In evidenza sui principali quotidiani:
– CSM: “primo magistrato” d’Italia Pietro Curzio; Vice, Margherita Cassano;
– Tenuta del Governo: dopo autostrade, nomine in Commissione e Legge elettorale;
– Autostrade: il controllo di Aspi passa a Cdp e fondi;
– Recovery Fund e Bilancio a lungo termine Ue: vertice a Bruxelles venerdì e sabato;
– Usa e Cina: sanzioni di Trump per Hong Kong;
– New York Times: si dimette la giornalista Bari Weiss.
PRIMO PIANO
Politica interna
Testata: Sole 24 Ore
Autore: Negri Giovanni
Titolo: Nuovo corso in Cassazione Arrivano Curzio e Cassano
Tema: CSM
La voglia di lasciarsi alle spalle una delle stagioni più buie della storia della magistratura traspare evidente nella pressoché unanime (sola eccezione, l’astensione del laico indicato dalla Lega Stefano Cavanna) quota di consensi che ha condotto ieri il Csm a eleggere i nuovi vertici della Cassazione. Lascia infatti per raggiunti limiti di età l’attuale presidente Giovanni Mammone e a sostituirlo nella carica di “primo magistrato” d’Italia sale Pietro Curzio, sinora presidente di Sezione nella stessa Suprema Corte; lo affiancherà come aggiunto, ed è la prima volta per una donna, la presidente della Corte d’appello di Firenze, Margherita Cassano. Doppio plenum dunque ieri mattina; il primo al Quirinale e presieduto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, a volere rimarcare la solennità del passaggio. È qui che la proposta unanime della quinta commissione che ha visto convergere tutti i componenti sul tandem Curzio-Cassano viene ratificata. Al Colle si vota per Curzio e subito dopo a Palazzo dei Marescialli per Cassano. Curzio, vicino a Magistratura Democratica come il procuratore generale Giovanni Salvi, entrambi pugliesi, viene presentato da una breve relazione del laico in quota Forza Italia Michele Cerabona. Dove anche questo momento appare poi a suo modo simbolico, visto che, davanti a un attento Mattarella, a illustrare il curriculum di Curzio, che in altre stagioni sarebbe stato definito una “toga rossa”, è colui che in processi non dei più banali (quello sulla compravendita dei senatori, per esempio) è stato avvocato di Silvio Berlusconi.
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Testata: Messaggero
Autore: Allegri Michela
Titolo: Intervista a Margherita Cassano – «Io prima presidente aggiunto ma non dovrebbe fare notizia»
Tema: CSM
Il presidente aggiunto della Suprema Corte è Margherita Cassano, 64 anni, al vertice della Corte di Appello di Firenze, in magistratura dal 1980, che riceve parole di apprezzamento dai colleghi e anche da decine di avvocati. E’ la prima volta che una donna magistrato arriva così in alto. «Non dovrebbe nemmeno fare notizia la nomina di una donna», commenta lei, forse consapevole che tra tre anni, quando Curzio andrà in pensione, potrebbe prendere il suo posto. Il presidente Mattarella ha insistito sulla necessità di rinnovamento nel Csm e nella magistratura. Il riferimento è al periodo difficile attraversato dalla categoria, dopo l’inchiesta sul pm di Roma, Luca Palamara, che come un terremoto ha travolto Palazzo dei Marescialli e anche la stessa Cassazione. Cosa pensa? «Condivido pienamente le parole del Capo dello Stato, sono convinta che la stragrande maggioranza dei magistrati svolga con impegno, passione e serietà un lavoro in cui crede profondamente. Le parole del presidente della Repubblica sono uno stimolo per impegnarsi, per rendere davvero giustizia ai cittadini, che poi è quello che la magistratura deve fare in tutti i processi, da quelli più importanti a quelli apparentemente minori». La categoria deve ancora riconquistare la fiducia dei cittadini, incrinata dagli scandali? «Sicuramente la nostra immagine adesso è appannata, ma la migliore risposta è dimostrare con il lavoro la fedeltà ai doveri costituzionali. Per quanto riguarda l’inchiesta, mi auguro che i fatti vengano accertati nelle sedi competenti e penso che possa esprimere un giudizio solo chi ha studiato a fondo le carte processuali».
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Testata: Foglio
Autore: Antonucci Ermes
Titolo: Armistizio tra le correnti del Csm: Curzio presidente di Cassazione
Tema: CSM
Pietro Curzio è il nuovo primo presidente della Corte di Cassazione. Curzio, 67 anni, esperto di Diritto del lavoro e attuale presidente della Sesta sezione civile della Suprema Corte, è stato nominato dal plenum del Consiglio superiore della magistratura, in una seduta straordinaria presieduta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Curzio prenderà il posto di Giovanni Mammone e sarà anche membro di diritto del Csm. La nomina era stata proposta all’unanimità dalla Commissione incarichi direttivi del Csm. Per una volta, infatti, le varie correnti della magistratura si sono mostrate unite di fronte a una scelta cosi importante, complici probabilmente anche le forti preoccupazioni espresse di recente dal presidente Mattarella di fronte alle “gravi e vaste distorsioni” emerse dall’inchiesta di Perugia sul “caso Palamara” e le cosiddette nomine pilotate. “La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia – la cui rilevanza va valutata nelle sedi proprie previste dalla legge – sembra presentare l’immagine di una magistratura china su stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi”, aveva affermato duramente Mattarella, prima di richiamare le toghe alla responsabilità: “Sono certo che queste logiche non appartengono alla magistratura nel suo insieme, che rappresenta un ordine impegnato nella quotidiana elaborazione della risposta di giustizia rispetto a una do- manda che diventa sempre più pressante e complessa”.
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Testata: Repubblica
Autore: Cuzzocrea Annalisa
Titolo: Intervista ad Alfonso Bonafede – Bonafede “Il governo ora è più compatto Non servono rimpasti”
Tema: Tenuta del Governo
Conte parla di un governo compatto, ma si sono registrate molte tensioni soprattutto negli ultimi giorni con la ministra Paola De Michell il cui lavoro era sembrato sconfessato. Ce la fate ad andare avanti o ha ragione chi dice che serve un cambio di squadra? «Quando gli italiani sentono questo tipo di discorsi pensano che la politica viva su Marte. Dobbiamo parlare delle cose che si fanno». II problema sono proprio i rinvii, le cose che non si fanno. «Questo non è vero. L’idea di un governo che non prende decisioni è costruita ad arte ed è falsa. Anzi, questa maggioranza e questo governo hanno saputo prendere decisioni molto difficili in un momento delicatissimo come la crisi dovuta al Coronavirus, facendolo prima di altri Paesi. In realtà, vedo una compattezza su cui all’inizio di questa esperienza non avremmo confidato». Slate distanti su Mes, decreti sicurezza, non siete riusciti a nominare I nuovi presidenti di commIssione al Senato. «È normale che si parta da posizioni differenti e che ci siano divergenze, ma siamo compatti nel trovare sempre una sintesi, che non è mai un compromesso al ribasso.’. Considera Impossibile un rimpasto a ridosso delle regionali per tentare di blindare il premier? A Montecitorio ne parlano in molti. «Nell’interesse del cittadini dobbiamo solo pensare a lavorare». Non siete riusciti a fare un’Intesa alle regionali, come auspicato da Conte, tranne la Liguria. «Io dico che il passo avanti importante è stato già fatto nel momento in cui su tutti i territori ci si è aperti al confronto».
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Testata: Giornale
Autore: Minzolini Augusto
Titolo: Il retroscena – Conte ha la data di scadenza «A ottobre cambierà tutto»
Tema: Tenuta del Governo
A Palazzo Chigi si favoleggia dell’ultimo sondaggio commissionato ad una società svizzera, che assegnerebbe ad un eventuale partito di Giuseppe Conte il 24%. Un dato che fa brillare gli occhi alla tessera numero 2 del futuribile soggetto politico, Gianfranco Rotondi, ex-dc, per anni alla corte del Cav, che già sogna: «Si potrebbe fare un partito di centro plurale». La tessera numero 1, cioè il personaggio che dovrebbe stare al partito dei «contiani» come Carlo De Benedetti al Pd, l’altro ex-dc Bruno Tabacci, è, invece, più concreto: «Per ora accontentiamoci del fatto che nessuno parla più di crisi di governo». E quello che preme a Conte, tutto concentrato nel gioco in difesa: il premier, infatti, utilizza stati d’emergenza, sondaggi, rinvii e, qualche rara decisione, solo per allontanare l’incubo dello sfratto. Un’ipotesi che Federico D’Incà, impagabile ministro per i rapporti con il Parlamento, esorcizza come può. «C’è chi parla di crisi a settembre ma solo perché siete abituati a raccontare sempre allo stesso modo un Paese che, invece, sta cambiando: ora è Conte ad andare dalla Merkel, non Macron; ci accusavano di essere un Paese poco digitalizzato e, invece, avete visto con lo smart working dite che siamo a -11,2% nel Pil, in realtà siamo a -9% e la produzione industriale sta salendo». Fin qui il «mondo davanti», quello di Palazzo Chigi. Poi c’è un altro mondo, «il mondo di dietro», che scommette su un altro governo in autunno. In questi Palazzi che guardano all’economia e all’Europa gatta ci cova.
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Testata: Repubblica
Autore: Tito Claudio
Titolo: Il commento – La maggioranza naviga a vista
Tema: Partiti
Questo governo sembra vestire perennemente i panni del “meccanico”. Aggiusta i guasti che si presentano di volta in volta, mette un pezzo di ricambio già usato per andare più avanti. Ma non è mai una “fabbrica” di idee o almeno di novità. Conte si accontenta di questo. Anzi, lo ha elevato a sistema. Ne accetta la condizione di permanente precarietà. Senza una reale spinta propulsiva. Si spaccia così per rivoluzionario ogni semplice “tagliando” al motore. Persino se tardivo. La causa è da rintracciare anche nella circostanza che la coalizione giallorossa non è (almeno per ora) una alleanza elettorale e quindi agisce all’interno del governo con obiettivi e ambizioni separate. Non è animata da speranze comuni. II Movimento 5 Stelle si affanna a frenare la sua caduta rispolverando vecchie e ormai incomprensibili parole d’ordine. I suoi capi vedono nel premier il primo nemico. Non per quello che fa a Palazzo Chigi ma perché avvertono che sta svuotando il bacino grillino a suo favore. Di Maio è stato esplicito a questo proposito notando come abbia prima brandito il vessillo della revoca e poi l’abbia sotterrato costringendo il Movimento ad una capriola. Il Pd invece si mostra come il “capo-meccanico”: si agita per piazzare una pezza qua e là, per ricondurre nell’alveo del realismo le uscite estemporanee dei pentastellati. Proprio come è accaduto con Autostrade. Nello stesso tempo ha rinunciato a “fabbricare” visioni e prospettive. In questo anno non c’è stato un punto, un provvedimento, un caposaldo irrinunciabile su cui i Democratici si siano fatti valere.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Patta Emilia
Titolo: Mes e commissioni, la maggioranza che non c’è
Tema: Legge elettorale
Proprio nelle stesse ore saltava l’accordo nella maggioranza per le presidenze delle commissioni da rinnovare, e il voto previsto per ieri è slittato a data da destinarsi. Se sui “numeri” l’accordo non è messo in discussione da nessuno (7 presidenti al M5s sia alla Camera sia al Senato , 5 al Pd alla Camera e 4 al Senato, due Iv sia alla Camera sia al Senato, una a Leu al Senato), la trattativa si è incagliata sulle caselle: i renziani non vogliono rinunciare a una presidenza di peso come la Lavoro a Palazzo Madama e il M5s da parte sua non vuole mollare. Il voto sul Mes, in fondo, è anche un avvertimento da parte di Italia Viva. Sullo sfondo il nodo politico per eccellenza, la legge elettorale. Il Pd, con il segretario Nicola Zingaretti e il suo vice Andrea Orlando, spinge affinché la commissione Affari costituzionali voti il prima possibile il Germanicum (proporzionale con sbarramento al 5% e diritto di tribuna per i piccoli), ma sia Italia Viva sia Leu non hanno intenzione di avallare una riforma che li vedrebbe fuori dal Parlamento e hanno già annunciato di volersi smarcare («non è una priorità in questo momento» ha detto ieri in commissione il renziano Marco Di Maio). Oggi dovrebbe votarsi l’adozione del testo base: vero che Pd e MSS hanno i numeri in commissione anche senza Leu e Italia Viva, ma certo il voto certificherebbe che sulla legge elettorale la maggioranza non c’è.
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Testata: Mf
Autore: De Mattia Angelo
Titolo: Il futuro di Draghi e la consegna del silenzio
Tema: Mario Draghi
Sta determinando un diffuso e ben meritato sfotto la frase «mi ha fatto un’ottima impressione» pronunciata dal Ministro Luigi Di Maio a proposito di Mario Draghi. E il classico giudizio che rende possibile immediatamente giudicare colui che lo pronuncia, nella migliore delle ipotesi, dovendosi indulgere per la sua marchiana sprovvedutezza. D’altro canto, non sarebbe facile, non solo per un personaggio, ma anche per un normale cittadino, sottrarsi a una proposta di incontro avanzata da un Ministro, nel caso a Draghi, anche a rischio di questi conseguenti giudizi pur sempre immanenti. E’ però vero che, per l’ex presidente della Bce, non passa giorno che non si pospettino candidature apicali, alternandosi quella di prossimo, non lontano Premier con quella di futuro inquilino del Quirinale nel 2022. Spesso l’intento è anche quello di destabilizzare l’attuale Esecutivo e di fornire una soluzione a chi dice che la eventuale caduta del Governo Conte non avrebbe dei possibili successori validi. Dal canto suo, Draghi tace. Chi lo conosce intuisce che il silenzio non può essere immotivato ed è certamente frutto di una riflessione, se non altro mirata a optare, in una difficilissima situazione, per il male minore (relativo all’effetto comunicazionale). Come ormai molti sanno, storicamente diversi Governatori e Direttori generali della Banca d ‘Italia hanno assunto cariche di governo. Due di essi – Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi – sono stati eletti Presidenti della Repubblica. Ogni raffronto con la situazione e gli uomini dell’oggi sarebbe, tuttavia, improprio.
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Testata: Repubblica
Autore: Ainis Michele
Titolo: Rispettiamo l’ora del Colle
Tema: Qurinale
A leggere la Costituzione italiana, il presidente della Repubblica dura sette anni; invece i politici italiani lo eleggono ogni anno. O quantomeno sgomitano, almanaccano, confabulano, ordiscono trame per rimpiazzare l’uscente, benché l’uscita sia molto lontana. Non è gentile, non è educato: come celebrare i funerali a un vivo. L’ora delle scelte, semmai, cade nel semestre bianco, quando mancano gli ultimi sei mesi alla scadenza, quando la carica s’affievolisce come fiamma su uno stoppino di candela, sicche il presidente perde il potere di sciogliere le Camere. A Sergio Mattarella accadrà il 4 agosto 2021, mentre il suo mandato termina il 3 febbraio 2022: non è proprio domani. – Ciò nonostante, la pletora dei candidati al Colle già si scalda ai nastri di partenza, ciascuno con la sua divisa indosso – di destra, di centro, di sinistra, oppure “istituzionale”, una maglia per tutte le stagioni. E i partiti disegnano scenari, vecchie o nuove maggioranze per eleggere ti futuro presidente, legando a questa scelta la durata del governo, la sopravvivenza della legislatura. Il più lesto, o forse iI più sincero, è stato Matteo Renzi. Nell’ottobre scorso, parlando alla Leopolda, ha detto che il gabinetto Conte deve andare avanti per designare un presidente della Repubblica “europeista”, come se fosse íl premier a nominare il capo dello Stato, e non invece l’opposto. A giugno, in un’intervista pubblicata da questo giornale, ha aggiunto che il patto di maggioranza sul nome del prossimo presidente sarà «il traguardo della legislatura».
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Testata: Repubblica
Autore: De Vito Luca
Titolo: Riparte la ricerca dei soldi della Lega I pm chiedono una rogatoria in Svizzera
Tema: Lega
Una rogatoria in Svizzera per andare a caccia dei soldi transitati sul conti della società riconducibili ai commercialisti della Lega. Si rianima l’inchiesta della procura df Milano che indaga sul passaggi di denaro segnalati dalla Ulf, l’unità finanziaria della Banca d’Italia, e che vedono al centro società riconducibili, tra gli altri, a Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, revisori contabili del partito alla Camera e al Senato e collaboratori di Giulio Centemero il tesoriere del Carroccio. Una vicenda su cui hanno fatto luce le inchieste giornalistiche dell’Espresso e che adesso ha portato i pm milanesi oltre confine. La pista che porta fino qui parte dalla discussa compravendita di un immobile a Cormano, in provincia di Milano, da parte della Lombardia Film Commission, una fondazione a partecipazione pubblica che si occupa della promozione e dello svilupPo di progetti cinematografici. Un acquisto sospetto secondo gli Investigatori: nel 2017 infatti una società, l’Immobiliare Andromeda srl, lo aveva comprato al prezzo di 400mila euro e a inzio 2018 lo stesso immobile veniva venduto alla Lombardia Film Da Milano l’indagine sui fondi spostati dai commercialisti vicini al Carroccio Commission dalla immobiliare al prezzo di 800mila euro. Un acquisto avvenuto, secondo quanto riportato dagli investigatori del Ulf, quando a capo dell’ente culturale lombardo c’era proprio Di Rubba. È partendo da qui che gli investigatori della Banca d’Italia hanno evidenziato un flusso di denaro intricatissimo uscito dalla Andromeda e che, dopo lunghi e complicati giri, sarebbe finito a società private molto vicine ai professionisti legati al partito di Salvini.
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Economia e finanza
Testata: Corriere della Sera
Autore: Galluzzo Marco
Titolo: Autostrade, la svolta e i dubbi – Stato in Autostrade, ecco il patto Conte: fatto l’interesse pubblico
Tema: Autostrade
«La famiglia Benetton progressivamente non sarà più socia di Aspi, ci sarà progressivamente l’uscita totale dei Benetton». La ministra dei trasporti Paola De Micheli in serata, dopo 24 ore febbrili di limature dell’accordo raggiunto fra il governo ed Atlantia, dà ulteriori dettagli. Autostrade per l’Italia diventa una public company con l’ingresso di Cassa depositi e prestiti: i Benetton vengono, sia pur con un percorso graduale, «estromessi». L’azienda rinuncia alle cause, conferma 3,4 miliardi di risarcimenti, abbassa le tariffe. È un «inedito nella storia, una pagina nuova, hanno vinto i cittadini, la rete autostradale ritorna un bene pubblico, perché è stato fatto l’interesse pubblico», rivendica il premier Giuseppe Conte, che raggiunge l’obiettivo non facile di soddisfare i Cinque Stelle, da Luigi Di Maio ad Alessandro Di Battista. Ma sono soddisfatti anche nel Partito democratico. A cominciare dal segretario, Nicola Zingaretti, che rivendica il risultato e ne rende merito al premier: «Molto bene. Abbiamo chiuso un dossier aperto da tropPo tempo, i cittadini tornano proprietari della propria rete autostradale, ci saranno tariffe più basse, maggiori investimenti sulla sicurezza e si sana una ferita». Matteo Renzi fa mettere a verbale un «si poteva fare di più e meglio». Esistono ancora margini di incertezza comunque. Lo stesso Conte si dice «abbastanza soddisfatto» e spiega che l’ipotesi della revoca è ancora sul tavolo: gli impegni contenuti in due proposte transattive di Aspi, vanno tradotti in un accordo «chiaro e trasparente».
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Testata: Stampa
Autore: Griseri Paolo
Titolo: Intervista a Paola De Micheli – “Nessun esproprio ai Benetton” – “Nessun esproprio alla venezuelana e ringrazio i 5 Stelle”
Tema: Autostrade – Ministro Trasporti
Paola De Micheli parla al termine di una lunga notte di trattative. Come si sente? «Soddisfatta per aver garantito 10 mila posti di lavoro, i risparmi di migliaia di azionisti e la sicurezza degli italiani sulle strade». Come potete sostenere che Atlantia è inaffidabile? Gli avete rinnovato la concessione per Aeroporti di Roma. Li sono affidabili? «L’affidabilità non è un fatto sentimentale o personale. È una valutazione tecnica. Gli aeroporti di Roma hanno vinto tre premi internazionali negli ultimi anni. Funzionano bene. E poi ricordiamolo: è stata Atlantia a sostituire il management dopo il crollo di Genova. Evidentemente il giudizio di inaffidabilità non era solo nostro». Atlantia esce ed entra lo Stato. È stato definito un esproprio di stampo venezuelano. Si sente come Maduro? «Non c’è alcun esproprio. C’è una soluzione industriale che evita la revoca della concessione ad Aspi e prevede la graduale uscita di Benetton. Abbiamo raggiunto un accordo per un’alternativa all’attuale governance». Autostrade, Alitalia, Ilva: torna lo Stato padrone? «Credo che il ruolo dello Stato in economia dipenda dalla condizione economica in cui si trova un Paese. In una democrazia liberale lo Stato ha un ruolo di regolatore dell’economia. Poi ci sono situazioni difficili in cui lo Stato interviene in operazioni chiaramente industriali». Il rischio di queste operázioni è che sia poi la politica a decidere le scelte industriali. «Distinguiamo: lo Stato è un conto, la politica un altro. Non vanno sovrapposti. Non siamo solo noi a intervenire. Guardi che cosa fa la Germania con Lufthansa».
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Salvia Lorenzo
Titolo: Intervista a Luigi Di Maio – «M5S basta grida serve serietà» – «Risultato molto positivo Escludo che il governo possa cadere Ora abbassare i pedaggi»
Tema: Autostrade – Ministro Esteri
Ministro Luigi Di Maio, lei dice «fuori i Benetton ce l’abbiamo fatta». Ma è davvero soddisfatto oppure no dell’accordo raggiunto su Autostrade? «Sono molto soddisfatto per il risultato, sì. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile. Lo Stato ha fatto lo Stato, ha lavorato per difendere l’interesse comune. Dopo di che non bisogna lanciarsi in toni trionfalistici, la partita non è ancora chiusa del tutto, bisognerà vigilare affinché in futuro non tornino a prevalere le logiche del profitto a scapito della sicurezza degli italiani. E poi, mi lasci dire, che ora bisogna puntare al vero obiettivo». Che cosa intende con vero obiettivo? «Intendo dire che non dobbiamo fermarci adesso per nessun motivo. Ora bisogna abbassare le tariffe autostradali, far scendere i pedaggi, migliorare il nostro sistema infrastrutturale. Non è che uno può dire “entra lo Stato” e poi è lo Stato ad applicare le medesime logiche di business di un privato, altrimenti diventa una presa in giro e gli italiani non sono stupidi. Su questo mi sento rassicurato dal fatto che in Cassa depositi e prestiti c’è un manager come Fabrizio Palermo che ha una grande visione industriale e non finanziaria. Quindi la prima cosa da fare ora è abbassare i pedaggi, permettere agli autotrasportatori per lavoro, ma anche a chi si muove per ragioni turistiche, di pagare meno e in modo proporzionale ai servizi che vengono offerti». Esclude, dunque, che questa soluzione sia alla fine un favore alla famiglia Benetton, viste le condizioni dalle quali si partiva e cioè la minaccia della revoca della concessione? «Beh, i Benetton fuori da Autostrade non mi sembra di certo un favore. Certo, serve realismo perche è una operazione di mercato e non è la revoca».
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Franco Massimo
Titolo: Il rischio statalismo – Operazione autostrade: Attenti allo statalismo
Tema: Autostrade
La domanda fastidiosa ma ineludibile è se abbia vinto lo Stato o lo statalismo. Le reazioni trionfali dei grillini velano l’insoddisfazione per la percentuale residua di azioni destinata a rimanere nelle mani della famiglia Benetton; e per la mancata revoca delle concessioni, sulla quale puntavano nonostante i risarcimenti da record da pagare per la violazione delle norme contrattuali. Il premier Giuseppe Conte ha replicato sostenendo di voler guardare alla sostanza, e liquidando il resto come «slogan»: messaggio indirizzato soprattutto all’interno del Movimento Cinque Stelle, che esprime una soddisfazione di facciata mentre in realtà è diviso. L’impennata del 26 per cento in Borsa delle azioni di Atlantia dice che forse la disfatta della controparte del governo non è così umiliante. Ma dopo l’accordo sottoscritto all’alba di ieri, dalla maggioranza si alza un coro di lodi a Palazzo Chigi e a una «svolta storica». Soprattutto, si indovina il sollievo per avere chiuso in qualche maniera almeno uno dei molti dossier che il governo si trascina dietro da mesi. Rimane l’eco stonata degli ultimatum e delle accuse che sono rimbalzati tra M5S, Pd e Iv; con i grillini che definivano «venduti» quanti optavano per una linea prudente. Certamente, il ritorno della «mano pubblica» nella proprietà delle autostrade italiane dopo un ventennio è una sconfitta per i privati e la loro gestione. Ma la domanda è se questo segni un’altra tappa del domino dirigista che dovrebbe riportare allo Stato le industrie in perdita, nel segno di un assistenzialismo destinato a entrare in rotta di collisione con le norme europee e a riprodurre un’eredita di inefficienza e di sprechi. Oppure se si tratti di un’eccezione che non apre la strada alla vittoria culturale di un nuovo statalismo.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: G.Tr.
Titolo: Per Cassa un impegno da almeno 3 miliardi ma si attende il prezzo
Tema: Cdp
Manca il prezzo. E dovrà essere questa cifra il parametro chiave per valutare l’operazione decisa dal consiglio dei ministri all’alba di mercoledì. Ma per come si erano messe le cose, l’analisi degli osservatori corre al confronto con l’ipotesi della revoca, e con la montagna di contenziosi e di rischi default che si sarebbe portata dietro. E la mediazione portata avanti dal ministro dell’Economia Gualtieri risolve su questo piano grossi guai. Dal punto di vista di Atlantia, il giudizio del mercato è riassunto nel +26,65% fatto registrare dalla società a Piazza Affari dopo i crolli dei giorni scorsi. Ma anche per i conti pubblici la strada imboccata dopo l’ennesima notte concitata a Palazzo Chigi evita rischi certi, e offre qualche opportunità eventuale. «È una vittoria dello Stato e dell’interesse pubblico», ha detto ieri dopo un probabile sospiro di sollievo per aver evitato una revoca che in ogni caso, precisa il titolare dei conti, «era e resta sul tavolo se non si finalizzerà l’accordo». Ma l’accordo sembra ormai viaggiare su un binario piuttosto solido, e vede emergere i primi dettagli. La quota di Cassa depositi e prestiti, dovrebbe attestarsi intorno al 33%, e sarebbe accompagnata dalla cessione, da parte della stessa Aspi, di un altro 22%a investitori istituzionali “graditi” al governo e a Via Goito, secondo la formulazione particolare scritta nel comunicato stampa di chiusura del consiglio dei ministri.
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Testata: Foglio
Autore: Caruso Carmelo
Titolo: L’ascesa irresistibile di Gualtieri, ormai più di un ministro: un quasi premier
Tema: Gualtieri
Adesso, anche nel Pd, quando parlano di lui ne parlano così: “Si muove poco, ma si muove benissimo. Chissà dove arriva”. E dicono pure che con la “diluzione”, la sua mossa su Autostrade, che non è mossa del cavallo, ma un esercizio di pazienza, Roberto Gualtieri si sia preso le deleghe di vicepremier che non sono mai state assegnate, ma che Giuseppe Conte gli aveva in verità consegnato perché, per dirla come la dice Luigi Di Maio: “Questo uomo mi ha sempre fatto un’ottima impressione”. E silenzioso, si sa, e rivelano che il suo piccolo vanto sia che da due mesi non rilascia interviste (ultima alla Gazzetta del Mezzogiorno e per testimoniare attenzione al Sud) che, per carità, sono importanti, ma che per Gualtieri vanno seguite come si devono seguire i dossier: “Sono pignolo. Lo so. E allora?”. Nella sera del Cdm, in concerto con Paola De Micheli che i 5s hanno fatto infuriare, questo ministro che ama la musica brasiliana (ancora fermi alla sua strimpellata Bella Ciao?) e che assicurano sia uno scatenato ballerino di samba (la fonte è ottima) ha trovato, non si sa ancora come, la soluzione. Mentre la De Micheli spediva lettere (è tornato di moda il genere) lui e i suoi fidatissimi collaboratori (“Io li chiamo amici”) con un sottilissimo lavoro piegavano le richieste di Aspi, e modificavano paragrafi, inserivano pecette, errata-corrige. L’interlocuzione con i manager di Autostrade andava avanti da mesi ed era il Mef che in realtà la conduceva. Quando tutti credevano che la notte avrebbe portato la notizia, di mattina, Gualtieri era in call con i legali del gruppo che disarmati chiedevano: “Ma cosa volete ancora? Più di così?”.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Mobili Marco – Parente Giovanni
Titolo: Ingorgo fiscale, in 15 giorni 246 scadenze – Entro fine mese 246 scadenze, maxi lavoro per le istanze di bonus
Tema: Adempimenti fiscali
La seconda metà di luglio rischia di trasformarsi in un gran premio della montagna per contribuenti e professionisti che li assistono. Da oggi, giorno in cui sono in ballo appuntamenti canonici ma pesanti in termini di cassa con ritenute e Iva del mese precedente, alla fine di luglio “passano” complessivamente 246 scadenze fiscali. II 93,5% di queste riguarda proprio i versamenti. A completare il quadro dei nuovi”obblighi” da assistenza è arrivata la cessione dei tax credit: affitti commerciali, 110%, sanificazione e adeguamento degli ambienti di lavoro che richiedono una comunicazione preventiva delle spese sostenute da effettuare da lunedì 20 luglio. Ma sul rinvio dei versamenti al 30 settembre, per ora, il Governo sembra chiudere la porta. Anzi, la lettura dei dati diffusi ieri dal Mef gioca a sfavore del rinvio. Ii lockdown e la sospensione dei versamenti di marzo, aprile e maggio è costata all’Erario una flessione di ben 22,3 miliardi (-8,4%) di entrate tributarie e contributive nei primi cinque mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Nell’immediato poi manca lo strumento di legge per veicolare uno slittamento al 3o settembre. La sola strada potrebbe essere quella del decreto cui sta lavorando il Governo per i nuovi fondi aCig, comuni e regioni. Un “cura Italia bis” che attende però un nuovo scostamento di bilancio. Sulla base delle risorse che lo scostamento metterà a disposizione, infatti, si punterebbe solo ad allungare ai primi del 2021 la rateazione dei versamenti di marzo, aprile e maggio ora sospesi e dovuti in unica soluzione entro il 16 settembre o in 4 rate di pari importo fino a metà dicembre. A cambiare le carte in tavola potrebbe essere la volontà del Parlamento. Già nel passaggio del decreto rilancio alla Camera forze di maggioranza e opposizione hanno cercato con emendamenti di strappare la proroga al 30 settembre.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Marroni Carlo
Titolo: Debito boom oltre quota 2.500 miliardi – Bankitalia: debito record sopra quota 2.500 miliardi
Tema: Conti pubblici – Bankitalia
A maggio il debito delle Amministrazioni pubbliche è stato pari a 2.507,6 miliardi, in aumento di 40,5 miliardi rispetto al mese precedente. Nelle comunicazioni mensili della Banca d’Italia sulla finanza pubblica si certifica un nuovo livello storico del debito, che ha rotto la soglia psicologica dei 2.500 miliardi. il nuovo record riflette, oltre al fabbisogno del mese (25,o miliardi), l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (14,5 miliardi, a 61,4), gli scarti e i premi all’emissione e al rimborso, la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e la variazione del tasso di cambio, che hanno nel complesso aumentato il debito di ulteriori 1,0 miliardi. Il fabbisogno cumulato fra gennaio e maggio raggiunge i 66,4 miliardi di euro, più del doppio dei 29,6 miliardi dello stesso periodo del 2019. L’aumento rispetto al maggio del 2019 è stato di 86 miliardi, e dall’inizio dell’anno di 63 miliardi, una dinamica certamente superiore rispetto all’anno precedente, quando nei primi cinque mesi dell’anno il livello era rimasto pressoché invariato (dal 2018 l’incremento in termini assoluti è stato di 127 miliardi). L’analisi delle grandezze, in base agli strumenti del debito pubblico: 1.962 miliardi sono titoli a medio e lungo termine (erano 1.928 il mese precedente), 139 a breve termine, e 404 miliardi (precedenti 379) a tasso variabile. I detentori del debito pubblico sono noti solo fino ad aprile (il dato maggio sarà comunicato il mese prossimo): la quota di non residenti era di 726 miliardi, in netto calo dall’inizio dell’anno, quando il portafoglio in mano a “stranieri” ammontava a 784 miliardi circa. Della quota rilevata a maggio Bankitalia detiene nelle proprie casse 464 miliardi, in aumento dai 407 di inizio 2020.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Romano Beda
Titolo: Ue, Recovery fund verso un taglio da 100 miliardi – Recovery Fund, in discussione taglio di 100 miliardi ai sussidi
Tema: Recovery Fund
In una Bruxelles tristemente autunnale, i capi di Stato e di governo dell’Unione si riuniranno tra domani e dopodomani per discutere e possibilmente approvare il nuovo bilancio comunitario 2021-2027. Restano alcuni nodi negoziali, ma il clima tra le diplomazie nazionali è cautamente ottimistico. C’è il desiderio di voltare pagina, e dotare i Ventisette di denaro fresco con il affrontare la crisi economica provocata dall’epidemiadi questi mesi. Sul tavolo dei leader vi sarà quanto presentato venerdì scorso dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Questi ha proposto di ridurre da 1.100 a 1.074 miliardi di euro il bilancio in sé, mantenendo inalterato il Fondo per la Ripresa che gli è associato (750 miliardi). Nei fatti, spiega un negoziatore, il pacchetto dovrebbe soddisfare tutti: «I soldi della coesione per l’Est, i soldi del Fondo per il Sud, e un bilancio più piccolo per accontentare il Nord». Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, sono quattro i nodi che i leader saranno chiamati a sciogliere durante il vertice: l’iter di approvazione del piani nazionali e il conseguente esborso del denaro contenuto nel Fondo perla Ripresa; il volume del bilancio in sé oltre che gli sconti di cui godono cinque paesi (Germania, Austria, Svezia, Danimarca e Olanda); la chiave di allocazione del denaro del Fondo; e infine il legame tra fondi europei e il rispetto dello stato di diritto. Il primo nodo è quello più controverso. L’opzione Michel prevede che i piani vengano approvati dai Ventisette alla maggioranza qualificata e l’esborso venga deciso da Bruxelles sentiti i governi. L’Olanda chiede il voto all’unanimità.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Falci Giuseppe_Alberto
Titolo: Il Colle: vertice Ue, no a passi indietro
Tema: Consiglio Europeo a Bruxelles
Alle sette di sera Giuseppe Conte incassa il sì dell’Aula del Senato che approva la risoluzione di maggioranza in vista del Consiglio europeo di venerdì e sabato con al centro il Recovery fund:157 voti a favore, 130 contrari. «Scampato pericolo», è il refrain dei capannelli del Salone Garibaldi. E a sostegno del premier e dell’esecutivo arrivano un attimo dopo le parole del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che definisce «decisivo» il vertice europeo del fine settimana «per cui va ribadita la necessità che il passo deciso in avanti in direzione europeista e comunitaria mostrato in questi ultimi mesi non conosca battute d’arresto o addirittura retromarce». Eppure nella lunga giornata del presidente del Consiglio c’è un grande assente e si chiama «Meccanismo europeo di stabilità», la linea di credito, pari a 36 miliardi, cui l’Italia potrebbe accedere con l’unica condizionalità esplicita che sia destinata alle spese sanitarie dirette e indirette. Ecco, l’annosa questione divide da settimane la maggioranza ma anche l’opposizione. «Non è all’ordine del giorno», risponde ai cronisti Giuseppe Conte prima di varcare la sede del Parlamento. Eccolo allora presentarsi in mattinata per le comunicazioni alla Camera e nel pomeriggio al Senato. Mezz’ora di intervento nel corso del quale Conte ribadisce l’importanza del Recovery fund, tralasciando il fondo salva Stati. Non a caso nella risoluzione di maggioranza – approvata in mattinata alla Camera e nel pomeriggio al Senato – non c’è nessun riferimento al Meccanismo europeo di stabilità.
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Testata: Stampa
Autore: Bresolin Marco
Titolo: Intervista a Johannes Hahn – Hahn: “Ma i Paesi frugali ora sono meno oltranzisti C’è spazio per un’intesa”
Tema: Recovery Fund
«Il Recovery Fund rappresenta una preziosa opportunità per l’Italia, perché potrà fare le riforme necessarie per essere più preparata e indipendente in caso di una nuova crisi. Condivido le obiezioni del governo sulle modifiche al nostro piano proposte da Charles Michel, ma ora è importante che tutti facciano un passo per arrivare a un compromesso». Johannes Hahn è l’uomo che ha in mano le chiavi della cassa Ue, il forziere che nei prossimi 7 anni gestirà progetti per oltre 1.800 miliardi di euro (1.074 dal bilancio 2021-2027 e 750 dal Recovery). Il commissario europeo al Bilancio è ottimista in vista del Consiglio europeo di domani, anche perché assicura che l’Austria – il suo Paese – «ha iniziato non solo ad accettare, ma anche a capire l’importanza di questo piano». Lei è un esponente del partito popolare austriaco, lo stesso di Sebastian Kurz: ha fatto moral suasion in patria? «Sì, ho investito molto tempo per spiegare ai miei connazionali quanto sia importante aiutare l’Italia per il loro stesso benessere. All’interno dell’Ue, l’Italia è il secondo mercato per l’export austriaco, riceviamo 3 milioni di turisti l’anno: siamo L’Italia vuole che sia la Commissione a guidare il processo perché noi garantiamo imparzialità interconnessi. L’Austria è un Paese piccolo e dipende molto dal benessere dei suoi vicini e dal buon funzionamento del mercato interno». Kurz si sta allontanando dalle posizioni oltranziste dei frugali? «Tutti hanno capito che è necessario un compromesso e che per farlo ognuno deve muoversi verso il centro».
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Testata: Stampa
Autore: Lombardo Ilario
Titolo: Il retroscena – Summit Ue, Conte studia le mosse contro Rutte
Tema: Recovery Fund
ersino con il premier spagnolo Pedro Sanchez, Mark Rune ha fatto trapelare cosa pensa dell’Italia: non si fida dell’indolenza riformista di Roma, vorrebbe come scalpo l’immediata cancellazione della legge sulle pensioni. Rutte è il guardiano dei conti dal volto sorridente e il cuore severo che separa l’Italia dal Recovery fund nell’ultimo miglio di un negoziato storico. Domani i leader si rivedranno tutti di persona nel primo Consiglio europeo in epoca Covid non più in videoconferenza. Significa che sarà trattativa vera, serrata e molto probabilmente non risolutiva. Ci sarà bisogno di un altro vertice, forse già la prossima settimana. Giuseppe Conte e il suo staff stanno definendo gli ultimi dettagli della strategia e un elenco di punti che saranno oggetto di un ragionevole «do ut des». Il prémier italiano sarà già oggi a Bruxelles per una cena con Emmanuel Macron, nell’ultimo bilaterale prima del summit. Il presidente francese ha detto che «difenderà fermamente» la proposta di 500 miliardi a fondo perduto, frutto di un’intesa con Angela Merkel, sulla quale l’Italia converge entusiasta. Segno che, come confermano fonti diplomatiche, c’è un margine di alleggerimento della parte dei cosiddetti «loans», prestiti per 250 miliardi, che vanno a comporre l’ammontare di 750 miliardi del fondo Next generation Ue. Conte e Macron parleranno di come respingere Rune, che pretende di mantenere il potere di veto in Consiglio europeo come garanzia sulle riforme.
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Societa’, istituzioni, esteri
Testata: Sole 24 Ore
Autore: Barlaam Riccardo
Titolo: Trump toglie a Hong Kong lo status di partner speciale
Tema: Usa-Cina
Donald Trump dal Giardino delle Rose della Casa Bianca ha annunciato la firma di due ordini esecutivi che pongono fine allo status speciale di Hong Kong e impongono sanzioni ai dirigenti cinesi responsabili delle repressioni contro i manifestanti. L’ex colonia britannica è un hub finanziario da 10mila miliardi, il terzo al mondo dopo New York e Londra È solo l’ultimo atto della guerra fredda in corso tra le due prime potenze mondiali. Con i rapporti, complice l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale americano, ai minimi storici. La decisione americana avrà conseguenze sul futuro di Hong Kong come hub finanziario. Le banche di Hong Kong avranno un anno di tempo per interrompere le relazioni con entità e individui cinesi ritenuti dal Dipartimento di stato «principali responsabili» della perdita di autonomia di Hong Kong. Lo status speciale prevedeva un’area di free trade, un regime preferenziale per alcune esportazioni, il trattamento speciale nei passaporti, il training della polizia, un accordo di estradizione, scambi culturali per gli studenti. Tutto azzerato. Gli Stati Uniti hanno interessi significativi a Hong Kong: oltre 1.300 aziende Usa hanno la loro sede, sono 85mila i dttadini americani residenti Molti banker ed executive sono preoccupati dal fatto che il “bacio mortale” di Pechino all’autonomia di Hong Kong costringerà i residenti a pagare tasse più alte: le imposte passeranno dal 15% al 45% che è l’aliquota cinese.
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Testata: Repubblica
Autore: F.San.
Titolo: Sanzioni di Trump per Hong Kong Usa e Cina sempre più ai ferri corti
Tema: Usa-Cina
Il rapporto tra Stati Uniti e Cina crolla a precipizio, per ora senza un fondo in vista. Nelle ultime ore il terreno di scontro è tornato Hong Kong, a cui Pechino ha applicato una legge sulla sicurezza così dura da soffocare ogni dissenso. Con una doppia fuma, martedl sera, Donald Trump ha varato le contromisure. La prima è una norma speditagli dal Congresso, anche più anticinese di lui, che permetterà di sanzionare funzionari o società che hanno contribuito a erodere i diritti di Hong Kong. La seconda è un ordine esecutivo che cancella lo status commerciale privilegiato concesso alla città, giudicata non più autonoma. Da copione la replica di Pechino, che denuncia l’ingerenza negli «affari interni», annuncia sanzioni contro i funzionari americani e, in puro gergo comunista, invita gli Stati Uniti a «correggere i propri errori». I colpi sono più simbolici che effettivi. Parificare Hong Kong alla Cina continentale significa che gli Usa non potranno più esportare armi o alta tecnologia, ma il flusso era già limitato. La Casa Bianca poi ha scartato azioni più incisive contro i gangli finanziari della città, per esempio sganciare la valuta locale dal dollaro. A dirla tutta, la decisione rischia addirittura di danneggiare i cittadini di Hong Kong, per cui sarà più dif ficile ottenere visti per gli Usa. Più che un tentativo di difenderli, quella di Trump assomiglia a una presa d’atto della stretta cinese: «Faremo più affari, perché con Hong Kong abbiamo perso un concorrente». Quanto alle sanzioni, si vedrà in che misura impatteranno su banche e altre società.
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Testata: Stampa
Autore: Mastrolilli Paolo
Titolo: Trump all’attacco “Sanzioni ai cinesi Violano la libertà”
Tema: Usa-Cina
Tra Cina e Usa siamo arrivati alla convocazione degli ambasciatori, con Pechino che protesta contro le ingerenze di Washington. Questo perché alla sfida geopolitica di lungo tennine, lanciata dalla Repubblica popolare per diventare la nuova superpotenza globale, si è aggiunta quella elettorale di Trump, che vuole usare lo scontro con Xi per guadagnare voti in vista del novembre, a scapito dell’avversario democratico Biden. In questo quadro l’Italia ha un ruolo complicato da giocare perla disputa sull’assegnazione a Huawei del nostro network 5G, che ci trasforma nel vaso di coccio a rischio stritolamento. Proprio ieri, infatti, la Casa Bianca ha inviato un messaggio alla Stampa, con cui lascia capire che Trump prenderebbe un’eventuale scelta negativa da parte di Roma come un’offesa personale. Martedì il presidente ha firmato l’Hong Kong Autonomy Act, legge approvata all’unanimità dal Congresso per sanzionare chi mina la libertà dell’ex colonia britannica, più un ordine esecutivo per toglierle il trattamento preferenziale di cui godeva. Il ministero degli Esteri cinese l’ha presa molto male, definendo le azioni di Trump «un’interferenza» negli affari interni, e quindi ha convocato l’ambasciatore americano Terry Branstad per sollecitarlo a «correggere l’errore». Questi eventi seguono in realtà due binari diversi. Il primo è la sfida geopolitica di lungo termine lanciata da Pechino a Washington, che riguarda la supremazia tecnologica, militare ed economica, e trova una riposta bipartisan compatta negli Usa. Il secondo è l’interesse elettorale di Trump, che spiega il suo cambiamento di linea tra febbraio e marzo.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Gaggi Massimo
Titolo: La «guerra culturale» scuote il New York Times Lascia la penna centrista
Tema: New York Times
Bari Weiss, giornalista che si definisce centrista, assunta tre anni fa dal New York Times nel tentativo d’interpretare meglio l’America che aveva eletto Donald Trump con l’aiuto di giovani talenti sensibili agli argomenti del fronte conservatore, se ne va sbattendo la porta. In una lunghissima lettera di fuoco accusa il giornale di non averla difesa dalle continue aggressioni subite sulle piattaforme digitali: attacchi spesso condotti dai suoi stessi colleghi che sono su posizioni di sinistra radicale. Un caso per ora isolato, ma si sa che il grande quotidiano vive una fase di forti tensioni interne, dopo l’incidente (40 giorni fa) dell’editoriale del senatore Tom Cotton (aveva chiesto l’intervento dell’esercito contro i manifestanti) che costrinse alle dimissioni James Bennet, il capo della sezione opinioni del Times. Una situazione simile si sta creando in un altro periodico progressista, il New York Magazine, dove il columnist Andrew Sullivan, celebre per le sue opinioni controcorrente, ha annunciato le dimissioni. Non ha ancora spiegato perché, ma ha anticipato che le ragioni sono ideologiche: le illustrerà domani nel suo ultimo editoriale. In un clima ideologico così surriscaldato, inevitabilmente i conflitti passano anche dai giornali che rimangono uno dei principali motori di produzione culturale. Se a destra la crisi ha avuto svolgimenti abbastanza lineari (come nel caso dell’autore dei monologhi del celebre condutture televisivo Tucker Carlson, cacciato dalla Fox, la rete conservatrice, per le sue vedute apertamente razziste espresse sui social media con un linguaggio rivoltante, nascosto dietro uno pseudonimo, poi scoperto dalla Cnn), a sinistra le dispute sono assai più complesse.
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Testata: Stampa
Autore: Sabadin Vittorio
Titolo: New York Times il politically correct colpisce ancora
Tema: New York Times
La giornalista Bari Weiss, 36 anni, ebrea, di destra, si è dimessa dal New York Times. Era stata assunta tre anni fa per rappresentare meglio nella pagina delle opinioni i cittadini che avevano eletto Donald Trump. Non ci è riuscita: è stata minacciata e insultata dai teppisti dei social, e non è stata difesa dal giornale, che lei accusa di avere cambiato editore. Al comando, dice, non c’è più Arthur Glegg Sulzberger. Ora c’è Twitter: il giornale è confezionato in un’atmosfera tossica per compiacere sempre le stesse persone cinguettanti, senza mai rappresentare pensieri diversi da quello dominante. Il tema sollevato da Weiss è molto scottante al New York Times. Un mese fa James Bennet, capo della pagina Op-Ed, si era dimesso dopo le critiche ricevute per avere pubblicato un intervento del senatore repubblicano Tom Cotton, il quale suggeriva che l’esercito fermasse le devastazioni prodotte dalle proteste per l’uccisione di George Floyd. Anche Andrew Sullivan, columnist del NYTMagazine, ha annunciato le dimissioni poche ore dopo Weiss, esprimendole solidarietà. È davvero diventato impossibile pubblicare sul Times pareri diversi da quelli prevalenti tra i lettori e in redazione? «Le lezioni dell’elezione di Trump, l’importanza di comprendere gli altri americani, la necessità di contrastare il tribalismo e la centralità di un libero scambio di idee non sono state apprese» ha scritto Weiss nel suo sito. «Le storie sono scelte e pubblicate per compiacere lo zoccolo duro del pubblico». La giornalista, che farà causa al giornale, afferma di essere stata oggetto di bullismo in redazione.
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Testata: Giornale
Autore: Weiss Bari
Titolo: Lettera. «Io, moderata e bullizzata Al NY Times oggi comanda l’ideologia» – «Moderata e bullizzata lascio il NY Times ormai decide Twitter»
Tema: New York Times
“Gentile A. G., è con tristezza che le scrivo per dirle che mi dimetto dal New York Times. Sono entrata nel giornale con entusiasmo e ottimismo tre anni fa. Sono stata assunta con l’obiettivo di portare sul giornale voci che altrimenti non sarebbero apparse sulle vostre pagine: scrittori alle prime armi, moderati, conservatori e altri che non avrebbero naturalmente pensato al Times come alla loro casa. La ragione di questo sforzo era chiara: il fatto che il giornale non fosse riuscito ad anticipare l’esito delle elezioni del 2016 rivelava una conoscenza non sufficientemente profonda del Paese. (…) La priorità della sezione Opinioni è stata quella di contribuire a rimediare a questa grave carenza. Sono stata onorata di avere fatto parte di questo progetto, guidato da James Bennet. Sono orgogliosa del mio lavoro di editorialista e redattrice. (…). Ma la lezione delle presidenziali – sull’importanza di comprendere gli «altri» americani, sulla necessità di resistere al tribalismo e sulla centralità del libero scambio di idee per una società democratica – non è stata imparata. E’ invece emersa una nuova opinione diffusa sulla stampa, ma forse soprattutto su questo giornale: che la verità non è un processo di scoperta collettiva, ma un’ortodossia già nota a pochi illuminati, il cui compito è quello di informare tutti gli altri. Twitter non figura nel colophon del New York Times, eppure ne è diventato il direttore editoriale”.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: M.Val.
Titolo: Indebolite le leggi ambientali
Tema: Usa
Donald Trump abbatte storiche regole ambientali negli Stati Uniti per stimolare lo sviluppo di nuove infrastrutture. L’amministrazione americana ha deciso di indebolire la principale legislazione sull’impatto dei progetti, il National Environmental Policy Act, limitando l’esame pubblico di nuove iniziative federali e facilitando la rapida concessione di permessi necessari a costruire autostrade come centrali elettriche oleodotti o gasdotti. L’esito, secondo la Casa Bianca, sarà un risparmio di centinaia di milioni di dollari e una maggior crescita economica. Verranno introdotte rigide scadenze di uno o massimo due anni per completare ogni esame di effetti sull’ambiente. Di più: sarà di fatto cancellata la necessità di considerare il cambiamento climatico nell’ambito di iniziative infrastrutturali. Una simile modifica viene da tempo invocata da politici repubblicani, società petrolifere e di costruzioni come necessaria a modernizzare e mantenere competitiva l’America.
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Testata: Repubblica
Autore: Ansaldo Marco
Titolo: Erdogan di terra e di mare Lo sguardo al Mediterraneo nell’anniversario del golpe
Tema: Erdogan
II golpe fallito e la conquista del mare. La memoria e il futuro. La difesa dei confini e l’avanzata della “Patria blu”, la nuova frontiera sull’acqua. La Turchia di Erdogan ricorda il colpo di Stato sventato quattro anni fa, ma lo sublima cercando petrolio nelle acque di Cipro. In un’area fuori dalle sue competenze, avverte la Grecia, ma dove le navi del Sultano si dicono pronte a reagire. Istanbul che riavvia il suo aeroporto e si riapre al mondo dopo l’emergenza pandemia appare immersa in un’atmosfera surreale. Strade deserte e luoghi turistici vuoti di visitatori e stranieri. Il Bosforo è solcato dalle bandiere rosse con la mezzaluna e la stella che celebrano la repressione del putsch tentato il 15 luglio 2016. Ma è a Sud, nel Mediterraneo, che si sta aprendo il nuovo fronte. Ankara l’altro giorno ha emesso un avviso navtex (un servizio di telex relativo alla navigazione) con cui raccomanda “fermamente a tutte le navi di non fare Ingresso” in quella che appare la Zona economica esclusiva (Zee) di Cipro. Nel bollettino si specifica che, fra il 18 luglio e il 20 agosto, verranno effettuate trivellazioni da parte delle navi turche Yavuz, Ertugrul Bey, Osman Bey e Orhan Bey. Con un secondo navtex, Ankara definisce poi “nullo e inaccettabile” ogni tentativo di legittimare pretese dell’amministrazione greco cipriota sulle risorse di idrocarburi al largo di Cipro.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Valentino Paolo
Titolo: Il corsivo del giorno – Un segnale politico: Merkel benedice Söder, re della Baviera
Tema: Merkel-Baviera
Un fatto importante, il 14 luglio, in Germania. Perla prima volta un cancelliere tedesco ha partecipato di persona a una seduta del governo del Libero Stato della Baviera. E stato il ministro-presidente bavarese, il cristiano-sociale Markus Söder, a invitare Angela Merkel, che ha accettato nonostante altri inviti (fra i quali, spiega una fonte, quello di Emmanuel Macron a Parigi per la festa nazionale francese) e un’agenda colma di impegni. Ma più che le cose dette durante la riunione, sono le immagini della visita a lanciare un messaggio molteplice ed evidente al mondo politico e all’opinione pubblica tedesca. Söder ha accolto Angela Merkel come una regina, con lui a suo agio nel ruolo di principe reggente: in carrozza fino alle rive del Lago Herrenchiem e poi in barca fino all’isola dove sorge il castello che fu la piccola Versailles di Ludwig II, il re delle favole. L’incontro di lavoro con il governo del Land si è svolto nel Salone degli Specchi lungo 75 metri e alto 13, sotto affreschi barocchi, fregi dorati e 44 lampadari di cristallo. Voluti o meno, i segnali sono inequivocabili.
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Testata: Avvenire
Autore: Palmas Francesco
Titolo: Anche le truppe italiane nell’«inferno» del Mali
Tema: Italia-Mali
Sta sprofondando nelbaratro il Mali, sfuggito al controllo dello Stato centrale del presidente Ibrahim Boubakar Keita e, in parte, dei francesi. I torbidi degli ultimi giorni, con oltre una decina di vittime negli scontri, complicano non poco le trattative parallele fra il governo e il jihad qaedista, tese a isolare il Daesh nel Grande Sahara. L’opposizione del Movimento 5 giugno è sintomatica di un regime impresentabile e totalmente screditato, non più sostenuto dal popolo. Sembra di essere finiti di fronte a un rebus irriducibile, in cui può sguazzare agevolmente solo la galassia jihadista. In questo scenario esplosivo sarà chiamata a operare la nuova task force. Una missione europea dai costi elevatissimi franco- europea Takuba. Francesi ed estoni sono già sul piede di guerra, operativi da oggi. Anche l’Italia sarà della partita, a inizio 2021. II governo, a Roma, ha già previsto tutto nel decreto per le missioni all’estero presentato a giugno. Il ministro Lorenzo Guerini è in contatto permanente con Florence Parly, sua omologa al ministero della Difesa d’oltralpe. Parly era a Roma anche la settimana scorsa. E’ tornata a Parigi fiduciosa. L’Italia dovrebbe partire in Mali con 200 commando (87 in teatro), 20 mezzi terrestri e 8 velivoli, probabilmente a gennaio. La decisione finale spetterà al Parlamento. I numeri non mancano. Ma occorreranno maggioranze solide, perché la missione non sarà una passeggiata.
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IL SOLE 24 ORE
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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IL FATTO QUOTIDIANO
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