio come durante il picco del contagio. La capitale della Cina è tornata all’improvviso indietro, in trincea contro il virus, secondo la ben rodata metafora bellica ripetuta dai media di regime. «Si combatte spalle al fiume», scrivono, le opzioni sono vincere o annegare in una nuova ondata di epidemia. Il focolaio spuntato al mercato di Xinfadi ha prodotto martedì altri 27 casi, il totale è salito a 137. Non sono tanti in assoluto, ma è comunque la minaccia più seria vissuta dalla capitale dall’inizio della pandemia. E Pechino, simbolo del regime, va difesa. Se questo non è un «lockdown”, un blocco totale, a forza di aggiungere restrizioni non siamo poi così lontano. Una ventina di comunità, attorno a Xinfadi e altri mercati toccati dal virus, è del tutto isolata, oltre 100mila abitanti che non possono uscire di casa. Ma anche nel resto della città è «gestione chiusa», cioè con i controlli ai cancelli affidati a un esercito di 100mila tra volontari e funzionari di Partito. Pechino aveva riaperto, assaporava il ritorno alla normalità; si ritrova semichiusa. E da ieri, anche isolata dal resto della Cina, per evitare che il virus dilaghi in altre province: già cinque sono state raggiunte, ultime lo Zhejiang e Tianjin.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Stampa 
Autore:  Radicioni Francesco 
Titolo: Covid, a Pechino torna la paura Voli a terra e quartieri isolati
Tema: Covid-19, nuovi contagi

Mentre un nuovo focolaio di coronavirus minaccia la capitale, Pechino ha alzato al secondo livello la risposta all’emergenza sanitaria – una tacca al di sotto del massimo grado – ma anche ordinato la chiusura delle scuole, fatto appello a lavorare da casa e cancellato migliaia di voli da quello che è uno dei più importanti hub dei trasporti nella Repubblica Popolare. Le nuove drastiche misure di controllo della pandemia sono state annunciate mentre dalla fine della scorsa settimana in città sono già decine i nuovi casi di Covid-19: ieri le autorità hanno confermato altri 31 pazienti sintomatici e positivi al tampone, che portano a 137 il numero delle infezioni accertate negli ultimi sei giorni a Pechino. L’origine del focolaio nella capitale cinese è stata individuata a Xinfadi: il più grande mercato all’ingrosso della Cina, che fornisce circa l’80% della carne e delle verdure consumate nella metropoli. Ieri sono salite a 32 le zone di Pechino classificate a «medio rischio», sparse in oltre la metà dei distretti della capitale. Così gli studenti riprendono le lezioni online, sono stati sospesi eventi sportivi, mostre e spettacoli, mentre nei luoghi pubblici torna l’obbligo a indossare le mascherine. Aumentate anche le restrizioni sugli spostamenti fuori dalla capitale: «Non lasciate Pechino a meno che non sia essenziale», aveva ammonito Chen Bei, vice-segretario generale della municipalità. Se limitazioni son state imposte su taxi e autobus a lunga percorrenza, ieri sono stati anche cancellati quasi 1300 i voli per Pechino – circa il 70% del traffico aereo dalla capitale – mentre si allunga l’elenco delle città della Repubblica Popolare che sottopongono a 14 giorni di quarantena chi arriva dalla metropoli.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Vertice tra procure sul caso Regeni E oggi Conte parla in commissione
Tema: Caso Regeni

Torna a diventare materia di scontro politico il caso di Giulio Regeni e c’è attesa per la partecipazione prevista oggi alle 22 a Palazzo San Macuto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che riferirà alla Commissione parlamentare d’inchiesta. Il 10 luglio ci sarà anche una videoconferenza tra i magistrati della Procura di Roma e quella del Cairo per capire se ci sono passi avanti nel caso dell’omicidio del ricercatore italiano in Egitto. Una vicenda che si intreccia con quella della vendita di due fregate all’Egitto. Sul piede di guerra non c’è solo la sinistra di Leu, ma anche una parte del Pd e dei 5 Stelle, che considerano un cedimento alla ragione di Stato la vendita di navi da guerra a un regime che si è dimostrato ben poco democratico e che tiene in cella anche Patrick Zaki, lo studente dell’università di Bologna. Sul caso delle navi c’è uno scaricabarile in corso, perché se è vero che nel governo non ci sono state obiezioni, si fa notare come sia stato il premier Giuseppe Conte, «in modo irrituale», a dare il via libera con colloqui privati con Al Sisi. Di Maio ha poi portato la questione in consiglio dei ministri, l’11 giugno, ma non c’è stato un parere ufficiale. L’ok informale è arrivato da Palazzo Chigi e dovrà esserci un ulteriore passaggio, con l’autorizzazione all’esportazione, che dovrà dare la Uama, un ente che fa capo alla Farnesina. Un via libera che arriverà tra qualche mese. Fare marcia indietro sarebbe difficile. Quello che è certo è che il governo italiano vuole mantenere buoni rapporti con l’Egitto, pur pressando le autorità del Cairo per avere risultati nell’inchiesta. Di Maio spiega che «le due questioni, l’inchiesta e la vendita delle navi, vanno tenute distinte», ma chiede «un cambio di passo» all’Egitto.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Di Maio: “Verità su Regeni il tempo dell’attesa è finito” – Regeni, la linea di Conte in Commissione: il primo luglio vuole il via libera al processo
Tema: Caso Regeni

Il governo italiano ha fissato una data sul caso di Giulio Regeni. Il primo luglio, quando si confronteranno nuovamente la Procura di Roma e quella del Cairo, dopo oltre un anno e mezzo di silenzio. Quel giorno rappresenta «un nuovo inizio» per arrivare alla verità giudiziaria sulla morte del giovane ricercatore friulano, torturato e massacrato nel gennaio 2016. Lo ribadirà questa sera Giuseppe Conte, di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta che punta a fare luce sull’omicidio.  A chiedere che il presidente del Consiglio riferisse «urgentemente» al Parlamento era stato l’intero ufficio di presidenza della Commissione guidata da Erasmo Palazzotto all’indomani della telefonata tra Conte e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi lo scorso 7 giugno e della notizia, due giorni dopo, del via libera alla vendita delle due fregate Fremm all’Egitto. Un affare da 1,2 miliardi per l’Italia che formalmente non è ancora chiuso. Manca la firma dell’ufficio della Farnesina che autorizza l’esportazione. Di fatto però, la decisione politica è stata presa e sembra irreversibile. Proprio questo spiegherà Conte ai parlamentari. Che il business militare va considerato su un piano diverso rispetto a quello dell’inchiesta che «deve andare» e «andrà avanti», assicura il premier. Con la propria presenza in Parlamento Conte intende placare le polemiche sulla vendita delle fregate, ma anche rispondere alla sacrosanta rabbia della famiglia Regeni che si è sentita «tradita» dal governo. Non è escluso che, quando sarà il momento, il premier chiederà un nuovo incontro ai genitori.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: «Trump chiese aiuto alla Cina» È guerra legale sul libro di Bolton
Tema: Cina – Usa

Mescolare interessi politici personali e relazioni internazionali. «Uno schema consueto per Donald Trump». Non solo con l’Ucraina: anche con la Cina e la Turchia. Tutti dossier «che avrebbero potuto avere una maggiore probabilità di convincere altri che erano stati commessi “crimini gravi e misfatti”», punibili con l’impeachment. Il libro di John Bolton, The Room where it happened uscirà il 23 giugno. Ma di fatto, con le anticipazioni filtrate ieri, è già entrato nel dibattito nazionale. L’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, in carica dal 9 aprile 2018 al 9 settembre 2019, racconta, per esempio, il dietro le quinte del G20 di Osaka, in Giappone, il 28 e il 29 giugno scorsi. Trump disse al presidente cinese Xi Jinping che negli Stati Uniti c’era chi spingeva per scatenare «una guerra fredda» con la Cina. «Trump capì immediatamente che Xi pensava si riferisse ai democratici. E quindi, incredibilmente, spostò la conversazione sulle imminenti elezioni presidenziali, chiedendo a Xi un aiuto per vincerle». Il leader americano, allora, «domandò con insistenza a Xi Jinping di comprare soia e grano, in modo da favorire i farmer americani». Vale a dire una parte della sua base elettorale. Bolton sostiene che il presidente abbia cercato sistematicamente di agevolare «i dittatori che gli piacevano». Cita l’interferenza della Casa Bianca nelle indagini sulla turca Halkbank, «per rendere un favore» a Recep Tayyip Erdogan. Oppure le pressioni sugli accertamenti che toccavano la multinazionale cinese delle telecomunicazioni, la Zte, «per compiacere», ancora una volta, Xi Jinping.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: “Trump chiese aiuto anche a Xi Jinping per vincere le elezioni”
Tema: Cina – Usa

E’ il libro che la Casa Bianca vuole vietare, con un fuoco di sbarramento dell’ultima ora per impedirne la pubblicazione. Si capisce: quel libro è una bomba politica contro il presidente degli Stati Uniti. Non solo sullo scandalo ucraino che fece scattare l’impeachment ma anche sui rapporti con altri dittatori, sempre sul filo del conflitto d’interessi, e dell’intralcio alla giustizia, contiene pagine allarmanti. È il diario di un falco, un uomo di destra, per anni vicino a Donald Trump, che ora vuota il sacco: John Bolton, già esponente di punta dei neoconservatori all’epoca di George W. Bush, poi consigliere di Trump per la sicurezza nazionale quindi massimo regista della sua politica estera e militare. È noto che Bolton prese le distanze dal suo capo quando il Commander-in-Chief ricattò il governo ucraino, minacciando di non versargli aiuti strategici per la difesa contro la Russia, se non scattavano indagini sugli affari del figlio di Joe Biden. Ma nel libro Bolton rivela che non fu solo quello il comportamento degno di un’indagine da impeachment. In molti altri casi, scrive l’ex National Security Advisor, il presidente era pronto a «fermare delle indagini penali per fare dei favori a dittatori che gli piacciono», da Xi Jinping a Erdogan. Maneggiare esplicitamente i do ut des con gli autocrati stranieri, affondando nei conflitti d’interessi, è lo stile che Bolton racconta anche nei negoziati commerciali con la Cina: dove Trump non avrebbe esitato a chiedere a Xi di aumentare le importazioni di derrate alimentari dagli Stati Uniti per fargli conquistare i voti degli agricoltori. «Chiedeva proprio a Xi di fargli vincere le elezioni», sostiene Bolton.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Serafini Marta 
Titolo: Entra in vigore il Caesar Act, nuove sanzioni per gli Assad
Tema: Siria

Ancora sanzioni. E ancora dimostrazioni contro il carovita. L’entrata in vigore ieri del Caesar Syria Civilian Protection Act – meglio noto semplicemente come Caesar Act dallo pseudonimo del disertore che portò fuori dal Paese le prove delle torture e degli abusi – darà probabilmente il colpo di grazia a un’economia siriana già in ginocchio dopo anni di conflitto. Eppure, nonostante preveda nuove sanzioni statunitensi nei confronti del clan Assad, il provvedimento non sembra ancora scalfire il potere della famiglia al comando da 50 anni, tra intrighi e vendette familiari, come ha dimostrato anche la recente faida tra Bashar e il cugino Rami Makhlouf. Ieri Rifaat Assad, fratello dell’ex presidente siriano Hafez al Assad e zio dell’attuale capo dello Stato Bashar, è stato condannato in contumacia a Parigi per frode fiscale, riciclaggio di denaro sporco, appropriazione indebita di fondi pubblici siriani tra il 1996 e il 2016.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Coppola Alessandra 
Titolo: Dagli islamisti alla fame «Oltre 5 milioni di migranti partiranno dal Sahel» L’allarme dell’agenzia Onu
Tema: Immigrazione

Così lontano dai nostri orizzonti, così vicino per le rotte che attraversano il Mediterraneo: se il Sahel esplode, avverte l’agenzia Onu per i Rifugiati, ce ne accorgeremo anche in Italia, con decine di migliaia di donne, uomini e bambini in fuga per la fame e le violenze non solo da Burkina Faso, Mali, Niger ma anche da Costa d’Avorio, Togo, Ciad. Di più, «non si tratta di “se” ma di “quando” – avverte Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Unhcr per l’Italia – perché la situazione è gravissima». E intreccia ogni possibile problema contemporaneo: il terrore islamista, che se è in parte placato in Medio Oriente qui è addirittura in espansione; i traffici criminali che prosperano nel caos (dalla droga alla tratta); il cambiamento climatico che ha già avuto conseguenze sull’8o per cento delle aree agricole, faticosamente sottratte al deserto; il sovrappopolamento, rispetto alle risorse disponibili: 150 milioni di persone oggi che saranno 330 milioni nel 2050. Si aggiungano governi instabili e dalla democraticità incerta; ci si metta addirittura l’invasione delle cavallette; si sommi per ultimo il coronavirus, è evidente che la crisi è gravissima. Sono 3,5 milioni di persone costrette senza riparo, potrebbero diventare 5,5 quando gli effetti dei raccolti scarsi si faranno sentire.
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

PRIME PAGINE

CORRIERE DELLA SERA
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

LA REPUBBLICA
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

LA STAMPA
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

IL MESSAGGERO
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

IL GIORNALE
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

LIBERO QUOTIDIANO
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

IL FATTO QUOTIDIANO
Leggi da: PC/Tablet   SmartPhone

SCARICA L'APP