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SINTESI IN PRIMO PIANO – 13 luglio 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Allarme contagi dall’estero
– Autostrade, revoca più vicina
– Sul Mes arriva la sfida delle mozioni
– Cessione dei bonus: il tax credit affitti oggi apre la partita
– Turchia. Il Papa su Santa Sofia: sono molto addolorato

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Piccolillo Virginia 
Titolo: Allarme contagi dall’estero – Focolaio tra i migranti sbarcati Tensioni e proteste in Calabria
Tema: allarme contagi

Erano positivi e asintomatici 26 dei 70 migranti sbarcati sabato con un veliero al largo di Caulonia, in Calabria. In una regione che in una sola giornata ha visto schizzare in su del 93% la percentuale di positivi è esplosa la paura. E la protesta. Ad Amantea (Cosenza) per contrastare l’arrivo di un gruppo di 13 di quei migranti che, secondo le prime informazioni, venivano dal Bangladesh, 200 cittadini hanno bloccato il traffico sdraiandosi sulla statale 18 Tirrenica. la governatrice della Calabria, Joie Santelli, ha chiesto al premier Giuseppe Conte, in una lettera, una «risposta immediata», minacciando altrimenti un’ordinanza per bloccare i porti sulla base dell’emergenza sanitaria. Il sindaco di Roccella Jonica, Vittorio Zito, che ha dato ospitalità a 20 minori non accompagnati, ha sottolineato il valore di «garantire la piena dignità di esseri così fragili. Ragazzini di 13, 14 o 15 anni che hanno negli occhi la tristezza della fuga dalla propria casa, il dolore per quello che hanno visto, la paura per il futuro». Ma, a pochi giorni dall’arrivo di un aereo dal Bangladesh con 48 positivi a bordo, il timore che il contagio di importazione arrivi dal mare, sale. Assieme alla preoccupazione che il turismo, unica risorsa già messa in crisi dal Covid-19, possa risentirne. Matteo Salvini attacca: «Il governo mette in pericolo l’Italia. L’unica cosa che è riuscito a chiudere sono i corridoi umanitari che permettevano l’arrivo in Italia di veri profughi in condizioni di sicurezza». Fratelli d’Italia, con Wanda Ferro, rincara: «La Calabria non può essere il pretriage dell’Europa: il turismo è linfa vitale». Anche Forza Italia, prima più conciliante sull’accoglienza, ora si mostra favorevole al blocco.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Il piano del Viminale: requisire navi e caserme per isolare i positivi e garantire le quarantene
Tema: allarme contagi

Per isolare i migranti irregolari in arrivo in Italia si utilizzeranno navi e caserme. Già nelle prossime ore il governo requisirà un traghetto, come già accaduto per la Moby Zazà che si trova a Porto Empedocle, e sta individuando strutture militari dove gli stranieri dovranno trascorrere la quarantena. Poi metterà a disposizione della Regione Calabria un immobile gestito dall’agenzia dei beni confiscati proprio per fare fronte all’emergenza di queste ore. Chi è risultato positivo al tampone rimarrà invece lontano dagli altri e sarà sottoposto a costanti controlli sanitari. Intorno a queste strutture saranno effettuati servizi di vigilanza per impedire ingressi di estranei e fermare eventuali proteste. Un vero e proprio cordone anche per impedire che il malcontento dei cittadini possa essere sfruttato da formazioni politiche proprio come accaduto in passato nelle periferie delle città, quando gli stranieri ottenevano gli alloggi popolari. È il piano messo a punto per contrastare l’arrivo di migliaia di persone nella consapevolezza che gli sbarchi si intensificheranno nei prossimi giorni. E inevitabilmente c’è il pericolo che giungano altre persone positive al coronavirus. Gli analisti confermano che dopo il blocco dei voli da numerosi Paesi, compresi quelli africani, le organizzazioni criminali si sono già mosse per far entrare le persone in Italia, garantendo anche il trasferimento in altri Stati europei. Per questo nel vertice internazionale in programma oggi a Trieste la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, tornerà a chiedere la collaborazione della Ue sottolineando il rischio di dover contrastare migliaia di arrivi nel corso dell’estate.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Longo Grazia 
Titolo: Emergenza, spunta l’ipotesi 31 ottobre
Tema: allarme contagi
Nel giorno in cui crescono i contagiati da Covid – ieri in Italia 234 nuovi casi rispetto ai 188 di sabato, compreso un bimbo di 1 anno a Civitavecchia, e 220 mila nel mondo – si definiscono le misure per contrastare la pandemia in vista del Dpcm di domani. Mentre, tra le opzioni per la proroga dello stato di emergenza, spunta anche la data del 31 ottobre (anziché il 31 dicembre, «per procedere con gradualità», spiega una fonte), domani il ministro alla Salute Roberto Speranza illustrerà le novità in materia di restrizione anti coronavirus, oltre alla riconferma fino al 31 luglio di alcuni provvedimenti già in vigore. Le mascherine continueranno ad essere obbligatorie nei luoghi chiusi in assenza di distanziamento sociale, ma non ci saranno obblighi per i guanti. Giro di vite, con tanto di multe, contro gli assembramenti, grazie all’intensificazione dei controlli nei luoghi della movida e sulle spiagge. Nel mirino, in particolare, sagre, feste e discoteche. Per queste ultime è probabile che l’apertura, inizialmente prevista per domani, slitti al 31 luglio e sia consentita solo a quelle all’aperto. Nei cinema, teatri e auditorium ancora posti a sedere preassegnati e distanziati, (ad eccezione dei conviventi) e con un massimo di mille spettatori per spettacoli all’aperto e 200 in luoghi chiusi. Considerata la diffusione di nuovi focolai e il mancato rispetto di alcuni lidi balneari sul distanziamento di ombrelloni e lettini, si monitoreranno maggiormente anche le spiagge.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Il retroscena – Nei palazzi ritorna il solito fantasma delle larghe intese – L’incontro Letta-Di Maio agita Conte I grillini spaventati dal governissimo
Tema: incontro Di Maio-Letta

Luigi Di Maio e Gianni Letta hanno parlato anche di legge elettorale durante l’incontro segreto che «La Stampa» ha rivelato ieri. L’ex sottosegretario di Palazzo Chigi ai tempi di Berlusconi premier e il ministro degli Esteri non hanno affrontato, dunque, solo il nodo delle nomine all’AgCom, l’Autorità garante delle comunicazioni, e i futuribili scenari di crisi che implicano ipotesi di grandi coalizioni allargate a Forza Italia. Durante il colloquio in un palazzo di Trastevere, a Roma, si è discusso di come blindare l’accordo sul proporzionale che M5S e Pd avevano siglato a gennaio, con somma gioia di Berlusconi. Non è un caso che di mattina sia stato Matteo Salvini il primo a reagire alla notizia, a suo modo, mescolandola alla cronaca degli sbarchi e dei migranti contagiati dal Covid: «Più che parlare con Gianni Letta e Mario Draghi, Conte e i suoi ministri si facciano sentire in Europa e a Tunisi. Questo governo mette in pericolo l’Italia». Nel combinato disposto con il referendum che sancirà il taglio dei parlamentari a settembre, il tutti contro tutti del proporzionale toglie a Salvini una delle sue armi di persuasione per ingrossare il proprio esercito e puntare alla fine anticipata della legislatura: offrire ricandidature e posti sicuri ai parlamentari grillini ancora incerti se trasferirsi o meno nel Carroccio. Il leader della Lega, come Giorgia Meloni, non si schioda dal maggioritario e teme l’imboscata dell’alleato azzurro. Nella riproposizione in piccolo di quello che fu il patto del Nazareno sull’Italicum con Matteo Renzi, Gianni Letta per conto di Berlusconi ha cercato Di Maio nella convinzione che il proporzionale sia l’unica chance di sopravvivenza di Fi contro l’egemonia salviniana. Ma la legge elettorale è anche il compasso che traccia le coordinate per comprendere o ipotizzare convergenze un tempo inimmaginabili.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Paci Francesca 
Titolo: Intervista a Giorgia Meloni – Governissimo, si tratta. E Meloni: niente inciuci – “Nessun inciucio o governo con i 5S Berlusconi non si staccherà da noi”
Tema: governissimo

Rimpasto di governo, governo responsabile o governo lacerato, Giorgia Meloni conduce la sua campagna elettorale come se il voto fosse dietro l’angolo e lei, la frontwoman di Fratelli d’Italia, pronta a fare tana. Prodi riabilita Berlusconi, Di Maio incontra Letta, lo stesso leader forzista su La Stampa dissente dallo stato di emergenza ma dice di voler collaborare. Sarà governissimo? «Non ci credo, non credo che se questo governo fallisse il Presidente della repubblica si prenderebbe la responsabilità di formarne un altro senza elezioni: il Quirinale ha già lasciato intendere che l’alternativa all’implosione della maggioranza sono le urne. Se non hanno funzionato il giallo-verde e il giallo-rosso perché dovrebbe funzionare un giallo-rosso-verde o magari blu? Vedo, certo, molti corteggiamenti in direzione di Berlusconi, ma lui ha dimostrato di voler rimanere saldamente nel centrodestra. Anche quando Conte ha tentato di vederci separatamente e con un invito tardivo abbiamo risposto compatti. Ho sentito Berlusconi dopo l’uscita di Prodi in suo favore ed era molto divertito, lo capisco, sembra il bacio della morte». Cosa c’è tra Di Maio e Letta? «Mi piacerebbe sapere piuttosto dell’incontro tra di Di Maio e Draghi che mi suona tanto di “Giuseppi stai sereno”. Considero intollerabile questa continua smania di inciucio. Ancora di più mentre oltre un terzo delle imprese italiane è a rischio sopravvivenza. La soluzione è un governo nato dalle urne che dia le risposte coraggiose, figlie di una visione chiara, che una maggioranza fatta di pezzi troppo diversi non potrà dare mai».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Pinna Nicola 
Titolo: Intervista a Matteo Salvini – Salvini al Papeete “Silvio è con me” – Salvini in spiaggia senza selfie né folla “Non è vero che la gente è stufa di me”
Tema: centrodestra e governissimo
 «Ho sentito Berlusconi giusto poche ore fa e sulle sue intenzioni non ho davvero alcun dubbio. Sono certo che non gli passa per la testa di fare un’alleanza con i Cinnque Stelle» dice Salvini dal Papeete. Il caso, comunque, non è chiuso. Anzi, ne parleranno ancora, dicono i ben informati della Lega: «Si dovranno chiarire». Nel terzo giorno di ritorno al Papeete, il capo leghista è in versione papà premuroso e tenta inutilmente di star lontano dal dibattito politico. Ma i social bombardano e i messaggini sullo smartphone arrivano di continuo. La questione più spinosa del mattino è proprio quella che riguarda il rischio di una frattura nella coalizione di centrodestra. «La squadra resta solida: nelle Regioni siamo insieme e nei Comuni altrettanto. L’obiettivo è certamente quello di tornare al governo e il prima possibile. Escludo davvero che Berlusconi faccia robe, sì le chiamo proprio così, insieme al Pd o con i 5 Stelle».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Intervista a Goffredo Bettini – «Ora la legge elettorale Mi preoccupano le posizioni di rottura»
Tema: legge elettorale
Pd e 5 Stelle governano insieme ma alle Regionali andranno divisi. «Mettiamo in ordine i problemi. Intanto le Regionali sono importantissime, ma sono comunque un livello diverso dal governo nazionale. Inoltre, in alcuni casi, è da comprendere che di fronte a candidati già in campo, gli alleati, non solo i 5 Stelle, possano avvertire una difficoltà. Chiedo però un atto di generosità. Noi rischiamo di perdere alcune Regioni per il solo fatto di andare divisi. Se siamo convinti che non ci sono per l’Italia alternative all’attuale alleanza dobbiamo far prevalere l’interesse comune. Penso alle Marche. La destra presenta un candidato estremo e non credibile. Si potrebbe convergere su Maurizio Mangialardi, un sindaco giovane e bravissimo, estraneo agli apparati di partito e con un profilo civico. Mi sento di rivolgere con rispetto ma fermissimamente un appello ai 5 Stelle per vincere in questa splendida Regione». Gestione del Covid a parte, che altro ha fatto il governo? «È stato decisivo nella trattativa europea sul Recovery fund. Ha sostenuto lavoratori e imprese. Ha aperto un dialogo con tutte le parti sociali per condividere progetti futuri. Andare al voto sarebbe un errore imperdonabile. Lo ha detto in modo limpido Franceschini in una recente intervista. E lo hanno ripetuto più volte Orlando e Zingaretti. La mia preoccupazione è che da alcuni settori della maggioranza emergano posizioni di rottura su alcune decisive questioni. Per esempio la legge elettorale. C’è da tempo un’intesa tra tutti sulla necessità di unire la riduzione dei parlamentari ad una legge proporzionale con uno sbarramento al 5%. L’attuale sistema elettorale, con un numero di parlamentari dimezzato, potrebbe dare a chi vince poteri assoluti in grado persino di cambiare la Costituzione. Su questo non si può scherzare. Comunque, in una situazione estrema, sono convinto che un’alleanza tra l’insieme delle sinistre, Conte con la sua attuale forza politica, i 5 Stelle e un eventuale polo liberal democratico, sia competitiva già da oggi contro la destra sovranista».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Folli Stefano 
Titolo: Il punto – Quanti dubbi sulla proroga dell’emergenza – Quanti dubbi sull’ emergenza
Tema: proroga dell’emergenza
La proroga dello stato d’emergenza si avvia a diventare un nodo politico meno banale di quanto avessero previsto gli ideatori dell’operazione. Si era tentato, e si tenta ancora a Palazzo Chigi, di presentare tale proroga come una questione, diciamo cosi, tecnica: un gesto di prudenza, quasi un atto dovuto, circoscritto. Ovviamente Conte si è premurato di ottenere in via preliminare l’assenso della maggioranza (Pd, 5S, LeU, renziani) e non ha fatto fatica a ottenerlo, al netto di qualche distinguo, trattandosi di un passo che certo non indebolisce la coalizione: al contrario sulla carta la rende un po’ più compatta, anzi ingessata, come è accaduto nei mesi drammatici del Covid. In ogni caso il presidente del Consiglio, parlando alla stampa, ha dedicato alla proroga poche battute frettolose, proprio a sottolineare che si tratta di ordinaria amministrazione, una mossa preventiva nell’eventualità che una “seconda ondata” del virus ci investa. Senza dubbio Conte aveva considerato il solito malumore dell’opposizione, ma non se ne è curato. Tuttavia, aspetto meno trascurabile, c’è stata la protesta del presidente del Senato, Casellati, che ha chiesto un voto parlamentare nelle prossime ore e ha lamentato la costante sottovalutazione dell’assemblea da parte del governo. Questa uscita — a cui non si è associato il presidente della Camera — ha provocato una messa a punto di Palazzo Chigi in cui si spiega che per il momento non si vota, in quanto lo stato d’emergenza nasce da una delibera del Consiglio dei ministri che ancora si deve riunire. Come s’intuisce, una frizione istituzionale tra il vertice del governo e la presidenza di Palazzo Madama circa il rapporto governo-Parlamento non è il miglior viatico in vista dei prossimi mesi.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mauro Ezio 
Titolo: La democrazia e la rivincita del free speechi – La rivincita del free speech
Tema: free speech

II codice del “politicamente corretto” nato nelle università americane, ma appoggiato alle radici puritane di quel Paese e all’idea di una missione quasi religiosa della comunità statale, è fondato sulle migliori intenzioni per costruire uno spazio pubblico armonico e confortevole, così democratico da impedire a un pensiero antidemocratico addirittura di prendere forma di discorso, rimanendo disarticolato alla periferia del confronto pubblico: costruendo una sorta di blocco di minoranza nei confronti della deriva del senso comune verso le sue espressioni più estreme e incivili. Dio sa se la democrazia, fragile come ogni costruzione umana, non ha oggi bisogno di essere difesa, cominciando dalle parole. Ma nel tempo questa correttezza diventata manuale prescrittivo del bene e del male si è radicalizzata ossificandosi, come capita a qualsiasi meccanismo d’uso ideologico, e ha funzionato da guardiano non soltanto degli eccessi, dei pregiudizi e dell’intolleranza, ma di qualsiasi discorso. Col risultato paradossale di un pensiero che deve pensare se stesso mentre si compie, per vigilare su di sé, limitarsi, eventualmente emendarsi, rettificarsi se è il caso. Dal tavolo comune del discorso pubblico, quel codice di interdizione è poi passato inevitabilmente ai tavoli separati su cui le minoranzee le soggettività marginalizzate (che per troppo tempo hanno visto calpestati i loro diritti) organizzano oggi le loro battaglie di riconquista dl una storia negata. E qui, immediatamente, da regola di civiltà è diventato strumento di affermazione identitaria, denuncia di eredità distorte che ancora permangono nel pensiero dominante, dunque mezzo di lotta politica diretta.
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Economia e finanza

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Salvia Lorenzo 
Titolo: Fondi all’Italia, anche l’Austria frena Sul Mes arriva la sfida delle mozioni
Tema: Recovery fund e Mes

Dopo Amsterdam, Vienna. Tre giorni fa era stato il premier olandese Mark Rutte a dire che se l’Italia vuole i soldi (forse) in arrivo dall’Europa con il Recovery fund, deve cancellare Quota 100, il meccanismo che anticipa l’età della pensione. Ieri è stato il premier austriaco Sebastian Kurz a puntare il dito contro Roma: «Bisogna seguire la direzione del programma di riforme dell’Italia» ha detto in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine. «Siamo ovviamente interessati ad uno sviluppo positivo nel Paese a noi vicino. Ma i vicini si conoscono. E in passato i programmi di stimolo promossi dall’Europa per l’Italia non hanno prodotto i risultati sperati». Parole non proprio tenere che lasciano intendere come il fronte dei cosiddetti Paesi frugali, di cui Austria e Olanda fanno parte, continui a mordere il freno sul negoziato in corso per mettere davvero in moto il programma di aiuti europei. Ma una prima risposta su un altro filone dei fondi europei — il Mes, nuova versione del Fondo salva Stati — potrebbe arrivare già mercoledì. Quel giorno sarà messa ai voti nell’Aula del Senato una mozione che impegna il governo a chiedere quel prestito che potrebbe arrivare a 36 miliardi. A presentarla è stata +Europa, il partito di Emma Bonino. «Il governo non potrà più scappare davanti al voto su questo tema», dice il segretario Benedetto Della Vedova. In effetti la questione è delicata perché il Mes spacca la maggioranza. Il Movimento 5 Stelle è contrario, il Pd favorevole. Mentre dall’opposizione potrebbe arrivare il voto positivo di Forza Italia. Per questo a spaccarsi potrebbe essere anche l’opposizione visto che un’altra mozione, stavolta contro il Mes, verrà presentata sempre mercoledì al Senato dalla Lega.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Casadio Giovanna 
Titolo: Intervista a Emma Bonino – Bonino “Presenterò la mozione per il Mes Basta impedire al Parlamento di votare”
Tema: Mes

Emma Bonino, leader di +Europa, ex ministra degli Esteri ed ex commissaria Ue, mercoledl al Senato presenterà la risoluzione per accedere subito al Mes, i 36 miliardi del fondo per la sanità. «Il governo ha partecipato fino ad oggi al negoziato europeo senza alcun mandato delle Camere. Conte parla a nome di una maggioranza cosi divisa che non è neppure in grado di “contarsi” in Parlamento. In questi giorni continuo a ricevere “messaggi” sia dal fronte di maggioranza che da quello dell’opposizione circa la volontà del governo di inventaisi un escamotage per impedire il voto sulla mia risoluzione per il ricorso al Mes. Spero che non accada, ma sono preparata al fatto che accada. Non mollo». Prima II Recovery Fund e poi si pensa al Mes, dice Conte: cosa c’è di scandaloso In questo timing? «Tutte le spese che l’Italia oggi sostiene per ripartire, malgrado la spada di Damocle di una pandemia tutt’altro che finita, comportano un maggiore debito. Quello del Mes è il debito meno costoso tra quelli disponibili. Lo ha certificato Bankitalia Come minimo, 500 milioni all’anno di interessi in meno per 10 anni. Quindi 5 miliardi. Che altro c’è da discutere e da capire?».  Qual é II danno se si tiene nel limbo la scelta sul Mes? «Se non chiediamo il Mes altri Paesi potranno eccepire che le risorse del Recovery Fund sono eccessive, se il maggior Paese beneficiario, ‘Italia, rinuncia a quelle già disponibili con altri strumenti».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Cottarelli Carlo 
Titolo: Programmi credibili per i fondi Ue
Tema: fondi Ue

Il plano proposto dalla Commissione europea prevede che l’Unione europea tra il 2021 e il 2024 si indebiti per 750 miIiardi di euro ed eroghi queste risorse ai Paesi europei attraverso prestiti e trasferimenti a fondo perduto. Tre aspetti sono particolarmente rilevanti. Primo, i Paesi che intendono richiedere i finanziamenti dovranno presentare programmi per spiegare come li utilizzeranno. Le risorse saranno erogate solo dopo l’approvazione del programma da parte della Commissione e del Consiglio europeo e solo se certi obiettivi verranno raggiunti nella attuazione del programma. È quindi un meccanismo che comporta “condizionalità”. Qualcuno dirà ora che ci portiamo la troika in casa? Beh, visto che il debito viene contratto in comune dai paesi dell’Unione europea, mi sembra giusto che anche la decisione su come utilizzare i fondi sia presa in comune, o no? Secondo, all’Italia dovrebbero arrivare 150-170 miliardi in quattro anni, 40 miliardi l’anno in media, tra il 2 e il 2,5% del nostro Pil. Si tratta quindi di cifre elevate, ma una tantum: dovranno essere usate bene e per progetti che non comportino aumenti permanenti del deficit. Terzo, la differenza tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto è importante, ma non completa. Anche i finanziamenti erogati come trasferimenti a fondo perduto comporteranno negli anni a venire un flusso finanziario dai singoli paesi verso l’Unione europea, visto che questa dovrà ripagare il prestito contratto. La Commissione ha proposto che tale prestito sia ripagato anche con nuove tasse europee (per esempio, una web tax), ma almeno una parte di queste tasse ricadrebbe comunque sui residenti europei. I trasferimenti a fondo perduto avrebbero quindi vantaggi, ma, rispetto ai prestiti, non sarebbe una differenza tra il giorno e la notte.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco – Savelli Fabio 
Titolo: Il governo preme «Via i Benetton o scatta la revoca» – Il governo su Autostrade «I Benetton escano o inevitabile la revoca»
Tema: Autostrade
Ancora 24 ore prima della decisione sul destino di Autostrade. Il governo sarebbe orientato a procedere alla revoca della concessione domani in Consiglio dei ministri. Perché la precondizione per evitarla — posta dal premier Conte, supportata dal Cinque Stelle — non verrebbe soddisfatta: cioè la totale estromissione di Atlantia dalla controllata Autostrade attraverso la vendita ad investitori pubblici e privati dell’88% che la capogruppo detiene nella società concessionaria. Da Treviso filtra l’indisponibilità per questa richiesta giudicata strumentale per nascondere la vera volontà del governo, cioè quella di togliere la concessione alla holding di famiglia Benetton, per placare la sete di vendetta dei Cinque Stelle per la vicenda del ponte Morandi. Il presidente di Edizione, Gianni Mion, che ha condotto questa partita in prima persona con il fidato di famiglia Benetton, Carlo Bertazzo, poi scelto alla guida di Atlantia, dichiara di «non essere molto ottimista» pur in presenza di «un’offerta seria frutto di un grande sforzo anche professionale» del gruppo. Un’offerta da 3,4 miliardi comprensiva di risarcimenti, investimenti maggiori in manutenzione e taglio alle tariffe che andava incontro alle richieste del governo. Sul cambio di controllo trapela la disponibilità di un’ulteriore limatura della quota da parte di Atlantia per tentare un accordo in extremis. La holding controllata al 30% dai Benetton sarebbe disponibile a scendere fino al 37% di Autostrade tramite cessione di quota o, in alternativa, come operazione di ricapitalizzazione da almeno 4 miliardi che porterebbe a quell’effetto diluitivo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa – Vitale Giovanna 
Titolo: Autostrade, revoca più vicina – “Lo Stato non sarà socio di Benetton” Linea dura di Conte su Autostrade
Tema: Autostrade

All’indomani della proposta di revisione della concessione presentata da Autostrade, Giuseppe Conte ribadisce la linea dura. «Lo Stato italiano non può essere socio dei Benetton». Perciò, «anche se non del tutto in linea con le richieste del governo», vanno bene la riduzione delle tariffe e il piano da 14,5 miliardi di investimenti e 7 di manutenzioni, più i 3,4 per chiudere il contenzioso, però Atlantia deve uscire da Aspi. Completamente. Al premier non basta che scenda in minoranza. La holding della famiglia trevigiana deve cedere l’intero pacchetto azionario, l’88% della società, altrimenti si procederà con la revoca. Una road map condivisa dal Pd ai massimi livelli. La ragione è semplice. A rilevare le quote sarebbe una cordata pubblica guidata da Cdp in tandem con F2i. Se i Benetton dovessero restare, sebbene con una partecipazione assai ridotta, lo Stato si ritroverebbe a gestire le autostrade insieme a loro. Seduti fianco a fianco nello stesso cda. Proprio ciò che i 5S non vogliono. Al premier lo hanno detto chiaro. «La proposta di Aspi non è sufficiente». Spingendosi a minacciare la crisi di governo se la revoca — o in subordine l’estromissione del gruppo veneto — non verrà formalizzata. Obbiettivo: la nazionalizzazione di Autostrade. Che ha finito per spaccare la maggioranza. Italia Viva, contraria fin dal principio, parla di «dibattito surreale». Mentre il Pd sembra ormai allineato. «La revoca ha un fondamento forte con possibilità di vincere i ricorsi», spiega il sottosegretario Roberto Morassut, riportando la posizione del Nazareno: «Il rapporto Anac dimostra che le prestazioni offerte dal concessionario sono state gravemente inadempienti». Una fibrillazione che non è sfuggita al Quirinale. Il Colle ha fatto sapere di seguire la vicenda con attenzione e auspica che si trovi una soluzione senza contraccolpi per il governo. Ritenendo in ogni caso che non sia a rischio la tenuta dell’esecutivo.
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Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  Travaglio Marco 
Titolo: Intervista a Giuseppe Conte – “I Benetton ci prendono in giro: cosi sarà revoca” – “Lo Stato non può essere socio di chi prende in giro le famiglie delle vittime”
Tema: Autostrade
Presidente Giuseppe Conte, è soddisfatto delle proposte di transazione di Atlantia, cioè della famiglia Benetton, per il nuovo assetto di Aspi, cioè di Autostrade per l’Italia? Per nulla e le spiego perché partendo dall’inizio. Due anni fa, dopo il crollo del ponte Morandi, abbiamo avviato la procedura di contestazione, mettendo in discussione la concessione ad Aspi. La mia sensazione è che Autostrade, forte dei vantaggi conseguiti nel tempo e di una concessione irragionevolmente rinforzata da un intervento legislativo, abbia scommesso sulla debolezza dei pubblici poteri nella tutela dei beni pubblici. A un certo punto Aspi si è irrigidita confidando, evidentemente, nella caduta del mio primo governo. Con questo nuovo governo si è convinta di avere forse delle carte da giocare e ha continuato a resistere. Solo all’ultimo si è orientata per una soluzione transattiva. La verità è che le varie proposte transattive fatte pervenire da Aspi non sono soddisfacenti. Lo Stato ha il dovere di valutarle per lo scrupolo di tutelare l’interesse pubblico nel migliore dei modi possibili. Ma adesso dobbiamo chiudere il dossier ed evitare il protrarsi di ulteriori incertezze”. Ma l’ultima proposta sembra migliorativa per lo Stato. “No. Proprio al fine di completare il procedimento, il 9 luglio si è svolta una riunione tecnica con il concessionario Aspi: li i tecnici del governo hanno esposto i contenuti minimi e assolutamente inderogabili che devono caratterizzare la proposta transattiva perché possa essere portata e discussa in Consiglio dei ministri. E sabato è arrivata una risposta ampiamente insoddisfacente, per non dire imbarazzante: tutto meno che un’accettazione piena e incondizionata delle richieste del governo”.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Marino Giuseppe 
Titolo: Ogni bonus un trucco – Ogni bonus ha sotto un trucco Baby sitter, pagato solo il 2,7%
Tema: i bonus per le famiglie

I bonus per le famiglie? Pochi spiccioli. Secondo i dati dell’Inps pubblicati dal Sole 24 Ore, il governo ha stanziato 3,2 miliardi di euro per congedi parentali, bonus baby sitter e centri estivi, ma l’ente previdenziale finora ha erogato solo 87 milioni di euro: il 2,7 per cento dei fondi previsti. Il meccanismo assomiglia sempre più ai messaggi tipo «Congratulazioni, lei ha vinto…», i classici premi fasulli per attirare l’attenzione. Ed è così che la «potenza di fuoco» da 32 miliardi di euro, includendo anche i 600 euro alle partite Iva e la cassa integrazione, al momento si è materializzata nelle tasche dei destinatari solo per il 50 per cento, 16 miliardi circa. Un tasso di efficacia pessimo. Norme scritte male, traversie burocratiche, ingolfamento dell’Inps e paletti fissati dal governo proprio per limitare la platea dei beneficiari hanno trasformato l’elenco dei bonus in una lista di flop. Il «pacchetto famiglia» è l’ultimo esempio: ideato per aiutare i genitori a gestire i figli dopo che le scuole sono state chiuse per coronavirus, si articolava in due misure: i congedi parentali straordinari per Covid e il bonus baby da 600 euro. Chiaramente, il genitore che usufruiva del congedo parentale e restava a casa ad accudire la prole, non poteva pretendere anche il bonus per pagare la baby sitter. Com’è ovvio le famiglie si sono organizzate in modo flessibile: qualche giorno di congedo, qualcuno di baby sitter. Ma chi ha scritto la legge ha pensato bene di escludere questa eventualità: chi aveva usufruito anche di un solo giorno di congedo parentale, si è visto negare l’intero bonus baby sitter. In seguito la norma è stata corretta, ammettendo una compatibilità parziale, e il bonus baby sitter è stato aumentato, arrivando a 2.000 euro per i componenti delle forze dell’ordine e operatori della Sanità. Com’è finita? I fondi per queste categorie, tanto lodate durante il lockdown, sono ben presto finiti. Con l’aumento del bonus il governo ha deciso di aggiungere la possibilità di usarlo anche per pagare i centri estivi. Peccato che, causa Covid, i prezzi dei centri siano aumentati del 30 per cento e il governo abbia fissato limiti molto bassi, rendendo il bonus insufficiente a pagare il soggiorno.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mania Roberto 
Titolo: Intervista a Maurizio Landini – Landini “È il lavoro la vera emergenza Allarme per l’autunno”
Tema: lavoro

«Va da sé che il Parlamento deve essere coinvolto nella decisione dello stato di emergenza nel rispetto della nostra Costituzione che non prevede uomini soli al comando. Ma la vera emergenza — dice Maurizio Landini, segretario generale della Cgil — sta diventando un’altra: quella sociale». Dunque, condivide le preoccupazioni delta ministra dell’intemo, Luciana Lamorgese, sul rischio dl tensioni sociali In autunno? «Lo scenario è preoccupante e allarmante, lo confermano i dati. Penso sia decisivo non aspettare che la situazione precipiti in autunno. È adesso che si devono fare le scelte strategiche. D’altra parte, gli Stati generali si erano chiusi con l’impegno del presidente Conte ad aprire dei negoziati con le parti sociali su fisco, ammortizzatori sociali, stato sociale, politiche industriali. Non è successo nulla ed è, a mio avviso, un grave ritardo che il governo deve recuperare». Quali scelte andrebbero fatte? «Intanto c’è da approvare il nuovo scostamento di bilancio e il messaggio necessario è che ci siano le risorse per proteggere il lavoro, da una parte, confermando il blocco dei licenziamenti per tutto il 2020 e, dall’altra, avviare la riforma degli ammortizzatori sociali. Ma il cuore della ripartenza deve essere la progettazione-programmazione degli investimenti, innanzitutto quelli pubblici». Pensa a 17-18 miHerdl dl deficit da destinare al lavoro? «Se vogliamo uscire dal tunnel di questa crisi si deve investire sul lavoro, combattere la precarietà, far ripartire l’economia attraverso gli investimenti Questo è il momento di compiere scelte radicali, innovative e anche coraggiose. Si deve uscire dalla logica neoliberista che ci ha condotto a tagliare la spesa sociale, la sanità, l’istruzione, e che ha precarizzato ll lavoro raccontandoci che il mercato avrebbe risolto í problemi».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Luise Claudia 
Titolo: Scarpe, pneumatici, ricambi e mascherine Il Coronavirus riporta le produzioni in Italia
Tema: produzione industriale

Problemi logistici, costi elevati e il timore di avere difficoltà negli approvvigionamenti. Il Covid sta spingendo le aziende che avevano delocalizzato le proprie produzioni all’estero a rivedere le scelte e a tornare in Italia. Tra gli effetti del lockdown c’è anche una accelerazione del «reshoring» soprattutto in settori come i prodotti sanitari che hanno ampliato il proprio mercato interno. Ma non solo. Anche per l’automotive e per filiere legate al made in Italy, la spinta al rientro in patria sta diventando importante. E quanto emerge dal rapporto “Il reshoring manifatturiero ai tempi di Covid-19. Trend e scenari per il sistema economico Italiano” , curato da Paolo Barbieri dell’Università di Bologna, Albachiara Boffelli dell’Università di Bergamo, Stefano Elia del Politecnico di Milano, Luciano Fratocchi dell’Università dell’Aquila e Matteo Kalchschmidt dell’Università di Bergamo. In totale si parla di 175 casi di «reshoring» monitorati dall’osservatorio ma, spiegano i curatori, è una sottostima specialmente per quanto riguarda le decisioni di rilocalizzazione delle forniture in quanto non c’è obbligo di comunicazione di questo tipo di strategia. Inoltre alcune aziende non vogliono far sapere di aver riportato la produzione in Italia: si tratterebbe di un’indiretta ammissione della precedente scelta di delocalizzazione. E poi spesso la rilocalizzazione è solo parziale, per cui si trasferiscono in Italia singole linee di produzione o fasi di lavorazione. In ogni caso, la scelta di rimpatrio non implica necessariamente la chiusura delle attività produttive detenute all’estero né l’interruzione dei rapporti di fornitura con i partner stranieri. Il caso più recente è quello comunicato due giorni fa dalla Vittoria di Bergamo, azienda specializzata nella produzione di pneumatici per bici che riporta in Italia il proprio quartier generale.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Parente Giovanni – Ranocchi Gian_Paolo 
Titolo: La cessione dei bonus parte dall’affitto dei negozi – Cessione dei bonus: il tax credit affitti oggi apre la partita
Tema: cessione dei bonus
E’ il primo vero atto di quella che in molti chiamano «moneta fiscale». Le difficoltà economiche e ancor più finanziarie causate dall’emergenza coronavirus possono portare a creare un vero e proprio mercato dei crediti fiscali. La spinta è arrivata dal decreto Rilancio (Dl 34/2020), che dopo l’ok della Camera attende ora il via libera definitivo da parte del Senato. Se la partita più grande è quella destinata ad aprirsi con il superbonus del 110% e la cessione delle altre detrazioni per i lavori in casa con annessa opportunità di sconto in fattura, l’anticipo è rappresentato dal tax credit sugli affitti commerciali. Da oggi scatta la possibilità, tra gli altri, per i titolari di negozi, alberghi, ristoranti di trasferire ai locatori il credito d’imposta maturato sui canoni di marzo, aprile e maggio e avere così uno sconto sull’importo dovuto. Si apre, infatti, il canale per la comunicazione telematica dell’opzione all’agenzia delle Entrate, anche se per ora l’invio è limitato al «fai-da-te». Poi sarà la volta anche del tax credit per l’adeguamento degli ambienti di lavoro e di quello per sanificazione e acquisto di dispositivi di protezione (Dpi) che hanno trovato le regole attuative delle Entrate venerdì scorso.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cimmarusti Ivan 
Titolo: Giustizia tributaria senza pc e formazione (ma non per il Mef) – Liti fiscali per 41 miliardi, ma senza pc
Tema: commissioni tributarie

Il decreto Mef sulle udienze da remoto a «regime» delle Commissioni tributarie prende forma con l’ok del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Cpgt). Quasi tutte le Ct italiane sono, tuttavia, impreparate ad affrontare il contraddittorio online. In gioco ci sono ricorsi pendenti da 41 miliardi di euro (dato 2019), ma la giurisdizione, spiega il presidente del Cpgt Antonio Leone, sembra «abbandonata dal legislatore». Il Mef però non è d’accordo. Per il ministero, infatti, «in tutte le Cctt, provinciali e regionali, la connessione intemet è da anni garantita attraverso l’erogazione del servizio fornita dal gestore a fronte del Contratto Quadro Consip».
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Testata:  Tempo 
Autore:  Di Majo Alberto 
Titolo: Energia, tabacco, trasporti Ecco l’elenco dei lobbisti in servizio a Montecitorio – Energia, tabacco e trasporti Ecco i lobbisti della Camera
Tema: lobbismo

Quarantuno persone fisiche e duecentotrentuno persone giuridiche. La Camera dei deputati ha completato pochi giorni fa il registro dei rappresentanti di interessi, prevedendo anche alcune sanzioni. La lista dei lobbisti è lunga e comprende rappresentanti di imprese, private o a partecipazione pubblica, associazioni, federazioni sportive, organizzazioni professionali e non governative, nonché «soggetti specializzati nella rappresentanza professionale di interessi di terzi». Il registro riporta tutti i dati degli autorizzati ad entrare a Montecitorio ma anche gli incontri avuti, con i nomi dei deputati incontrati. Per ogni consulente c’è anche una relazione annuale sull’attività. Nel registro ci sono soprattutto i rappresentanti di grandi aziende di energia, trasporti, tabacco, assicurazioni, compagnie telefoniche e, ovviamente, singoli mediatori. Compaiono la Cassa depositi e prestiti, Poste italiane, Acea spa, Alitalia, Assarmatori, l’Abi, l’Associazione dei commercialisti cattolici, l’Agis, l’Associazione nazionale fra le banche popolari, quella che riunisce gli istituti di vendite giudiziarie, quella dei tributaristi. Ci sono le imprese farmaceutiche, i sindacati, Confcooperative, Confedilizia, Confimprenditori, Confindustria, l’Enav spa, l’Eni, la Fiavet e tante federazioni: quella dei medici di medicina generale, dell’industria culturale, della ristorazione, degli scrittori italiani, del legno, dei diplomatici e consoli. Non mancano nemmeno gli ispettori del lavoro, i revisori legali il Rotary International. E tutto registrato.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Rosaspina Elisabetta 
Titolo: In Polonia è testa a testa Duda avanti tra i veleni – Polonia, un testa a testa tra i veleni
Tema: il voto in Polonia

A tarda sera è ancora presto per dichiarare con certezza il vincitore, ma gli exit poll di Ipsos assegnano lo scettro di presidente della Polonia per i prossimi 5 anni ad Andrzej Duda, 48 anni, con il 50,4%dei consensi. Se confermato dagli scrutini che si concluderanno all’alba, vince dunque la linea nazional-populista ed euroscettica del PiS, «Diritto e Giustizia», l’attuale partito di governo fondato 19 anni fa dai gemelli Kaczynski. Meno di un punto percentuale separa il sovranista conservatore Duda dallo sfidante, il sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, leader della Coalizione civica, un centrodestra più liberale sui diritti delle minoranze ed europeista. I sondaggi avevano previsto un duello serrato, nonostante al primo turno Duda si fosse aggiudicato oltre il 43% dei voti e Trzaskowski si fosse fermato al 30%. Decisivo è diventato dunque l’elettorato del terzo classificato, il giornalista cattolico liberale Szymon Holownia, titolare del 13% delle preferenze, ma debolmente favorevole al sindaco di Varsavia: «Io non voterei Duda» si è limitato a dire ai suoi sostenitori. Mentre per raggiungere la maggioranza assoluta il presidente uscente contava sull’estrema destra, schierata al primo turno con Krzysztof Bosak, e sullo zoccolo duro della Polonia rurale tradizionalista. La rimonta di Trzaskowski è stata comunque notevole, considerato anche l’ostracismo dei media filogovernativi. L’apparato di Stato non si è risparmiato per sostenere Duda che ha fatto leva sulle più profonde paure dei polacchi: «La nostra scelta è fra un’ideologia di estrema sinistra da un lato, e la famiglia e il patriottismo dall’altro» ha annunciato 48 ore prima del voto il principale notiziario della tivu polacca, Tvp.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  E.Ro. 
Titolo: Intervista a Konstanty Gebert – «Questa partita si risolverà soltanto nei tribunali»
Tema: il voto in Polonia

Non sono esclusi colpi di scena, nelle prossime ore. Tantomeno una battaglia legale sui voti nulli. Konstanty Gebert, scrittore ed editorialista da quasi trent’anni di Gazeta Wyborcza, il quotidiano fondato dall’ex dirigente di Solidarnosc, Adam Michnik, scommette che la partita, qualunque sia l’esito degli scrutini, abbia buone probabilità di riaprirsi in tribunale. «Se nel testa a testa la differenza risulterà inferiore ai 50 mila voti – prevede – è quasi certo che il risultato sarà contestato, forse anche dallo stesso vincitore; e sarà reclamato un nuovo conteggio. E già successo altre volte». L’ago della bilancia sono gli indecisi, ma come si può esitare fra due opposti? «L’indecisione non è tanto fra i due candidati. Da un lato l’elettorato di Holownia, che ha deprecato la spaccatura del paese tra il PiS e la Coalizione civica, può pensare che sia meglio astenersi. Dall’altro, quello di Krzysztof Bosak, all’estrema destra, considera entrambi, Duda e Trzaskowski, “merde liberali”, mentre vorrebbe un presidente forte e autoritario».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Accattoli Luigi 
Titolo: La voce del Papa su Santa Sofia ancora moschea: sono addolorato – Il messaggio di Francesco «Penso a Santa Sofia e sono molto addolorato»
Tema: Santa Sofia

Francesco all’angelus ha detto finalmente con otto parole il suo dolore per Santa Sofia che tornerà moschea il 24 luglio: «Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato». Parole che Bergoglio ha aggiunto al testo scritto, pronunciandole con lunghe pause. Si dirà che è poco ed è tardi ma per il Papa era difficile dire prima e di più. E stato singolare l’inserimento delle otto parole nel saluto di mezzogiorno. Ieri era la «Giornata internazionale del mare» e Francesco ha mandato un «affettuoso saluto» ai marittimi aggiungendo: «Il mare mi porta un po’ lontano col pensiero: a Istanbul. Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato». Le parole del Papa hanno avuto un’eco immediata ad Ankara: «Nessun simbolo religioso che è all’interno di Santa Sofia sarà toccato» e l’edificio resterà «aperto ai visitatori di ogni religione e credo: la Turchia è un simbolo di tolleranza religiosa con oltre 400 chiese e sinagoghe aperte» ha detto Il portavoce del presidente Recep Tayyip Erdogan. La prudenza papale va interpretata alla luce del precedente del «genocidio armeno». Pronunciando quella parola — primo Papa a farlo senza giri di parole — Francesco rischiò due volte (nel 2015 e nel 2016) la rottura con il governo turco, che reagì richiamando l’ambasciatore. In gioco non vi sono soltanto i buoni rapporti con un governo del mondo musulmano ma la condizione della comunità cattolica turca che non gode di riconoscimento giuridico e la cui sorte dipende dall’atteggiamento delle autorità amministrative dei singoli luoghi dove si trovi un santuario, una chiesetta, la casa abitata da un prete o da un vescovo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rodari Paolo 
Titolo: Il Papa su Santa Sofia “Sono molto addolorato” – Il Papa si schiera con gli ortodossi “Molto addolorato per Santa Sofia”
Tema: Santa Sofia

La decisione della Turchia di riconvertire in moschea l’ex basilica bizantina di Santa Sofia, infatti, ha provocato insofferenze importanti nelle Chiese ortodosse. I malumori sono arrivati anche Oltretevere, in seguito in particolare alle uscite allarmate sia di Bartolomeo I sia di Kirill. La voce di Costantinopoli e dl Mosca non ha lasciato indifferente il Papa che infatti, nonostante i rischi di uno scontro diplomatico con la Turchia, ha deciso, anzitutto in spirito di comunione con le Chiese sorelle, di dire una parola. «Amico» e «fratello» è per lui Bartolomeo. Mentre mantiene un rapporto di stima e fiducia con Kirill. Secondo fonti vaticane, la modalità soft con la quale Bergoglio ha deciso di parlare smorza sul nascere l’idea di una rivendicazione cattolica su Santa Sofia. Anche se Oltretevere c’è certamente preoccupazione perché la Basilica era considerata terreno privilegiato di lavoro sia sul plano interreligloso sia su quello ecumenico. Dice a Repubblica monsignor Rubén Tierrablanca González, presidente della Conferenza episcopale turca: i cattolici «sempre desiderano che le loro tradizioni siano rispettate», ma insieme sono consapevoli di come vi siano «certe condizioni da rispettare date dalla storia e dalla realtà». E ancora: «Le parole del Papa sono un bel segnale, ma non di rivendicazione, piuttosto un aiuto in scia a quanto già detto dal patriarca Bartolomeo». Santa Sofia nei rapporti fra Chiese cristiane rappresenta molto.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Caferri Francesca 
Titolo: L’imbarazzo dei musulmani italiani “Mossa politica, serve più rispetto”
Tema: Santa Sofia

Un’altra vicenda destinata ad alimentare tensioni che covano da tempo: questo è la riconversione di Santa Sofia in moschea all’interno dell’Islam italiano. Già diviso da Iinee disegnate da Paesi di origine, nazioni di riferimento dal punto di vista della dottrina ma anche dei finanziamenti, il panorama dei fedeli di religione musulmana negli ultiml anni si è polarizzato seguendo le stesse faglie di frattura che hanno spaccato il Medio Oriente: così, a un gruppo più “istituzionale”, che fa riferimento alla Grande Moschea di Roma e guarda al Marocco e agli insegnamenti dell’Università di Al Azhar del Cairo — controllata dal governo egiziano — sl è contrapposto un gruppo considerato più vicino alle idee dei Fratelli musulmani — e realtà come l’Ucoii e quella che si muove intorno alla rivista La Luce — che trova nella Turchia un importante punto di riferimento: è da qui che negli ultimi anni sono venute parole di sostegno per le scelte fatte nel tempo dal presidente turco. Ma la vicenda di Santa Sofia è un’eccezione, almeno per ora: nessuna lode, nessun sostegno. Al massimo, silenzio qualche ambiguità. L’idea che circola fra chi osserva la comunità italiana è che la ferita che si è aperta nel mondo cristiano per la decisione di Erdogan non è di quelle che si possono ignorare, soprattutto per chi in una realtà cristiana si muove. «Assistiamo a scelte che sono più politiche che religiose. Il rispetto è alla base di ogni convivenza civile. Abbiamo la massima comprensione peri nostri fratelli cristiani: non è facile vedere un luogo costruito come chiesa essere usato per un altro culto. Per questo auspichiamo che Santa Sofia, anche se trasformata in moschea, resti aperta a chiunque voglia visitarla», dice Izzedine Elzir, consigliere dell’Ucoii.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ricci Sargentini Monica 
Titolo: Trump cede e indossa la mascherina In Florida 15mila casi in 24 ore
Tema: il Covid-19 in Usa

È apparso per la prima volta in pubblico con la mascherina Donald Trump. Dopo mesi di insistenze da parte del suo staff e delle autorità sanitarie il presidente degli Stati Uniti ha ceduto e ha indossato la protezione durante una visita, sabato scorso, all’ospedale militare Walter Reed, alla periferia di Washington. Un gesto significativo in un momento in cui l’America segna un nuovo record giornaliero di contagi con 66.528 nuovi casi e si conferma il Paese più colpito dalla pandemia con oltre 3 milioni di positivi e 135.029 morti. Per la speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, è «un’ammissione. Se vuoi fermare il coronavirus — ha detto — devi indossare la mascherina». Fino a ieri Trump aveva rifiutato di coprirsi il volto. E il suo rivale alle prossime presidenziali, Joe Biden, ha subito stigmatizzato l’errore: «II presidente ha sprecato quattro mesi, avrebbe dovuto essere un esempio sin dall’inizio». Anche la First Lady, Melania Trump, ha seguito il marito e ha postato su Twitter le sue immagini con il volto coperto da una mascherina mentre visitava la Mary Elizabeth House, una struttura che aiuta le donne single e i loro figli. Tuttavia Trump insiste per la riapertura delle scuole. «I bambini devono poter studiare. Non possiamo paralizzarci. Nessun dato dice che il ritorno in classe possa costituire un pericolo» ha detto ieri la ministra dell’Istruzione Betsy DeVos. Ma i medici mettono in guardia da una riapertura indiscriminata che potrebbe aumentare il tasso di mortalità e il numero di infezioni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Semprini Francesco 
Titolo: Il piano Usa per il petrolio libico “Zona franca per proteggere i pozzi”
Tema: Libia

Demilitarizzare la mezzaluna petrolifera libica. È questo il piano sul quale gli Stati Uniti puntano per riportare alla normalità la produzione di oro nero nel Paese nordafricano, dopo la chiusura dei pozzi decisa il 18 gennaio da Khalifa Haftar. Ed è una delle ipotesi al vaglio del Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Sarraj, riferiscono fonti di Tripoli. La spartizione del bazar energetico nazionale è la partita su cui, col progressivo congelamento del conflitto, si stanno confrontando gli azionisti di riferimento del dossier libico, ovvero la Turchia, schierata con Sarraj, ed Egitto, Emirati e Russia, gli sponsor del generale Haftar. E da cui l’Italia non può rimanere esclusa dati gli imprescindibili interessi nazionali rappresentati, soprattutto, dall’Eni. La partita vede inoltre il ritrovato attivismo di Washington – dopo il prolungato allontanamento dal dossier – dove è maturata l’idea di dar vita a una zona demilitarizzata nella fascia di territorio a sud dell’area costiera tra Sirte e Bengasi. Creare una zona franca per tutelare il patrimonio di tutti i libici è anche un modo, letta dal prisma americano, per tenere a freno la lunga mano di Mosca sul tesoro libico, dopo l’incursione dei mercenari della società russa Wagner nel campo di Shahara.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nizza Sharon 
Titolo: In Israele la sfida delle donne soldato per le unità d’élite
Tema: le donne e i ruoli nella Difesa

«Forse il giorno in cui un uomo sarà in grado di lavorare a maglia dei calzini, una donna diventerà pilota». Con questa frase, racconta oggi Alice Miller, l’allora presidente dello Stato Ezer Weizman liquidò nel 1994 la sua battaglia per l’arruolamento delle donne nell’aviazione militare. Non è noto quanti uomini abbiano imparato a lavorare a maglia, ma Miller vinse il suo ricorso alla Corte Suprema, facendo da apripista per l’arruolamento delle donne come combattenti non solo nell’aviazione, ma anche nella marina, artiglieria e unità corazzate. Nei mesi scorsi, quattro diciottenni in procinto di arruolarsi si sono rese protagoniste di un passo ancora più azzardato: provare ad accedere alle unità combattenti di élite. Quelle in cui il processo di selezione è un’impresa di per sé, come la leggendaria Sayeret Matkal, “l’Unità” per antonomasia, con competenze di intelligence anche in territorio ostile, famosa per la liberazione degli ostaggi nel dirottamento della Sabena e nell’Operazione Entebbe. Gall, Mika, Omer e Mor non si conoscevano. Ognuna era convinta di presentarsi alle selezioni rispettivamente dei corpi paracadutisti, Sayeret Matkal, Shayetet-13 e Duvdevan. Salvo apprendere che alle donne sono ancora preclusi. Non si sono date per vinte e si sono appellate alla Corte per richiedere che l’accesso a queste unità, come già stabilito dalla legge per le altre, venga valutato non a seconda del genere, ma sulla base delle capacità del singolo individuo.
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