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SINTESI IN PRIMO PIANO – 17 gennaio 2021

In evidenza sui principali quotidiani:
– Crisi di governo, l’Udc si tira indietro
– Ritardo nel Recovery Plan, l’allarme Ue
– Arcuri contro Pfizer: “No al taglio delle dosi Ci sono vite a rischio”
– Germania, Laschet nuovo leader Cdu

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Mancano i voti, Conte è a rischio – I centristi si sifiano, è allarme Non ci sono ancora i numeri
Tema: crisi di governo
Dopo tre giorni di trattative l’Udc si sfila e fa traballare l’operazione responsabili, «non cl prestiamo a giochi di palazzo e stiamo nel centrodestra», tuonano di buon mattino con una nota, «I nostri valori non sono in vendita». Non basta: l’operazione Maie-Italia 23 non dài frutti sperati, anche il pontiere Clemente Mastella si chiama fuori: «Io tentavo di mettere mattoni, altri di toglierli, e quindi se la vedessero loro». I renziani si fregano le mani: le sirene del Pd non spaccano il gruppo e a lasciare per rientrare in casa dem è solo il deputato Vito De Filippo. Dicono a Palazzo Chigi, senza nascondere l’amarezza, «Il progetto di Conte di creare un centro moderato, liberale ed europeista per il momento è congelato, non decolla». Non usano la parola «fallito», ma ci sono vicini. Riferiscono che il capo del governo è molto dispiaciuto, che è consapevole che la maggioranza in Senato sarà solo relativa, che al momento quota 161 è solo un miraggio ma pazienza, per ora si andrà avanti ín questo modo. L’ennesima giornata al cardiopalma, con il pallottoliere del Senato che va su e giù, ma che si ferma ampiamente sotto quota 161, e che continua a gravitare intorno a 155 senatori, ma non di più, registra in primo luogo la conferma di una posizione di netta chiusura sia del Pd ma soprattutto dei Cinque Stelle nei confronti di Renzi. Ha deciso di astenersi l’ex segretario del Pd, bene, forse ha ricompattato il suo gruppo. Ma con gil ex alleati non avrà comunque nessuno spiraglio di collaborazione. Ne è la conferma la riunione del Movimento Cinque Stelle: per i vertici, per i capigruppo, per i capidelegazione, «è stata ribadita da tutti l’assoluta compattezza del Movimento attorno al presidente Conte». Anche il Pd riunisce i suoi vertici e la posizione non è distante da quella del Movimento, in una nota che segue alla riunione si accusa Matteo Renzi di aver creato «condizioni sempre più difficili per garantire un governo adeguato al Paese in una situazione di emergenza, rischiando di aprire scenari imprevedibili. Ora per garantire una piena trasparenza si vada nelle sedi appropriate, quelle parlamentari, dove tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità per salvaguardare gil interessi del Paese». Insomma l’ipotesi che Conte si dimetta prima di un riscontro parlamentare a quanto pare non esiste.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: I responsabili non ci sono Conte lontano da quota 161 “Ma vado avanti lo stesso”
Tema: crisi di governo
Improvvisamente la soglia dei 161 senatori non serve più. Quella che sembrava più che altro una suggestione buona per costituzionalisti e storici si trasforma nell’unica ancora di salvataggio possibile, quando gli uomini spediti da Giuseppe Contea trattare tornano per dirgli che i responsabili si sono sfilati. A quel punto scatta il piano B. La strategia che il capodelegazione dem Dario Franceschini aveva già cominciato a diffondere il giorno prima, per smontare la tesi fatta circolare dal leader di Italia Viva Matteo Renzi. E cioè che senza la maggioranza assoluta dei componenti del Senato il governo cade. «Se abbiamo un solo voto in più puoi andare avanti» spiega il ministro della Cultura al premier. «Sarò in aula ma non esiste che torno con Renzi» conferma Conte, dopo che gli viene fatto pervenire il malumore montante tra i parlamentari del M5S e del Pd, disposti a richiamare Iv al tavolo piuttosto che infilarsi in una crisi al buio. Franceschini è d’accordo: non ci sono le condizioni per rimettere in piedi l’alleanza con Renzi. La base del Pd, è la convinzione anche di Nicola Zingaretti, si rivolterebbe contro i vertici: «C’inseguirebbero con i forconi». E allora la scommessa è di andare comunque al voto in Parlamento, sperando che alla fine i responsabili si palesino comunque, magari proprio da Iv. È la linea che concordano M5S e Pd in una riunione in cui sono presenti Franceschini, il capo politico grillino Vito Crimi e il capo delegazione Alfonso Bonafede. L’alternativa, dicono, è solo il voto, attraverso un governo elettorale che traghetti il Paese alle urne ad agosto. Ma è una minaccia sgonfia a cui credono in pochi.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Capurso Federico 
Titolo: Renzi dà la carica ai suoi “Non hanno i numeri erano veline di Palazzo”
Tema: crisi di governo
Gongola, Matteo Renzi, vedendo la ricerca dei responsabili ferma al palo, con il rifiuto dei senatori di centrodestra ribadito giorno dopo giorno. Ma il primo deputato renziano che lascia Italia viva per tornare al Pd è qualcosa di più di un segnale di pericolo. A fare le valigie è l’ex governatore della Basilicata Vito De Filippo perché, dice, «è stata sbagliata la scelta di aprire la crisi mentre il Paese è attraversato da tante difficoltà e sofferenze». Per questo, aggiunge, «lunedì voterò la fiducia al governo. Ho deciso di continuare il mio impegno parlamentare nel gruppo del Partito Democratico». E un messaggio che non deve far breccia nel gruppo – ragionano nel quartier generale di Iv -, le truppe vanno ricompattate. La possibilità di non arrivare a un’uscita indolore dalla crisi, ora che la situazione si è ingarbugliata, potrebbe portare altri ad abbandonare la nave, mossi dalla paura di perdere la poltrona. Per questo Renzi convoca i suoi parlamentari e si dice «molto fiero di come stiamo lavorando e di come stiamo affrontando questo momento», confermando poi che se Giuseppe Conte chiederà la fiducia in Parlamento, la linea di Iv sarà quella dell’astensione. Una mossa che sembra rassicurarli. Così si terrà in vita il governo e, magari, si convinceranno anche gli ex alleati di Pd e M5S che l’unica strada per ricostruire la maggioranza passa da Italia viva. «Noi siamo sui contenuti e ogni giorno che passa diventa più chiaro che la verità vince sulle veline del Palazzo», aggiunge l’ex premier. Poi prende in mano il pallottoliere di palazzo Madama, dove la partita si gioca sul filo: «I nostri 18 senatori saranno decisivi, visto che la maggioranza al momento è tra 150 e 152. Non rispondiamo alle provocazioni e lavoriamo sui contenuti».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – I calcoli di convenienza del Pd tra Conte e Renzi
Tema: crisi di goverrno
Non c’è solo il conto dei numeri in Parlamento e dei rischi che corre il Governo, e il premier innanzitutto. Così come non c’è solo la caccia ai responsabili, che sembra stia andando male. Quello che in queste ore tormenta il Pd – che sente di avere il pallino – sono altri calcoli, più di convenienza politica ed elettorale. Tutto sta in una domanda: se al partito di Zingaretti convenga di più un Conte che si lancia nella sfida contro Renzi e apra alla prospettiva di una sua lista oppure tornare a trattare con Iv anche rimangiandosi quell’accusa di «inaffidabilità» contro il suo leader. In varie riflessioni tra Dem delle diverse correnti, questo interrogativo ha avuto già una risposta: cioè che è meglio tornare a negoziare con un partitino del 2-3% che favorire l’ascesa di un Conte sempre più in versione di aspirante leader politico. Anche perché far tornare Iv al tavolo vorrebbe dire ridimensionare il premier, fargli accettare le dimissioni in vista di un Conte III, rivedere il programma e soprattutto la squadra mettendogli a fianco non tanto un vicepremier ma un responsabile del Recovery scelto tra le fila Pd. Zingaretti insomma berrebbe l’amaro calice di una marcia indietro con Renzi ma riuscirebbe a contenere la prospettiva – molto insidiosa per il Pd – di perdere consensi a vantaggio di una lista Conte. Almeno così dicono i sondaggi. Con Iv, invece, non c’è questo rischio: l’operazione renziana non fa più paura, viene giudicata un fallimento e’ quindi non c’è concorrenza, semmai, c’è l’obiettivo di annessione. Raccontano i Dem, anche ex renziani rimasti nel partito, che la gran parte dei parlamentari di lv ha già preso atto che quell’avventura è conclusa ma che ha bisogno di tempo per tornare a “casa”. E Zingaretti non esiterebbe a riaccoglierli.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cazzullo Aldo 
Titolo: Il commento – La nebbia nel palazzo – La nebbia nel Palazzo. Mai così lontano dalle persone
Tema: crisi di governo
Nel momento più drammatico della storia recente, un grande Paese si unisce, non si divide. Si apre, non si arrocca. Chiama al potere e alla responsabilità le sue donne e i suoi uomini migliori, non si incatena a quelli scelti in una stagione che sembra lontanissima. Nell’emergenza, la maggioranza di governo tende ad allargarsi, non a restringersi. I leader puntano a coinvolgere, non a difendere a ogni costo il proprio tornaconto. Mai la nebbia che tradizionalmente separa il Palazzo e la piazza è stata così fitta. Mai la distanza tra le preoccupazioni della politica e quelle delle persone è stata tanto ampia. E mai le formule sono state così lontane daila sensibilità della gente comune. Conte ter, Responsabili, governo istituzionale, governo ponte… Una democrazia parlamentare ha le sue tecnicalità, che vanno rispettate. La nostra Costituzione, del resto, è ancora quella della Repubblica dei partiti; ma i partiti sono scomparsi, e con loro una cultura e una selezione della classe dirigente; i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non è vero che i cittadini non si interessano alla politica. Anzi, più che mai vorrebbero sapere. Essere informati e sostenuti.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Giannini Massimo 
Titolo: L’editoriale – Aspettando il governo dei migliori
Tema: crisi di governo
In queste ore, davvero, sconcerta l’abisso che separa l’ordine tedesco dal caos italiano. In Germania, dove pure il contagio aumenta e i ristori tardano, Angela Merkel prepara la sua uscita di scena dalla Cdu e dal governo con la dignità e la solennità che si convengono alla statista europea più importante dell’ultimo quarto di secolo: lassù tutto è regola condivisa, rispetto reciproco, mutua legittimazione. In Italia, dove si continua a morire troppo di Covid e a capire poco della strategia geo-cromatica di contenimento del virus, Giuseppe Conte cerca di evitare la sua uscita di scena da Palazzo Chigi con l’abilità e l’ambiguità che si convengono a un consumato notabile della Prima Repubblica: quaggiù tutto è zona grigia, partita di scambio, trattativa sotto banco. Intendiamoci. La crisi più irresponsabile della Storia Repubblicana, consumata con una pandemia devastante e scaricata su un’economia agonizzante, l’ha aperta Matteo Renzi. Se oggi il Paese osserva basito il “sistema” costretto a puntellare un premier dimissionato e a cucinare una maggioranza con gli avanzi delle passate legislature, la responsabilità è del “Demolition Man” di Rignano. Ancora una volta, da bravo Jep Gambardella che tratta la politica come il suo trenino, lui non si accontenta di far nascere i governi, ma vuole avere il potere di farli fallire. Ma ora scaricare sul Rottamatore tutte le colpe, e soprattutto illudersi che rottamando lui la Fenice Giallorossa rinasca più bella e più forte che prima, è solo una patetica impostura. Parlando per ossimori: le accuse del leader di Italia Viva al “doroteismo-autocratico” del presidente del Consiglio e all’ “immobilismo-dinamico” del governo non giustificavano in alcun modo quel bombardamento violento al Quartier Generale, che lui stesso ha abitato per un anno e mezzo. Ma depurando questo Papeete renziano dalla componente narcisistica/autolesionistica, quelle critiche erano e restano tutte fondate.
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 Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Meli Maria_Teresa
Titolo: Intervista a Matteo Renzi – «Ora una coalizione: ruolo centrale al Pd» – «Non ce la faranno senza Italia viva Astenerci? Decideremo Ma è la scelta più saggia»
Tema: crisi di governo
Il premier Giuseppe Conte «senza Italia viva non ce la farà», ma Iui e i suoi «insistono a dirci di no». Così «daranno il Paese a Salvini e il Quirinale ai sovranisti».Matteo Renzi spiega i motivi della rottura con il governo. «Abbiamo chiesto risposte su scuole, vaccini, infrastrutture e lavoro, ma non le abbiamo avute». Esiste ancora una via d’uscita: «Vogliamo che si formi una coalizione con un ruolo fondamentale per il Pd e per i suoi esponenti. I dem sanno bene che senza di noi non ci sono i numeri». Senatore Renzi, lei ora è pronto al confronto. Che è cambiato? «Niente, questo l’ho sempre detto. Da mesi chiediamo un salto di qualità nell’azione del. governo. Serve un sogno per l’Italia, non l’incubo del litigio quotidiano. Serve un progetto, una visione, una strategia. La chiediamo da mesi: se finalmente gli altri ci sono, ci trovano preparati. Basta polemiche, parliamo di sanità, di giovani, di futuro. Torniamo alla politica». Si è pentito di aver rotto con il governo? «Sta scherzando; spero. Noi non abbiamo rotto: abbiamo chiesto risposte su scuole, vaccini, infrastrutture, lavoro. Non le abbiamo avute. Abbiamo parlato in Parlamento, organizzato tavoli di maggioranza, fatto interventi ovunque. Tutte le volte che aprivo bocca mi dicevano: “Ecco l’uomo dei penultimaturn”, chiede e non ottiene, parla solo per cercare visibilità personale». II Pd considera chiusa l’esperienza con Iv. «Se qualcuno nel Pd preferisce Mastella alla Bellanova o Di Battista a Rosato ce lo farà sapere. Noi vogliamo che si formi un governo di coalizione con un ruolo fondamentale per il Pd e per i suoi esponenti. Il Pd sa che senza Italia viva non ci sono i numeri. Forse non sarà più amore, ma almeno è matematica. Se Zingaretti insiste a dire no a Italia viva, finisce col dare il Paese a Salvini. E questo ciò che vuole? Conosco le donne e gli uomini del Pd. Dai gruppi parlamentari alle cucine delle case del popolo nessuno vuole regalare il Quirinale ai sovranisti».  Se Conte ottenesse 161 voti, per lei sarebbe una sconfitta. «Sarebbe un atto di chiarezza. E riconoscerei il successo parlamentare per il premier. Al momento da Palazzo Chigi sono molto attivi sui social dove — lo riconosco — sono degli autentici fuoriclasse, anche usando uno stile che mi fa rabbrividire e inquietare. Le aule parlamentari tuttavia sono fatte di deputati e senatori, non di followers. E raggiungere il quorum della maggioranza assoluta mi sembra difficile. Se in senato Conte avrà 161 voti, rispetteremo il risultato. E da senatore continuerò a sostenere l’Italia sulle cose che condivido e votare contro le cose che non condivido».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Intervista a Goffredo Bettini – «Passaggio in Aula e si torna a lavorare» – «Basta, Malteo inaffidabile Conte dà fastidio a tanti, torniamo subito al lavoro»
Tema: crisi di governo
Goffredo Bettini prova a disegnare possibili scenari futuri per la crisi di governo: «Non so cosa accadrà in Parlamento. Ma lì occorre andare. Per verificare se Conte ottiene la fiducia — sottolinea l’esponente dem —. Se si, la sola cosa politicamente opportuna e moralmente giusta è rimettersi al lavoro per affrontare l’emergenza». E sull’ipotesi di voto anticipato Goffredo Bettini commenta così: «Le urne sono l’ultima, davvero l’ultima, risorsa democratica a cui appellarsi quando non ci sono più speranze». Goffredo Bettini, avete chiuso la porta a Italia viva. Confermate questa decisione anche se l’altro giorno Matteo Renzi ha mandato del segnali di apertura? «E stata Italia viva a uscire dal governo sbattendo la porta, nel modo più irresponsabile e nel momento più sbagliato. Conte qualche giorno fa, dopo il colloquio con il presidente Mattarella, aveva rilanciato la sua disponibilità a discutere con i partiti della maggioranza un patto di fine legislatura e un riassetto dell’esecutivo. Lo spazio di un confronto concreto e sereno era grande. Nel frattempo, infatti, raccogliendo i contributi delle varie forze politiche, la proposta iniziale del Recovery plan era stata notevolmente migliorata. Nonostante ciò, Renzi ha voluto staccare la spina, spingendo ‘Italia in una crisi al buio. Ora manda segnali di apertura? Ma siamo seri: che credibilità possono avere dopo una rottura così grave, accompagnata dalla soddisfazione che egli dimostra anche in queste ore per le difficoltà nelle quali ci ha cacciato? Dispiace davvero, perché in questi mesi molti parlamentari di Iv hanno lavorato bene in un impegno comune. Renzi ha buttato tutto all’aria. Non solo per il suo carattere, ma per un disegno politico di rottura dell’alleanza tra Leu, 5 Stelle e Pd, in odio a Conte e per slabbrare i confini tra la destra e i democratici, pensando così di conquistare un maggiore spazio politico».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Di Matteo Alessandro 
Titolo: Salvini: “Se il premier cade pronti ad andare al governo” Meloni insiste: c’è solo il voto
Tema: crisi di governo, il centrodestra serra i ranghi

Il centrodestra, almeno per ora, serra le file. A Milano, nella sede della Lega, Matteo Salvini riunisce i vertici della coalizione per fissare una trincea in grado di resistere all’offensiva di Giuseppe Conte sui senatori di centrodestra e l’operazione sembra riuscire. Le differenze tra gli alleati vengono messe da parte, almeno per il momento, e al tavolo arriva pure Lorenzo Cesa, il segretario dei centristi dell’Udc che da giorni vengono corteggiati da emissari di palazzo Chigi. Il messaggio che esce dall’incontro è chiaro: l’opposizione tiene, non ci saranno “responsabili” che arrivano da Fi o dai moderati. Certo, ognuno dei leader del centrodestra ha una sua partita in mente, ma le divergenze potranno emergere solo nel momento in cui Conte fosse costretto alle dimissioni e al Quirinale si aprissero le consultazioni. Per ora le differenze sono solo sfumature nelle dichiarazioni. Salvini, per esempio, dice che non solo il centrodestra tiene, ma che è anche pronto ad andare al governo se cadesse Conte. Subito, intende il leader della Lega, senza nemmeno andare al voto: «Gli italiani sappiano che noi numeri ce li abbiamo, noi ci siamo». Salvini si dice certo che in caso di crisi della maggioranza giallo-rossa, l’ala “destra” dei 5 stelle sarebbe pronta a transitare armi e bagagli con il centrodestra. Può essere un bluff, per scoraggiare chi in Fi o tra i centristi dovesse essere tentato dal Conte. Ma Giorgia Meloni fa comunque sapere che lei la pensa diversamente: «Nell’attuale Parlamento non ci sarà mai la possibilità di una maggioranza forte e coesa nelle idee. Non è che aggiungendo altri partiti a quelli che già governano si risolve il problema». Meloni vuole le elezioni e basta, anche perché i sondaggi descrivono rapporti di forza tra Fdi e la Lega ben diversi da quelli che ci sono oggi in Parlamento.
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Testata:  Espresso 
Autore:  Turco Susanna 
Titolo: L’ultimo Conte
Tema: profilo di Giuseppe Conte
Solo negli ultimi incomprensibili diciotto giorni ha provato a vestirsi da lupo, poi da nonna, poi da lupo, poi è tornato il Cappuccetto rosso del Popolo, quello che esordì in politica domandando ai suoi vicepremier «questo posso dirlo?»: sembrando all’ennesimo cambio d’abito, più che un capo di governo, la bambola di pezza con cui si giocava una volta, quella che, a seconda del verso con la quale la si prendesse, capovolgendo la gonna e girando il cappello, diventava un personaggio diverso della favola di Charles Perrault. Il volto come un Giano bifronte: di qua Cappuccetto, di là lupo. Quanto durerà, Giuseppe Conte, anche con questo travestimento? Impossibile a dirsi. Basti pensare che in una delle più moderne versioni della favola, nella versione in versi dello scrittore inglese Roald Dahl, persino la mite Cappuccetto rosso a un certo punto tira fuori la pistola dalle mutande, spara al lupo e se ne fa una pelliccia, per cui chissà. Poco ci aveva sin qui risparmiato, questa folle legislatura: e in quel poco, tra le poche certezze, insieme con l’insostituito ministro Danilo Toninelli – ultima esibizione, i 42 «non ricordo» al processo che vede a Catania imputato Matteo Salvini – c’era il poter considerare Giuseppe Conte come un vanesio marziano, capacissimo al trasformismo, ma tentennante, cavilloso e prudente, incapace alle spregiudicate manovre di autentica cattiveria, se non altro per avvocatesca furbizia. Ecco, anche questa certezza la si è vista cadere, in questi giorni impazziti dove nulla è rimasto come era, intoccato. Giorni in cui una gran parte delle trattative è stata gestita non da una sede di partito ma dal miniappartamento da trentacinque metri quadrati di Goffredo Bettini, specie di segretario ombra per i dem, ma adesso anche tutor di Palazzo Chigi nella selva oscura della politica.
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Autore:  Amabile Flavia 
Titolo: La variante fa paura, stop ai voli dal Brasile Da oggi nuove regole: ok alle seconde case
Tema: Covid

Curva dell’epidemia in lieve aumento mentre cresce la paura per le varianti del virus, l’ultima è stata accertata in Brasile facendo disporre dal ministero della Salute il blocco dei voli che vieta l’ingresso in Italia per chi è transitato da lì nelle ultime due settimane. Entrano in vigore da oggi le nuove restrizioni previste dal dpcm approvato dal governo. La principale novità riguarda la possibilità di trasferirsi nelle seconde case di proprietà o in affitto anche da parte di chi abita in regioni diverse. Dopo ore di dubbi nel tardo pomeriggio palazzo Chigi ha confermato la notizia, l’unico allentamento in un decreto che prevede invece numerose restrizioni che saranno in vigore fino al 5 marzo. Innanzitutto da oggi l’Italia sarà in gran parte arancione: cambiano colore 12 regioni cioè Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria, Valle D’Aosta, Veneto. Resteranno così almeno per due settimane. Rosse sono Sicilia, Lombardia e la provincia autonoma di Bolzano. Gialle per due settimane almeno Campania, Basilicata, Molise, Provincia autonoma di Trento, Sardegna e Toscana. «Le ordinanze sono costruite sulla base di dati oggettivi e indirizzi scientifici — sottolinea il ministro della Salute Roberto Speranza —. Hanno la finalità di contenere il contagio in una fase espansiva dell’epidemia. Per questo rispettarle è decisivo se non si vuol perdere il controllo del contagio».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Foschini Giuliano – Tonacci Fabio 
Titolo: Arcuri a Pfizer No al taglio delle dosi – Arcuri contro Pfizer “No al taglio delle dosi Ci sono vite a rischio”
Tema: Covid
 «Parte della popolazione italiana, nei cui confronti si sta effettuando questa prima fase di vaccinazione, è costituita dalle fasce più deboli, come gli ultraottantenni, di regola accompagnati da una o più patologie. Quindi particolarmente esposti al rischio della vita. E per i quali non è Immaginabile una sospensione o un ritardo nella somministrazione della seconda dose del vaccino». C’è una lettera, partita ieri pomeriggio, da cui dipende un pezzo del futuro prossimo del nostro Paese. Il mittente è il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, Domenico Arcuri. Il destinatario, la multinazionale farmaceutica Pfizer, produttrice del primo vaccino autorizzato contro il Covid. La traduzione molto semplice: dateci le dosi che ci spettano. Perchè se qualcuno morirà in Italia per il taglio delle consegne, la responsabilità sarà unicamente vostra. Nelle ultime 36 ore per la struttura commissariale si è aperta la partita più delicata da quando è cominciata la pandemia. Una partita avviata alle 15.38 di venerdì con la mail di Pfizer che ha annunciato, a sorpresa, la riduzione della fornitura di fiale ai Paesi europei per un periodo indeterminato. All’Italia è stato comunicato un taglio del 29 per cento delle dosi che, si scopre oggi, all’atto pratico non è neanche orizzontale: Pfizer ha deciso unilateralmente di diminuire gli stock in consegna ai 293 punti di somministrazione attivi, col risultato che ad alcune Regioni hanno tolto il 40 per cento delle dosi, ad altre il 25. Il criterio seguito rimane oscuro, l’azienda americana non fornisce spiegazioni. E, soprattutto, a riprova di una guerra fredda in atto con la struttura commissariale, ha intenzionalmente scavalcato Arcuri prendendo contatto direttamente con i centri locali.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cassese Sabino 
Titolo: Il corsivo del giorno – Quando Io Stato conta più delle Regioni – Sull’epidemia lo Stato conta più delle regioni
Tema: Covid

La strada imboccata dallo Stato fin dal marzo scorso è sbagliata. Gli interventi resi necessari dalla pandemia non rientrano tra quelli nei quali Stato e Regioni si spartiscono i compiti, ma tra quelli che spettano esclusivamente al governo, con cui le Regioni debbono collaborare. Il governo ne esce ancor più colpito della piccola regione Valle d’Aosta. Dovra ora reimpostare tutta la sua strategia. Con un anno di ritardo ci accorgiamo che un fenomeno mondiale non può essere fronteggiato dividendosi. Il pluralismo anti-pandemia è una contraddizione in termini. Meglio tardi che mai, possiamo dire. Anche perché questo è un altro segno del nuovo corso, inaugurato lo scorso anno dalla Corte costituzionale, che pare aver riscoperto il coraggio che ebbero i suoi primi componenti. Le sentenze della Corte riguardano leggi che toccano tutti: quindi, è stata giusta l’introduzione, nel febbraio 2020, del diritto di intervenire anche di chi non è parte in causa. La Corte costituzionale non è soltanto un giudice: quindi è stato giusto ricorrere — come ha fatto nei giorni scorsi — al potere di prendere l’iniziativa, sollevando dinanzi a sé stessa una questione di costituzionalità (quella della assegnazione del nome paterno al figlio naturale). Troppe sono le lesioni, elusioni, erosioni delle regole costituzionali perché la Corte possa svolgere la sua funzione di correzione soltanto con le sentenze: quindi è bene che colga altre occasioni per pronunciarsi.
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Economia e finanza

Testata:  Messaggero 
Autore:  Pollio Salimbeni Antonio 
Titolo: Ritardo Recovery, allarme Ue – Bruxelles in allarme sul Recovery italiano «Bisogna accelerare»
Tema: Recovery plan

Accelerare è diventata la parola d’ordine in Europa. Dal via libera ad altri vaccini, quando possibile, alla campagna per usarli a ritmi forzati, al sostegno dei settori economici più colpiti dalla crisi, all’uso dei fondi europei che saranno raccolti prossimamente con la più grande operazione finanziaria targata UE, un prestito obbligazionario comune per 750 miliardi per sovvenzioni e prestiti anti crisi agli Stati. È una parola d’ordine che nel caso delle risorse di Next Generation EU suona più come un serrare le fila per esercitare pressione politica sui governi e rassicurare le opinioni pubbliche: tutti sanno che i primi fondi non potranno essere sborsati ai governi prima di giugno-luglio e, infatti, la stessa presidente della Commissione Ursula von der Leyen l’altro giorno ha indicato: «L’obiettivo è erogarli entro la fine della presidenza portoghese della Ue». Cioè fine giugno. Per l’Italia sono in ballo poco più di 27 miliardi: è la prima “tranche” pari al 13% dei 209 miliardi spettanti, il cosiddetto “pre finanziamento” che sarà dato una volta ottenuto il via libera al piano nazionale di ripresa e resilienza per investimenti e riforme. Pascal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo e ministro irlandese, ha spiegato che «è realmente importante che le risorse Ue comincino a sostenere l’economia entro quest’anno, dobbiamo vedere un impatto nel 2021». Per questo si aspetta che i governi non usino solo le sovvenzioni ma anche i prestiti europei. Gli strumenti Ue a disposizione vanno usati: questo il messaggio. Da Bruxelles e da molte capitali si guarda agli sviluppi e agli avviluppi politici nazionali con crescente preoccupazione e allarme: si teme un lungo periodo di paralisi politica. Ma si teme anche una maggioranza di governo debole e frammentata che metterebbe a rischio l’operazione di Next Generation EU certamente in Italia ma con effetti “sistemici”.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mastrobuoni Tonia 
Titolo: Intervista a Lars Feld – Berlino: crisi sbagliata, ma il vostro Recovery plan ancora non c’è – Lars Feld “Crisi rischiosa Ma Renzi ha ragione a volere i soldi del Mes”
Tema: Recovery plan
Lars Feld è a capo del “Comitato dei saggi” che consiglia regolarmente il governo Merkel. E il professore dell’Istituto Walter Eucken di Friburgo ha un messaggio molto chiaro all’Italia: la crisi va chiusa rapidamente e vanno scongiurate le elezioni anticipate che farebbero vincere la destra. Perché la priorità è che l’Italia riprenda in mano il Recovery Plan e lo migliori decisamente: «Contiene pochi investimenti nel futuro e troppi investimenti in settori in perdita». Secondo l’economista tedesco, Matteo Renzi ha «esagerato» a provocare la crisi di governo, ma ha ragione su un punto: I fondi per la sanità del Mes vanno chiesti. Il capo dei “saggi” di Merkel avverte infine che la Bce «non può occuparsi dei giochini politici» dell’Italia: c’è il rischio che i falchi rialzino la testa». Professore, lei pensa che la crisi politica stile danneggiando l’immagine dell’Italia in Germania? Un commento della Faz parla addirittura dl “miseria Italiana”. «La Germania è abbastanza alle prese con se stessa in questo momento: con il virus e la strategia per i vaccini. Ma sento già dire cose come “persino adesso che l’Italia riceve i soldi dalla Ue, continua a fare i suoi giochini politici”». Ma lei cosa pensa del Recovery Plan, così criticato dal governo? «Stiamo ancora aspettando il documento del governo, insomma l’ho visto solo in parte. Ma ho l’impressione che contenga pochi investimenti nel futuro e troppi investimenti in settori in perdita».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Voltattorni Claudia 
Titolo: Gentiloni: non si può avere una spesa pubblica senza limiti
Tema: Recovery plan
Chiede «equilibrio». Perché non ci può essere «una spesa pubblica senza limiti», che non significa «tornare all’austerità», piuttosto «evitare di confondere il messaggio di reagire, sostenere l’economia, evitare la recessione, fare debito buono» e quindi «avere una finanza pubblica senza limiti: guai a dimenticare che un Paese come l’Italia ha un livello di debito che nei prossimi anni e forse decenni dovrà essere una questione all’attenzione di chi governa». Non è un avvertimento, quello di Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia intervenuto ieri in un dibattito online organizzato dalla rivista Internazionale per il suo Festival in corso a Ferrara; ma ci si avvicina molto, anche quando dice che la Commissione «si augura sempre di avere interlocutori stabili e governi che condividono e si impegnano nelle comuni sfide europeiste». Mentre parla, l’ex premier si dice «convinto della piena consapevolezza del governo e del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ma questa — al di là del Recovery — è anche una delle sfide fondamentali per i nostri Paesi e in particolare per i Paesi che hanno un più alto tasso di debito». E sottolinea più volte che «dire che va conservata una politica di sostegno ed espansiva, non significa accettare l’idea che, siccome i tassi d’interesse sono bassi, siccome la Bce continua i suoi programmi straordinari, siccome non ci sono particolari segnali allarmanti di spread o di agenzie di rating, possiamo avere una finanza pubblica senza limiti».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pogliotti Giorgio – Rogari Marco 
Titolo: Dalle pensioni alla Cig 4 miliardi aggiuntivi – Al welfare soccorso da 4 miliardi Cig, proroga light per l’industria
Tema: welfare

Per la proroga della cassa Covid spunta l’ipotesi di un doppio regime: altre 18 settimane per le piccole imprese di terziario e artigianato, che scenderebbero a 4 settimane per industria ed edilizia. I licenziamenti resterebbero vietati durante il periodo d’utilizzo della Cig per l’emergenza. È questa una delle principali opzioni allo studio del governo per la definizione del decreto Ristori 5, che, tra l’altro, garantirà un “soccorso” di cassa di 4 miliardi all’Inps per coprire la crescita delle integrazioni al reddito e delle prestazioni previdenziali nel 2021. La diversa modulazione della proroga nel Dl Ristori 5, dunque, modificherebbe lo schema tracciato dal governo in occasione della legge di Bilancio 2021, quando è stato prolungato il blocco dei licenziamenti, con la garanzia che la cassa Covid sarebbe stata prorogata per tutti per 12 settimane a titolo gratuito: sia per le imprese (in primis industria ed edilizia) che continuano a versare i contributi per la cassa ordinaria e straordinaria senza peraltro utilizzarla (quasi il 99% delle ore di cassa autorizzate sono per cassa Covid), sia per quelle (soprattutto del terziario) su cui non grava invece la contribuzione. I tecnici del governo stanno facendo i conti, considerando che il “tiraggio”, ovvero l’utilizzo effettivo della cassa integrazione lo scorso anno, oscillava intorno al 41% delle ore autorizzate dall’Inps. Verrebbe comunque confermata la deroga al blocco dei licenziamenti per tre casi: fallimento, cessazione dell’attività, accordo aziendale con i sindacati per gli esodi incentivati. Nel governo, tuttavia, vi sono diverse sensibilità.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Sacrestano Alessandro 
Titolo: Piano Sud a caccia di misure più stabili
Tema: welfare e Sud
 Il Piano di Sviluppo per il Mezzogiorno continua ad essere un nodo centrale delle politiche di crescita del territorio, cui i Governi degli ultimi decenni si sono dedicati con apprezzabile zelo ed entusiasmo, ma che sembra lasci sempre qualcosa di incompiuto. Guardando indietro all’ultimo ventennio, le leve di crescita studiate per il rilancio gravitano intorno ad una serie di misure, tutte apprezzate, la cui efficacia/efficienza però si scontra con la decisione, meno apprezzata, di legare ciascun intervento alle mutevoli esigenze con cui il legislatore deve confrontarsi, anno dopo anno. Questa decisione provoca incertezza. Insomma, il ritardo atavico del territorio necessita meno di interventi variabili nel corso del tempo e più di un apparato strutturale, slegato da interventi di adeguamento, attuazione o rifinanziamento da attendere. Ne è un esempio il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, la cui più recente formulazione va ricondotta all’articolo 1, commi da 98 a 108, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Eppure, sebbene con qualche variante che ne ha affinato i meccanismi di applicazione, lo strumento è operativo sin dall’inizio del millennio (articolo 8 della legge 388/00). La validità dello strumento è indiscussa. Supportare con un credito d’imposta lo sforzo delle economie del Mezzogiorno di implementare nuovi investimenti è certamente un ottimo volano per consentire loro di colmare il gap con il residuo tessuto imprenditoriale del territorio. Se così è, però, non si capisce perché tale strumento non sia reso strutturale, in modo da garantirne la fruibilità per un lungo periodo a chiunque decida di realizzare un percorso di sviluppo in tali aree.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bellinazzo Marco 
Titolo: Diritti Tv, a rischio nella serie A ricavi esteri per 300 milioni
Tema: industria del calcio
La serie A si gioca tutto o quasi in poche settimane. Il ciclo di vendite dei diritti tv per il triennio 2021-2024 si interseca infatti con la partnership da siglare con i fondi di investimento che hanno messo sul piatto 1,7 miliardi per il 10% della media company destinata (si spera) a rivoluzionare il settore e massimizzare i ricavi media dei club tricolori. Il 26 gennaio scade il termine per presentare le offerte per i diritti tv domestici da cui si attendono 1,15 miliardi di ricavi annui (con il rebus di Amazon), mentre il giorno prima è atteso il voto finale sull’alleanza (di cui si stanno limando le condizioni) con Cvc, Advent e Fsi. I club, con uno scenario stagionale di riduzione dei proventi da stadio e sponsor di almeno mezzo miliardo per effetto della pandemia, hanno urgenza di liquidità far fronte a ingaggi e oneri finanziari. Nell’asta per le trasmissioni all’estero del campionato tricolore appena lanciata i primi risultati però evidenziano il rischio di perdere rispetto al ciclo triennale precedente un centinaio di milioni all’anno. Attualmente la Lega incassa 371 milioni a stagione. Dall’apertura delle buste avvenuta giovedì scorso sono emerse in effetti queste indicazioni (e pensare che gli stessi fondi puntano soprattutto sulla valorizzazione dei diritti esteri della Serie A). Se complessivamente le prospettive per ora non sono rosee, tuttavia ci sono anche buone tracce di lavoro per le trattative private che l’ad della Lega Luigi De Siervo dovrà d’ora in avanti condurre per incastrare geograficamente le varie offerte nella maniera più redditizia. Sul tavolo ce ne sono 14 presentate da intermediari e 35 da broadcaster.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  De Biase Luca 
Titolo: Intervista a Paola Pisano – Pisano «Digitale, continuità per la svolta» – «Una digitalizzazione di lungo periodo»
Tema: digitalizzazione

ìIn ogni caso, il NextGenerationEU, è destinato ad avere conseguenze di lunga durata. Può essere l’occasione per modernizzare Paesi europei che imparano a investire in una direzione comune, per alimentare le loro economie, accelerare l’innovazione, guidarla verso un modello di sviluppo strategicamente eumanamente sostenibile. Oppure, per i Paesi meno avvertiti, può essere l’occasione persa che li condannerà a restare indietro per molto, molto tempo. Uno degli assi portanti del piano è la digitalizzazione. Un argomento sul quale l’Italia parte da una condizione che è difficile peggiorare. Benché le medie, in Italia, nascondano sempre grandissima varianza, la condizione del digitale in Italia resta molto arretrata. Il Digital Economy and Society Index (Desi), che raccoglie i dati sullo stato di avanzamento della digitalizzazione nei Paesi europei, segnala che l’Italia è complessivamente quart’ultima nell’Europa dei 27, che negli ultimi cinque anni è migliorata soprattutto per quanto riguarda la connessione in banda larga e l’uso di servizi digitali della pubblica amministrazione, mentre rimane indietro dal punto di vista del sistema produttivo e resta tristemente ultima quanto a”capitale umano”: le abilità digitali di base della popolazione italiana sono le peggiori d’Europa e la disponibilità di personale specializzato è la peggiore. Il compito prioritario della squadra messa in campo dalla ministra Pisano è quello di contribuire a definire innanzitutto la destinazione dei circa 11 miliardi assegnati dal piano alla digitalizzazione e modernizzazione della pubblica amministrazione. «Abbiamo preparato, con Funzione Pubblica, oltre 100 pagine di schede da inviare alla Commissione per spiegare tutti i dettagli dei singoli progetti, con i costi, i tempi complessivi, le tappe intermedie e il monitoraggio dei risultati».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine 
Titolo: Export, fiere e innovazione: decreti al palo, aiuti bloccati – Eiport, fiere e innovazione: i decreti attuativi fermi al palo
Tema: decreti attuativi
Nella Gazzetta Ufficiale non sono mai approdati i provvedimenti per far decollare gli incentivi alla capitalizzazione delle Pmi, per 80 milioni fino al 2024, previsti dal decreto crescita dell’aprile 2019. E ancora, la legge approvata nel 2017, che doveva sbloccare il livello di concorrenza di diversi settori economici, ha visto dissolversi 6 provvedimenti attuativi su 13, dimenticati, assorbiti o superati da norme successive. Sono solo due esempi, di una lista purtroppo lunga, di interventi legislativi che si arenano per la mancanza dei decreti necessari per renderli pienamente operativi. Tra i provvedimenti fermi al palo il credito di imposta per i poli espositivi, le regole del Dl liquidità sulle garanzie Sace, i contributi per la moda, gli incentivi perl e start up.  È ancora impantanato, poi, il credito d’imposta per le fiere, tassello importante delle politiche per l’export. Una norma poco fortunata, prima modificata per ampliarla alle fiere di carattere internazionale che si svolgono in Italia poidi nuovo per incrementare la dote di 30 milioni ma vincolando i nuovi fondi alle grandi imprese partecipanti e agli operatori fieristici colpiti dall’annullamento o dalla mancata partecipazione alle manifestazioni a causa dell’emergenza Covid. Nella sovrapposizione di articoli di legge si è fermato l’originario decreto attuativo Mise (ministero dello Sviluppo economico)-Mef (ministero dell’Economia). Le fiere, insieme ai congressi, attendono anche l’erogazione del fondo da 350 milioni del decreto Ristori.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bufacchi Isabella 
Titolo: Germania, Laschet nuovo leader Cdu – Laschet nuovo leader della Cdu Vince la continuità con Merkel
Tema: Cdu, arriva l’erede della Merkel
 «Sapete chi sono io»: Armin Laschet ha fatto suo questo slogan noto di Angela Merkel, ieri, nel suo discorso da candidato alla guida della Cdu, forse per fugare fino all’ultimo dubbio sulla sua posizione perfettamente allineata alle politiche della cancelliera. E così è andata: il nuovo presidente dell’Unione cristiano-democratica è stato eletto, di misura, al congresso digitale del primo partito in Germania nel segno soprattutto della continuità. Nel segno della Merkel. In piena pandemia, e guardando con preoccupazione a un futuro ancora molto incerto e una ripresa economica tutta da costruirsi, 521 delegati sui 991 votanti (52,5 %) al ballottaggio hanno preferito andare sul sicuro. Quel «sapete chi sono io» calza anche per Laschet, entrato nella Cdu (la Christlich Demokratische Union) all’età di 18 anni, attuale ministro presidente della Renania Settentrionale-Vestfalia, il Land più popoloso (18 milioni di abitanti), e dunque volto arcinoto nel partito e in Germania, anche se non altrettanto conosciuto all’estero. Il discorso di Laschet è stato il migliore, rispetto a quelli degli altri due pretendenti Friedrich Merz (il candidato della discontinuità) e Norbert Röttgen (il candidato senza lobby). E questo a parità di contenuti avendo i tre presentato programmi e obiettivi comuni, pro-Europa, pro-Alleanza transatlantica, pro-digitalizzazione, pro-ambiente, pro-economia con ecologia, pro-sburocratizzazione. Laschet è stato tuttavia considerato il più credibile, il più caldo, il più rassicurante, con una retorica e una gestualità sapientemente adattate alla comunicazione per la prima volta digitale nel congresso di un partito in Germania.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Valentino Paolo 
Titolo: Laschet erede di Merkel «Scelta di continuità» – Il figlio del minatore che parla al popolo Sarà Armin Laschet l’erede di Merkel
Tema: Cdu, arriva l’erede della Merkel

II premier del Nord Reno-Vestfalia è stato eletto ieri mattina presidente della Cdu, sconfiggendo al ballottaggio il campione dell’ala conservatrice Friedrich Merz. L’Unione cristianodemocratica ha scelto la linea della continuità centrista con la cancelliera, che dopo 16 anni lascerà il suo incarico nel prossimo autunno. Laschet ha avuto 521 voti contro i 466 del suo rivale, scarto che fotografa un partito diviso e incerto. II terzo contendente, Norbert Röttgen, era stato eliminato alla prima votazione e il contributo dei suoi sostenitori è stato decisivo per la vittoria del renano. L’elezione alla guida della Cdu pone Laschet in pole position per la nomina a candidato cancelliere del campo moderato nelle elezioni di settembre, ma la strada che porta alla decisione, prevista dopo Pasqua, è ancora lunga e potrebbe riservare sorprese. Nel discorso di accettarlone, il neopresidente ha promesso che farà di tutto affinché il prossimo cancelliere venga dalle file dell’Unione. Ma perché sia lui il prescelto, Laschet dovrà tuttavia superare alcuni ostacoli decisivi. In primo luogo, ricompattare e motivare il partito tendendo la mano agli sconfitti: «Avremo tutti contro: Verdi, Spd e Linke. E da destra l’Afd sarà sempre più aggressiva. Per questo dobbiamo agire insieme», ha detto mostrandosene consapevole. Ma dovrà anche vincere le elezioni regionali di marzo in Baden-Württemberg e Renania-Palatinato, oggi guidate rispettivamente da Verdi e socialdemocratici. Ancora più importante, Laschet dovrà vedersela con le ambizioni del premier della Baviera e leader della gemella Csu, Markus Söder, secondo solo ad Angela Merkel nelle preferenze dei tedeschi.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  T.Ma. 
Titolo: Laschet leader La Cdu sceglie la continuità con l’era Merkel
Tema: Cdu, arriva l’erede della Merkel
La balena bianca tedesca non ama le sterzate violente, ama la prevedibilità. Laschet ha vinto mettendosi nella traiettoria di Angela Merkel, promettendo di essere «il capitano di una squadra e non un amministratore delegato», di tenere la barra dritta al centro senza andare dietro alle sirene del populismo di destra. E che non abbia carisma, che si fatichi a riconoscere in lui la statura del cancelliere, non conta. Anzitutto, come ci disse lo scrittore Thomas Brussig, perché la Germania ha avuto un carismatico di troppo. Poi, perché la nomea da eterna sottovalutata giovò una ventina d’anni fa anche ad una certa Angela Merkel. «Polarizzare è facile». Laschet ha punto ieri il suo rivale sul vivo: Friedrich Merz aveva promesso di riorientare la Cdu a destra, a caccia dei voti ceduti all’Afd. Laschet, noto per avere ampliato la base del partito nel land che governa, il Nordreno-Westfalia, ha sottolineato che il compito della Cdu è cementare la sua rappresentanza in ogni strato della società: «Deve includere».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Filippetti Simone – Longo Morya 
Titolo: City, i banchieri fanno le valigie Londra ora teme il declino – City, via i banchieri: Londra ora teme un futuro di declino
Tema: Brexit
Il 24 dicembre, a poche ore dal Natale, la Gran Bretagna ha scartato un inaspettato regalo, nonostante la batosta del covid: l’agognato accordo sulla Brexit. La “pace” tra Londra e Bruxelles è stata sbandierata in pompa magna. Ma il 4 gennaio, quando la Borsa di Londra ha riaperto i battenti, la City di Londra si è risvegliata in un universo parallelo: lì non c’è stato nessun deal. A Canary Wharf, il quartier generale di tutte le banche, il cuore della finanza della città, è scattata invece la Hard Brexit. Per la grande macchina della finanza, dal 1° gennaio, un muro si è alzato tra Londra e la Ue. E la finanza è una macchina da soldi per i sudditi della Regina: è l’industria più importante del paese, vale da sola l’80% del Pil. La deregulation inaugurata da Margareth Tatcher ha fatto di Londra, in 30 anni, la capitale europea della finanza, con 2600 miliardi di sterline movimentate ogni anno. Con un’anomalia, però: Londra è una solo grande export factory, uno stabilimento di prodotti finanziari da vendere all’estero, soprattutto in UE. Londra e Bruxelles vivono dunque in simbiosi. La Ue ha attinto a piene mani dai servizi finanziari Uk. Ma senza la Ue che compra, l’industria Uk della finanza, motore economico di tutto il paese, rischia di ingolfarsi.Il primo assaggio della Hard Brexit nella City, lo hanno avuto i trader: un mare di scambi in euro è traslocato, all’improvviso, da Londra al continente. Quel giorno la piattaforma Cboe ha visto traslocare il 90% degli scambi sulle azioni in euro (non quelle in sterline), la rivale Aquis ha visto andare Oltremanica il 100%delle transazioni sui titoli in euro. Nessun dato è stato invece fornito da Turquoise, piattaforma del gruppo London Stock Exchange. II motivo di questo trasloco è legato proprio al fatto che sui servizi finanziari Unione europea e Gran Bretagna non hanno trovato alcun accordo: se prima era dunque possibile scambiare azioni europee sulle piattaforme alternative di Londra, dato che non esiste più l’obbligo di concentrazione degli scambi, ora – in assenza di un accordo – non si può più.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Morino Marco 
Titolo: Bloccati sui camion i prodotti italiani dell’agroalimentare
Tema: Brexit
Siamo già alla rinuncia del viaggio, dopo sole due settimane dal ripristino dei controlli e delle formalità doganali tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea. L’uscita del Regno Unito dalla Ue frena l’autotrasporto merci e mette a rischio l’export di intere filiere industriali italiane, a partire dall’agroalimentare, fino all’automotive e alla componentistica. A risultare penalizzati sono soprattutto i prodotti ortofrutticoli, che richiedono tempi di consegna molto rapidi. «È difficile fare dogana», ammettono gli autotrasportatori. Le nuove procedure imposte dalla piena applicazione della Brexit, in vigore dal 1° gennaio 2021, stanno aumentando in modo significativo il costo del trasporto stradale da e per la Gran Bretagna. Dice Andrea Manfron (Fai-Conftrasporto): «Secondo le prime stime, il costo al chilometro, a fronte di una media precedente che oscillava tra 1,5 e 3 euro per un viaggio spot, di fatto è già raddoppiato». Incalza Antonio Laghezza, imprenditore spezzino della logistica e presidente di Confetra Liguria: «Un camion costa in relazione a quanto sta in moto. Più il tempo passa e più costa. E con la Brexit i tempi di trasporto si sono allungati di molto. Certi settori, penso all’alimentare, non sopportano un allungamento nelle tempistiche. Il problema, per il made in Italy diretto in Gran Bretagna, è evidente». Non c’è solo un allarme da parte degli operatori della logistica sui costi del trasporto, ma anche su adempimenti e verifiche doganali, che rallentano i flussi di merci in entrata e in uscita dal mercato britannico e creano difficoltà rispetto al passato.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Degli Innocenti Nicol 
Titolo: I trasportatori: merci ferme e i costi raddoppiano – Brexit, le procedure alla dogana sono una tassa sugli scambi
Tema: Brexit
L’accordo per tutelare il mercato unico prevede una lunga serie di controlli (anche sull’origine dei prodotti) che per le imprese diventano nuove barriere. La Brexit politica e ideologica è finita con l’uscita definitiva della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Dal primo gennaio è iniziata la Brexit pratica e concreta, la Brexit delle piccole cose, che tutti i giorni tocca la vita dei cittadini e delle imprese. Molti dei suoi effetti sono mascherati o rinviati dalle misure restrittive imposte per contenere la pandemia di coronavirus, che limitano gli spostamenti e rallentano l’economia. Inoltre, anche se la pausa natalizia è finita, gli scambi commerciali sono ancora ridotti perchè molte imprese avevano accumulato scorte per evitare problemi in vista del primo gennaio. La vita non è ancora tornata alla normalità, eppure molti problemi si sono già manifestati, sia per singoli i cittadini che per le imprese grandi e piccole. La buongustaia europea abituata a ordinare online il famoso tè e biscotti di Fortnume Mason ha scoperto che il celebre negozio londinese ha sospeso tutte le consegne verso Paesi Ue. Le imprese sapevano che sarebbero arrivate nuove regole, ma non sapevano quali (il settore automobilistico, ad esempio, ha scoperto con sollievo a fine dicembre di avere ottenuto una deroga temporanea per le batterie che vengono importate dall’Asia, che consente l’export di auto verso la Ue senza tariffe fino al 2027). Il settore più colpito è stato la pesca, che dipende dalla rapidità dei trasporti. Le consegne di pesce scozzese in Europa sono state sospese la settimana scorsa. La decisione è stata presa dopo i ritardi al confine causati dalle nuove procedure e dopo che, di conseguenza, camionate di pesce e crostacei non sono mai arrivate a destinazione, o sono state respinte perchè non più fresche. Le associazioni di settore sono in rivolta e Johnson ha promesso aiuti, ma senza dare dettagli. Il premier conservatore preferisce sottolineare gli aspetti positivi, come il fatto che a Dover sono sparite le code di camion lunghe chilometri. La realtà però è che molti camion vengono bloccati prima di arrivare sulla Manica se non hanno le carte in regola. È nato un nuovo confine interno in Inghilterra all’ingresso nella contea del Kent, dove sono stati creati enormi parcheggi per evitare code troppo visibili a Dover.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nizza Sharon 
Titolo: Netanyahu punta al voto degli arabi per vincere ancora
Tema: Istraele
Nella quarta campagna elettorale in meno di due anni, Benjamin Netanyahu estrae un nuovo coniglio dal cappello: la caccia al voto arabo. Dismesso lo slogan “0 Bibi oTibi” (Ahmad Tibi è un parlamentare arabo-israeliano di lungo corso), scusatosi per quando dichiarava «il governo della destra è in pericolo, gli arabi accorrono in massa alle urne»; archiviati gli attacchi a chi in passato ha valutato un appoggio esterno della Lista Araba Unita (LAU), il premier in carica ora apre una nuova stagione nei rapporti tra la destra e l’elettorato arabo, che rappresenta il 21% della popolazione israeliana. E lo fa da Nazareth, la più grande città araba del Paese, dove mercoledì, in una conferenza stampa congiunta con l’influente sindaco Ali Salam, ha invocato «l’inizio di una nuova era di fratellanza, prosperità e sicurezza». Se ebrei e arabi cantano ora insieme per le strade di Dubai, perché non può accadere qui, ha domandato il premier, sostenuto dal sindaco che l’ha elogiato perché «quello che hai fatto tu per gli arabi, non l’ha mai fatto nessuno prima». Le sorprendenti dichiarazioni avvenivano mentre fuori un centinaio di manifestanti, tra cui i parlamentari arabi, protestavano vigorosamente per la presenza di Netanyahu in città e per «l’ipocrisia di un premier mosso soltanto dall’interesse per l’immunità». Non da Covid, ma quella giudiziaria. Alle legislative del 23 marzo, infatti, dopo 11 anni consecutivi al governo, Netanyahu si gioca il proprio futuro politico. Con il processo a suo carico che entra a breve nella fase dibattimentale – tre sedute a settimana – e con sempre più avversari che «tutto tranne Bibi», guarda a ogni possibile alleato.
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